Codice Civile art. 156 - Effetti della separazione sui rapporti patrimoniali tra i coniugi 1 .

Giuseppe Buffone
aggiornato da Annachiara Massafra

Effetti della separazione sui rapporti patrimoniali tra i coniugi 1.

[I]. Il giudice, pronunziando la separazione, stabilisce a vantaggio del coniuge cui non sia addebitabile la separazione [151 2] il diritto di ricevere dall'altro coniuge quanto è necessario al suo mantenimento, qualora egli non abbia adeguati redditi propri [548 1, 585 1].

[II]. L'entità di tale somministrazione è determinata in relazione alle circostanze e ai redditi dell'obbligato.

[III]. Resta fermo l'obbligo di prestare gli alimenti di cui agli articoli 433 e seguenti [438 2]2.

[IV]. Qualora sopravvengano giustificati motivi il giudice, su istanza di parte, può disporre la revoca o la modifica dei provvedimenti di cui ai commi precedenti [710 c.p.c.].

 

[1] Articolo così sostituito dall'art. 37 l. 19 maggio 1975, n. 151.

[2] Gli originari commi IV, V, VI sono abrogati dall'art. 1, comma 2, lett. a), d.lgs.  10 ottobre 2022, n. 149 (ai sensi dell'art. 52 d.lgs. n. 149/2022, il citato decreto legislativo entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale). Per la disciplina transitoria v. art. 35 d.lgs. n. 149/2022, come da ultimo modificato dall'art. 1, comma 380, lett. a), l. 29 dicembre 2022, n. 197,  che prevede che : "1. Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti.".Si riporta il testo anteriore alla suddetta modificazione: « Il giudice che pronunzia la separazione può imporre al coniuge di prestare idonea garanzia reale o personale  se esiste il pericolo che egli possa sottrarsi all'adempimento degli obblighi previsti dai precedenti commi e dall'articolo 155. - La sentenza costituisce titolo per l'iscrizione dell'ipoteca giudiziale ai sensi dell'articolo 2818. - In caso di inadempienza, su richiesta dell'avente diritto, il giudice può disporre il sequestro di parte dei beni del coniuge obbligato e ordinare ai terzi, tenuti a corrispondere anche periodicamente somme di danaro all'obbligato, che una parte di esse venga versata direttamente agli aventi diritto». Precedentemente la Corte cost., con sentenza 31 maggio 1983, n. 144 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'originario comma 6 «nella parte in cui non prevede che le disposizioni ivi contenute si applichino a favore dei figli di coniugi consensualmente separati» e successivamente con sentenza 19 gennaio 1987, n. 5 «nella parte in cui non prevede che le disposizioni ivi contenute si applichino ai coniugi consensualmente separati»; e con sentenza 6 luglio 1994, n. 278 «nella parte in cui non prevede che il giudice istruttore possa adottare, nel corso della causa di separazione, il provvedimento di ordinare ai terzi debitori del coniuge obbligato al mantenimento, di versare una parte delle somme direttamente agli aventi diritto» e, ancora, con sentenza 19 luglio 1996, n. 258 «nella parte in cui non prevede che il giudice istruttore possa adottare, nel corso della causa di separazione, il provvedimento di sequestro di parte dei beni del coniuge obbligato al mantenimento».

Inquadramento

L'art. 156, nella versione oggi vigente per effetto delle modifiche apportate dalla l. n. 151/1975, ha elettivo riguardo ai soli rapporti patrimoniali tra i coniugi, per effetto della pronuncia di separazione. Questa disposizione si fonda su un presupposto logico-giuridico: in caso di separazione, il matrimonio non è ancora dissolto e, in astratto, la vita coniugale potrebbe avere nuovo corso (si pensi all’ipotesi della riconciliazione o della ripresa della relazione coniugale dopo la sentenza separativa).

Assegno di mantenimento

Per effetto della pronuncia di separazione, il giudice può riconoscere a uno dei coniugi il diritto a percepire un assegno di mantenimento, stabilendone la periodicità. I presupposti del diritto in questiono sono: da un lato, che la separazione non sia addebitabile al coniuge richiedente l'assegno, dall'altro, che l'avente diritto non abbia adeguati redditi propri.

Come noto, secondo la giurisprudenza consolidata della Suprema Corte, l'assegno di separazione deve tendere a ricostituire il tenore di vita goduto in costanza di convivenza di matrimonio. Indice di tale tenore di vita può essere anche solo il divario reddituale attuale tra i coniugi. L'acquisizione contemporanea della giurisprudenza è, però, che la conservazione del precedente tenore di vita coniugale costituisca un obiettivo solo tendenziale (Cass. n. 18200/2006), dovendosi tenere conto degli effetti della disgregazione familiare, in primis, l'impoverimento dei partners. Per effetto della separazione, infatti, marito e moglie si trovano ad affrontare più spese vive e viene meno la possibilità di sopportare, in comune, i costi fissi. Questo dato non può essere ignorato in quanto deve essere consentito al coniuge onerato di tenere un tenore di vita tendenzialmente analogo a quello goduto prima della separazione (Cass. n. 14081/2009).

La misura del mantenimento può anche essere realizzata mediante il trasferimento di beni (su accordo dei coniugi). Al contrario, non si può disporre, come forma di mantenimento ex art. 156, l'assegnazione della casa familiare. Se, al momento della disgregazione del vincolo coniugale, i coniugi o conviventi non sono più investiti della responsabilità genitoriale, il giudice della famiglia “perde” la potestas decidendi con riguardo alla casa familiare che resta regolata dalle norme di diritto comune applicabili in ragione del titolo vantato dai famigliari su di essa. Il giudice, dunque, non può adottare alcun provvedimento di assegnazione della casa coniugale, non autorizzandolo neppure l'art. 156, che non prevede tale assegnazione in sostituzione o quale componente dell'assegno di manteniment (sia consentito citare: Buffone G., la casa familiare in Il Libro dell'anno, Roma, 2014).

La conclusione qui rassegnata costituisce un costume giurisprudenziale ormai radicatosi negli orientamenti dei giudici di merito  (v. Trib. Milano, 18 gennaio 2017) e delle Alte Corti in cui è ricorrente l'affermazione per cui «l'assegnazione della casa familiare è finalizzata esclusivamente alla tutela della prole a rimanere nell'ambiente domestico in cui è cresciuta; pertanto, anche nell'ipotesi in cui l'immobile sia di proprietà comune dei coniugi, la concessione del beneficio in questione resta subordinata all'imprescindibile presupposto dell'affidamento dei figli minori o della convivenza con figli maggiorenni, ma economicamente non autosufficienti; diversamente» , infatti, «sarebbe a rischio la legittimità costituzionale del provvedimento, il quale, non risultando modificabile a seguito del raggiungimento della maggiore età e dell'indipendenza economica da parte dei figli, si tradurrebbe in una sostanziale espropriazione del diritto di proprietà, praticamente per tutta la vita del coniuge assegnatario, in danno del contitolare» .” La Suprema Corte ha, ulteriormente, specificato che l'assegnazione della casa coniugale «non può costituire una misura assistenziale per il coniuge economicamente più debole». Le questioni relative al diritto di proprietà e a quello di abitazione «esulano, inoltre, dalla competenza funzionale del giudice della separazione o del divorzio, e possono essere esaminati in un ordinario giudizio di cognizione» (Cass. n. 18440/2013). Sotto altro profilo deve evidenziarsi come la Corte di Cassazione ha statuito che nella quantificazione dell'assegno di mantenimento, a seguito della separazione dei coniugi, deve attribuirsi rilievo anche all'assegnazione della casa familiare che, pur essendo finalizzata alla tutela esclusiva della prole e del suo interesse a conservare il proprio habitat familiare, rappresenta un'utilità suscettibile di apprezzamento economico, come del resto espressamente precisato dall'art. 337 sexies c.c., anche nel caso in cui il coniuge separato assegnatario dell'immobile ne sia comproprietario, perché il suo godimento del bene non trova fondamento nella comproprietà dell'abitazione, ma nel provvedimento di assegnazione, opponibile anche ai terzi, che limita la facoltà dell'altro coniuge di disporre della propria quota immobiliare e si traduce in un pregiudizio economico, anch'esso valutabile ai fini della quantificazione dell'assegno dovuto (Cass. n. 27599/2022).

L'assegno di mantenimento si fonda sulla persistente situazione familiare, pur dopo la separazione. Ecco perché la formazione di un nuovo aggregato familiare di fatto ad opera del coniuge beneficiario dell'assegno di mantenimento, operando una rottura tra il preesistente tenore e modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale ed il nuovo assetto fattuale, fa venire definitivamente meno il diritto alla contribuzione periodica (Cass. n. 32871/2018).

Revisione

La sentenza che determina (o non determina comunque “giudica” sul)l'assegno alimentare ha natura cd. «determinativa» nel senso che va compresa nella categoria delle sentenze determinative, le quali conservano i loro effetti preclusivi fino a quando per eventi successivi non venga a verificarsi un mutamento obiettivo dello stato di fatto accertato in precedenza e tale mutamento non sia riconosciuto da una nuova decisione. Le connotazioni caratterizzanti le sentenze determinative sono le seguenti: da un lato, l'efficacia della decisione non può, in ogni caso, retroagire ad una data anteriore alla proposizione della domanda; dall'altro, l'efficacia non può essere preclusa da un precedente giudicato superato da un nuovo stato in fatto o diritto delle cose. La giurisprudenza che ammette la natura determinativa delle sentenze in materia alimentare è risalente (Cass. I, n. 6/1962; Cass. I, n. 421/1952) ma senz'altro tuttora vitale e, quindi, qui da dovere confermare. Per la Suprema Corte (v. Cass. I, n. 337/1971), le sentenze cd. determinative, fra le quali vanno annoverate quelle relative alla fissazione dell'assegno alimentare (e di quello di mantenimento) passano in giudicato con riferimento limitato alla situazione di fatto esistente al momento in cui vengono pronunciate. Su questo sfondo sistematico si comprende la disciplina della “revisione” delle misure determinative e, nella fattispecie, dell'assegno di mantenimento. Ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 156, qualora sopravvengano giustificati motivi il giudice, su istanza di parte, può disporre la revoca o la modifica del provvedimento che ha fissato e quantificato l'assegno di mantenimento. La domanda, per i procedimenti introdotti prima del 28 febbraio 2023, si propone ai sensi dell'art. 710 c.p.c. ed è competente per territorio, in caso di figli, il luogo in questi hanno residenza abituale (ex multis, v. Cass n. 10374/2013).

Assegno di separazione e assegno di divorzio

È bene ricordare «la totale autonomia dei giudizi di separazione e divorzio e la diversa natura dei relativi assegni» (Cass. n. 5481/2013): infatti, la determinazione dell'assegno di divorzio, alla stregua dell'art. 5 l. n. 898/1970, modificato dall'art. 10 l. n. 74/1987, è indipendente dalle statuizioni patrimoniali operanti, per accordo tra le parti e in virtù di decisione giudiziale, in vigenza di separazione dei coniugi, poiché, data la diversità delle discipline sostanziali, della natura, struttura e finalità dei relativi trattamenti, correlate e diversificate situazioni, e delle rispettive decisioni giudiziali, l'assegno divorzile, presupponendo lo scioglimento del matrimonio, prescinde dagli obblighi di mantenimento e di alimenti, operanti nel regime di convivenza e di separazione, e costituisce effetto diretto della pronuncia di divorzio, con la conseguenza che l'assetto economico relativo alla separazione può rappresentare mero indice di riferimento nella misura in cui appaia idoneo a fornire utili elementi di valutazione (Cass. n. 25010/2007). Nemmeno l'assegno divorzile può tradursi in una impropria rendita di posizione nel senso di essere riconosciuto, tout court, per il divario reddituale trai coniugi, realizzandosi, per tal via, una alterazione della funzione dell'assegno divorzile che travalica il limite della ragionevolezza (v. Trib. Firenze ordinanza 22 maggio 2013). È corrente l'opinione nel senso, però, che l'assegno di separazione costituisca il “tetto massimo” dell'eventuale futuro assegno divorzile.

Questi principi possono dirsi ormai acquisiti alla giurisprudenza: l'assegno di separazione presuppone la permanenza del vincolo coniugale, e, conseguentemente, la correlazione dell'adeguatezza dei redditi con il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio; al contrario tale parametro non rileva in sede di fissazione dell'assegno divorzile, che deve invece essere quantificato in considerazione della sua natura assistenziale, compensativa e perequativa, (Cass. S.U.,  n. 18287/2018) secondo i criteri indicati all'art. 5, comma 6,  l. n. 898/1970, essendo volto non alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall'ex coniuge beneficiario alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi (Cass. n. 17098/2019 ; da ultimo sul punto Cass. n. 23583/2022 ). ).

Proprio muovendo dalla diversità esistente tra i due assegni, ed i relativi presupposti, la Cass. n. 28995/2020, ha rimesso gli atti al primo Presidente per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite la questione di massima di particolare importanza volta a stabilire se, instaurata una stabile convivenza di fatto, il diritto al mantenimento dell'ex coniuge, sperequato nella posizione economica, si estingua comunque, in forza di un meccanismo ispirato ad automatismo ovvero siano praticabili diverse scelte che, guidate dall'obiettiva valorizzazione dell'avente diritto al patrimonio della famiglia e dell'altro coniuge, sostengano la permanenza dell'assegno divorzile.   Il contrasto è stato successivamente risolto da Cass. S.U. n. 31298/2021 la quale ha stabilito che qualora sia instaurata una stabile convivenza di fatto tra un terzo e l'ex coniuge economicamente più debole questi, se privo anche nell'attualità di mezzi adeguati e impossibilitato a procurarseli per motivi oggettivi, conserva il diritto al riconoscimento dell'assegno di divorzio, in funzione esclusivamente compensativa; a tal fine il richiedente dovrà fornire la prova del contributo offerto alla comunione familiare, della eventuale rinuncia concordata ad occasioni lavorative e di crescita professionale in costanza di matrimonio, dell'apporto fornito alla realizzazione del patrimonio familiare e personale dell'ex coniuge. L'assegno, su accordo delle parti, può anche essere temporaneo (il principio è stato successivamente ribadito da Cass. n. 14256/2022).

Garanzie

L'art. 156 muniva l'assegno di mantenimento di specifiche garanzie: in primo luogo, il giudice poteva imporre al coniuge di prestare idonea garanzia reale o personale in presenza del pericolo che egli potesse sottrarsi all'adempimento degli obblighi previsti a suo carico, per coniuge o figli. In secondo luogo, in caso di inadempienza, su richiesta dell'avente diritto, il giudice poteva disporre il sequestro di parte dei beni del coniuge obbligato e ordinare ai terzi, tenuti a corrispondere anche periodicamente somme di danaro all'obbligato, che una parte di essa venisse versata direttamente agli aventi diritto. In merito deve evidenziarsi chel'art. 1, comma 2, lett. a), d.lgs.  10 ottobre 2022, n. 149  ha abrogato i commi dal quarto al sesto dell'art. 156 c.c. ed ha al contempo introdotto l' art. 473-bis.36 c.p.c., applicabile ai procedimenti instaurati successivamente al 28 febbraio 2023, La predetta disposizione prevede che tutti i provvedimenti, anche temporanei, a contenuto economico sono immediatamente esecutivi e sono titolo per l'iscrizione dell'ipoteca giudiziale ed unifica la disciplina del sequestro dei beni mobili, immobili o crediti del debitore. Per quanto concerne il comma 4 della disposizione in commento, esso è stato riprodotto nel secondo comma del nuovo art. 473-bis.36 c.p.c., così unificandosi la disciplina relativa ai provvedimenti economici a tutela della prole in precedenza contenuta sia nell'articolo in commento che nell' art. 8, comma 1 della l. n. 898 del 1970 per il divorzio e nell'articolo 3, comma 2, l. n. 219 del 2012.

Nei procedimenti ex art. 156 comma 6, ancora applicabile ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023, la decisione giudiziale non risolve una controversia sulla esistenza del diritto del coniuge all'assegno, diritto che ne costituisce un presupposto, ma piuttosto attiene alle modalità di attuazione del diritto stesso (Cass. n. 9671/2013): in tali procedimenti il Tribunale è chiamato unicamente a verificare, data l'obbligazione posta da un provvedimento giudiziale a carico di uno dei coniugi/genitori, la sussistenza dell'inadempimento quale presupposto previsto dall'art. 156 comma 6, essendo onere del convenuto obbligato fornire la prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento, secondo i principi generali in tema di onere della prova in punto di adempimento/inadempimento delle obbligazioni (Cass. n. 15659/2011). In merito deve evidenziarsi che in l'art. 156, comma 6, c.c., nell'attribuire al giudice, in caso d'inadempimento all'obbligo di corrispondere l'assegno di mantenimento, il potere di ordinare ai terzi tenuti a corrispondere somme di denaro al coniuge obbligato che una parte di esse venga versata direttamente agli aventi diritto, postula un apprezzamento in ordine all'idoneità del comportamento dell'obbligato a suscitare dubbi circa l'esattezza e la regolarità del futuro adempimento, affidato in via esclusiva al giudice di merito e, dunque, non sindacabile in sede di legittimità (Cass. n. 5604/2020; Cass. n. 11062/2011).

Fondo di solidarietà per il coniuge in stato di bisogno

La legge di stabilità 2016 (l. n. 208/2015) ha introdotto un nuovo istituto collegato all'art. 156  in via sperimentale per i soli anni 2016 e 2017. Il coniuge in stato di bisogno che non è in grado di provvedere al mantenimento proprio e dei figli minori, oltre che dei figli maggiorenni portatori di handicap grave, conviventi, qualora non abbia ricevuto l'assegno determinato ai sensi dell'art. 156 per inadempienza del coniuge che vi era tenuto, può rivolgere istanza da depositare nella cancelleria del tribunale del luogo ove ha residenza, per l'anticipazione di una somma non superiore all'importo dell'assegno medesimo. Il presidente del tribunale o un giudice da lui delegato, ritenuti sussistenti i presupposti di cui al periodo precedente, assumendo, ove occorra, informazioni, nei trenta giorni successivi al deposito dell'istanza, valuta l'ammissibilità dell'istanza medesima e la trasmette al Ministero della giustizia ai fini della corresponsione della somma di cui al periodo precedente. Il Ministero della giustizia si rivale sul coniuge inadempiente per il recupero delle risorse erogate. Quando il presidente del tribunale o il giudice da lui delegato non ritiene sussistenti i presupposti per la trasmissione dell'istanza al Ministro della giustizia, provvede al rigetto della stessa con decreto non impugnabile. Il procedimento introdotto con la presentazione dell'istanza di cui al primo periodo non è soggetto al pagamento del contributo unificato.

Le concrete modalità di accesso al Fondo sono disciplinate dal d.m. del Ministero della Giustizia, 15 dicembre 2016, recante la individuazione dei tribunali presso i quali avviare la sperimentazione del Fondo di solidarietà a tutela del coniuge in stato di bisogno, nonché la previsione delle modalità per la corresponsione delle somme e per la riassegnazione al Fondo delle somme recuperate, ai sensi dell'art. 1 comma 416 della l. n. 208/2015. L'istanza è redatta in conformità al modulo (FORM), disponibile sul sito internet del Ministero (giustizia.it) ed è da intendersi come requisito di ammissibilità dell'istanza (Buffone, 14). Il fondo si è estinto in data 31 dicembre 2017.

Diritto internazionale privato

L'Italia ha aderito, in regime di cooperazione rafforzata, al Regolamento (UE) 2016/1103 del Consiglio, del 24 giugno 2016, che attua la cooperazione rafforzata nel settore della competenza, della legge applicabile, del riconoscimento e dell'esecuzione delle decisioni in materia di regimi patrimoniali tra coniugi; nonchè del Regolamento (UE) 2016/1104 del Consiglio, del 24 giugno 2016, che attua la cooperazione rafforzata nel settore della competenza, della legge applicabile, del riconoscimento e dell'esecuzione delle decisioni in materia di effetti patrimoniali delle unioni registrate.Giuseppe

Bibliografia

Bruno, Le controversie familiari nell'Unione Europea. Regole, fattispecie, risposte, Milano, 2018; Buffone, Fondo a tutela del coniuge in stato di bisogno (DM 15 dicembre 2016) in Guida dir. 2017, 7, 13 e ss.; Buffone, Le novità del “decreto filiazione”, Milano, 2014; Sesta - a cura di -, Codice della famiglia, Milano, 2015.

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