Codice Civile art. 305 - Revoca dell'adozione.

Giusi Ianni

Revoca dell'adozione.

[I]. L'adozione si può revocare soltanto nei casi preveduti dagli articoli seguenti [35 2 att.; 127 trans.].

Inquadramento

La revoca dell'adozione può avere luogo solo nei casi tassativamente previsti dal legislatore agli artt. 306 e 307, ossia per indegnità dell'adottante o dell'adottato. La tassatività delle ipotesi di revoca trova la sua ratio nel generale principio di stabilità che assiste gli status personali, su cui quindi si può incidere unicamente nei casi eccezionali espressamente disciplinati.

Nell'originario assetto codicistico era prevista anche un'ulteriore ipotesi di revoca, per ragioni di buon costume, azionabile su iniziativa del Pubblico Ministero. La relativa disposizione normativa (art. 308) è stata, tuttavia, abrogata dalla l. n. 184/1983.

Cause di revoca

Come detto, nell'attuale contesto normativo, la revoca dell'adozione è possibile solo per indegnità dell'adottante o dell'adottato, ossia in presenza di fatti ed eventi, in linea di principio legati ad episodi delittuosi, tali da minare irrimediabilmente la prosecuzione del rapporto tra adottante e adottato. Le cause di revoca si distinguono ontologicamente da quelle che determinano l'invalidità dell'adozione, in quanto esse attengono alla funzionalità del rapporto di adottivo e si verificano successivamente all'instaurarsi del medesimo, mentre l'invalidità incide sullo stesso atto di adozione ed è, quindi, determinata da cause necessariamente antecedenti all'instaurarsi del rapporto di adozione.

Il procedimento di revoca e i suoi effetti

La revoca dell'adozione è pronunciata dal Tribunale su istanza dell'adottante o dell'adottato (a seconda che si agisca ai sensi dell'art. 306 o ai sensi dell'art. 307). Solo in caso di morte dell'adottante in conseguenza dell'azione delittuosa dell'adottato è possibile la proposizione dell'azione di revoca da parte di coloro ai quali si devolverebbe l'eredità in mancanza dell'adottato e dei suoi discendenti (art. 306, comma 2). La competenza segue le regole generali e si radica, quindi, in mancanza di diverse previsioni, nel foro del convenuto (art. 18 c.p.c.). Trattandosi di causa riguardante uno status personale, è necessario l'intervento del P.M., ai sensi dell'art. 70, n. 3, c.p.c.; ciò fa rientrare il procedimento in questione tra quelle in cui il Tribunale giudica in composizione collegiale (art. 50-bis, n. 1, c.p.c.).

Secondo quanto chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, tuttavia, benché nell'ipotesi in questione sia obbligatorio l'intervento del P.M., la mancanza di tale intervento non determina la nullità della decisione ove il P.M. sia stato, in ciascun grado del giudizio, ufficialmente informato dell'esistenza del procedimento, così da essere posto in grado di parteciparvi e di presentare le sue conclusioni, “atteso che non può costituire motivo di nullità il modo di intervento del P.M. o l'uso fatto da parte di tale organo del potere di intervento attribuitogli” (Cass. n. 13062/2000). La revoca, ove pronunciata dall'Autorità Giudiziaria, comporta il venir meno di tutti gli effetti generati dall'instaurarsi del rapporto adottivo (per cui, ad esempio, l'adottato perde il diritto al cognome dell'adottante, nonché i diritti successori sul patrimonio di quest'ultimo). Gli effetti si producono, tuttavia, solo con il passaggio in giudicato della sentenza di revoca (art. 309 c.p.c.).

Bibliografia

Astiggiano-Dogliotti, Le adozioni, Milano, 2014, 249 e ss.; Baviera, L'adozione speciale, Milano, 1982, 56); Bonilini, Manuale di diritto di famiglia, Torino, 2014, 401 e ss.; Cendon, sub art. 293 c.c., in Commentario al codice civile, Milano, 2010; Collura-Zatti, Trattato di diritto di famiglia, 2, Milano, 2012; Jannuzzi, Manuale della volontaria giurisdizione, Milano, 1984, 332.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario