Codice Civile art. 36 - Ordinamento e amministrazione delle associazioni non riconosciute.Ordinamento e amministrazione delle associazioni non riconosciute. [I]. L'ordinamento interno e l'amministrazione delle associazioni non riconosciute come persone giuridiche [ 39 Cost.] sono regolati dagli accordi degli associati. [II]. Le dette associazioni possono stare in giudizio nella persona di coloro ai quali, secondo questi accordi, è conferita la presidenza o la direzione [ 75 4, 78 c.p.c.]. InquadramentoL'Ordinamento giuridico ha il potere di determinare i soggetti cui attribuire la titolarità di diritti e doveri e, in particolare, può assegnare la soggettività a entità immateriali (Cass. n. 1853/1993); nella creazione dello “statuto giuridico” della persona “ficta” — tale poiché senza materialità corporea — il Legislatore codicistico del 1942 ha sottoposto, a precisi oneri, l'acquisto della personalità giuridica da parte degli enti introducendo così un criterio differenziale fondato su un elemento materiale: il riconoscimento. Gli enti che intendano acquistare la personalità giuridica devono procedere alla loro iscrizione nel registro delle persone giuridiche: in particolare, nel nuovo impianto inaugurato dal d.P.R. n. 361/2000, il riconoscimento coincide con l'iscrizione nel registro stesso, a seguito di ordine di emesso con decreto del Prefetto o del Presidente della giunta regionale (in base alla competenza), con effetto quindi costitutivo. Si tratta, in buona sostanza, di un sistema concessorio, dipendendo il riconoscimento da un provvedimento della P.A. Il “sistema concessorio” si contrappone al “sistema normativo”, nel quale l'attribuzione della personalità giuridica deriva ex lege in favore di determinate categorie di enti; tale viene definito il sistema previsto per gli enti del V libro del codice civile. Ove l'ente non proceda al riconoscimento, rimane privo dell'elemento formale. Si registrano, così, le compagini associative non riconosciute. Enti non personificatiL'Ordinamento riconosce negli enti dei soggetti del diritto. Che siano o meno riconosciuti, godono comunque della soggettività giuridica (Galgano, in Comm. S. B., 1988, 200). Vi è, però, che la qualifica di “persone giuridiche”, intesa in senso tecnico, spetta solo agli enti personificati, ossia agli enti che hanno ricevuto il riconoscimento formale da parte dell'ordinamento stesso. Da qui la distinzione classica tra persone giuridiche ed enti non personificati (Bianca C. M., 2014, 129). Gli enti privi di riconoscimento sono caratterizzati dalla cd. autonomia patrimoniale imperfetta (Perlingieri, 130). Si è detto che il riconoscimento non corrisponde alla soggettività: invero, tale aspetto, assume valenza per le fondazioni. Per esse, infatti, il riconoscimento è il presupposto non solo per la personalità giuridica ma anche per la soggettività: ne consegue che l'ordinamento non conosce la figura della fondazione non riconosciuta (Bianca C. M., 2014, 136; ma v., sul punto, commento all'art. 32 in tema di cd. fondazione fiduciaria). Le associazioni non riconosciute sono, invece, enti non personificati. Solitamente la giurisprudenza interpreta in senso ampio il concetto di “associazione non riconosciuta”, ricollocandovi tutte quelle forme associative, prive di riconoscimento, contraddistinte per la pluralità di soggetti con scopo comune sostenuto con un patrimonio a ciò destinato; la dottrina, invece, tende a essere più rigorosa richiedendo una soglia di «entificazione minimale». In ogni caso, lo spazio acquisito dall'istituto è ormai notevole e importante: valga considerare come facciamo parte delle associazioni non riconosciute, ad esempio, i partiti politici, i sindacati (per i quali la registrazione ex art. 39 Cost. non è stata ad oggi attuata), i gruppi parlamentari (Cass. n. 12817/2014). La disciplina delle associazioni non riconosciute ha anche conseguito, negli anni, una funzione completiva rispetto a lacune presenti per la regolazione di altri istituti, simili o accostabili. Ad esempio, la normativa in tema di associazioni non riconosciute può essere applicata – seppur sussidiariamente - ai consorzi di urbanizzazione, quali aggregazioni di persone fisiche o giuridiche preordinate alla sistemazione o al miglior godimento di uno specifico comprensorio mediante la realizzazione e la fornitura di opere e servizi (questi enti sono figure atipiche disciplinate principalmente dagli accordi tra le parti espressi nello statuto; Cass. n. 25394/2019). Disciplina applicabileIl codice civile non dedica molto spazio alle associazioni non riconosciute. Ne traccia, infatti, solo alcuni lineamenti normativi in punto di: ordinamento amministrazione (art. 36), fondo comune (art. 37), obbligazioni (art. 38). Da qui il frequente ricorso della giurisprudenza alle norme e ai principi enucleati per le associazioni riconosciute, sotto la lente del criterio di compatibilità, e al lume della analogia. La dottrina è concorde, oscillando tra chi predica finanche l'applicazione diretta delle norme ex artt. 14 e ss. e chi, invece, ne licenzia l'operatività per effetto del richiamo analogico e, dunque, in presenza di lacuna. Si segnala, comunque, come oggi i due regimi siano sempre più vicini, soprattutto sul versante delle questioni di maggiore importanza: in particolare, a seguito dell'abrogazione dell'art. 17 e degli artt. 600 e 786, il regime degli acquisti degli enti (riconosciuti e non) è ritenuto oggi sostanzialmente parificato (Cian, Trabucchi, 127). Sul piano dei rimedi, la S.C. estende alle associazioni non riconosciute gli artt. e 24 comma 3 (v. Cass. n. 8456/2014). La disciplina di diritto comune non prevede una specifica disposizione per il regime che si applichi al caso in cui per gli organi legittimati ad esprimere la volontà dell'associazione non riconosciuta sia intervenuta scadenza dell'incarico. Come detto, in presenza di lacune, è consentito il ricorso all'analogia. Sulla specifica questione qui in esame, la giurisprudenza ha però avuto modo di chiarire che, in tema di associazioni non riconosciute, gli organi legittimati ad esprimere la volontà dell'ente permangono in carica, in applicazione analogica dell'art. 2385 e salvo che sia diversamente stabilito dallo statuto o dall'assemblea, fino alla sostituzione dei loro componenti, dovendosi presumere che tale "perpetuatio" sia conforme all'interesse dei membri di dette associazioni perché volta a consentire il normale funzionamento delle stesse (Cass. n. 24214/2019). Ordinamento e AmministrazioneL'ordinamento interno e l'amministrazione delle associazioni hanno base negoziale in quanto sono regolati dagli accordi degli associati. L'atto costitutivo dell'associazione è, dunque, un contratto: non richiede, però, alcuna particolare forma ad hoc, salvo i casi previsti dalla legislazione speciale. I contenuti minimi del negozio sono lo scopo, il regolamento interno e le condizioni per l'ammissione all'ente: secondo la prevalente dottrina, infatti, la previsione della possibilità di adesione da parte di terzi (cd. «porta aperta») è condicio sine qua non anche per le associazioni non riconosciute. L'ente non personificato gode di propria denominazione e ha una propria sede. L'autonomia di cui gode l'ente non personificato non preclude all'associato di reagire ad atti che ritenga illegittimi: anche per le associazioni non riconosciute è accessibile il rimedio giurisdizionale dell'impugnativa, ex art. 23; il p.m. non è parte e non può egli stesso impugnare le delibere (Cass. n. 2983/1990). Il controllo dell'autorità giudiziaria può essere, di regola, solo di legittimità; ciò nondimeno, deve ritenersi che un controllo di merito sia consentito al cospetto della difesa di diritti fondamentali, per i quali ogni atto di autonomia privata incontra un limite nella legge e nella Costituzione. Il contratto associativo, infatti, è pur sempre un contratto e come i contratti non può violare interessi superiori presidiati dalla Carta costituzionale. Un controllo giudiziale può anche ammettersi sulle clausole del contratto associativo, ad esempio prevedenti sanzioni o elementi analoghi, per impedire sconfinamenti oltre determinati limiti di equilibrio contrattuale (v. ad es., per la clausola penale, Cass. S.U., n. 18128/2005). RappresentanzaL'art. 75 comma 4 c.p.c., prevede che le associazioni e i comitati, che non sono persone giuridiche, stanno in giudizio per mezzo delle persone indicate negli artt. 36 e ss. In virtù dell'art. 36 comma 2, le associazioni non riconosciute possono stare in giudizio nella persona di coloro ai quali, secondo questi accordi, è conferita la presidenza o la direzione. La previsione afferisce alla rappresentanza “processuale” e non sostanziale e munisce del potere di stare in giudizio, il Presidente o il Direttore. È controversa la derogabilità di questa previsione: secondo taluni, si tratterebbe di un disposto imperativo a tutela dei terzi, ai quali è precluso di avere accesso ad organi di pubblicità del sistema organizzativo interno all'ente; secondo altri, invece, la regola sarebbe derogabile ove la designazione del rappresentante fosse assistita da una adeguata pubblicità. La rappresentanza processuale è una rappresentanza di tipo legale, scandita dalla previsione dell'art. 36 comma 2, e, pertanto, secondo taluni, non abbisogna di procura. Diversa, però, l'impostazione della giurisprudenza di legittimità secondo la quale, la delibera dell'organo collettivo dell'associazione non riconosciuta è richiesta affinché il presidente dell'ente, a cui compete la «legitimatio ad processum», possa agire o resistere in giudizio (Cass. n. 8826/2015); tale delibera concorre ad integrare la capacità processuale dell'ente e costituisce una condizione di efficacia degli atti processuali posti in essere dal legale rappresentante. In altri termini, in tema di rappresentanza processuale, il potere rappresentativo, con la correlativa facoltà di nomina dei difensori e conferimento di procura alla lite, può essere riconosciuto soltanto a colui che sia investito di potere rappresentativo di natura sostanziale in ordine al rapporto dedotto in giudizio (cfr. Cass. S.U., n. 24179/2009). L'autorizzazione del consiglio d'amministrazione di un ente al presidente ad agire o resistere in giudizio, costituendo una condizione dell'azione, può, tuttavia, intervenire anche nel corso del processo, con effetto retroattivo, salvo sia intervenuto sul punto il giudicato e purché contenga la volontà espressa di ratificare (Cass. n. 14260/2007). Enti ecclesiasticiIl costume pretorio attualmente consolidato ritiene che gli enti ecclesiastici, privi di personalità civile, siano comunque soggetti di diritto "rilevanti" per l'ordinamento giuridico statuale e soggetti alle norme di diritto comune (cfr. ad esempio, la vicenda decisa da Cass. 5458/2003). L'applicazione di queste ultime trova il suo fondamento nel riconoscimento, da parte della giurisprudenza di legittimità, della «chiesa particolare» come soggetto di diritto. Si è ritenuto, così, ad esempio, che la diocesi sia soggetto titolare di capacità giuridica (Cass. S.U., n. 47433/1979). Sulla scorta di questa dogmatica, si può distinguere tra una «chiesa particolare» (che può essere una parrocchia, una diocesi, un vicariato) e una «chiesa universale», intesa come «la porzione del popolo dei fedeli affidata alla cura del vescovo». La giurisprudenza ha sovente affrontato la questione relativa alla qualificazione giuridica della parrocchia che, come si è detto, è una delle tante declinazioni della “chiesa particolare”. La parrocchia acquista personalità giuridica, nel rispetto dell'art. 29, comma 1, l. n. 222/1985 (secondo cui «le parrocchie costituite dall'ordinamento canonico [...] acquistano la personalità civile dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del decreto del Ministero dell'interno che conferisce [...] alle parrocchie la qualifica di ente ecclesiastico civilmente riconosciuto»). Ciò nondimeno, secondo la Cassazione, essa è “soggetto di diritto” anche senza il riconoscimento formale della personalità giuridica atteso che la parrocchia, in assenza di detto riconoscimento, ha quanto meno la natura di ente di fatto (e, come tale, di soggetto di diritto) con conseguente applicazione ad essa delle disposizioni generali degli artt. 36 e 42 (Cass. n. 14247/2018). BibliografiaAuricchio, voce Comitati, in Enc. dir., Milano, 1960, 755; Cendon (a cura di), Commentario al codice civile. Artt. 1 - 142, Milano, 2009; Cian, Trabucchi (a cura di), Commentario breve al codice civile, Padova, 2011; De Stefanis, Quercia, Enti non profit, Sant'Arcangelo di Romagna, 2014; Di Giovanni F., Le promesse unilaterali, Milano, 2010; Galgano, Trattato di diritto civile, Milano, 2010; Graziani, Le promesse unilaterali, in Tr. Res., IX, Torino, 1984; Lipari, Diritto Civile, I, Milano, 2009; Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale, Milano, 1957, 239; Perlingieri P., Manuale di Diritto Civile, Napoli, 2005; Ponzanelli, La nuova disciplina sul riconoscimento della personalità giuridica degli enti del libro primo del codice civile, in Foro it. 2001, V, 46 ss.; Sacco, Il contratto, in Tr. Vas., VI, 2, 1975;Torrente, Manuale di diritto privato, Milano, 1985; Zoppini, Riformato il sistema di riconoscimento delle persone giuridiche, in Corr. giur. 2001, 291 ss. |