Codice Civile art. 591 - Casi d'incapacità.Casi d'incapacità. [I]. Possono disporre per testamento tutti coloro che non sono dichiarati incapaci [602] dalla legge. [II]. Sono incapaci di testare: 1) coloro che non hanno compiuto la maggiore età [2]; 2) gli interdetti per infermità di mente [414; 32 c.p.]; 3) quelli che, sebbene non interdetti, si provi essere stati, per qualsiasi causa, anche transitoria, incapaci di intendere e di volere nel momento in cui fecero testamento [428] (1). [III]. Nei casi d'incapacità preveduti dal presente articolo il testamento può essere impugnato da chiunque vi ha interesse. L'azione si prescrive nel termine di cinque anni dal giorno in cui è stata data esecuzione alle disposizioni testamentarie [620, 621, 623]. (1) Comma così sostituito dall'art. 10 l. 8 marzo 1975, n. 39. InquadramentoLa capacità di disporre per testamento è desumibile a contrario dall'art. 591, che individua coloro i quali sono incapaci di testare. La disposizione, sotto la rubrica « casi d'incapacità », elenca: l) coloro che non hanno compiuto la maggiore età; 2) gli interdetti per infermità di mente; 3) quelli che, sebbene non interdetti, si provi essere stati, per qualsiasi causa, anche transitoria, incapaci di intendere e di volere nel momento in cui fecero testamento. Ne deriva che è capace di fare testamento la persona fisica maggiore di età, purché non interdetta né in stato d'incapacità di intendere e di volere. Quanto all'interdetto, occorre che lo stato di interdizione, derivante dalla pronuncia della relativa sentenza, sussista non già al momento della morte, bensì a quello di redazione del testamento. Difatti la giurisprudenza giudica capace il soggetto che abbia redatto testamento e sia stato solo successivamente interdetto, sempre che al momento della redazione dell'atto non fosse comunque incapace di intendere e di volere: « La pronuncia di interdizione e produttiva di effetti del giorno della sua pubblicazione, sicché, in ipotesi di testamento formato prima della pubblicazione della sentenza di interdizione, ben può ritenersi la capacità del testatore, qualora la prova dell'incapacità naturale offerta da chi abbia impugnato il testamento non sia tale da escludere in modo tranquillante la capacità del testatore al momento in cui formò l'atto » (Cass. n. 130/1968). Mette conto sottolineare che la pronuncia di interdizione non retroagisce al momento di introduzione della domanda: « La sentenza d'interdizione non ha portata di giudicato costitutivo o dichiarativo della incapacità legale o naturale dell'interdicendo con effetti risalenti al momento anteriore alla sua pubblicazione (art. 421, e pertanto, fino a tale momento permane ed opera la generale presunzione di normale capacità dell'interdicendo (non sottoposto a tutela provvisoria), per cui i suoi atti (nella specie: testamento) debbono considerarsi in tutto validi, salva l'annullabilità in quanto risultino posti in essere in condizione di incapacità di intendere e di volere » (Cass. n. 5248/1983). Il beneficiario dell'amministrazione di sostegno può essere a seconda dei casi privato della testamenti factio. E cioè, il giudice tutelare può prevedere d'ufficio, ex artt. 405, comma 5, nn. 3 e 4, e 407, comma 4, sia con il provvedimento di nomina dell'amministratore, sia mediante successive modifiche, la limitazione della capacità di testare o donare del beneficiario, ove le sue condizioni psico-fisiche non gli consentano di esprimere una libera e consapevole volontà. Infatti - esclusa la possibilità di estendere in via analogica l'incapacità di testare, prevista per l'interdetto dall'art. 591, comma 2, al beneficiario dell'amministrazione di sostegno, ed escluso che il combinato disposto degli artt. 774, comma 1 e art 411, commi 2 e 3, non consenta di limitare la capacità di testare e donare del beneficiario - la previsione di tali incapacità può risultare strumento di protezione particolarmente efficace per sottrarre il beneficiario a potenziali pressioni e condizionamenti da parte di terzi (Cass. n. 12460/2018). Con riguardo all'incapacità naturale — ossia al profilo che maggiormente ha interessato la giurisprudenza — è ricorrente l'affermazione che essa consiste in uno stato tale da privare il testatore in modo assoluto, al momento della redazione dell'atto di ultima volontà, della coscienza dei propri atti ovvero della capacità di autodeterminarsi: « In tema di annullamento del testamento, l'incapacità naturale del testatore postula la esistenza non già di una semplice anomalia o alterazione delle facoltà psichiche ed intellettive del de cuius, bensì la prova che, a cagione di una infermità transitoria o permanente, ovvero di altra causa perturbatrice, il soggetto sia stato privo in modo assoluto, al momento della redazione dell'atto di ultima volontà, della coscienza dei propri atti ovvero della capacità di autodeterminarsi » (Cass. n. 8079/2005; Cass. n. 3934/2018). Così, non dà luogo ad incapacità naturale qualsiasi decadimento tre facoltà mentali: « Non ricorre l'incapacità naturale idonea ad invalidare il testamento ex art. 591 in presenza di minimo decadimento delle facoltà mentali, desumentesi da mere anomalie comportamentali, non compromettente le funzioni volitive e la capacità di critica » (Cass. n. 8728/2007). In buona sostanza, l'incapacità naturale contemplata dalla norma consiste — come già affermato da Cass. n. 5620/1995; Cass. n. 2865/1995; Cass. n. 4499/1986; Cass. n. 2692/1979; Cass. n. 5450/1978 — in un'infermità tale da importare l'interdizione del soggetto: « L'incapacità naturale del disponente, che ai sensi dell'art. 591 determina l'invalidità del testamento, non si identifica in una generica alterazione del normale processo di formazione ed estrinsecazione della volontà, ma richiede che, a causa dell'infermità, al momento della redazione del testamento il soggetto sia assolutamente privo della coscienza del significato dei propri atti e della capacità di autodeterminarsi, così da versare in condizioni analoghe a quelle che, con il concorso dell'abitualità, legittimano la pronuncia di interdizione » (Cass. n. 1444/2003). La prova sul punto deve naturalmente essere particolarmente rigorosa e tranquillante: « Per aversi incapacità naturale del testatore non è sufficiente che il normale processo di formazione ed estrinsecazione della volontà sia in qualunque modo alterato o turbato come frequentemente avviene nel caso di grave malattia ma è necessario che lo stato psicofisico del soggetto sia in quel momento tale da sopprimere l'attitudine a determinarsi coscientemente e liberamente, essendo regola la capacità di agire del soggetto e dovendo, pertanto, la sua incapacità che costituisce un'eccezione essere provata in modo serio e rigoroso » (Cass. n. 2074/1985). Non sono in proposito decisive, ma neppure sono del tutto insignificanti, le attestazioni formulate dal notaio sulla capacità di intendere e di volere del testatore in sede di redazione del testamento pubblico o segreto: « L'attestazione del notaio, contenuta nel verbale di ricevimento redatto ai sensi dell'art. 605 (formalità del testamento segreto), circa lo stato di piena capacità mentale del presentatore della scheda, ancorché, risolvendosi in un giudizio, non impedisca ai soggetti interessati di provare il contrario con qualsiasi mezzo di prova, rappresenta tuttavia un fatto da cui è lecito dedurre almeno la mancanza di segni apparenti d'incapacità del testatore all'atto della presentazione della scheda al pubblico ufficiale » (Cass. n. 2741/1982; Cass. n. 2702/2019). A detto principio — già formulato da Cass. n. 4939/1981 — occorre del resto aggiungere che, poiché il testamento pubblico viene redatto da un pubblico ufficiale, ossia da un tecnico del diritto fornito di adeguato grado di cultura, « la circostanza che detto testamento sia chiaramente redatto non costituisce prova al fine di ritenere che il disponente sia nel pieno possesso delle sue facoltà mentali o che la sua volontà sia libera » (Cass. n. 4939/1981). Cospicua giurisprudenza prende posizione sul riparto dell'onere probatorio dell'incapacità naturale, onere probatorio che, di regola, incombe su colui il quale deduce di invalidità del testamento, dal momento che lo stato di capacità costituisce la regola e quello di incapacità l'eccezione, spetta a colui che impugna il testamento dimostrare la dedotta incapacità. Si trova dunque di sovente affermato quanto segue: « Perché sussista incapacità naturale del testatore, ai fini della nullità per incapacità della scheda, è necessaria non una semplice anomalia o alterazione delle facoltà psichiche e intellettive del de cuius bensì la prova che, a cagione di un'infermità transitoria o permanente, ovvero di altra causa perturbatrice, il soggetto sia stato privo, in modo assoluto, al momento della redazione dell'atto di ultima volontà, della coscienza dei propri atti ovvero della capacità di autodeterminarsi. Costituisce, pertanto, onere probatorio a carico di chi assuma l'esistenza di quello stato provare che il testamento fu redatto in un momento di incapacità di intendere e di volere » (Cass. n. 9508/2005). Occorre però distinguere, in argomento, tra infermità che comportano una situazione permanente d'incapacità di intendere e di volere e di infermità che importano un vizio di mente soltanto temporaneo: « In base all'art. 591, l'incapacità naturale del testatore, comportante l'invalidità del testamento, non si identifica in una generica alterazione del normale processo di formazione e di estrinsecazione della volontà, ma richiede che, a causa dell'infermità, il testatore, nel momento della redazione del testamento, sia assolutamente privo della coscienza del significato dei propri atti e della capacità di autodeterminarsi. A questo proposito, si distingue fra infermità permanente, cui presuntivamente si ricollega uno stato di incapacità naturale, ed infermità a carattere intermittente, per la quale non opera una presunzione di incapacità, con conseguente onere — a carico di chi quello stato di incapacità assume — di provare che il testamento fu redatto in un momento di incapacità di intendere e di volere » (Cass. n. 15480/2001). Il principio che precede si specifica attraverso l'individuazione della categoria delle infermità mentali tipiche, permanenti ed abituali, nel qual caso la regola della presunzione di capacità viene capovolta: « In relazione all'art. 591 n. 3 devesi ritenere che, quando l'attore in impugnazione abbia fornito prova di una infermità mentale tipica, permanente o abituale, e insuscettibile di alcun miglioramento, sta a carico di chi afferma la validità del testamento la prova della compilazione del testamento stesso in un momento di lucido intervallo, poiché in tal caso la normalità presunta è l'incapacità; quando invece si tratti di malattia mentale a carattere intermittente o ricorrente, la quale nei periodi di intervallo (che non possono considerarsi come equivalenti ai periodi di lucido intervallo nelle infermità abituali o permanenti) consente la reintegrazione del soggetto nella normalità della sua capacita intellettiva e volitiva, non è consentito all'interprete affermare l'incapacità del testatore sulla base dell'accertamento che costui, in tempo anteriore o posteriore alla data del testamento, si sia trovato in stato di infermità mentale, dovendo in tal caso l'indagine del magistrato precipuamente rivolgersi ad accertare le condizioni mentali del testatore nel momento in cui redasse il testamento » (Cass. n. 4856/1981). La sussistenza di un'infermità tale da privare il soggetto della testamenti factio va verificata con attento rigore, sicché, ad esempio, essa non poteva essere desunta dal fatto in sé considerato del ricovero in manicomio: « La capacità di disporre per testamento trova autonoma e tassativa disciplina nell'art. 591, che la esclude in radice oltre che per i minori di età nei soli «interdetti per infermità di mente », richiedendo per i «non interdetti» la prova della loro incapacità di intendere e di volere (per qualsiasi causa, anche transitoria) nel momento in cui fecero il testamento. Conseguentemente, il ricovero di una persona in manicomio ai sensi dell'abrogata normativa della l. 14 febbraio 1904, n. 36 (e del relativo regolamento r.d. 16 agosto 1909, n. 615), mentre non comporta ex se la perdita della capacità del ricoverato, richiedendosi a tal fine la nomina di un amministratore provvisorio, nemmeno determina anche se non sia stato seguito da « licenziamento definitivo » a norma dell'art. 3 della citata legge una presunzione iuris di abituale malattia mentale (e cosi di incapacità) del ricoverato dopo la sua dimissione, né la conseguenza, per la validità del suo testamento, della prova della confezione in periodo di lucido intervallo, restando al riguardo principio generale quello della presunzione legale della piena capacita della persona e della necessita del procedimento d'interdizione o di inabilitazione per la determinazione dell'incidenza della malattia sulla sua capacita di agire » (Cass. n. 4856/1981). Può accadere, allora, che il testatore versi in uno stato che, normalmente, importi incapacità di intendere e di volere. In tal caso è sufficiente all'interessato la dimostrazione dell'invalidità del testamento provare la sussistenza di tale stato, mentre il beneficiato dal testamento è onerato della prova che il testamento è stato redatto in una fase di lucido intervallo nel momento della testamenti factio: « In tema di annullamento del testamento per incapacità naturale del testatore, costituisce onere, posto a carico di chi quello stato d'incapacità assume, provare che il testamento fu redatto in un momento d'incapacità di intendere e di volere del testatore, mentre, quando risulti lo stato di incapacità permanente di quest'ultimo, incombe a colui che faccia valere il testamento dimostrare che la redazione è avvenuta in un intervallo di lucidità » (Cass. n. 9508/2005). Il riparto dell'onere probatorio così configurato — e che si trova ha ribadito in diversi frangenti da Cass. n. 10571/1998; Cass. n. 652/1991; Cass. n. 8169/1987; Cass. n. 4499/1986; Cass. n. 4171/1983; Cass. n. 4561/1982; Cass. n. 2741/1982; Cass. n. 2578/1981; Cass. n. 162/1981; Cass. n. 6236/1980; Cass. n. 6481/1979; Cass. n. 3411/1978; Cass. n. 4997/1978; Cass. n. 2666/1975; Cass. n. 526/1975; e da ult. Cass. n. 26873/2019 — non può però trovare applicazione, almeno di regola, quando si versi in ipotesi di diagnosi della infermità successiva alla redazione del testamento: « Il principio secondo cui, accertata la totale incapacità di un soggetto in due determinati periodi, prossimi nel tempo, per il periodo intermedio la sussistenza dell'incapacità è assistita da presunzione iuris tantum, con conseguente inversione dell'onere della prova, nel senso che deve essere colui che vi ha interesse a dimostrare che il soggetto ha agito in una fase di lucido intervallo, è inapplicabile nella diversa ipotesi in cui si tratti di stabilire se una persona, totalmente incapace in una determinata epoca, lo fosse anche in un'epoca precedente (nella specie circa sei mesi prima), poiché in tal caso il principio dell'onere della prova non soffre deroga ed è chi sostiene la incapacità a doverne dare la dimostrazione » (Cass. n. 3040/1987). La situazione di incapacità naturale può tuttavia essere accertata anche retrospettivamente sulla base della successiva diagnosi di una malattia che abbia, però, caratteri di gravità tale da non lasciare dubbi sul punto: « In tema di incapacità di testare ex art. 591, quando si tratti di malattia che influisca sulla psiche permanentemente ed abitualmente, in modo che non siano ipotizzabili periodi di lucido intervallo (nella specie: idiotismo congenito), ben può il giudice dall'accertamento di una tale malattia in data posteriore alla redazione del testamento ricavare la presunzione di incapacità del disponente anche nel momento del compimento dell'atto » (Cass. n. 892/1987). Quanto al decorso del termine di prescrizione dell'azione di annullamento, esso ha inizio dal momento dell'esecuzione testamentaria: « L'art. 591, comma 3, laddove dispone che il termine (quinquennale) di prescrizione dell'azione di impugnazione del testamento per incapacità del testatore decorre “dal giorno in cui è stata data esecuzione alle disposizioni testamentarie”, attesa la diversità di questa dizione rispetto a quella degli artt. 479 ss. che, nel disciplinare la trasmissione del diritto di accettare l'eredità, fanno decorrere il relativo termine di prescrizione dal giorno dell'apertura della successione deve intendersi nel senso che, per la decorrenza del termine di prescrizione di detta azione, è richiesta, oltre all'accettazione dell'eredità, anche l'ulteriore attività dell'esecuzione delle disposizioni testamentarie, e ciò a tutela dei terzi che sarebbero pregiudicati dal compimento di una mera attività formale » (Cass. n. 1635/1983). Ergo , il dies a quo di decorso del termine di prescrizione quinquennale dell'azione di annullamento del testamento olografo per incapacità del testatore, ex art. 591 c.c., va individuato in quello di compimento di un'attività diretta alla concreta realizzazione della volontà del de cuius - come la consegna o l'impossessamento dei beni ereditati o la proposizione delle azioni giudiziarie occorrenti a tale scopo - anche da parte di uno solo dei chiamati all'eredità e senza che sia necessario eseguire tutte le disposizioni del testatore. Ne consegue che, in caso di istituzione di un erede universale, non occorre che questi dimostri, al fine predetto, di aver disposto a titolo esclusivo dei beni costituenti l'intero universum ius defuncti. (Cass. II, n. 4449/2020, che ha cassato la sentenza impugnata, la quale aveva escluso che integrasse gli estremi di una condotta esecutrice, sia pure parzialmente, delle disposizioni testamentarie, quella con la quale l'erede aveva continuato a percepire, dopo la morte della de cuius, il canone di locazione di un immobile commerciale facente parte del compendio ereditario). Anche con riguardo all'art. 591 si trova poi ribadito che l'esecuzione testamentaria non può essere identificata con la semplice pubblicazione, né con la denuncia di successione: « Il termine quinquennale di prescrizione dell'azione di annullamento del testamento decorre, a norma dell'art. 591 dal giorno in cui, oltre all'accettazione dell'eredità, è stata data esecuzione alle disposizioni testamentarie. A tal fine, per esecuzione del testamento, deve intendersi un'attività diretta alla concreta realizzazione della volontà del testatore come la consegna o l'impossessamento dei beni ereditati o la proposizione delle azioni giudiziarie occorrenti a tale scopo: onde, non valgono, a far decorrere il detto termine, né la pubblicazione del testamento olografo, che è atto anteriore e soltanto preparatorio alla sua effettiva esecuzione, né la presentazione della denuncia di successione ed il pagamento dell'imposta, che costituiscono atti dovuti, volti ad evitare conseguenze sfavorevoli alla massa ereditaria, e neppure, di per sé, l'istanza di sequestro giudiziario di beni ereditari, con cui si richiede un provvedimento tipicamente cautelare, diretto alla mera custodia o gestione temporanea e non attributivo o dichiarativo della proprietà né del possesso dei beni stessi » (Cass. n. 892/1987). 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