Codice Civile art. 266 - Impugnazione del riconoscimento per effetto di interdizione giudiziale (1).

Giuseppe Buffone
aggiornato da Annachiara Massafra

Impugnazione del riconoscimento per effetto di interdizione giudiziale (1).

[I]. Il riconoscimento può essere impugnato per l'incapacità che deriva da interdizione giudiziale [414 ss.] dal rappresentante dell'interdetto e, dopo la revoca dell'interdizione [429], dall'autore del riconoscimento, entro un anno dalla data della revoca [267, 2964].

(1) L’art. 7, d.lg. 28 dicembre 2013, n. 154, ha sostituito il Titolo, modificando la rubrica del Titolo (la precedente era «Della filiazione»), e sostituendo le parole «Capo II. "Della filiazione naturale e della legittimazione"»; «Sezione I. "Della filiazione naturale» e la rubrica del paragrafo 1 «Del riconoscimento dei figli naturali» con le parole: «Capo IV. "Del riconoscimento dei figli nati fuori dal matrimonio"».

Inquadramento

L'atto di riconoscimento può essere impugnato per l'incapacità che deriva da interdizione giudiziale: legittimati attivi sono il rappresentante dell'interdetto e, dopo la revoca dell'interdizione, l'autore del riconoscimento, entro un anno dalla data della revoca.

Regime giuridico

L'interdizione può essere pronunciata in favore del maggiore di età e del minore emancipato i quali si trovino in condizioni di abituale infermità di mente che li rende incapaci di provvedere ai propri interessi (art. 414). La misura interdittiva giudiziale interviene, dunque, a proteggere l'adulto che versi in stato di incapacità mentale. È per questo motivo che l'art. 266 considera invalido il riconoscimento fatto dall'interdetto e ne consente la caducazione. La disciplina, in realtà, si presenta al riguardo contraddittoria: e, infatti, da un lato sembrerebbe ammettere il riconoscimento dell'interdetto ma dall'altro ne sottoporrebbe a impugnazione gli esiti. Secondo la dottrina, la persona interdetta può riconoscere il figlio: però il tutore può impugnare esso riconoscimento ove sia il frutto della patologia del soggetto protetto e non anche un atto di effettivo accertamento. L'impugnativa del tutore, anche se ammessa dall'art. 266, deve essere autorizzata ritualmente dal Tribunale. Ci si è chiesti se il riconoscimento sia impugnabile per incapacità di intendere e volere a prescindere dalla condizione di interdizione.

Dottrina e giurisprudenza risolvono in maniera contrastante questo quesito.

La giurisprudenza, richiamandosi al principio di tassatività delle cause di impugnazione del riconoscimento e alla tutela dell'interesse pubblico alla certezza dello stato di filiazione, nega all'incapacità naturale ogni rilevanza giuridica in materia. In particolare, secondo la Suprema Corte, l'atto di riconoscimento di figlio non è annullabile ex art 428 per incapacità di intendere e di volere (Cass. n. 1869/1970).

Opina diversamente la dottrina la quale, invece, osserva che lo stato di incapacità deve avere rilevanza generale, per l'impugnazione, giusta la norma generale dell'art. 428 (per il contrasto di opinioni sul punto, v. Sesta, 1053). Il riconoscimento non è, invece, invalido ove sia fatto da persona sottoposta a inabilitazione o ad amministrazione di sostegno.

Età

Il riconoscimento richiede il sedicesimo anno di età per essere valido (art. 250, comma 5): il giudice, però, può autorizzare al riconoscimento anche i genitori di età inferiore.

Il procedimento deputato ad autorizzare il minore a riconoscere non è diretto ad accertare né la paternità del neonato né l'idoneità della ricorrente a validamente occuparsi della cura, della crescita e dell'educazione del piccolo, bensì a solo verificare se possa il genitore istante procedere a quel riconoscimento che, comunque, costituirebbe un suo diritto laddove avesse questi già compiuto il sedicesimo anno di età (Trib. Milano 17 aprile 2013). Se però manca l'autorizzazione giudiziale, il riconoscimento è invalido. Ci si interroga circa il regime impugnatorio. Secondo alcuni, dovrebbe applicarsi analogicamente l'art. 265. Secondo altri, invece, la norma di riferimento dovrebbe essere l'art. 266. Potrebbe, in realtà, anche propendersi per la radicale inefficacia del riconoscimento, come tale sottoposto eventualmente ad azione di accertamento della inefficacia stessa.

Bibliografia

Auletta, Diritto di famiglia, Torino, 2014; Bianca C. M., Istituzioni di diritto privato, Milano, 2014; Buffone, Le novità del “decreto filiazione”, Milano, 2014; Cian-Trabucchi (a cura di), Commentario breve al codice civile, Padova, 2011; Finocchiaro F., in Comm. S. B., artt. 84-158, Bologna-Roma, 1993; Jemolo, in La famiglia e il diritto, in Ann. fac. giur. Univ. Catania, Napoli, 1949, 57; Oberto, La comunione legale tra i coniugi, in Tr. C.M., Milano, 2010; Perlingieri, Manuale di Diritto Civile, Napoli, 2005; Sesta (a cura di), Codice della famiglia, Milano, 2015.

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