Codice Civile art. 85 - Interdizione per infermità di mente (1).

Giuseppe Buffone
aggiornato da Annachiara Massafra

Interdizione per infermità di mente (1).

[I]. Non può contrarre matrimonio l'interdetto per infermità di mente [116 2, 119, 414 ss.].

[II]. Se l'istanza di interdizione è soltanto promossa, il pubblico ministero [69 c.p.c.] può chiedere che si sospenda la celebrazione del matrimonio; in tal caso la celebrazione non può aver luogo finché la sentenza che ha pronunziato sull'istanza non sia passata in giudicato [324 c.p.c.].

(1) V. art. 12 n. 3 l. 27 maggio 1929, n. 847.

Inquadramento

L'ordinamento attribuisce importanza al matrimonio come atto di volontà che presuppone la piena consapevolezza del suo significato, la quale viene a mancare in tutti i casi in cui la sfera volitiva e cognitiva del coniuge sia pregiudicata da cause di qualunque natura, temporanee o permanenti (è utile ricordare che la Corte cost. n. 32/1971, dichiarò la incostituzionalità della l. n. 847/1929, art. 16, recante disposizioni per l'applicazione del Concordato fra la Santa Sede e l'Italia, nella parte in cui non prevedeva l'impugnazione della trascrizione del matrimonio nel caso in cui uno degli sposi fosse in stato di incapacità naturale al momento del matrimonio in forma concordataria). Per queste ragioni, il l'interdetto per infermità di mente non può contrarre matrimonio (art. 84).

Matrimonio, interdizione, amministrazione di sostegno

L'interdizione è una misura di protezione che può essere istituita in favore del maggiore di età e del minore emancipato i quali si trovano in condizioni di abituale infermità di mente che li rende incapaci di provvedere ai propri interessi (art. 414): per effetto della interdizione pronunciata a causa della infermità mentale, l'interdetto diventa soggetto non più legalmente capace di agire e i suoi interessi sono difesi da un terzo rappresentante, ossia il tutore, coadiuvato da un protutore. Lo stato di infermità mentale, testimoniato dalla interdizione, è incompatibile con l'istituto matrimoniale che presuppone una piena consapevolezza del negozio e dei suoi effetti. Per questi motivi, l'interdizione costituisce un impedimento non dispensabile. L'art. 85 non è applicabile (salvo quanto si dirà) ad ipotesi simili: pertanto, non è estensibile al caso della inabilitazione o della amministrazione di sostegno. Per il beneficiario dell'amministrazione di sostegno, si tratta di una conclusione imposta, se non altro ricordando che l'art. 23 della Convenzione di New York del 13 dicembre 2006, ratificata dall'Italia per effetto degli artt. 1 e 2 l. n. 18/2009 (Convenzione sui diritti delle persone con disabilità) stabilisce che «Gli Stati Parti adottano misure efficaci ed adeguate ad eliminare le discriminazioni nei confronti delle persone con disabilità (...) in modo da garantire che sia riconosciuto il diritto di ogni persona con disabilità, che sia in età per contrarre matrimonio, di sposarsi e fondare una famiglia sulla base del pieno e libero consenso dei contraenti».

Se è vero che la persona beneficiaria conserva la facoltà di sposarsi, è anche vero che il suo eventuale matrimonio può essere oggetto di interesse per l'amministrazione di sostegno istituita con il fine di tutelarlo: in altri termini, è ammesso un intervento del giudice tutelare in senso limitativo o ablativo, posto che la misura di protezione include, nel suo codice genetico la cura personae oltre alla cura patrimonii. La potestas decidendi del giudice tutelare nella delicata materia della capacità matrimoniale, trova il suo referente normativo nell'art. 411, comma 4, dove è esplicitamente previsto che il giudice tutelare possa disporre che determinati effetti, limitazioni o decadenze, previsti da disposizioni di legge per l'interdetto o l'inabilitato, si estendano al beneficiario dell'amministrazione di sostegno, avuto riguardo all'interesse del medesimo ed a quello tutelato dalle predette disposizioni. Nell'alveo delle limitazioni prese di mira dalla norma succitata, si colloca la disposizione di cui all'art. 85 ove il legislatore ha escluso la capacità di contrarre matrimonio in capo all'interdetto per infermità di mente. Viene in rilievo, dunque, un enunciato positivo di protezione che, giusta gli artt. 411, 85, può essere esteso al beneficiario avuto riguardo al suo interesse e a quello preso di mira dalla disposizione applicata: si tratta dell'applicazione di un istituto (limitativo della capacità) attraverso un apposito procedimento in cui è garantito l'intervento del magistrato. La limitazione, dunque, non discende in astratto ex ante dalla legge (come per l'interdizione) ma perviene in concreto ex post tramite l'intervento del giudice, con un provvedimento che, peraltro, è suscettibile di impugnazione (Buffone, Questo matrimonio s'ha da fare: brevi note sulla capacità di contrarre matrimonio del beneficiario, in giustiziacivile.com, 23 marzo 2014).

Matrimonio e pendenza del procedimento di interdizione

L'interdetto perde la capacità matrimoniale dal giorno in cui la sentenza è pubblicata (v. art. 421; cfr. Ferrando, 303). Può accadere che il vincolo matrimoniale sia in fase di formazione allorché penda il giudizio di interdizione poiché la relativa istanza è stata soltanto promossa: in questa ipotesi, il pubblico ministero può chiedere che si sospenda la celebrazione del matrimonio; “in tal caso la celebrazione non può aver luogo finché la sentenza che ha pronunziato sull'istanza non sia passata in giudicato” (art. 85, comma 2). La norma è oggetto di diverse interpretazioni in dottrina. Secondo taluni, essa abiliterebbe il p.m. a richiedere direttamente all'ufficiale di Stato Civile la sospensione del matrimonio: l'ufficio di Procura, pertanto, sarebbe titolare di un vero e proprio potere sospensivo che si esprime a mezzo di un ordine. Questa ermeneutica traeva, invero, linfa dalle norme in materia di stato civile, precedenti alla riforma del 2000 (d.P.R. n. 396/2000), ove era previsto che l'ufficiale di Stato Civile agisse sotto la vigilanza dei procuratori della Repubblica. La riscrittura della legislazione ha attribuito al Prefetto la vigilanza (art. 9 d.P.R. cit.). Anche per questi motivi è oggi preferibile la tesi che esclude un potere sospensivo in capo al p.m., richiedendo che esso ottenga un siffatto provvedimento mediante istanza al giudice del procedimento di interdizione pendente. Ciò anche perché appare del tutto irrazionale l'innesto di un potere limitativo di diritti fondamentali che non nasca da un provvedimento giurisdizionale. Il Procuratore competente è quello che ha potere di intervento nel processo ex art. 70 c.p.c. L'istanza del p.m. abilita il giudice a provvedere già inaudita altera parte in via d'urgenza, ma va comunque poi instaurato il contraddittorio sulla richiesta del p.m. La richiesta sospensiva ex art. 85, comma 2, va ricondotta all'ambito delle misure cautelari. Se con la sentenza conclusiva del giudizio la domanda di interdizione viene respinta, anche in difetto di espressa menzione della revoca dell'eventuale sospensione pronunciata ex art. 85, questa è da intendersi automaticamente caducata con il passaggio in giudicato del rigetto e conseguentemente l'ufficiale di Stato Civile deve procedere alla celebrazione del vincolo. Il potere di chiedere la sospensione è discrezionale. Al contrario, il pubblico ministero deve sempre fare opposizione al matrimonio ex art. 102 comma 5, se sa che vi osta un impedimento o se gli consta l'infermità di mente di uno degli sposi, nei confronti del quale, a causa dell'età, non possa essere promossa l'interdizione.

Invalidità matrimoniale

Il coniuge incapace di intendere e di volere è legalmente capace e, quindi, esclusivo titolare del potere di decidere se impugnare il proprio matrimonio (art. 120), a differenza del coniuge interdetto il cui matrimonio può essere impugnato «da tutti coloro che abbiano un interesse legittimo» oltre che dal tutore e dal pubblico ministero (art. 119).

Si deve escludere l'importazione in ambito matrimoniale dell'art. 428 (Cass. n. 14794/2014), che disciplina il regime di impugnazione degli atti negoziali compiuti da persona incapace di intendere e volere, trovando applicazione le norme speciali in tema di invalidità del matrimonio (le quali, tra l'altro, non danno rilevanza allo stato soggettivo dell'altro coniuge, a differenza di quanto previsto per i contratti il cui annullamento presuppone la malafede dell'altro contraente, a norma dell'art. 428).

Bibliografia

Cian, Trabucchi (a cura di), Commentario breve al codice civile, Padova, 2011; Ferrando, L'invalidità del matrimonio, in Trattato di diritto di famiglia, diretto da Paolo Zatti, Milano, I, 2002; Perlingieri, Manuale di Diritto Civile, Napoli, 2005; Sesta (a cura di), Codice della famiglia, Milano, 2015.

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