Codice Civile art. 6 - Diritto al nome.Diritto al nome. [I]. Ogni persona ha diritto al nome [22 Cost.] che le è per legge attribuito [143-bis, 262, 299, 2292, 2314, 2326, 2563] (1). [II]. Nel nome si comprendono il prenome e il cognome [XIV2 Cost.]. [III]. Non sono ammessi cambiamenti, aggiunte o rettifiche al nome, se non nei casi e con le formalità dalla legge indicati (2). (1) V. art. 52 l. 1° dicembre 1970, n. 898 e l. 28 marzo 1991, n. 114. (2) V. artt. 84 ss. d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396. InquadramentoLa struttura dell'identità personale, nel suo esprimersi nelle relazioni personali e sociali, si compone di due elementi fondamentali: il prenome (l'onomastico maschile o femminile che individua, anche, la sessualità della persona) e il cognome (che contraddistingue l'appartenenza ad una specifica famiglia). Il nome comprende prenome (cd. praenomen) e cognome (cd. nomen familiae.) e trova soggiorno nell'ambito dei diritti della personalità, costituzionalmente tutelati (Buffone, 2012, fasc. 2, I, 737). Il diritto al nome, in particolare, trova protezione costituzionale nell'art. 2 della Charta Chartarum e nell'art. 22 dello statuto costituzionale ove è previsto che «nessuno può essere privato per motivi politici (...) del nome». Il diritto al nome costituisce una componente essenziale dei diritti fondamentali della persona perché rappresenta un elemento costitutivo dell'identità individuale, consentendo un'identificazione immediata e riconoscibile del soggetto che lo porta. In virtù di queste peculiari connotazioni, il nome è un attributo necessario ed ineludibile per lo sviluppo soggettivo e relazionale della personalità (v., anche, art. 8 Cedu, art. 7 Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea). Proprio in virtù della primaria rilevanza dell'elemento distintivo costituito dal nome nel catalogo dei diritti fondamentali della persona umana, esso è oggetto di protezione nei più significativi strumenti internazionali convenzionali in materia di diritti della persona; inoltre, la giurisprudenza della Corte Europea dei diritti umani ha concluso per l'inclusione del diritto al nome nell'alveo del diritto alla vita privata e familiare (art. 8 Cedu). Pur in mancanza di un'espressa previsione, contenuta nella Convenzione (al pari della Costituzione e della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea), la Corte Edu ha riconosciuto che il nome ed il prenome sono “strumenti d'identificazione personale e di collegamento alla famiglia” (Corte Edu 22 febbraio 1994 n. 16213/90 caso Burghartz c. Svizzera). In quest'ottica assume rilievo Cass. n. 8955/2024 la quale ha chiarito che il diritto alla cognomizzazione del predicato nobiliare e la sua tutela spettano a tutti i discendenti dal comune avo, cui è stato riconosciuto il titolo nobiliare, di talché ciascuno di essi, qualora si tratti di titolo esistente prima del 28 ottobre 1922 e riconosciuto prima dell'entrata in vigore della Costituzione, è legittimato ad agire in giudizio, senza necessità che la stessa tutela debba essere richiesta, coevamente, da tutti i suoi congiunti, portatori del medesimo cognome. Scelta del nomeOgni persona ha diritto al nome che le è per legge attribuito (art. 1): il diritto alla scelta del nome (inteso come comprensivo del prenome e del cognome) diversamente dagli altri diritti fondamentali, caratterizzati dal minimo comune denominatore dell'autodeterminazione, non viene esercitato dal soggetto cui il nome è imposto al momento della nascita o nella sua immediatezza, ma dal genitore o dai genitori che lo riconoscono. In tutti gli ordinamenti si pone, conseguentemente, il problema, di un adeguato bilanciamento del diritto dei genitori alla scelta del nome secondo preferenze, modelli, o tradizioni costituenti il bagaglio culturale familiare di riferimento, ed il rispetto della dignità personale che costituisce il criterio conformativo immanente ad ogni diritto fondamentale dell'individuo. Per quanto riguarda l'ordinamento italiano, la disciplina di riferimento è essenzialmente contenuta negli artt. 34 e 35 d.P.R. n. 396/2000 che legittimano un intervento correttivo dell'autorità statuale correlato alla tutela effettiva della dignità personale. L'art. 34 vieta l'imposizione di nomi ridicoli o vergognosi; l'art. 35 impone che il nome corrisponda al sesso. Sotto tale aspetto la S.C. ha composto il contrasto giurisprudenziale insorto in merito alla attribuzione dell'onomastico «Andrea» alle bambine (v. Circ. Min. Interno, 1 giugno 2007 n. 27; Buffone, 2009, 6) affermando che questo nome ha ormai perso la sua valenza distintiva esclusiva a causa dell'uso indifferenziato per entrambi i generi, in molti paesi stranieri (Cass. n. 20385/2012) e può quindi essere attribuito anche ai neonati di sesso femminile. Questa pronuncia conferma come l'evoluzione dei costumi sociali influenzi la materia dei nomi, al lume del controllo statale. Attribuzione e modifica del nomeLa legge regola l'attribuzione del nome (per i figli nati fuori da matrimonio, v. art. 262). Per effetto delle modifiche apportate dalla l. n. 219/2012 al d.P.R. n. 396/2000, il nome imposto al bambino può essere costituito da un solo nome o da più nomi, anche separati, ma non superiori a tre. Nel caso siano imposti due o più nomi separati da virgola, negli estratti e nei certificati rilasciati dall'ufficiale dello stato civile e dall'ufficiale di anagrafe deve essere riportato solo il primo dei nomi (su cui v. Min. Interno, circ. 24 dicembre 2012 n. 33). Ai sensi del comma 3 dell'art. 6, non sono ammessi cambiamenti, aggiunte o rettifiche al nome, se non nei casi e con le formalità dalla legge indicati. Da ultimo, la materia è stata significativamente modificata dal d.P.R. n. 54/2012 che, in particolare, — modificando il d.P.R. n. 396/2000 — ha manipolato la legislazione speciale sulle rettifiche e revisioni dando la stura alla possibilità per i genitori, di attribuire ai figli il doppio cognome (aggiungendo quello materno accanto al patronimico). Questa opzione italiana non ha, tuttavia, evitato una pronuncia di condanna da parte della Corte europea dei diritti dell'Uomo che, con la decisione Corte Edu 7 gennaio 2014 (nel celebre caso Cusan c/Italia) ha affermato che «costituisce una violazione degli artt. 8, 14 della Cedu il fatto che, secondo il diritto italiano, i genitori, al momento della nascita del figlio, non possano attribuirgli il cognome materno» (già i giudici italiani avevano segnalato il problema: v. Cass. n. 13298/2004; Corte cost. n. 6/2006). In tempi recenti, in assenza di interventi legislativi, la sent. Corte cost. n. 286/2016, ha dichiarato la illegittimità costituzionale della norma desumibile da un'interpretazione sistematica delle disposizioni del codice civile (artt. 237, 262 e 299) e di quelle, anche di natura regolamentare, relative all'Ordinamento dello Stato civile, nella parte in cui non consente ai coniugi, di comune accordo, di trasmettere ai figli, al momento della nascita, anche il cognome materno. In via consequenziale, ai sensi dell'art. 27 l. n. 87/1953, la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 262, comma 1, (cognome del figlio nato fuori dal matrimonio) nella parte in cui non consente ai genitori, di comune accordo, di trasmettere al figlio, al momento della nascita, anche il cognome materno e dell'art. 299, comma 3, (cognome dell'adottato) nella parte in cui non consente ai coniugi in caso di adozione compiuta da entrambi, di attribuire, di comune accordo, anche il cognome materno al momento dell'adozione. L'applicazione della sentenza della Corte cost. n. 286/2016 è immediata per cui, in attuazione della pronuncia, sostanzialmente innovativa della disciplina della materia di che trattasi, l'ufficiale dello stato civile dovrà accogliere la richiesta dei genitori che, di comune accordo, intendano attribuire il doppio cognome, paterno e materno, al momento della nascita o al momento dell'adozione (così: Circ. Min. Interno, 19 gennaio 2017 n. 1). La Corte cost. n. 131 del 2022 è nuovamente intervenuta in argomento, dichiarandone l’illegittimità costituzionale dell’art. 262, comma 1, del c.c., in riferimento agli artt. 2, 3 e 117, comma 1, Cost. quest’ultimo in relazione agli artt. 8 e 14 CEDU, poiché essa «impedisce ai genitori di avvalersi, in un contesto divenuto paritario, di uno strumento attuativo del principio di eguaglianza, qual è l’accordo, per compendiare in un unico cognome il segno identificativo della loro unione, capace di permanere anche nella generazione successiva e di farsi interprete di interessi del figlio». Sicché l’art. 262, comma 1, c.c.. è stato dichiarato incostituzionale nella parte in cui prevede, con riguardo all’ipotesi del riconoscimento effettuato contemporaneamente da entrambi i genitori, che il figlio assume il cognome del padre, anziché prevedere che il figlio assume i cognomi dei genitori, nell’ordine dai medesimi concordato, fatto salvo l’accordo, al momento del riconoscimento, per attribuire il cognome di uno di loro soltanto. Sotto altro profilo rileva altresì Cass. n. 3788/2020 la quale ha affermato che il riconoscimento del primario diritto all'identità sessuale, sotteso alla disposta rettificazione dell'attribuzione di sesso, rende conseguenziale la rettificazione del prenome, che non va necessariamente convertito nel genere scaturente dalla rettificazione, dovendo il giudice tenere conto del nuovo prenome, indicato dalla persona, pur se del tutto diverso dal prenome precedente, ove tale indicazione sia legittima e conforme al nuovo stato. Diritto internazionale privatoLa l. n. 218/1995 (legge di riforma del diritto internazionale privato) introduce norme applicabili al diritto al nome, con l'art. 24 l. n. 218/1995: l'esistenza ed il contenuto dei diritti della personalità sono regolati dalla legge nazionale del soggetto; tuttavia i diritti che derivano da un rapporto di famiglia sono regolati dalla legge applicabile a tale rapporto. Con una interessante pronuncia, la S.C. ha affermato che, nel caso di cessazione degli effetti civili di un matrimonio contratto all'estero da due cittadini stranieri, il diritto della moglie di utilizzare l'esclusivo cognome del marito — acquisito, con il consenso di quest'ultimo, al momento dell'assunzione del vincolo — va delibato sulla base dei criteri di collegamento indicati dalla Convenzione di Monaco del 5 settembre 1980, resa esecutiva in Italia con la l. n. 950/1984, per la quale i cognomi e i nomi di una persona vengono determinati dalla legge dello Stato di cui è titolare il cittadino (Cass. n. 23291/2015). È ben vero, infatti, che l'Italia, con la l. n. 950/1984 ha ratificato la Convenzione internazionale succitata che funge proprio da riferimento per individuare la “legge applicabile” in materia di nomi della persona (onomastico, e cognome). Unione civileIl d.lgs. n. 5/2017 - adeguamento delle disposizioni dell'ordinamento dello stato civile in materia di iscrizioni, trascrizioni e annotazioni, nonché modificazioni ed integrazioni normative per la regolamentazione delle unioni civili, ai sensi dell'art. 1, comma 28, lett. a) e c), della l. n. 76/2016 – ha apportato modifiche al d.P.R. n. 396/2000, includendo nell'art. 63, comma 1, lett. g-sexies), la facoltà per gli uniti di rendere una dichiarazione con la quale, dopo la costituzione dell'unione civile, dichiarano di voler assumere, per la durata dell'unione civile, un cognome comune scegliendolo tra i loro cognomi o di anteporre o posporre al cognome comune il proprio cognome, se diverso. La Corte costituzionale ha giudicato conforme a Costituzionale la disciplina di diritto comune in materia di cognome delle parti dell'unione civile osservando che la “natura paritaria e flessibile della disciplina del cognome comune da utilizzare durante l'unione civile e la facoltà di stabilirne la collocazione accanto a quello originario – anche in mancanza di modifiche della scheda anagrafica – costituiscono garanzia adeguata dell'identità della coppia unita civilmente e della sua visibilità nella sfera delle relazioni sociali in cui essa si trova ad esistere (Corte cost. n. 212/2018). BibliografiaBaratta R., Diritto internazionale privato, Milano, 2010; Bartolini, La commorienza del beneficiario e del contraente-assicurato, in Dir. prat. ass. 1959, 122; Bianca C. M., Diritto civile, I. La norma giuridica. I soggetti, Milano, 2002; Birkhoff J. M., Nozioni di medicina legale. 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