Codice Civile art. 250 - Riconoscimento 1 .Riconoscimento 1. [I]. Il figlio nato fuori del matrimonio può essere riconosciuto, nei modi previsti dall'articolo 254, dalla madre e dal padre, anche se già uniti in matrimonio con altra persona all'epoca del concepimento. Il riconoscimento può avvenire tanto congiuntamente quanto separatamente [II]. Il riconoscimento del figlio che ha compiuto i quattordici anni non produce effetto senza il suo assenso [2732]. [III]. Il riconoscimento del figlio che non ha compiuto i quattordici anni non può avvenire senza il consenso dell'altro genitore che abbia già effettuato il riconoscimento. [IV]. Il consenso non può essere rifiutato se risponde all'interesse del figlio. Il genitore che vuole riconoscere il figlio, qualora il consenso dell'altro genitore sia rifiutato, ricorre al giudice competente il quale, assunta ogni opportuna informazione e disposto l'ascolto del minore, adotta eventuali provvedimenti temporanei e urgenti al fine di instaurare la relazione, salvo che la difesa del convenuto non sia palesemente fondata. Con la sentenza che tiene luogo del consenso mancante, il giudice adotta i provvedimenti opportuni in relazione all'affidamento e al mantenimento del minore ai sensi dell'articolo 315-bis e al suo cognome ai sensi dell'articolo 262.2. [V]. Il riconoscimento non può essere fatto dai genitori che non abbiano compiuto il sedicesimo anno di età, salvo che il giudice li autorizzi, valutate le circostanze e avuto riguardo all'interesse del figlio [2841].
[1] Articolo così sostituito dall'art. 1, l. 10 dicembre 2012, n. 219. Il testo precedente, risultante dalle modifiche adottate dall'art. 102, l. 19 maggio 1975, n. 151, recitava: «Il figlio naturale può essere riconosciuto, nei modi previsti dall'articolo 254, dal padre e dalla madre, anche se già uniti in matrimonio con altra persona all'epoca del concepimento. Il riconoscimento può avvenire tanto congiuntamente quanto separatamente. - Il riconoscimento del figlio che ha compiuto i sedici anni non produce effetto senza il suo assenso. - l riconoscimento del figlio che non ha compiuto i sedici anni non può avvenire senza il consenso dell'altro genitore che abbia già effettuato il riconoscimento. - l consenso non può essere rifiutato ove il riconoscimento risponda all'interesse del figlio. Se vi è opposizione, su ricorso del genitore che vuole effettuare il riconoscimento, sentito il minore in contraddittorio con il genitore che si oppone e con l'intervento del pubblico ministero, decide il tribunale con sentenza che, in caso di accoglimento della domanda, tiene luogo del consenso mancante. - Il riconoscimento non può essere fatto dai genitori che non abbiano compiuto il sedicesimo anno di età». V. art. 12 l. 1° dicembre 1970, n. 898. Per una declaratoria di non fondatezza, nei sensi di cui in motivazione, di una questione di legittimità costituzionale del presente articolo sollevata in riferimento agli artt. 2,3,24,30,31 e 111 Cost., v. Corte cost. 10 novembre 2011, n. 301. [2] Comma sostituito dall'art. 1, comma 3, d.lgs 10 ottobre 2022, n. 149 (ai sensi dell'art. 52 d.lgs. n. 149/2022, il citato decreto legislativo entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale). Per la disciplina transitoria v. art. 35 d.lgs. n. 149/2022, come da ultimo modificato dall'art. 1, comma 380, lett. a), l. 29 dicembre 2022, n. 197, che prevede che : "1. Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti.".Si riporta il testo anteriore alla suddetta modificazione: «Il consenso non può essere rifiutato se risponde all'interesse del figlio. Il genitore che vuole riconoscere il figlio, qualora il consenso dell'altro genitore sia rifiutato, ricorre al giudice competente, che fissa un termine per la notifica del ricorso all'altro genitore. Se non viene proposta opposizione entro trenta giorni dalla notifica, il giudice decide con sentenza che tiene luogo del consenso mancante; se viene proposta opposizione, il giudice, assunta ogni opportuna informazione, dispone l'audizione del figlio minore che abbia compiuto i dodici anni, o anche di età inferiore, ove capace di discernimento, e assume eventuali provvedimenti provvisori e urgenti al fine di instaurare la relazione, salvo che l'opposizione non sia palesemente fondata. Con la sentenza che tiene luogo del consenso mancante, il giudice assume i provvedimenti opportuni in relazione all'affidamento e al mantenimento del minore ai sensi dell'articolo 315-bis e al suo cognome ai sensi dell'articolo 262». InquadramentoSe i genitori non sono uniti in matrimonio, nessuna presunzione legale soccorre il figlio. L'accertamento formale del suo stato di figlio nei confronti del padre e nei confronti della madre richiede pertanto l'atto di riconoscimento o la dichiarazione giudiziale di paternità. Il riconoscimento è l'atto formale mediante il quale il dichiarante assume di essere genitore del proprio figlio nato fuori del matrimonio (Bianca C. M., 784). La disciplina è contenuta, principalmente, nell'art. 250, oggetto di riscrittura ad opera della l. n. 219/2012. Il riconoscimento del figlio nato fuori dal matrimonio costituisce oggetto di un diritto soggettivo del genitore, costituzionalmente garantito dall'art. 30 Cost., che non si pone in termini di contrapposizione con l'interesse del minore, ma come misura ed elemento di definizione dello stesso sì che il mancato riscontro di un interesse effettivo e concreto del minore non costituisce ostacolo all'esercizio del diritto del genitore ad ottenere il riconoscimento, nel caso di opposizione del genitore che per primo ha proceduto al riconoscimento, in quanto detto interesse va valutato in termini di attitudine a sacrificare la genitorialità, riscontrabile soltanto qualora si accerti l'esistenza di motivi gravi ed irreversibili che inducano a ravvisare la forte probabilità di una compromissione dello sviluppo del minore, che giustifichi il sacrificio totale del diritto alla genitorialità. Ne consegue che il sacrificio del diritto alla genitorialità può avvenire soltanto in presenza di un fatto impeditivo di importanza proporzionata al valore de diritto sacrificato cioè a dire laddove si dimostri ( con ovvio giudizio prognostico ex ante) che il secondo riconoscimento possa determinare un ‘trauma così grave da pregiudicare in modo serio lo sviluppo psicofisico de minore ‘. In merito la Corte di Cassazione ha infatti chiarito, che il ricorso all'autorità giudiziaria, nel caso in cui l'altro genitore (che abbia già effettuato il riconoscimento) rifiuti il consenso, impone da parte del giudice l’effettuazione di un bilanciamento tra il diritto soggettivo di colui che vuole riconoscere il figlio e l'interesse del minore a non subire una forte compromissione del proprio sviluppo psico-fisico, da compiersi operando un giudizio prognostico, che valuti non già il concreto esercizio della responsabilità genitoriale, per modulare il quale vi sono diversi strumenti di tutela, ma la sussistenza, nel caso specifico, di un grave pregiudizio per il minore che derivi dal puro e semplice acquisto dello "status" genitoriale e che si riveli superiore al disagio psichico conseguente alla mancanza o non conoscenza di uno dei genitori (Cass. n. 24718/2021). Deve al riguardo evidenziarsi che la Corte di Cassazione ha recentemente ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 250, commi 3 e 4 c.c., sollevata in relazione agli artt. 2, 3, 24, 31 e 32 Cost. - nella parte in cui rimette al giudice la decisione finale circa la rispondenza del riconoscimento all'interesse del figlio che non abbia ancora compiuto i quattordici anni, in assenza del consenso del genitore che lo abbia riconosciuto per primo - poiché la scelta del legislatore di dettare una clausola generale affidandone al giudice la concretizzazione nella singola fattispecie, non costituisce una delega al giudizio personale del singolo giudice, ma risponde all'esigenza di consentire l'adattamento del concetto generale dell'interesse del figlio, alle infinite varietà delle situazioni concrete che non potrebbero mai essere tutte previste nella norma scritta, consentendo così, senza lacune, in ogni caso il bilanciamento degli interessi costituzionalmente protetti dalla norma (Cass. n. 21428/2022). Va peraltro chiarita la distinzione dei piani concettuali e giuridici tra l'attribuzione di genitorialità (diritto primario costituzionalmente garantito che si realizza attraverso l'accesso al riconoscimento) e l'effettivo e concreto esercizio della funzione genitoriale: all'accertata inesistenza di una gravissima ed attuale controindicazione all'attribuzione di genitorialità, non consegue necessariamente l'ordinario sviluppo del rapporto genitoriale ove successivamente si accertino, nel genitore che procede al riconoscimento, situazioni tali da richiedere la limitazione ( o l'ablazione) dell'esercizio della responsabilità genitoriale (Trib. Milano 18 dicembre 2013). Regime giuridicoL'art. 254 — come modificato dalla l. n. 219/2012 — prevede che il riconoscimento del figlio nato fuori del matrimonio è fatto nell'atto di nascita, oppure con una apposita dichiarazione, posteriore alla nascita o al concepimento, davanti ad un ufficiale dello stato civile o in un atto pubblico o in un testamento, qualunque sia la forma di questo. Il riconoscimento può avvenire sia congiuntamente che separatamente. Se il minore ha compiuto 14 anni, il riconoscimento, per avere effetto, richiede l'assenso del fanciullo; se il fanciullo non ha compiuto i 14 anni, il riconoscimento, perché abbia effetto, richiede il consenso del genitore che abbia già riconosciuto la prole. Il consenso non può però essere rifiutato se risponde all'interesse del figlio. È, quindi, però, ipotizzabile una controversia genitoriale in merito all'an del riconoscimento: il genitore che ha già riconosciuto, infatti, potrebbe opporsi al riconoscimento (Buffone, Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali, in Il Civilista, 2013, 1). La l. n. 219/2012 aveva riscritto la procedura giurisdizionale che regola la fattispecie. Secondo il previgente art. 250 c.c., il genitore che vuole riconoscere il figlio, qualora il consenso dell'altro genitore sia rifiutato, ricorre al giudice competente, che fissa un termine per la notifica del ricorso all'altro genitore. Se non viene proposta opposizione entro trenta giorni dalla notifica, il giudice decide con sentenza che tiene luogo del consenso mancante; se viene proposta opposizione, il giudice, assunta ogni opportuna informazione, dispone l'audizione del figlio minore che abbia compiuto i dodici anni, o anche di età inferiore, ove capace di discernimento, e assume eventuali provvedimenti provvisori e urgenti al fine di instaurare la relazione, salvo che l'opposizione non sia palesemente fondata. Con la sentenza che tiene luogo del consenso mancante, il giudice assume i provvedimenti opportuni in relazione all'affidamento e al mantenimento del minore ai sensi dell'art. 315-bis e al suo cognome ai sensi dell'art. 262. ProcedimentoSecondo il nuovo testo dell'art. 250 c.c. il genitore che vuole riconoscere il figlio, in caso di opposizione, ricorre al giudice competente, ossia quello del lugo di abituale residenza del minore, che, dopo aver assunto ogni opportuna informazione e disposto l'ascolto del minore, adotta i provvedimenti temporanei ed urgenti al fine di instaurare la relazion, salvo che la difesa del convenuto non sia palesemente fondata. Per il resto il procedimento si conclude, al pari di quanto previsto in precedenza, con sentenza, che tiene luogo del consenso mancante ed al contempo il giudice adotta i provvedimenti opportuni in relazione all'affidamento, al mantenimento ed al cognome del minore.Dunque, al lume di questo regime, se viene presentata opposizione, il giudice instaura una procedura di tipo contenzioso finalizzata ad accertare se il minore abbia o meno interesse al riconoscimento. Il riconoscimento richiesto dal padre può essere escluso solo se sia provata una situazione di effettivo rischio per il fanciullo, rischio che deve tradursi in una compromissione del suo sviluppo psico-fisico . Con le modifiche introdotte dal d.lgs. n. 149 del 2022il procedimento segue le norme previste dal nuovo rito unitario. Secondo la Cassazione, l'opposizione al riconoscimento ex art. 250 può essere accolta in caso di giudizio di inidoneità genitoriale del genitore che vuole riconoscere e di pericolo di compromissione dello sviluppo psico-fisico della minore in caso di riconoscimento (Cass. n. 27729/2013): l'accoglimento della opposizione è, comunque, eccezionale. E, infatti, pur attribuendo la titolarità al genitore, autorizzando il riconoscimento, ben se ne potrà limitare l'esercizio (ex art. 333) in caso di necessità ma senza bisogno di precludere il radice la formazione del rapporto genitoriale che, in linea di principio, risponde al preminente interesse del minore. Il riconoscimento, pertanto, può essere respinto solo nei casi che, ex post, legittimerebbero una pronuncia di decadenza ex art. 330. Va precisato che il procedimento ex art. 250, comma 5, non è diretto ad accertare né la paternità del neonato né l'idoneità della parte ricorrente che chieda il riconoscimento a validamente occuparsi della cura, della crescita e dell'educazione del piccolo, bensì a solo verificare se possa il genitore richiedente procedere a quel riconoscimento che, comunque, costituirebbe un suo diritto laddove avesse ella già compiuto il sedicesimo anno di età. Entro questi limiti, dunque, va ricondotta la cognizione del giudice che procede. L'atto che provoca l'incidente giurisdizionale è solo quello di formale opposizione: non ha valore di opposizione la difesa della parte resistente che, costituendosi, si limiti ad eccepire la incompetenza dell'ufficio adito. Ne consegue che, in questo caso, il procedimento può essere definito nelle forme semplificate ex art. 250, comma 4 (così, Trib. Milano 19 giugno 2013). Deve infine evidenziarsi che la Corte di Cassazione ha chiarito come la prestazione del consenso al riconoscimento del figlio infraquattordicenne da parte del genitore che l'abbia già riconosciuto, ai sensi del comma 3 dell'art. 250 c.c., non è elemento costitutivo della fattispecie, ma condicio iuris dell'efficacia dell'atto di riconoscimento. Pertanto ove tale consenso manchi la fattispecie è perfetta, ma improduttiva di effetti. Ne consegue che ove il figlio, raggiunti i quattordici anni, abbia inequivocabilmente manifestato il proprio assenso al riconoscimento da parte di uno dei genitori, il mancato consenso da parte dell'altro che l'abbia già riconosciuto non determina l'inefficacia del secondo riconoscimento (Cass. n.22953/2022).
Effetti giuridici della pronunciaCi si chiede se la pronuncia resa dal giudice ex art. 250 abbia natura meramente autorizzatoria del riconoscimento o costituisca essa stessa titolo per il riconoscimento. Ad avviso di una prima lettura, la sentenza che tiene luogo del consenso necessario ai fini del riconoscimento non equivale al riconoscimento stesso: non può astrattamente escludersi, dunque, che, ottenuta la sentenza, il genitore poi comunque non proceda al riconoscimento. . In ossequio a questa lettura, si dubita che contestualmente alla pronuncia possano essere assunte le misure provvisorie sulla responsabilità genitoriale. Il rischio, si afferma, sarebbe di intervenire sulla situazione del minore — addirittura sulla identità personale (262) — con l'introduzione di una figura soggettiva che non è madre/padre, perché non ha riconosciuto. . In questo ambito interpretativo si propongono allora, due alternative predicandosi la possibilità di escludere che,, contestualmente alla sentenza che tiene luogo del riconoscimento, siano «opportuni» provvedimenti ex art. 315-bis e 262 immediati. Una prima alternativa è nel senso di escludere l'opportunità dei provvedimenti ex art. 315-bis e 262 in mancanza del riconoscimento e, dunque, definire la procedura rimettendo ai futuri procedimenti i provvedimenti necessari. Una seconda alternativa è nel senso di scomporre la procedura in due fasi distinte: la prima fase, relativa al solo riconoscimento, da concludersi con sentenza parziale che tiene luogo del consenso mancante; previa remissione della causa sul Ruolo, con termine al ricorrente per versare in atti prova dell'intervenuto riconoscimento, la seconda fase, dunque, per regolare i rapporti genitoriali e disporre in ordine al cognome del minore riconosciuto. A questa lettura ha aderito una parte della la giurisprudenza di merito prevalente là dove ha affermato che il provvedimento giudiziale che autorizza il padre al riconoscimento del figlio nato fuori dal matrimonio si limita ad autorizzare il genitore istante a riconoscere il minore, ma non equivale a riconoscimento, non potendosi escludere affatto che la parte, pur ottenuta l'autorizzazione, non dia corso al riconoscimento, proprio ed anche in ragione delle determinazioni giudiziali in punto di affidamento o di mantenimento, con la conseguenza che le statuizioni adottate, anche eventualmente in via provvisoria, rimarrebbero di fatto prive di effetto, in una situazione di efficacia quiescente rimessa alla volontà discrezionale della parte, situazione non compatibile con l'efficacia propria dei provvedimenti giurisdizionali, oltre a creare una situazione di potenziale pregiudizio per il minore con l'introduzione nella sua vita di una figura che poi non lo riconosce. Ne deriva che nell'interesse superiore del minore a vedersi immediatamente e in modo genuino riconosciuto dal genitore deve procedersi ad autorizzare il riconoscimento con una pronuncia parziale, disponendo la prosecuzione del giudizio in modo da consentire alla parte ricorrente di versare in atti la prova dell'avvenuto riconoscimento e di adottare poi, espletati, se del caso, i necessari accertamenti, tutti i provvedimenti ex art. 315-bis e 262 c.c., come previsto dall'art. 250 comma 2 ultimo capoverso, introdotto dalla l. n. 219/2012 (Trib. Milano 16 aprile 2014). Questo orientamento, in tempi più recenti, è stato disatteso da altra lettura di merito, in particolare sposata dal Tribunale di Roma. Ad avviso di questo pensiero pretorio, alla pronuncia giudiziale ex art. 250, da intendersi non meramente autorizzativa del riconoscimento ma pienamente sostitutiva dello stesso, consegue l'annotazione della paternità a margine dell'atto di nascita: il riconoscimento paterno è, infatti, costituito dallo stesso esercizio dell'azione giudiziale ex art. 250 e la volontà di riconoscere il minore è stata ribadita dalla parte anche in udienza dinanzi al giudice. “Del resto, la disposizione appena citata perderebbe di significato ove si ritenesse che, pronunciata la sentenza che tiene luogo del consenso mancante del genitore che per primo ha riconosciuto, fosse necessario formalizzare il riconoscimento del secondo genitore innanzi all'Ufficiale di stato civile, e ciò anche sulla scorta della considerazione per cui solo così ragionando si è in grado di scongiurare le problematiche che potrebbero verificarsi allorché il genitore, pur autorizzato al riconoscimento ex art. 250, non potesse poi procedere a detto incombente, anche per cause dallo stesso indipendenti” (Trib. Roma I, 26 maggio 2017). Curatore specialeUn problema procedurale importante che la l. n. 219/2012 e il d.lgs. n. 154 del 2013 non risolvono è quello concernente la rappresentanza del minore nel giudizio ex art. 250. La Corte Costituzionale, offrendo una lettura costituzionalmente orientata dell'art. 250, ha affermato che anche per la fattispecie prevista dall'art. 250, comma 4, il giudice, nel suo prudente apprezzamento e previa adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, può procedere alla nomina di un curatore speciale, avvalendosi della disposizione dettata dall'art. 78 c.p.c., che non ha carattere eccezionale, ma costituisce piuttosto un istituto che è espressione di un principio generale, destinato ad operare ogni qualvolta sia necessario nominare un rappresentante all'incapace (Corte cost. n. 83/2011). La Suprema Corte di Cassazione ha recepito il precipitato della pronuncia diagnosticando, quale conseguenza in genere prevedibile, la necessità che nel giudizio de quo, il minore conteso sia rappresentato da un terzo estraneo che, ad esempio, ben può essere il tutore, altrimenti il curatore speciale. Secondo la Corte regolatrice, nella interpretazione che è stata offerta dalla Corte cost. all'art. 250, con la sentenzan. 83/2011 — che ne ha per tale via confermato la conformità a Costituzione — essendo implicati nel procedimento de quo rilevanti diritti ed interessi del minore, ed in primo luogo quello all'accertamento del rapporto genitoriale con tutte le implicazioni connesse, questi, anche se di età inferiore a sedici anni, costituisce un centro autonomo di imputazione giuridica: sicché, in caso di opposizione dell'altro genitore al riconoscimento, egli gode di piena tutela dei suoi diritti ed interessi. Ne deriva che al detto minore va riconosciuta la qualità di parte nel giudizio di opposizione di cui all'art. 250. E, se di regola la sua rappresentanza sostanziale e processuale è affidata al genitore che ha effettuato il riconoscimento (artt. 317-bis e 320), qualora si prospettino situazioni di conflitto di interessi, anche in via potenziale, la tutela della sua posizione può essere in concreto attuata soltanto se sia autonomamente rappresentato e difeso in giudizio, mediante nomina di un terzo rappresentante (Cass. n. 27729/2013). Alla luce delle considerazioni sopra espresse, deve ritenersi che — salvo il caso di opposizione manifestamente fondata o infondata — il giudice sia tenuto a procedere designando al minore un curatore speciale, ove non già rappresentato da tutore e ciò al fine di consentirgli una piena rappresentanza nella procedura exart. 250 in cui questi riveste la qualità di parte del giudizio. Se al minore non viene designato un curatore, ove necessario, il giudizio sarà nullo. L'orientamento giurisprudenziale di cui innanzi si discosta da quanto statuito in precedenza da Cass.n. 395/2006 e Cass. n. 12984/2009 secondo il quale il minore infrasedicenne, nel giudizio ex art. 250 c.c., non assume la qualità di parte sicché la nomina di un curatore speciale è necessaria solo ove il giudice lo ritenga opportuno in considerazione del profilars,i in concreto, di una situazione di conflitto di interessi (Cass. n. 275/2020). CompetenzaPer il riconoscimento giudiziale si afferma essere competente il Tribunale ordinario del luogo di nascita del fanciullo, dove cioè si è formato l'atto di nascita. Altra Dottrina ritiene invece che sia competente il Tribunale ordinario del luogo di residenza del genitore che per primo ha effettuato il riconoscimento. Non mancano voci che riconoscono come competente il foro ove si trova il minore, secondo il criterio di prossimità. Va in questa sede evidenziato che la soluzione sembrerebbe derivare dal nuovo art.473-bis.11 c.p.c. i quale prevede che la competenza per tutti i provvedimenti che riguardano un minore, è del Tribunale del luogo in cui il minore ha la residenza abituale. Nel silenzio della legge, secondo un primo orientamento, l'autorizzazione deve ritenersi demandata alla competenza del Giudice Tutelare. Secondo questa lettura, in questo senso, depone la particolare snellezza e deformalizzazione dei procedimenti di competenza del Giudice Tutelare, che assicurano di norma una particolare celerità nella decisione e si presentano, pertanto, del tutto idonei alle esigenze di speditezza che simili casi richiedono. Per la competenza del giudice tutelare depone anche la circostanza che il provvedimento nel caso di specie richiesto all'Autorità Giudiziaria non risolve una questione contenziosa ma ha la funzione, in quanto autorizzatorio, di rimuovere un limite posto dall'ordinamento nei confronti di un soggetto superando, attraverso l'accertamento in concreto, la presunzione di incapacità ritenuta dal legislatore (Trib. Catanzaro 5 marzo 2013). Secondo un altro indirizzo, la competenza è invece del Tribunale in composizione collegiale, coerentemente con tutte le azioni in materia di status attribuite a tale organo. Giova ricordare che il generico riferimento alla competenza del “tribunale ordinario” non è di per sé sufficiente per decretare la competenza del Collegio ex art. 737 c.p.c. Gli artt. 9 d.lgs. n. 51/1998, infatti, hanno attribuito al T.O. “le funzioni di giudice tutelare”. Il riferimento generico al T.O., pertanto, non esclude tout court la competenza del G.T. Nel caso in esame, tuttavia, la soluzione semplificante è probabilmente la più corretta: posto che l'alveo dell'art. 38 disp. att. ospita in via privilegiata la competenza del Tribunale Ordinario quale giudice della famiglia, è razionale non frantumare, al suo interno, i singoli uffici giudiziari assegnatari dei fascicoli in assenza di una precipua indicazione nel senso della competenza del tribunale in funzione di giudice tutelare. Alcuni, in giurisprudenza, hanno affermato per questo procedimento la competenza del Tribunale per i Minorenni, argomentando dall'art. 251 (Trib. Genova, 5 dicembre 2013). La Suprema Corte ha poi chiarito che la competenza a provvedere sull'autorizzazione al riconoscimento del figlio nato fuori del matrimonio richiesta, exart. 250 comma 5, dal genitore non ancora sedicenne, appartiene al tribunale ordinario (Principio di diritto enunciato ai sensi dell'art. 363, comma 3, c.p.c. da Cass. n. 16103/2015). LegittimazioneIn virtù delle modifiche apportate all'art. 250 ultimo comma, il riconoscimento non può essere fatto dai genitori che non abbiano compiuto il sedicesimo anno di età, salvo che il giudice li autorizzi, valutate le circostanze e avuto riguardo all'interesse del figlio. Ci si è chiesti, in questo caso, di chi sia la legittimazione attiva e, in particolare, se la domanda possa essere presentata dal Servizio Sociale o dal Consultorio. La risposta deve ritenersi negativa. Salvo i casi eccezionali previsti dalla Legge, «nessuno può far valere nel processo in nome proprio un diritto altrui» (art. 81 c.p.c.): le ipotesi di sostituzione processuale, dunque, sono tassative e richiedono una esplicita previsione legislativa. Il divieto di sostituzione processuale spiega, in particolare, i suoi effetti soprattutto nella materia dei diritti personalissimi in cui, in linea di principio, è finanche inammissibile una rappresentanza sostitutiva. In materia di riconoscimento, l'atto giuridico in senso stretto tipizzato in seno all'art. 254, prevede che l'attività tesa a riconoscere il figlio come proprio sia coltivata direttamente e personalmente da chi riconosce e l'art. 250, ultimo comma, introdotto dalla l. n. 219/2012, non muta la struttura morfologica dell'istituto ma introduce un intervento giudiziale preliminare, di tipo autorizzatorio, per il caso in cui il genitore non abbia ancora compiuto i sedici anni di età. Il Tribunale di Milano ha, al riguardo, precisato che “il procedimento ex art. 250, comma 5, non è diretto ad accertare né la paternità del neonato né l'idoneità della ricorrente a validamente occuparsi della cura, della crescita e dell'educazione del piccolo, bensì a solo verificare se possa la madre procedere a quel riconoscimento che, comunque, costituirebbe un suo diritto laddove avesse ella già compiuto il sedicesimo anno di età” (Trib. Milano, 17 aprile 2013). Ne consegue che l'autorizzazione al riconoscimento, ricollegandosi ad un diritto della madre (a prescindere dell'età), va richiesta dalla stessa e, semmai, nell'ambito del procedimento ex art. 250 cit., può darsi luogo all'audizione dei genitori, al fine di raccogliere elementi istruttori utili per la decisione. L'interpretazione qui seguita trova, invero, conferma indiretta nella Circ. 27 dicembre 2012 n. 33 del Ministero dell'Interno (avente ad oggetto: “legge 10 dicembre 2012, n. 219”). Nella nota interpretativa qui ricordata, il Dicastero citato osserva che «il quinto comma dell'art. 250 (...) consente al genitore infrasedicenne, dal 10 gennaio 2013, di compiere l'atto di riconoscimento del figlio, in presenza dell'autorizzazione giudiziale: ciò determina per l'ufficiale dello stato civile, dalla predetta data, la possibilità, prima non contemplata dall'ordinamento, di ricevere un atto di riconoscimento compiuto da genitore infrasedicenne, atto che dovrà essere accompagnato dalla copia autentica del provvedimento giudiziale di autorizzazione». L'intera procedura di riconoscimento, pertanto, resta affidata all'impulso e alla volontà della genitrice, senza che vi sia spazio per una legittimazione attiva del Servizio Sociale che, semmai, potrà sempre attivarsi per un intervento dell'Autorità competente, per il caso di situazioni che richiedano una presa in carico o un intervento del giudice minorile. In caso di domanda presentata dal minore, resta ferma la possibilità per il Tribunale di nominargli un Curatore Speciale, se ritenuto necessario per il suo preminente interesse. BibliografiaAuletta, Diritto di famiglia, Torino, 2014; Bianca C. M., Istituzioni di diritto privato, Milano, 2014; Buffone, Le novità del “decreto filiazione”, Milano, 2014; Cian-Trabucchi (a cura di), Commentario breve al codice civile, Padova, 2011; Finocchiaro F., in Comm. S. B., artt. 84-158, Bologna-Roma, 1993; Jemolo, in La famiglia e il diritto, in Ann. fac. giur. Univ. Catania, Napoli, 1949, 57; Oberto, La comunione legale tra i coniugi, in Tr. C.M., Milano, 2010; Perlingieri, Manuale di Diritto Civile, Napoli, 2005; Sesta (a cura di), Codice della famiglia, Milano, 2015. |