Codice Civile art. 240 - Contestazione dello stato di figlio (1) (2).

Giuseppe Buffone
aggiornato da Annachiara Massafra

Contestazione dello stato di figlio (1) (2).

[I]. Lo stato di figlio può essere contestato nei casi di cui al primo e secondo comma dell'articolo 239.

(1) L’art. 7, d.lg. 28 dicembre 2013, n. 154, ha sostituito il Titolo, modificando la rubrica del Titolo (la precedente era «Della filiazione»), e sostituendo la «Sezione II: "Delle prove della filiazione legittima"» con il «Capo II: "Delle prove della filiazione"».

(2) Articolo sostituito dall'art. 15, d.lg. 28 dicembre 2013, n. 154. Il testo precedente recitava: «Mancanza dell'atto di matrimonio. [I]. La legittimità del figlio di due persone, che hanno pubblicamente vissuto come marito e moglie e sono morte ambedue, non può essere contestata per il solo motivo che manchi la prova della celebrazione del matrimonio, qualora la stessa legittimità sia provata da un possesso di stato che non sia in opposizione con l'atto di nascita». Ai sensi dell’art. 108, d.lg. n. 154 del 2013, la modifica è entrata in vigore a partire dal 7 febbraio 2014.

Inquadramento

L'art. 240, nella previgente versione, prevedeva: “la legittimità del figlio di due persone, che hanno pubblicamente vissuto come marito e moglie e sono morte ambedue, non può essere contestata per il solo motivo che manchi la prova della celebrazione del matrimonio, qualora la stessa legittimità sia provata da un possesso di stato che non sia in opposizione con l'atto di nascita”. La disciplina riguardava, dunque, la mancanza dell'atto di matrimonio. Il nuovo regime enucleato nell'art. 240, inedita versione, si occupa invece di regolare, più in generale, la contestazione dello stato di figlio, ammessa nei casi di cui ai commi 1 e 2 dell'art. 239 c.c. e, dunque: qualora si tratti di supposizione di parto o di sostituzione di neonato da chi è nato nel matrimonio ma fu iscritto come figlio di ignoti.

Regime giuridico

L'azione di contestazione dello stato di figlio ha la finalità di rimuovere lo stato di figlio per come risultante dall'atto di nascita: essa mira, dunque, a dimostrare che i genitori risultanti dal certificato di nascita non sono i veri genitori. L'azione è ammessa, in primo luogo, in caso di supposizione di parto e in caso di sostituzione di neonato. La supposizione di parto ricorre quando, nato un bambino, nell'atto di nascita gli si attribuisca come madre una donna che non ha partorito; la sostituzione di neonato si verifica allorché nell'atto si attribuisca a una donna, che ha partorito, la maternità di un bambino che non è il suo. Ci si chiede se la previsione possa essere estesa al caso dell'iscrizione come figlio nato nel matrimonio di chi è nato oltre il termine per l'operatività della presunzione di concepimento.

La Suprema Corte (Cass. n. 2098/1992) si è espressa sul tema, prima delle modifiche apportate dal d.lgs. n. 154/2013, affermando che, nell'ipotesi in cui la moglie abbia partorito oltre i trecento giorni dopo l'omologazione della separazione consensuale, il marito, che contesti di aver generato il neonato, non può esercitare l'azione di contestazione di legittimità di cui all'art. 248 (che configura una disposizione residuale, diretta a contestare lo status di figlio legittimo indipendentemente dalla paternità del marito e, quindi, non escludendo necessariamente che possa trattarsi di figlio naturale, ancorché illegittimo, di questi), ma esercita l'azione di disconoscimento di paternità di cui all'art. 235 salve, per la difformità del caso da quello testualmente previsto dal menzionato art. 235 (limitato al «concepimento durante il matrimonio», secondo le indicazioni fornite al riguardo del primo comma dell'art. 232), le conseguenze sul regime della prova. Infatti, in tal caso a differenza dell'ipotesi di concepimento durante il matrimonio (in cui non è consentito al marito superare la presunzione di paternità, su di lui ricadente a norma dell'art. 231, se non nei casi tassativamente elencati dall'art. 235) non operando detta presunzione, a norma del secondo comma dell'art. 232 si ha un ristabilimento delle normali regole sulla ripartizione dell'onere della prova, sicché al marito spetta di provare soltanto lo stato di separazione legale, mentre incombe alla moglie dimostrare la paternità del marito come se agisse al di fuori del matrimonio e, quindi, ai sensi dell'art. 269 con ogni mezzo, con insufficienza, però, della «sola dichiarazione della madre» e della “sola esistenza di rapporti.

Bibliografia

Auletta, Diritto di famiglia, Torino, 2014; Bianca C. M., Istituzioni di diritto privato, Milano, 2014; Buffone, Le novità del “decreto filiazione”, Milano, 2014; Cian-Trabucchi (a cura di), Commentario breve al codice civile, Padova, 2011; Finocchiaro F., in Comm. S. B., artt. 84-158, Bologna-Roma, 1993; Jemolo, in La famiglia e il diritto, in Ann. fac. giur. Univ. Catania, Napoli, 1949, 57; Oberto, La comunione legale tra i coniugi, in Tr. C.M., Milano, 2010; Perlingieri, Manuale di Diritto Civile, Napoli, 2005; Sesta (a cura di), Codice della famiglia, Milano, 2015.

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