Codice Civile art. 485 - Chiamato all'eredità che è nel possesso di beni.Chiamato all'eredità che è nel possesso di beni. [I]. Il chiamato alla eredità, quando a qualsiasi titolo è nel possesso di beni ereditari, deve fare l'inventario entro tre mesi dal giorno dell'apertura della successione [456] o della notizia della devoluta eredità. Se entro questo termine lo ha cominciato ma non è stato in grado di completarlo, può ottenere dal tribunale del luogo in cui si è aperta la successione una proroga che, salvo gravi circostanze, non deve eccedere i tre mesi [7495 c.p.c.] 12. [II]. Trascorso tale termine senza che l'inventario sia stato compiuto, il chiamato all'eredità è considerato erede puro e semplice. [III]. Compiuto l'inventario, il chiamato che non abbia ancora fatto la dichiarazione a norma dell'articolo 484 ha un termine di quaranta giorni da quello del compimento dell'inventario medesimo, per deliberare se accetta o rinunzia all'eredità. Trascorso questo termine senza che abbia deliberato, è considerato erede puro e semplice.
[1] Comma così modificato dall'art. 144 d.lgs. 19 febbraio 1998, n. 51. [2] A norma dell'art. 27, comma 2, lett. a), n. 1, del d.lgs. 13 luglio 2017, n. 116, la parola: «tribunale» è sostituita dalle seguenti: «giudice di pace»; ai sensi dell'art. 32, comma 3 del d.lgs. 116, cit., come da ultimo modificato dall'art. 8-bis, comma 1, lett. b), d.l. 30 dicembre 2019, n. 162, conv., con modif., in l. 28 febbraio 2020, n. 8, le disposizioni di cui all'art. 27 citato, entrano in vigore il 31 ottobre 2025.
InquadramentoI termini per la formazione dell'inventario sono diversamente fissati dagli artt. 485 e 487 a seconda che il chiamato all'eredità sia o meno in possesso di beni ereditari. Si ritiene che il legislatore abbia inteso riferirsi «ad un possesso materiale o di fatto, comprensivo anche della detenzione» (Ferri, in Comm. S. B., 336), sul rilievo che la norma parla di possesso «a qualsiasi titolo» (Prestipino, 267; Lorefice, 278). La S.C. è parimenti ferma nel ribadire che il possesso in discorso si esaurisce in una mera relazione materiale tra chiamato e beni (Cass. n. 7076/1995; Cass. n. 4707/1994; Cass. n. 4835/1980; Cass. n. 1301/1977). È possessore anche il comproprietario, il quale abbia come tale il possesso (Cass. n. 5152/2012). Ha rilievo non solo il possesso, ma anche il compossesso (Cass. n. 6167/2019; Cass. n. 2911/1998; Cass. n. 1325/1993; Cass. n. 1590/1967). È sufficiente il possesso anche di un solo bene (Ferri, in Comm. S. B., 337; Grosso e Burdese, in Tr. Vas., 305; Lorefice, 279). Concorda la S.C. (Cass. n. 7836/2009; Cass. n. 11018/2008; Cass. n. 4707/1994; Cass. n. 3175/1979). Esso deve avere un valore non irrilevante (Cass. n. 2324/1967). Si richiede che il chiamato abbia consapevolezza dell'appartenenza del bene alla massa ereditaria; in caso contrario trova applicazione l'art. 487 (Grosso e Burdese, in Tr. Vas., 308; Cicu, in Tr. C. M., 185; Lorefice, 279; Ferri, in Comm. S. B., 338). In giurisprudenza, similmente, si afferma che per l'esercizio del possesso di cui all'art. 485 è «necessaria la consapevolezza che si tratti di beni appartenenti al relictum ereditario» (Cass. n. 2067/1964; conf. Cass. n. 4707/1994; Cass. n. 4835/1980; Cass. n. 3175/1979; Cass. n. 1301/1977). Secondo alcuni occorrerebbe altresì la volontarietà del possesso, sicché esso andrebbe configurato come vero e proprio atto giuridico, perciò soggetto all'art. 428 in punto di vizi del volere (Grosso e Burdese, in Tr. Vas., 309; Lorefice, 279). La S.C. non dà però rilievo al requisito della volontarietà (Cass. n. 3175/1979). In giurisprudenza è stato affermato che il possesso non ha un limite minimo di durata, ma può estendersi anche per un giorno soltanto (Cass. n. 1317/1984). In contrario è stato osservato che, dismesso il possesso dei beni nel trimestre, troverebbe immediata applicazione, ex art. 528, la nomina di un curatore dell'eredità giacente, «la cui amministrazione non può coesistere con l'onere dell'inventario a carico del chiamato» (Grosso e Burdese, in Tr. Vas., 306). La dottrina è pure concorde nel ritenere che il chiamato rimane assoggettato alla disciplina dettata dall'art. 485 anche se entri in possesso di beni ereditari successivamente alla morte del de cuius. Tuttavia, in tal caso, il termine per la formazione dell'inventario inizia a decorrere dal momento in cui il possesso ha avuto inizio (Cicu, in Tr. C. M., 187; Grosso e Burdese, in Tr. Vas., 308; Ferri, in Comm. S. B., 338; in giurisprudenza Cass. n. 15587/2023). Si segnala che l'art. 27 d.lgs. n. 116/2017, ha attribuito al giudice di pace la competenza all'adozione dei provvedimenti di cui agli artt. 485, comma 1, secondo periodo, 620, commi 2 e 6, e 621, comma 1. Ciò a far data dal 31 ottobre 2025, ai sensi dell'art. 32, comma 3, stesso d.lgs. n. 116/2017. Il possessore non chiamato o chiamato ulterioreUn caso particolare si ha quando, all'apertura della successione, vi sia un possessore non chiamato (si pensi al legittimario pretermesso) o chiamato ulteriore e, successivamente, si verifichi o divenga attuale nei suoi confronti la vocazione ereditaria. In tal caso, il termine di cui all'art. 485, secondo un primo indirizzo, non può che decorrere dal momento in cui egli ha avuto conoscenza dell'attualità della sua vocazione (Grosso e Burdese, in Tr. Vas., 310). La S.C., con riguardo ai chiamati ulteriori, è pervenuta all'opposta soluzione (Cass. n. 5152/2012). Per obiezioni v. Di Marzio, 180. I termini per la formazione dell'inventarioIl chiamato all'eredità può essere o non essere in possesso dei beni ereditari. La dichiarazione di accettazione beneficiata può precedere o seguire la formazione dell'inventario. Da ciò derivano le ipotesi che la legge, agli artt. 485 e 487, contempla. Il chiamato, se è nel possesso, deve fare l'inventario — ossia ha l'onere di fare l'inventario, salvo a diventare erede puro e semplice — nel termine di tre mesi che decorrono dal giorno dell'apertura della successione o della notizia della devoluta eredità. Ai fini della verifica del decorso del termine di decadenza dell'erede dal beneficio d'inventario, rileva la data di redazione dello stesso e non quella del suo inserimento nel registro delle successioni (Cass. n. 19838/2019). Trascorso tale termine, è considerato erede puro e semplice e, se la mancata confezione dell'inventario sia dipesa da negligenza del notaio incaricato, egli potrà essere chiamato a rispondere dei debiti ereditari (Cass. n. 985/1973). E cioè, l'immissione in possesso dei beni ereditari non comporta accettazione tacita dell'eredità, poiché non presuppone necessariamente, in chi la compie, la volontà di accettare, cionondimeno, se il chiamato nel possesso o compossesso anche di un solo bene ereditario non forma l'inventario nel termine di tre mesi decorrenti dal momento di inizio del possesso, viene considerato erede puro e semplice; tale onere condiziona, non solo, la facoltà di accettare con beneficio d'inventario, ma anche quella di rinunciare all'eredità in maniera efficace nei confronti dei creditori del de cuius (Cass. II, n. 15690/2020). Poiché il possesso di beni ereditari da parte del chiamato alla eredità e l'infruttuoso decorso del termine per il compimento dell'inventario fanno acquistare ipso iure la qualità di erede puro e semplice, «verificatasi tale situazione, è inefficace, nei confronti dei creditori dell'eredità, la rinunzia fatta in epoca successiva» (Cass. n. 2324/1967). A fronte dell'espressa previsione dell'art. 485 nonché di quella dell'art. 487 la S.C. ha affermato che il chiamato dovrebbe completare l'inventario nei tre mesi successivi alla pronuncia del decreto con il quale il giudice, ex art. 769 c.p.c., nomina il soggetto incaricato, e non alla data della dichiarazione (Cass. n. 5407/2012, la quale richiama erroneamente Cass. n. 6871/1999; obiezioni in Di Marzio, 180). Il termine, fissato a mesi, si computa ex nominatione dierum, ai sensi dell'art. 2963. Il termine di quaranta giorni di cui all'art. 487 si computa invece ex numeratione dierum, con decorrenza non dalla scadenza del termine trimestrale, ma dalla data di completamento dell'inventario, ossia dall'ultima seduta, con la quale l'ufficiale procedente, effettuato l'interpello di cui all'art. 192 disp. att. c.p.c., abbia dichiarato chiuse le operazioni l'inventario. La prorogaLa legge fissa il termine di tre mesi per la redazione dell'inventario tanto nel caso che l'erede sia in possesso di beni ereditari, quanto nel caso che non ne sia in possesso, ma abbia fatto la dichiarazione di accettazione beneficiata. Se, invece, il chiamato non sia in possesso dei beni ereditari e non abbia fatto la dichiarazione, potrà compiere l'inventario nel termine che vorrà, entro i limiti della prescrizione del diritto di accettare, sebbene, una volta completata l'erezione, debba deliberare sul da farsi entro quaranta giorni. Nei primi due casi può presentarsi la necessità di un tempo maggiore. A ciò provvede l'art. 485, comma 1, cui rinvia anche l'art. 487, comma 2. Il termine trimestrale previsto dall'art. 485, proprio perché prorogabile, deve essere considerato ordinatorio. Due sono le condizioni necessarie per la proroga: a) l'inventario deve essere cominciato; b) l'istante non deve essere stato in grado di completarlo. Sotto il primo profilo, l'inventario è cominciato quando è stato elencato almeno un bene ereditario (Trib. Roma 12 luglio 1999). Quanto al secondo aspetto, occorre che sussistano fatti tali da giustificare la proroga (App. Lecce 22 novembre 1957). E, così, si può pensare alle dimensioni del patrimonio da inventariare, a difficoltà di ricostruirne l'assetto, all'esistenza di beni all'estero. Il giudice, nel concedere la proroga, «terrà conto delle operazioni che ancora residuano e delle difficoltà che esse comportano, sentendo, oltre il chiamato, anche gli eventuali interessati» (Natoli, 235). La competenza a concedere la proroga, alla luce della modifica all'art. 485 apportata dall'art. 144 d.lgs. n. 51/1998, spetta al tribunale del luogo dell'aperta successione, in composizione monocratica (art. 51-bis disp. att.). Si tratta di competenza territoriale inderogabile, onde il provvedimento reso da un giudice diverso è radicalmente nullo e non salva la parte dalla decadenza dal beneficio (Cass. n. 237/1937). In punto di procedimento, trova applicazione l'art. 749 c.p.c., sulla fissazione e proroga dei termini (Lorefice, 280; Ferri, in Comm. S. B., 339). Si è ritenuto che, nel formulare la richiesta di proroga, debba trovare applicazione il principio generale desumibile dall'art. 154 c.p.c., secondo cui la proroga del termine ordinatorio può essere chiesta solo prima della sua scadenza (Cass. n. 10174/1998). Secondo un punto di vista giurisprudenziale assolutamente prevalente, il termine fissato con il provvedimento di proroga — a differenza del termine originario, che è ordinatorio — è perentorio e la proroga, perciò, non può essere che una e una soltanto. È riconosciuto, dunque, il principio della inammissibilità di una seconda proroga (Cass. n. 1082/1963; Cass. n. 2674/1975; Cass. n. 3665/1975; Cass. n. 343/1971; Cass. n. 2033/2010) La tesi è condivisa dalla dottrina (Cicu, in Tr. C. M., 194; Grosso e Burdese, in Tr. Vas., 271; Prestipino, 271; Lorefice, 280; Ferri, in Comm. S. B., 339). Seguendo il ragionamento di Cass. n. 751/1970 dovrebbe però ammettersi la revocabilità e modificabilità del provvedimento di concessione della proroga e, in tal modo, la concessione di una proroga più ampia di quella inizialmente riconosciuta. Natura del meccanismo di acquisto della qualità di erede puro e sempliceIl legislatore, agli artt. 485 e 487, utilizza la formula «il chiamato è considerato erede puro e semplice» per il caso che egli non eriga l'inventario in termine, ovvero, avendolo eretto, non faccia seguire in termine la dichiarazione. In dottrina si discute se, per effetto dell'espressione utilizzata, si debba configurare un meccanismo di accettazione tacita, implicita nella condotta posta in essere dal chiamato, ovvero una fattispecie legale di acquisto automatico della qualità di erede puro e semplice: in definitiva, cioè, ci si domanda se gli artt. 485 e 487 configurino o meno un modo di acquisto della qualità di erede diverso dall'accettazione. Secondo la tesi più convincente, non par dubbio che qui manca del tutto il comportamento o contegno concludente che costituisce il fondamento dell'accettazione tacita o implicita; bisognerebbe altrimenti ammettere che un contegno, che non è concludente, diventi tale per una circostanza del tutto estrinseca, quale è il decorso del tempo (Ferri, in Comm. S. B., 341). In definitiva, la legge «eccezionalmente prevede singole fattispecie in cui l'acquisto si verifica automaticamente, indipendentemente da un atto di volontà del chiamato» (Prestipino, 266). La giurisprudenza ha conformemente affermato che «l'acquisto della qualità di erede può... avvenire ipso iure per il solo effetto di una situazione giuridica obiettivamente considerata, e, quindi, indipendentemente da un'accettazione vera e propria, espressa o tacita» (Cass. n. 1590/1967), ovvero ha visto nel disposto degli artt. 485 e 487 un meccanismo che fa «acquistare ipso iure la qualità di erede puro e semplice, indipendentemente da una manifestazione di volontà da parte del soggetto» (Cass. n. 2324/1967), o, ancora, ha accennato ad una «accettazione cosiddetta legale, ex art. 485, non riconducibile ad una presunzione di volontà e che, anzi, prescinde dall'effettivo volere» (Cass. n. 1850/1971). A detta ricostruzione può ascriversi il principio secondo cui nel giudizio promosso o proseguito nei confronti dell'erede del debitore, che sia nel possesso dei beni ereditari ed abbia eccepito l'avvenuta rinuncia all'eredità, il creditore non deve proporre alcuna domanda volta all'accertamento dell'inefficacia di detta rinuncia, per essere la stessa intervenuta dopo la scadenza del termine previsto dall'art. 485 giacché la prova dell'inutile decorso di tale termine, senza che l'inventario sia stato redatto, implica che il chiamato all'eredità debba essere considerato erede puro e semplice e determina, di per sé, l'inefficacia della rinuncia medesima (Cass. n. 6275/2017). Non mancano però decisioni in cui, seguendo l'opposto orientamento, si afferma che l'art. 485 contemplerebbe un caso di accettazione presunta ex lege (Cass. n. 2663/1999; Cass. n. 1325/1993; Cass. n. 3043/1983; Cass. n. 2191/1953). BibliografiaAzzariti, Martinez e Azzariti, Successioni per causa di morte e donazioni, Padova, 1973; Bianca, Cariota-Ferrara, Le successioni per causa di morte, Napoli, 1991; Di Marzio, L'accettazione dell'eredità con beneficio di inventario, Milano, 2013; Ferrario Hercolani, L'accettazione dell'eredità con beneficio d'inventario, in Tratt. dir. successioni e donazioni diretto da Bonilini, I, Milano, 2009; Giannattasio, Delle successioni. Successioni testamentarie, Torino, 1961; Lorefice, L'accettazione con beneficio d'inventario, in Rescigno (a cura di), Successioni e donazioni, I, Padova, 1994; Natoli, L'amministrazione dei beni ereditari, II, L'amministrazione nel periodo successivo all'accettazione dell'eredità, Milano, 1969; Prestipino, Delle successioni in generale, in Comm. c.c. diretto da De Martino, Roma 1981; Ravazzoni, Beneficio di inventario, in Enc. giur., I, Roma, 1988; Zaccaria, Rapporti obbligatori e beneficio di inventario, Torino, 1994. |