Codice Civile art. 115 - Matrimonio del cittadino all'estero.Matrimonio del cittadino all'estero. [I]. Il cittadino è soggetto alle disposizioni contenute nella sezione prima di questo capo [84 ss.], anche quando contrae matrimonio in paese straniero secondo le forme ivi stabilite [17, 26 prel.] (1) (2). (1) V. d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396. (2) L'articolo recava un secondo comma abrogato dall'art. 110, comma 3, del d.P.R. n. 396, cit. il cui testo recitava: «La pubblicazione deve anche farsi nello Stato a norma degli articoli 93, 94 e 95. Se il cittadino non risiede nello Stato, la pubblicazione si fa nel comune dell'ultimo domicilio». InquadramentoGli artt. 115 e 116 regolano, rispettivamente, il matrimonio dei cittadini in paese straniero e degli stranieri nella Repubblica. L'art. 115 regola, in particolare, il matrimonio celebrato dal cittadino all'estero: la disposizione è stata modificata dal d.P.R. n. 396/2000 che ha abrogato il secondo comma ove era previsto che “la pubblicazione deve anche farsi nella Repubblica a norma degli artt. 93, 94 e 95. Se il cittadino non risiede nella Repubblica, la pubblicazione si fa nel comune dell'ultimo domicilio”. La disciplina sostitutiva è contenuta nel decreto citato. In virtù della disposizione in rassegna, il cittadino, anche se contrae matrimonio all'estero, è tenuto al rispetto delle norme italiane in materia di condizioni necessarie per contrarre matrimonio (artt. 84-90). La disciplina codicistica non è esclusiva: lo statuto del matrimonio all'estero è oggi integrato dalla legge sul diritto internazionale privato (l. n. 218/1995). Uno dei principali effetti del matrimonio celebrato tra un cittadino italiano e uno straniero (che batta bandiera uno Stato extra UE) riguarda la facoltà di avere ingresso e circolare liberamente nel territorio italiano (in ragione della disciplina prevalentemente enucleata nel d.lgs. n. 30/2007). In questi casi è infatti possibile accedere a un permesso di soggiorno per ragioni familiari che può essere rinnovato senza che sia necessario il requisito della convivenza tra i coniugi, salve le conseguenze dell'accertamento di un matrimonio fittizio o di convenienza, ai sensi dell'art. 35 della direttiva 2004/38/CE e, dunque, dell'art. 30, comma 1-bis d.lgs. n. 286/1998, essendo tale presupposto del tutto estraneo al disposto degli artt., 7 comma 1, lett. d) e 12 e 13 d.lgs. n. 286/1998 cit. (Cass. n. 10925/2019). Matrimonio celebrato fuori dall'ItaliaLo “statuto giuridico” del matrimonio celebrato all'estero è complesso ma, per maggior parte, trae linfa dalla disciplina di diritto internazionale privato. La capacità matrimoniale e le altre condizioni per contrarre matrimonio sono regolate dalla legge nazionale di ciascun nubendo al momento del matrimonio (art. 27 l. n. 218/1995): esso matrimonio è valido, quanto alla forma, se è considerato tale dalla legge del luogo di celebrazione (lex loci) o dalla legge nazionale di almeno uno dei coniugi al momento della celebrazione o dalla legge dello Stato di comune residenza in tale momento (art. 28 l. n. 218/1995). Questo principio non è condizionato dall'osservanza delle norme italiane relative alla trascrizione, atteso che questa non ha natura costitutiva, ma meramente certificativa e scopo di pubblicità di un atto già di per sé valido (Cass. n. 17620/2013). Per effetto della celebrazione all'estero, il matrimonio ha immediata validità nel nostro ordinamento (Cass. n. 5537/2001), anche se — come già osservato — l'atto non sia stato trascritto (Cass. n. 10351/1998). In coerenza con questi principi e in applicazione dell'art. 28 l. n. 218/1995, la Cassazione ha affermato esser valido il matrimonio celebrato in Pakistan da una cittadina italiana e da un cittadino pakistano e contratto, secondo la legge straniera, in forma telematica e, dunque, senza la contestuale presenza dei nubendi (Cass. 15343/2016). Matrimonio plurimo Alla luce dell'incremento della gerontoimmigrazione nonché dell'intensificarsi dei flussi migratori, si è sovente posta la questione relativa al matrimonio celebrato all'estero, in un contesto di poligamia. Per matrimonio poligamico si intende il vincolo matrimoniale plurimo, nelle sue versionei di “poliginia”, cioè relazione familiare tra un uomo e due o più donne e di “poliandria”, in presenza di donne con più mariti (molto rara). Si è detto che, per l'ordinamento italiano, alcune condizioni sono imperative e tra di queste spicca il divieto di bigamia di cui all'art. 86. Tuttavia, nel caso di matrimonio poligamico, l'unione con più persone è celebrata contestualmente, tra tutte persone con stato libero. La giurisprudenza, quando ha toccato il tema, ha in genere ritenuto che costituiscano un argine alla validità del matrimonio “i principi fondamentali del nostro ordinamento”, cosicché la poligamia comporterebbe la nullità del vincolo. Tuttavia, in un caso, la Suprema Corte ha anche osservato che, in virtù del principio del "favor matrimoni", l'atto di matrimonio non perde validità se non sia stato impugnato per una delle ragioni indicate dagli artt. 117 ss. e non sia intervenuta una pronuncia di nullità o di annullamento; “ne consegue che, in virtù della validità interinale del matrimonio contratto da cittadino italiano all'estero, pur secondo una legge prevedente la poligamia e il ripudio, ma nel rispetto delle forme ivi stabilite e ricorrendo i requisiti sostanziali di stato e capacità delle persone, non si può disconoscere l'idoneità di tale matrimonio a produrre effetti nel nostro ordinamento, finché non di deduca la nullità di tale matrimonio e non intervenga una pronuncia sul punto” (v. Cass. n. 1739/1999). E' comunque comune il pensiero che reputa la poligamia contraria all'ordine pubblico anche costituzionale (Cass. n. 4984/2013). Matrimonio del cittadino italiano all'esteroIl cittadino italiano residente all'estero può essere unito in matrimonio dinanzi all'autorità diplomatica o consolare italiana, oppure dinanzi all'autorità locale, secondo le leggi del luogo. Al contrario, il matrimonio di un cittadino italiano celebrato in Italia presso il consolato di uno Stato estero è privo di qualsiasi validità per il nostro ordinamento: non può essere trascritto nei registri di stato civile né può essere registrato in anagrafe (v. Massimario Stato Civile, 2012). In tale caso, infatti, il matrimonio è nullo in quanto celebrato in violazione del principio della sovranità territoriale. (cfr art. 6 della Convenzione dell'Aja del 12 giugno 1902, ratificata con l. n. 523/1905, ancora vigente e pienamente applicabile). D'altro canto è ben noto che qualsiasi fatto avvenuto nella sede diplomatica di uno Stato straniero in Italia deve considerarsi avvenuto nel territorio dello Stato e non all'estero.all’estero (v., in argomento, punto n. 5 in materia di matrimonio consolare). Pubblicazione e trascrizioneSe il matrimonio del cittadino italiano all'estero deve essere celebrato dinanzi all'autorità diplomatica o consolare, per le pubblicazioni si applicheranno le disposizioni di cui al d.lgs. n. 71/2011: quid juris nel caso di matrimonio all'estero negli altri casi? Secondo la Dottrina, per effetto dell'abrogazione del comma 2 dell'art. 115, in questo caso non sussiste un obbligo di pubblicazione che, comunque, ove sussistente e violato, non genererebbe alcuna nullità (v. Cass. n. 9578/1993). Le norme di cui agli artt. 16-18, 20 d.P.R. n. 396/2000 regolano invece la trascrizione del vincolo matrimoniale formatosi all'estero: ai sensi del cennato art. 16 d.P.R. n. 396/2000, il matrimonio all'estero, quando gli sposi sono entrambi cittadini italiani o uno di essi è cittadino italiano e l'altro è cittadino straniero, può essere celebrato innanzi all'autorità diplomatica o consolare competente, oppure innanzi all'autorità locale secondo le leggi del luogo. In quest'ultimo caso una copia dell'atto è rimessa a cura degli interessati all'autorità diplomatica o consolare. L'autorità diplomatica o consolare trasmette ai fini della trascrizione copia degli atti e dei provvedimenti relativi al cittadino italiano formati all'estero all'ufficiale dello stato civile del comune in cui l'interessato ha o dichiara che intende stabilire la propria residenza, o a quello del comune di iscrizione all'Anagrafe degli italiani residenti all'estero o, in mancanza, a quello del comune di iscrizione o trascrizione dell'atto di nascita, ovvero, se egli è nato e residente all'estero, a quello del comune di nascita o di residenza della madre o del padre di lui, ovvero dell'avo materno o paterno. Gli atti di matrimonio, se gli sposi risiedono in comuni diversi, saranno inviati ad entrambi i comuni, dando ad essi comunicazione del doppio invio. Nel caso in cui non è possibile provvedere con i criteri sopra indicati, l'interessato, su espresso invito dell'autorità diplomatica o consolare, dovrà indicare un comune a sua scelta. Sussiste però un limite alla trascrizione: ai sensi dell'art. 18 d.P.R. n. 396/2000, cit., «gli atti formati all'estero non possono essere trascritti se sono contrari all'ordine pubblico». Un ulteriore limite alla trascrizione è strutturale: l'atto non è trascrittibile là dove non contenga il nome degli sposi o la loro esatta identificazione (data di nascita) e nemmeno può essere trascritto ove non contenga un data certa. Nel caso in cui il matrimonio non possa essere trascritto, poiché carente di requisiti essenziali come il luogo di celebrazione o la data di celebrazione, gli interessati potranno chiedere, ai sensi dell'art. 95 d.P.R. n. 396/2000, la formazione dell'atto di matrimonio al tribunale competente. Matrimonio consolareLa prassi amministrativa è nel senso della invalidità del matrimonio consolare (v. Min. Interno, Il regolamento dello stato civile: guida all’applicazione, Rimini, 2005, 57). In questa direzione si esprimono anche la giurisprudenza prevalente e la dottrina maggioritaria. La giurisprudenza, in particolare, ha affermato la nullità (insanabile) del matrimonio contratto dal cittadino italiano davanti al consolato dello Stato estero in Italia (Trib. Milano IX, decr. 5 gennaio 2016). Giova premettere che i locali e gli spazi della sede consolare di uno Stato estero devono essere ritenuti territorio dello Stato ospitante, nei confronti del quale la predetta sede non gode neppure del beneficio – concesso, invece, alle soli ambasciate - della c.d. extraterritorialità (cfr. Cass. pen. V, n. 35633/2010). Tra l'altro, anche a voler ammettere che pure le sedi consolari beneficino della garanzia della cd. extraterritorialità, nondimeno occorre comprendere correttamente in cosa consista tale beneficio. La extraterritorialità rappresenta una garanzia che si sostanzia nell'inviolabilità della sede diplomatica da parte dello Stato ospitante e, dunque, non consente in nessun caso di ritenere che il territorio e i locali che ospitano le sedi diplomatiche facciano parte del territorio dello Stato al servizio delle quali sono preposte; ciò perché, come si è già osservato, detto beneficio si traduce meramente nell'obbligo dello Stato ospitante di garantire all'interno delle stesse l'espletamento senza turbative ed intromissioni delle missioni diplomatiche (cfr., sul punto, Cass. n. 25564/2010). Sicché, è indubbio che il matrimonio Consolare debba essere considerato come celebrato sul territorio italiano. Ciò premesso, occorre considerare il disposto dell'art. 5 r.d. n. 524/1905 che, nel ratificare la Convenzione dell'Aja del 1902, sancisce che “sarà riconosciuto dovunque come valido, quanto alla forma, il matrimonio celebrato davanti ad un agente diplomatico o consolare, in conformità alla sua legislazione, purché nessuna delle parti appartenga allo Stato dove il matrimonio fu contratto e purché questo Stato non vi si opponga”. Il principio espresso dall'art. 5 r.d. 524/1905 ha trovato corrispondenza in un'autonoma norma interna. Infatti, l'art. 63, comma 2, lett. d), d.P.R. n. 396/2000 dispone che il matrimonio celebrato dinanzi ad un'autorità consolare estera presente in Italia non è neppure trascrivibile se non è celebrato tra due cittadini stranieri. Un ulteriore elemento di conferma si trae dal d.lgs. 3 febbraio 2011, n. 71 (ordinamento e funzioni degli uffici consolari, ai sensi dell'art. 14, comma 18, l. n. 246/2005): all'art. 12, infatti, è previsto che il capo dell'ufficio consolare possa celebrare il matrimonio ma nel rispetto delle “leggi locali” (v. comma 2). Dall'impianto argomentativo richiamato è agevole rilevare che il cittadino italiano può contrarre matrimonio o secondo le norme stabilite per il matrimonio civile o concordatarie, oppure dinnanzi a un ministro di culto ammesso o per il quale sia intervenuta l'intesa ex art. 8 Cost.; al contrario, gli è preclusa la celebrazione del matrimonio nel Consolato straniero in Italia poiché, in tale ultimo caso, trattandosi di celebrazione non avvenuta all'estero, il vincolo perfezionato è nullo. Diversamente opinando, si assisterebbe ad un'inevitabile lesione del principio di sovranità, in quanto il connazionale potrebbe contrarre matrimonio eludendo i limiti previsti dal nostro ordinamento. Matrimonio tra persone dello stesso sesso contratto all’esteroRecentemente, la Suprema Corte (Cass. n. 11696/2018) ha chiarito che gli atti di matrimonio e le unioni omoaffettive concluse con istituti analoghi, all'estero, producono senz'altro effetti giuridici nell'ordinamento italiano, secondo il regime della convertibilità. In particolare, si applica l'art. 32-bis l. n. 218/1995 che comporta la preminenza del modello adottato nel diritto interno, dell'unione civile. Il matrimonio contratto da coppia omoaffettiva all'estero, formata da cittadino italiano e da cittadino straniero, non è trascrivibile come tale, bensì come unione civile, in adesione al modello legislativo applicabile nel nostro ordinamento. L'art. 32-bis cit. non trova invece applicazione diretta nell'ipotesi in cui venga richiesto il riconoscimento di un'unione matrimoniale contratta all'estero da due cittadini stranieri. BibliografiaBruno, Le controversie familiari nell'Unione Europea. Regole, fattispecie, risposte, Milano, 2018; Cian, Trabucchi (a cura di), Commentario breve al codice civile, Padova, 2011; Perlingieri, Manuale di Diritto Civile, Napoli, 2005; Sesta ( a cura di), Codice della famiglia, Milano, 2015. |