Codice Civile art. 590 - Conferma ed esecuzione volontaria di disposizioni testamentarie nulle.

Mauro Di Marzio

Conferma ed esecuzione volontaria di disposizioni testamentarie nulle.

[I]. La nullità della disposizione testamentaria [137 trans.], da qualunque causa dipenda, non può essere fatta valere da chi, conoscendo la causa della nullità, ha, dopo la morte del testatore, confermato la disposizione o dato ad essa volontaria esecuzione [799, 1423, 1444].

Inquadramento

L'art. 1423, intitolato « inammissibilità della convalida », stabilisce che: «Il contratto nullo non può essere convalidato, se la legge non dispone diversamente » (art. 1423). Tra i casi in cui la legge dispone diversamente, particolare rilievo riveste l'ipotesi contemplata dalla norma in commento, che, sotto la rubrica « conferma ed esecuzione volontaria di disposizioni testamentarie nulle», stabilisce che la nullità della disposizione testamentaria, da qualunque causa dipenda, non può essere fatta valere da chi, conoscendo la causa della nullità, ha, dopo la morte del testatore, confermato la disposizione o dato ad essa volontaria esecuzione.

A tal riguardo è stato osservato che la norma reca « una disposizione tra le meno comprensibili e coerenti dell'intero panorama normativo» (Bigliazzi Geri, 1993, 165), dal momento che essa chiama in questione la discussa nozione di sanatoria del negozio nullo, ponendosi così in dubbio lo stesso collegamento di essa con la regola generale stabilita dal citato art. 1423.

In realtà, lo scrutinio del dato giurisprudenziale consente di porre in secondo piano il dibattito dottrinale, qui non risolutivo, e di chiarire le principali questioni.

La conferma del testamento nullo

Occorre anzitutto dire, allora, che la S.C .non dubita — la stessa affermazione è contenuta in Cass. n. 1794/1965; Cass. n. 719/1965 — della collocazione della conferma ed esecuzione volontaria di disposizioni testamentarie nulle quale eccezione alla regola dell'inammissibilità della convalida delle nullità negoziali: « L'art. 590, in deroga al principio generale sancito dall'art. 1423 dello stesso codice, ammette la possibilità della sanatoria del testamento invalido, sia mediante conferma espressa della disposizione, sia mediante volontaria esecuzione di essa, da parte di chi conosca la causa della nullità. Nel primo caso, la convalida ha luogo quando in un atto, per il quale non sono, tuttavia, richieste forme solenni, si faccia menzione della disposizione e dei vizi che l'affettano, e si dichiari di volerla convalidare; nel secondo caso, invece, la convalida opera indirettamente, per facta concludentia, e cioè attraverso un comportamento di attuazione della disposizione invalida, in modo da determinare volontariamente, rispetto ai beni ereditari, lo stesso mutamento della situazione giuridica che si sarebbe prodotto se il testamento non fosse stato nullo » (Cass. n. 535/1968).

Va poi sottolineato che, nonostante l'ampia formula utilizzata dal legislatore, che ha inteso riferirsi alla « nullità della disposizione testamentaria, da qualunque causa dipenda » (art. 590), occorre senz'altro un minimum in mancanza del quale nessuna conferma e configurabile. Così, perché possa realizzarsi la fattispecie considerata dall'art. 590 è necessario che una vera e propria volontà testamentaria vi sia. A tal proposito si trova in generale ha affermato che l'art. 590 al fine di salvaguardare la volontà del defunto nell'ottica del favor testamenti consente la convalida delle disposizioni testamentarie nulle, da qualunque causa la nullità dipenda, «cioè sia da ragioni di forma (es. mancanza della sottoscrizione, sia pure dovuta a mera distrazione o a circostanze fortuite o a ignoranza circa la sua essenzialità, testamento nuncupativo), che di sostanza (es. incapacità naturale o legale del testatore, vizi della volontà), tranne i casi in cui manchi in rerum natura una volontà dispositiva del de cuius (come avviene in caso di testamento falso) o una clausola testamentaria contenga disposizioni contrarie all'ordine pubblico o al buon costume, mentre è ammessa la convalida di disposizioni nulle perché illegali, in quanto contrarie a norme imperative proibitive» (Cass. n. 719/1965). Ineccepibile, dunque, il principio secondo cui l'art. 590 c.c., nel prevedere la possibilità di conferma od esecuzione di una disposizione testamentaria nulla da parte degli eredi, presuppone, per la sua operatività, l'oggettiva esistenza di una disposizione testamentaria che sia comunque frutto della volontà del de cuius, sicché detta norma non trova applicazione in ipotesi di accertata sottoscrizione apocrifa del testamento, la quale esclude in radice la riconducibilità di esso al testatore (Cass. II, n. 10065/2020).

Sulla base di questa impostazione — che si rinviene altresì in Cass. n. 1689/1964 — è stato stabilito che non si dà conferma se la volontà testamentaria sia invece ab origine mancante, come nel caso della dichiarazione recante non già un testamento ma un semplice progetto di testamento: « Di fronte ad una scheda contenente disposizioni di ultima volontà, non olografa e non sottoscritta, il giudice del merito deve accertare se essa contenga una dichiarazione di volontà soltanto espressa, ossia completa nella formazione del suo testo, o altresì emessa, ossia resa dal dichiarante ed utilizzabile nell'ambiente sociale in quanto distaccata dalla di lui sfera soggettiva: solo in quest'ultimo caso potrà ravvisarsi una disposizione testamentaria, nulla bensì ex art. 606, ma convalidabile ex art. 590, e non un semplice progetto di testamento, non convalidabile » (Cass. n. 3254/1976).

Naturalmente analoghe regole devono trovare applicazione in qualsiasi ipotesi di mancanza originaria della volontà: violenza fisica, riserva mentale, simulazione assoluta ecc. La mancanza della volontà testamentaria può essere altresì sopravvenuta, come nel caso in cui il testatore abbia provveduto alla revoca del testamento: « L'art. 590, che prevede la possibilità di convalida delle disposizioni testamentarie nulle ad opera di colui che, conoscendo la causa della nullità ha, dopo la morte del testatore, confermato la disposizione o dato ad essa volontaria esecuzione, non si applica ove manchi del tutto la volontà del testatore e la stessa apparenza di un testamento, ovvero sia certa e valida una volontà testamentaria contraria al testamento che si vorrebbe confermare (e cioè nel caso di testamento revocato) » (Cass. n. 2958/1972).

Lo stesso ragionamento va compiuto, nonostante qualche dissenso dottrinale, con riguardo all'ipotesi di revoca presunta ai sensi dell'art. 684, secondo il quale si considera revocato il testamento olografo distrutto, lacerato o cancellato. Viceversa, è stata messa la conferma della disposizione colpita da revoca per sopravvenienza di figli, ex art. 687, ben potendo gli interessati fa propria la disposizione testamentaria in questione (Cass. n. 2958/1972; Cass. n. 1192/1956; contra Cass. n. 3298/1954). Più articolato parrebbe il discorso da svolgere con riguardo al testamento falso. Un testamento ideologicamente o materialmente falso sembrerebbe senz'altro soggetto alla regola secondo cui, se in radice non vi è volontà testamentaria, non vi può essere conferma. In tal senso — secondo l'impostazione cui sembra da ricondurre Cass. n. 719/1965 — è da intendere la massima secondo cui: « La convalida del testamento è ammissibile, a norma dell'art. 590, tanto nell'ipotesi di nullità formali (annoverando tra esse quella della mancanza di sottoscrizione dell'olografo e perfino quella del testamento nuncupativo ossia della mancanza assoluta di scrittura), quanto nell'ipotesi di nullità attinenti alla sostanza dell'atto (quali l'incapacità naturale o legale del testatore e i vizi della volontà), ma non può essere invocata in caso di nullità che se accertata determinerebbe addirittura l'inesistenza dell'atto ad ogni effetto giuridico. Ne consegue che il testamento dichiarato falso non può essere convalidato, perché la dichiarazione di falsità elimina totalmente dal modo del diritto l'atto di ultima volontà, di guisa che questo è completamente inidoneo ad ogni effetto, anche a dimostrare che una volontà testamentaria c'era » (Cass. n. 1689/1964). Nel caso in cui, invece, la falsità attenga alla sottoscrizione, l'applicazione dell'art. 590 non è in ogni frangente esclusa: appare infatti suscettibile di conferma un ipotetico testamento olografo che il testatore abbia per pura dimenticanza omesso di sottoscrivere ed in calce al quale sia stata poi apposta da un terzo una sottoscrizione falsa. In tal caso, infatti, sembra potersi riscontrare una volontà testamentaria oggetto di conferma, non apparendo risolutiva la falsità della sottoscrizione.

Diverso il caso in cui il testatore non abbia sottoscritto per non essersi ancora consolidata la sua volontà testamentaria: è questa, invero, un'ipotesi analoga a quella del progetto di testamento, il quale ancora non contiene una volontà testamentaria definitivamente formatasi. Se si condivide l'opinione esposta — per la quale si veda Caramazza, in Comm. De M. 1982, 48 — non sembra del tutto persuasiva l'affermazione secondo cui: « In tema di nullità del testamento olografo, la finalità del requisito della sottoscrizione, previsto dall'art. 602 distintamente dall'autografia delle disposizioni in esso contenute, ha la finalità di soddisfare l'imprescindibile esigenza di avere l'assoluta certezza non solo della loro riferibilità al testatore, già assicurata dall'olografia, ma anche dell'inequivocabile paternità e responsabilità del medesimo che, dopo avere redatto il testamento — anche in tempi diversi — abbia disposto del suo patrimonio senza alcun ripensamento; d'altra parte, nel caso in cui sia accertata la non autenticità della sottoscrizione apposta al testamento, non può trovare applicazione l'art. 590 che, nel consentirne la conferma o l'esecuzione da parte degli eredi, presuppone l'oggettiva esistenza di una disposizione testamentaria che, pur essendo affetta da nullità, sia comunque frutto della volontà del de cuius » (in giurisprudenza Cass. n. 13487/2005).

Più corretto, invece, sembra il ragionamento svolto dalla pronuncia che segue, la quale — quantunque non esattamente riferita all'ipotesi di falsità — sottolinea l'esigenza di verificare di volta in volta la sussistenza della volontà testamentaria: « Nell'ipotesi di uno scritto il cui contenuto integri oggettivamente delle disposizioni mortis causa, e che sia stato bensì redatto dal de cuius ma non sia stato da lui sottoscritto, la sanatoria ex art. 590 non può essere esclusa o ammessa a priori ed incondizionatamente, ma occorre di volta in volta indagare, con riferimento alle peculiarità del caso concreto, se la scheda è tale da implicare una manifestazione attuale, seria e definitiva di ultima volontà; all'uopo utili elementi di giudizio possono essere desunti, oltre che dalla considerazione dei dati estrinseci della scheda (quali, ad es. le caratteristiche del foglio e degli altri mezzi usati per compilarla, la maggiore o minore accuratezza e precisione dello scritto, dal punto di vista stilistico e grafico) anche e soprattutto dal contenuto intrinseco delle disposizioni, di cui dovrà valutarsi la congruità, compiutezza ed organicità, tenuto conto della data che risulti eventualmente apposta sulla scheda, delle condizioni in cui pro tempore versava il de cuius, nonché di altri elementi inerenti alla condizione familiare e sociale, al grado di cultura, alla mentalità, al temperamento ed all'orientamento effettivo del medesimo » (Cass. n. 2137/1961).

Secondo un'uniforme orientamento giurisprudenziale, inoltre, può essere confermato il testamento orale, o nuncupativo (Cass. n. 719/1965; Cass. n. 1689/1964; Cass. n. 1476/1941; App. Napoli 3 maggio 1989; Trib. S. Maria Capua Vetere 28 giugno 1955; indirettamente v. pure Cass. n. 6313/1996, in tema di responsabilità del notaio per aver rogato l'atto di conferma del testamento orale; contra sul punto App. Brescia 20 luglio 1995, Trib. Bergamo 7 novembre 1994).

Una risposta articolata, poi, va data al quesito concernente l'ammissibilità della conferma delle disposizioni testamentarie illecite. In linea di principio si trova affermato che: « L'art. 590 non può trovare applicazione quando la nullità della disposizione testamentaria dipenda dalla contrarietà della disposizione stessa all'ordine pubblico, essendo la detta norma operante solo in quelle ipotesi in cui il testatore, con un suo valido atto di volontà, potrebbe realizzare quel risultato pratico che intende raggiungere, e non anche quando il fine da lui perseguito non potrebbe essere direttamente raggiunto perché vietato dalla legge come illecito. Conseguentemente, l'esecuzione volontaria di una disposizione testamentaria contenente un fedecommesso de residuo vietato ai sensi dello art. 692 è priva di effetti » (Cass. n. 389/1970). La stessa regola — parimenti applicata con riguardo al fedecommesso de residuo da Cass. n. 2874/1973; Cass. n. 368/1969; Cass. n. 129/1964 — si trova ribadita in riferimento alla costituzione in dote (Cass. n. 1079/1957; App. Palermo 26 febbraio 1955), ma negata in tema di divieto di usufrutto successivo: « A norma dell'art. 590, sono convalidabili anche le disposizioni testamentarie nulle, contrarie a norme di ordine pubblico, a condizione che il negozio di convalida non risulti anch'esso in contrasto con tali precetti e non sia, quindi, a sua volta nullo, o inidoneo a produrre l'effetto (eliminazione della nullità delle disposizioni testamentarie) previsto dall'art. 590. Pertanto, sebbene la disposizione testamentaria con cui il de cuius attribuisca l'usufrutto di un immobile ad un determinato soggetto e successivamente ad altra persona già vivente al momento dell'apertura della successione sia nulla perché in contrasto con il divieto dell'usufrutto successivo, non può, tuttavia, considerarsi nullo il negozio che, a norma dell'art. 590, confermi siffatta disposizione, in quanto la legge si limita a vietare che l'usufrutto successivo sia costituito mediante testamento o donazione (salva l'eccezione prevista dall'art. 796), ma non estende tale divieto agli atti tra vivi diversi dalla donazione, tra i quali si inquadra il negozio di convalida, ed in quanto non contrasta con l'essenza dell'usufrutto ed il suo carattere di temporaneità la costituzione o il riconoscimento di un usufrutto successivo in favore di più persone fisiche già tutte viventi, qualora a ciò si faccia luogo con un negozio inter vivos diverso dalla donazione, giacché in tal caso la durata dell'usufrutto risulta predeterminata e limitata in funzione della durata della vita del più longevo tra i successivi beneficiari » (Cass. n. 1024/1962).

Non si dubita, in giurisprudenza, che il meccanismo della conferma non trovi applicazione nei confronti delle disposizioni non già affette da nullità, bensì recanti lesione della legittima: « La conferma della disposizione testamentaria o la volontaria esecuzione di essa non opera rispetto alle disposizioni lesive della legittima, in quanto gli effetti convalidativi di cui all'art. 590 si riferiscono alle disposizioni testamentarie nulle, mentre tali non sono quelle lesive della legittima, essendo soltanto soggette a riduzione (cioè, suscettibili di essere dichiarate inefficaci nei limiti in cui sia necessario per integrare la quota di riserva). Pertanto, l'esecuzione volontaria di per sé non preclude al legittimario l'azione di riduzione, salvo che egli abbia manifestato anche tacitamente la volontà di rinunziare all'integrazione della legittima. L'esistenza di una rinunzia tacita può desumersi anche attraverso un complesso di elementi concordanti da cui emerga che la parte interessata abbia avuto la consapevolezza dell'esorbitanza della disposizione testamentaria dai limiti della porzione disponibile e tuttavia abbia eseguito integralmente la disposizione medesima » (Cass. n. 2771/1971, sulla cui scia può da ultimo rammentarsi Cass. n. 168/2018, recante cassazione della decisione che aveva ritenuto che l'immissione del legittimario nel godimento dei beni legatigli costituisse rinuncia tacita all'azione di riduzione).

Lo stesso principio — già in precedenza affermato da Cass. 3 gennaio 1966, n. 3, TNap, 1966, I, 71; Cass. 9 ottobre 1957, n. 3672, inedita — è stato ribadito anche in tempi meno remoti, in ossequio ad un'analoga impostazione: « L'esecuzione volontaria delle disposizioni testamentarie lesive della legittima non preclude al legittimario l'azione di riduzione salvo che egli non abbia manifestato in modo non equivoco la volontà di rinunciare a far valere la lesione » (Cass. n. 8611/1995). Neppure può essere oggetto di conferma il codicillo, nella misura in cui esso non contiene una determinata volontà testamentaria: « Il codicillo di un testamento, che non contiene disposizioni a causa di morte ma semplici raccomandazioni ed indicazioni per le attribuzioni che altri sarebbe andato a compiere se lo avesse voluto, difetta dei requisiti necessari per potere essere oggetto di spontanea esecuzione da parte di colui o coloro che siano istituiti eredi, per cui non può trovare applicazione l'art. 590 » (App. Roma 11 novembre 1999).

Quanto alle disposizioni annullabili, sebbene taluno propenda per l'applicabilità dell'art. 590, va detto che l'ipotesi va ricondotta alla convalida del negozio annullabile, espressamente prevista dall'art. 1444. Nondimeno la giurisprudenza tende ad evidenziare la prossimità delle due figure: « L'art. 590, il quale, al pari di quanto stabilisce in tema di contratti l'art. 1444, dal quale si distingue unicamente per il fatto che questo è applicabile ai soli casi di annullabilità (quello è invece applicabile a tutte le ipotesi di nullità da qualunque causa derivante), richiede che il soggetto, a cui spettava l'azione di annullamento, abbia confermato la disposizione testamentaria viziata o vi abbia dato volontaria esecuzione, conoscendo il motivo di invalidità e ponendo in essere un comportamento inconciliabile con la volontà di impugnarla » (Cass. n. 1403/1970). Passando all'individuazione del soggetto titolare della facoltà di convalida, va rammentato che essa spetta a chi sia investito della titolarità e del potere di disposizione del diritto: « L'esecuzione volontaria della disposizione testamentaria nulla deve essere attuata esclusivamente da chi sia investito della titolarità e del potere di disposizione del diritto » (Cass. n. 535/1968).Ergo , la legittimazione al negozio di conferma o di convalida, anche sotto forma di esecuzione volontaria, della disposizione testamentaria nulla sussiste solo in capo a chi dall'accertamento giudiziale della invalidità trarrebbe un vantaggio che si sostanzi nel riconoscimento di diritti (o di maggiori diritti) oppure nell'accertamento della inesistenza di determinati obblighi testamentari; essa non sussiste, quindi in capo al legatario con riferimento al testamento che lo gratifica, rispetto al quale egli è portatore di un interesse opposto all'invalidità del testamento stesso, con la conseguenza che questi, solo qualora sia divenuto erede dell'erede onerato, potrà proseguire l'impugnativa del testamento già proposta dal proprio dante causa o iniziarla autonomamente, senza trovare alcuna preclusione nel conseguimento del legato (Cass. II, n. 28602/2020).La giurisprudenza non ha mancato di soffermarsi sull'ipotesi che la conferma venga posta in essere da alcuni soltanto dei soggetti titolari della relativa facoltà, nel qual caso i rimanenti ben possono far valere la nullità, rimanendo così caducata per tutti la disposizione nulla: « La conferma della disposizione testamentaria invalida posta in essere da alcuni soltanto dei soggetti legittimati ad impugnarla, se preclude ai medesimi di far valere ulteriormente l'invalidità, non impedisce che il medesimo vizio possa essere fatto valere dagli altri legittimati che non l'abbiano posta in essere, con la conseguenza che con la declaratoria della nullità o dell'annullamento della disposizione, questa — essendo insuscettibile di sanatoria soggettivamente parziale — resta caducata, con effetto retroattivo, anche nei confronti dei soggetti che la confermarono, e che la vocazione ereditaria in esso contenuta deve considerarsi tamquam non esset, pure se il de cuius abbia disposto delle sue sostanze in parte a favore di una o più persone non successibili per legge e in parte a beneficio di uno o più soggetti contemplati nell'art. 565 » (Cass. n. 4923/1980).

Quanto all'attuazione della conferma, vale anzitutto osservare che essa non dà luogo ad un autonomo atto di liberalità in favore del beneficiario, ma rende soltanto operante la disposizione testamentaria nulla: « Il negozio di convalida di una disposizione testamentaria nulla non integra una donazione o un atto di liberalità, in quanto la sua causa e la sua intima essenza va individuata in funzione dell'intento di eliminare la nullità da cui è inficiata la disposizione testamentaria e di conferire ad essa validità ed efficacia. Il negozio di convalida non implica una nuova ed autonoma attribuzione patrimoniale, in quanto questa si verifica in forza della disposizione convalidata » (Cass. n. 1024/1962).

La conferma può essere posta in essere da parte del legittimato in due distinte modalità, per atto espresso ovvero per fatti concludenti: « L'art. 590, in deroga al principio generale sancito dall'art. 1423 dello stesso codice, ammette la possibilità della sanatoria del testamento invalido, sia mediante conferma espressa della disposizione, sia mediante volontaria esecuzione di essa, da parte di chi conosca la causa della nullità. Nel primo caso, la convalida ha luogo quando in un atto, per il quale non sono, tuttavia, richieste forme solenni, si faccia menzione della disposizione e dei vizi che l'affettano, e si dichiari di volerla convalidare; nel secondo caso, invece, la convalida opera indirettamente, per facta concludentia, e cioè attraverso un comportamento di attuazione della disposizione invalida, in modo da determinare volontariamente, rispetto ai beni ereditari, lo stesso mutamento della situazione giuridica che si sarebbe prodotto se il testamento non fosse stato nullo » (Cass. n. 535/1968).

In entrambi i casi può parlarsi di conferma della disposizione testamentaria, soltanto se l'autore di essa abbia consapevolezza della causa di nullità (Cass. n. 2185/1971; Cass. n. 719/1965). Ecco in qual modo la conoscenza di quest'ultima — il cui accertamento è incensurabile nel giudizio di cassazione secondo nuovamente motivato, come affermato da Cass. 4 marzo 1968, n. 698, inedita — deve essere intesa: « A norma dell'art. 590 è precluso l'esercizio della potestà di far valere la nullità di una disposizione testamentaria a chi, conoscendo la causa della nullità, vi abbia dato, dopo la morte del testatore, volontaria esecuzione. La conoscenza della causa di nullità deve essere intesa come conoscenza storica del fatto invalidante e della sua rilevanza giuridica, ossia come conoscenza del vizio o difetto della disposizione o consapevolezza di poter iniziare un giudizio sull'invalidità del testamento, indipendentemente da un calcolo sicuro sulla probabilità di vittoria. Il requisito della volontaria esecuzione implica l'esistenza di una volontà, da parte del soggetto che esegue, diretta ad adeguare la situazione di fatto a quella che sarebbe stata la situazione voluta dal testamento nullo » (Cass. n. 1236/1966). Non è richiesto che l'autore della conferma debba rappresentarsi l'esito favorevole del giudizio diretto a far valere la nullità: « La conoscenza della causa della nullità, richiesta dall'art. 590, ricorre quando il soggetto interessato a far valere l'invalidità del testamento sia consapevole di poter iniziare un giudizio per la dichiarazione di nullità dei negozi, indipendentemente dalla previsione in ordine alle probabilità di esito favorevole del giudizio stesso » (App. Milano 5 aprile 1974).

La prima ipotesi della conferma espressa, come si è visto poc'anzi, richiede che l'autore ponga in essere un atto con cui, pur senza formule sacramentali, si faccia menzione della disposizione e dei vizi da cui essa è affetta, dichiarando di volerla convalidare. In altri termini, se la convalida avviene mediante atto formale, quest'atto deve contenere i requisiti previsti dall'art. 1444 per la convalida dell'atto annullabile, cioè l'indicazione del negozio invalido e della causa di invalidità, con la dichiarazione che si intende convalidarlo (Cass. n. 1545/1974; Cass. n. 17392/2017). La diversa ipotesi della conferma per fatti concludenti richiede un comportamento positivo, mediante il quale si dà esecuzione alla disposizione testamentaria nulla: « L'esecuzione volontaria del testamento invalido, ai fini della convalida prevista dall'art. 590, deve sempre estrinsecarsi in una attività positiva del soggetto interessato a far valere l'invalidità del negozio, diretta all'attuazione concreta della disposizione testamentaria invalida. Tale esecuzione, pertanto, può ritenersi avverata allorché, mediante facta concludentia, si operi, in tutto od in parte, quell'assetto di interessi divisato dal de cuius nella disposizione invalida, per cui occorre che venga ad essere mutata la situazione giuridica in rapporto ai beni ereditari, in guisa tale da adeguarsi a quella situazione che si sarebbe verificata se il testamento (nullo o annullabile) non fosse stato invalido. Ne segue che non può avere valore ed efficacia di esecuzione volontaria un qualsiasi altro comportamento dal quale possa desumersi, puramente e solamente, la semplice intenzione di convalidare, posto che questa, anche se riconoscibile, non è ancora esecuzione e non rappresenta neppure un principio di esecuzione. In base a tali principi non può riconoscersi efficacia convalidante del testamento invalido né alla pubblicazione del testamento olografo, in quanto non è atto di esecuzione, bensì, è soltanto condizione necessaria perché il testamento diventi eseguibile, né alla presentazione della denuncia di successione, in quanto, avendo natura e finalità meramente fiscali, non rappresenta un atto univoco, suscettibile cioè di una sola interpretazione, né al pagamento dell'imposta di successione in quanto costituisce un atto dovuto » (Cass. n. 1794/1965).

Né la pubblicazione del testamento, né la dichiarazione di successione, né il pagamento della relativa imposta, dunque, implicano conferma della disposizione testamentaria nulla (in tal senso, parimenti, Cass. n. 2273/1969). Neppure comportano conferma della disposizione testamentaria quei comportamenti meramente passivi, o acquiescenti a condotte altrui. La conferma, infatti, « deve consistere in un'attività positivamente e concretamente rivolta all'attuazione della disposizione testamentaria, per cui deve escludersi che possa valere a tal fine un atteggiamento meramente passivo oppure un comportamento che lasci desumere, puramente e semplicemente, l'intenzione di convalidare, posto che tale intenzione, ancorché riconoscibile all'esterno, non significa esecuzione, ne equivale ad un inizio di effettiva distribuzione dei beni ereditari secondo la volontà del de cuius » (Cass. n. 535/1968).

Resta infine da dire, sul piano dell'onere probatorio, che a colui che invochi in proprio favore il disposto dell'art. 590, incombe l'onere di provare sia l'effettiva sussistenza della disposizione testamentaria invalida, sia l'affermata, volontaria esecuzione di essa (Cass. n. 1318/1969; Cass. n. 1392/1963).

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