Codice Civile art. 531 - Inventario, amministrazione e rendimento dei conti.Inventario, amministrazione e rendimento dei conti. [I]. Le disposizioni della sezione II del capo V di questo titolo, che riguardano l'inventario, l'amministrazione e il rendimento di conti da parte dell'erede con beneficio d'inventario, sono comuni al curatore dell'eredità giacente, esclusa la limitazione della responsabilità per colpa [491]. InquadramentoLa disposizione in commento estende al curatore dell'eredità giacente le disposizioni poste in tema di amministrazione dell'erede beneficiato in quanto compatibili. L'erede beneficiato, ai sensi dell'art. 493, deve munirsi dell'autorizzazione giudiziale, pena la decadenza dal beneficio di inventario, per porre in essere ciascuno degli atti ivi menzionati e, più in generale, tutti gli atti di straordinaria amministrazione. Ma, nonostante il rinvio contenuto nell'art. 531, la disposizione non è come tale applicabile per intero al curatore dell'eredità giacente, per il quale parlare di decadenza dal beneficio non avrebbe senso. E, d'altronde, l'obbedienza degli atti di straordinaria amministrazione all'autorizzazione giudiziale — che, per l'erede beneficiato, si ricava in via interpretativa — è espressamente stabilita, per il curatore dell'eredità giacente, dall'art. 782, comma 2, c.p.c. Competente ad autorizzare gli atti di straordinaria amministrazione, con riguardo al curatore dell'eredità giacente, è il tribunale in composizione monocratica, salvo si tratti di vendita immobiliare, nel qual caso trova applicazione l'art. 783, comma 2, c.p.c. Quanto alla tipologia degli atti che il curatore può compiere, si ritiene comunemente che essa non incontri un limite nel citato art. 783 c.p.c., il quale contempla la sola ipotesi della vendita, mobiliare e immobiliare. Oltre a ciò, dunque, il curatore può, in generale, contrarre mutui, costituire garanzie, promuovere divisioni, riscuotere capitali. Ed ancora, si ritiene possa effettuare permute, concedere immobili in locazione ultranovennale, acquistare beni, assumere obbligazioni. Quanto agli effetti della mancanza di autorizzazione giudiziale di volta in volta necessaria al compimento dell'atto, si ritiene da taluni, argomentando dagli artt. 322 e 377, che essa comporti l'annullabilità del negozio posto in essere dal curatore, ad istanza sia di quest'ultimo — salva la sua eventuale responsabilità per aver agito contra legem —, sia degli altri interessati (Natoli, 282; Grosso-Burdese, in Tr. Vas. 1977, 214). Secondo altri, l'atto non autorizzato deve considerarsi nullo, in quanto l'autorizzazione si pone quale elemento costitutivo del potere conferito dalla legge al curatore (Ferri, in Comm. S.B. 1970, 173; Prestipino, in Comm. De M. 1981, 498). Attività del curatoreSecondo l'art. 783, comma 1, c.p.c., il curatore deve promuovere la vendita dei mobili nei trenta giorni dalla formazione dell'inventario. Lo scopo sembra essere quello di eliminare, in tal modo, il rischio di dispersione di quella parte del patrimonio più soggetta ad una simile eventualità e, dunque, di ridurre il contenuto della custodia posta a carico del curatore. Quanto al termine, si osserva che esso ha un carattere puramente esortativo, sicché, anche successivamente alla sua scadenza, nulla impedisce che la vendita sia effettuata. Se è previsto che i mobili debbano essere alienati dopo la formazione dell'inventario, non è da escludere, tuttavia, l'alienazione in corso della formazione dell'inventario e finanche prima di essa. Difatti, deve ritenersi applicabile alla situazione di giacenza l'art. 460, comma 2, attraverso il duplice rinvio degli artt. 531 e 486, nella parte in cui consente al chiamato di vendere, con l'autorizzazione giudiziale, i beni che non si possono conservare o la cui conservazione importa grave dispendio. Si è ora accennato che l'alienazione dei mobili costituisce per il curatore un obbligo, giacché — come si esprime l'art. 783, comma 1, c.p.c. — la vendita deve essere promossa. Ciò, però, non deve indurre a credere che essa possa essere compiuta senza autorizzazione giudiziale, in quanto la necessità di quest'ultima discende già dalla regola generale posta dall'art. 782, comma 2, c.p.c., il quale richiede l'autorizzazione giudiziale per tutti gli atti di straordinaria amministrazione, quale certamente è la vendita del patrimonio anche mobiliare. Il prezzo, in generale, non dovrà essere inferiore a quello stimato in inventario, sotto il quale si potrà scendere solo a seguito di tentativi di vendita infruttuosi, o in ragione di altre particolari circostanze. Quanto alla forma della vendita, trova applicazione l'art. 748 c.p.c., posto in tema di vendita di beni ereditari. A differenza della vendita dei mobili, che è normalmente obbligatoria, quella degli immobili può essere eseguita solo in caso di necessità o utilità evidente, ai sensi dell'art. 783, comma 2, c.p.c. Si versa certamente in caso di necessità quando occorra estinguere passività ereditarie e non sia disponibile liquidità sufficiente, in particolar modo quando sia stata intrapresa la liquidazione concorsuale di cui al combinato disposto degli artt. 503 e 498. L'utilità evidente, invece, può configurarsi in innumerevoli eventualità che non è possibile fissare. É da ritenere che la vendita immobiliare richiede una doppia autorizzazione: quella del giudice monocratico di cui all'art. 782, comma 2, c.p.c. e quella del tribunale in composizione collegiale, che è competente all'autorizzazione ai sensi dell'art. 783, comma 2, c.p.c.. In altri termini, la regola posta dall'art. 782, comma 2, c.p.c., secondo la quale gli atti del curatore che eccedono l'ordinaria amministrazione debbono essere autorizzati dal giudice che esercita la vigilanza sulla procedura, ha carattere generale, e non è esclusa dalla previsione dell'art. 783, comma 2, c.p.c. Perciò, il curatore dovrà chiedere al giudice monocratico il consenso alla presentazione del ricorso per autorizzazione a vendere. È stato sostenuto che il curatore dell'eredità giacente non può provocare la divisione dell'eredità perché la divisione presuppone l'accettazione e questa, a sua volta, pone fine alla curatela giudiziale (Natoli, 275). Anche in giurisprudenza è stato affermato che la divisione presuppone l'accettazione (Cass. n. 2091/1974; Cass. n. 1628/1985). Questione controversa, è se il curatore dell'eredità giacente possa accettare l'eredità devoluta al de cuius, che sia deceduto ancora ricoprendo la posizione di chiamato. Secondo alcuni egli non potrebbe accettare, perché tale potere spetta agli eredi del de cuius (Ferri, in Comm. S.B. 1970, 175). Sul versante opposto si colloca l'opinione di chi ha affermato che il diritto di accettare l'eredità ha essenzialmente contenuto patrimoniale e, perciò, entra a far parte dell'asse ereditario (Natoli, 286). Occorre ancora domandarsi se sia ammissibile la prosecuzione dell'impresa caduta in successione ad opera del curatore dell'eredità giacente. La dottrina non dubita che il curatore possa provvedere affinché l'impresa continui la sua attività produttiva, «per evitare all'eredità il danno quasi sempre inerente ad una liquidazione della medesima» (Ferri, in Comm. S.B. 1970, 174; analogamente Grosso-Burdese, in Tr. Vas. 1977, 213; Prestipino, in Comm. De M. 1981, 496). Rendiconto e responsabilità del curatoreDi rendiconto, nella disciplina dell'eredità giacente, si parla, oltre che nell'art. 531, negli artt. 782 c.p.c. e 529. Si tratta, però, di ipotesi distinte. Ai sensi dell'art. 782 c.p.c., il giudice può in ogni momento ordinare al curatore la presentazione del conto della gestione. E condivisibilmente la dottrina non dubita che l'espressione utilizzata dal legislatore — «presentazione dei conti» — sia da intendere quale sinonimo di rendiconto. Ciò allo scopo di verificare la regolarità e l'adeguatezza della sua amministrazione, in collegamento con il provvedimento di sostituzione, che il giudice, nell'esercizio del potere di vigilanza sulla procedura, può sempre assumere. Diversamente, ai sensi dell'art. 529, il curatore dell'eredità giacente, quale amministratore di interessi altrui, ha l'obbligo di rende conto della propria amministrazione a conclusione dell'incarico conferitogli — «da ultimo», come si esprime la norma —, quando la curatela si sia conclusa per il raggiungimento del suo esito fisiologico, ossia per l'accettazione dell'eredità da parte del chiamato. In questo caso, dunque, l'obbligo di rendiconto cui il curatore è soggetto, rimanendovi estraneo il giudice, opererebbe nei confronti dell'erede, al quale esso andrebbe reso (Trib. Milano 28 dicembre 1964). Sembra viceversa da ritenere che il conto debba essere reso al giudice in contraddittorio con l'erede, nel quadro della chiusura della procedura ed in vista della liquidazione del compenso. Attraverso il rinvio contenuto nell'art. 531, trova applicazione, anche con riguardo all'eredità giacente, l'art. 496, il quale prevede la fissazione di un termine all'erede beneficiato, ad opera del giudice chiamato a vigilare sulla procedura per la presentazione del conto. Procedimento, quest'ultimo, che è regolato dall'art. 749 c.p.c. Legittimato a chiedere il rendiconto è certamente l'erede, una volta che abbia accettato (Trib. Milano 28 dicembre 1964; Natoli, 310). Ma, aggiunge la dottrina, devono ritenersi altresì legittimati i creditori e legatari rimasti insoddisfatti, anche durante la gestione, nonché l'esecutore testamentario (Natoli, 310). BibliografiaCapozzi, Successioni e donazioni, Milano, 2009; Natoli, L'amministrazione dei beni ereditari, I, L'amministrazione durante il periodo antecedente all'accettazione dell'eredità, Milano, 1968; Trimarchi, L'eredità giacente, Milano, 1954. |