Codice Civile art. 23 - Annullamento e sospensione delle deliberazioni.

Giuseppe Buffone
aggiornato da Annachiara Massafra

Annullamento e sospensione delle deliberazioni.

[I]. Le deliberazioni dell'assemblea contrarie alla legge, all'atto costitutivo o allo statuto possono essere annullate su istanza degli organi dell'ente, di qualunque associato o del pubblico ministero [1109, 1137, 2377 2; 69 ss. c.p.c.].

[II]. L'annullamento della deliberazione non pregiudica i diritti acquistati dai terzi di buona fede in base ad atti compiuti in esecuzione della deliberazione medesima [1445, 2377 7].

[III]. Il presidente del tribunale o il giudice istruttore, sentiti gli amministratori dell'associazione, può sospendere, su istanza di colui che ha proposto l'impugnazione, la esecuzione della deliberazione impugnata, quando sussistono gravi motivi [1109 2, 1137 2]. Il decreto di sospensione deve essere motivato ed è notificato agli amministratori.

[IV]. L'esecuzione delle deliberazioni contrarie all'ordine pubblico o al buon costume può essere sospesa anche dall'autorità governativa [9 att.].

Inquadramento

Le deliberazioni dell'assemblea sono atti in cui rileva la volontà posta alla base della formazione della singola deliberazione (Cass. n. 13774/2014) e si traducono in proposizioni collegiali. La loro natura giuridica ne giustifica il relativo regime in punto di validità: proprio come i negozi, sono atti che possono presentare patologie, in particolare essere nulli o annullabili, finanche inesistenti.

La disciplina di riferimento è contenuta nell'art. 23 che ammette un sindacato da parte dell'autorità giudiziaria: sindacato che, però, può essere solo di legittimità e non di merito non potendo il giudice ingerirsi nelle ragioni di opportunità che hanno indotto l'assemblea ad adottare una certa deliberazione (Galgano, in Comm. S. B., 1988, 331). Una unica eccezione ammessa dalla dottrina, è quella dell'abuso di potere della maggioranza, pure ritenuto derogatorio nella disciplina delle società.

Per la giurisprudenza, l'azione per far valere eventuali violazioni di norme imperative, da parte di una delibera assembleare modificativa dello statuto, è assoggettata a prescrizione quinquennale, trattandosi, ai sensi dell'art. 23, comma 1, di una speciale forma di annullabilità che deroga al principio generale dell'art. 1418, il quale detta, per i negozi contrari a norme imperative, il diverso regime della nullità (Cass.  n. 13855/2014).

E' stato altresì chiarito che l'art. 23 c.c. non annovera, tra i soggetti legittimati ad impugnare la deliberazione assembleare, l'associazione dalla quale la deliberazione promana, consentendo l'annullamento di tali deliberazioni solo su istanza degli associati, degli organi dell'ente e del pubblico ministero; l'associazione è, infatti, legittimata passiva nel giudizio di impugnazione, perché da essa promana la manifestazione di volontà oggetto di censura, e sarebbe inammissibile attribuirle la legittimazione ad insorgere giudizialmente contro la sua stessa volontà (Cass. n. 16396/2021).

Regime giuridico

Con specifico riferimento alla tipologia di vizio di cui può essere affetta una deliberazione, sovente si volge lo sguardo ai principi enunciati in materia condominiale dalla S.C. (in particolare, Cass. S.U., n. 4806/2005). Le deliberazioni condominiali sono nulle se: prive degli elementi essenziali, con oggetto impossibile o illecito (contrario all'ordine pubblico, alla morale e al buon costume), con oggetto che non rientra nella competenza dell'assemblea; le deliberazioni sono annullabili se: con vizi relativi alla regolare costituzione dell'assemblea, adottate con maggioranza inferiore a quella prescritta dalla legge o dal regolamento condominiale, affette da vizi formali in violazione di prescrizioni legali, convenzionali, statutarie attinenti al procedimento di convocazione o informazione in assemblea, quelle genericamente affette da irregolarità nel procedimento di convocazione, quelle che richiedono maggioranze qualificate in relazione all'oggetto. L'art. 23, in realtà, menziona le sole delibere contrarie alla legge, all'atto costitutivo o allo statuto e ne prevede l'annullamento, dunque, istituendo un regime di annullabilità.

La categoria cui far riferimento è quella della annullabilità contrattuale, in parte qua applicabile, in virtù della norma generale di cui all'art. 1324, addentellato di riferimento per i negozi unilaterali (Tamburrino, in Comm. Utet, 1997, 268). Non vi è, allora, perfetta coincidenza tra il regime previsto per il condominio e quello previsto per l'associazione. L'elemento di principale di differenziazione è nel fatto che, in materia associativa, vizi che, secondo il regime generale, darebbero luogo a nullità sono nell'art. 23 convertiti in annullabilità (Cian, Trabucchi, 114): si tratta, dunque, di un regime speciale che deroga a quello generale previsto dall''art. 1418 (Cass. n. 13855/2014).

Le disposizioni enucleate nell'art. 23 non riguardano le delibere che, per vizi talmente gravi da privare l'atto dei requisiti minimi essenziali (come nell'ipotesi in cui siano state adottate con una maggioranza di voti insufficiente rispetto a quella prevista dalla legge o dallo statuto), siano affette da radicale nullità od inesistenza, denunciabile, in ogni tempo, da qualsiasi interessato (Cass. n. 1408/1993). Le deliberazioni dell'assemblea sono annullabili ove si pongano in contrasto con la legge, l'atto costitutivo o lo statuto. La legittimazione a impugnare spetta agli organi dell'ente ma pure a qualunque associato. Legittimato attivo è anche il p.m. L'associato, se presente all'assemblea, non può impugnare la delibera per la quale abbia dato un voto favorevole, difettando un valido interesse ad agire. Se si sia astenuto è, però, considerato dissenziente. La normativa non reca alcun termine di prescrizione: in assenza di una specifica disposizione, come accade in altri settori (condominio, società, etc.), sussiste un vivace contrasto in dottrina. Taluni reputano che debba applicarsi il termine generale per l'annullabilità e, dunque, ipotizza una prescrizione quinquennale. La prescrizione quinquennale è pure affermata dalla giurisprudenza, proprio rilevando che questa fattispecie estintiva dei diritti è quella di riferimento per la categoria dell'annullabilità (Cass. n. 13855/2014). Altri reputano che il termine siano quello ordinario di dieci anni. Infine, alcuni propendono per l'applicabilità del termine di tre mesi, previsto dall'art. 2377. Nel caso di delibera inesistente, però, l'azione è imprescrittibile. L'annullamento della deliberazione non pregiudica, comunque, i diritti acquistati dai terzi di buona fede in base ad atti compiuti in esecuzione della deliberazione medesima.

Sospensione

Il diritto alla impugnativa delle deliberazioni è anche assistito da un regime cautelare interlocutorio: in particolare, la delibera, in attesa di annullamento, può essere sospesa.

Il presidente del tribunale o il giudice istruttore, sentiti gli amministratori dell'associazione, può sospendere, su istanza di colui che ha proposto l'impugnazione, l'esecuzione della delibera impugnata, quando sussistono gravi motivi. Il decreto di sospensione deve essere motivato ed è notificato agli amministratori. L'esecuzione delle deliberazioni contrarie all'ordine pubblico o al buon costume può essere sospesa anche dall'autorità governativa. In questo caso, il provvedimento di sospensione deve essere comunicato agli amministratori, i quali possono entro quindici giorni proporre reclamo (art. 9, disp. att.). In tal caso l'autorità governativa, se non ritiene di revocare il provvedimento, ne dà comunicazione al pubblico ministero, il quale promuove l'azione di annullamento della deliberazione. L'art. 23 cita “l'autorità governativa” ma, in virtù delle riforme intervenute, il riferimento è da intendersi alla Prefettura: ai sensi dell'art. 5 d.P.R. n. 361/2000, infatti, «le funzioni amministrative già attribuite all'autorità governativa dalle norme del capo II, titolo II, libro I del codice civile, sono esercitate dalle prefetture ovvero dalle regioni o dalle province autonome competenti».

Bibliografia

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