Codice Civile art. 601 - Forme.InquadramentoLa disposizione pone la regola del formalismo testamentario ed elenca le forme ordinarie di testamento, alle quali sono dedicati gli articoli successivi. Essa stabilisce che le forme ordinarie del testamento sono due, quella del testamento olografo e quella del testamento per atto di notaio. Quest'ultimo testamento, poi, può assumere le forme del testamento pubblico ovvero del testamento segreto. La previsione del formalismo testamentario è già leggibile nella disposizione che apre il titolo dedicato alle successioni testamentarie, ossia nell'art. 587, che fa dipendere l'efficacia delle disposizioni non patrimoniali dall'essere esse contenute in un atto che ha la forma del testamento. Si discute della funzione del formalismo testamentario, senza, tuttavia, che i contrastanti esiti del dibattito comportino ricadute immediate in fase applicativa. Occorre piuttosto segnalare la progressiva tendenza dottrinale e giurisprudenziale a comprimere, nei limiti del possibile, il rilievo del formalismo testamentario a favore della conservazione di validità del negozio. La previsione del formalismo testamentario esclude che possa riconoscersi validità al testamento orale, che può però essere oggetto, secondo un indirizzo giurisprudenziale pressoché unanime, di conferma ed esecuzione volontaria. Le forme del testamentoIl codice civile prevede diverse forme di testamento, ordinarie e speciali: quelle ordinarie del testamento olografo e del testamento per atto di notaio, nella specie del testamento pubblico e del testamento segreto; quelle dei testamenti speciali, che si presentano quali forme speciali di testamento pubblico. Alla disciplina codicistica si aggiunge quella del testamento internazionale — estraneo a questa trattazione — previsto dalla convenzione di Washington 26 ottobre 1973, resa esecutiva in Italia con l. 29 novembre 1990, n. 387. La pluralità di forme testamentarie contemplate dal capo aperto dall'art. 601 soddisfa interessi diversi di volta in volta valorizzati. Con il testamento olografo il testatore può assicurarsi la segretezza delle proprie disposizioni testamentarie oltre che l'immediata possibilità di modificarle senza alcun concorso esterno, a prezzo, però, della sottrazione, distruzione o smarrimento della scheda testamentaria dopo la morte. Nei testamenti per atto di notaio, alla perdita dei vantaggi menzionati, corrisponde una elevata sicurezza che le disposizioni testamentarie non andranno perse. Ogni forma testamentaria ha la sua propria connotazione tipica, fortemente differenziata dalle altre, e prevede il conformarsi al modello prescritto dalla legge, che nella minuziosa regolamentazione della materia, impone il rispetto di forme che si articolano in molteplici formalità. Ciascuna delle forme testamentarie, inoltre, è autonoma, in quanto utilizzabile solo separatamente dalle altre, senza che siano possibili commistioni, le quali equivarrebbero alla inammissibile creazione di forme testamentarie nuove. Le menzionate caratteristiche — varietà, tipicità ed autonomia — non escludono che le forme testamentarie presentino tratti salienti che valgono ad accomunarle: oltre alla causa mortis, la forma scritta. Lo scritto, però, non è sufficiente al testamento come ad un qualsiasi altro negozio giuridico per il quale sia prevista la forma scritta ad substantiam. Occorre sempre, nel testamento, un quid pluris: nel testamento per atto di notaio vanno rispettate le formalità si parlerà; nel testamento olografo è necessaria la integrale autografia, non mai richiesta, altrimenti, dalla legge. Anche la ratio delle previsioni formali dettate in materia testamentaria non è ricollegabile, come accade nei casi disciplinati dall'art. 1350, al contenuto del testamento, che, per riprendere il titolo di un'importante opera sul tema, può essere un contenuto atipico: anzi, il rispetto della forma occorre fin anche se il testamento contiene soltanto disposizioni non patrimoniali, ed è prescritta addirittura in caso di damnosa hereditas (Liserre 1966, 125). Le forme testamentarie, poi, pur nel loro distinto atteggiarsi, sono equiparate quanto ad efficacia, a differenza di quanto accade per la scrittura privata e per l'atto pubblico, che si differenziano sotto il profilo della inidoneità alla trascrizione. Vi è, cioè, «una pluralità di forme eterogenee tra loro e pure tutte idonee ad attribuire eguale rilevanza giuridica alla dichiarazione del testatore» (Liserre 1966, 127). Tutto ciò consente, in definitiva, di individuare nel formalismo testamentario un «vero e proprio sistema avente come regola la forma vincolata, laddove il formalismo negoziale viene per consolidata opinione inteso come eccezione al principio della libertà delle forme» (Marmocchi 1994, 762). Dalla disposizione in commento — e già dall'art. 587, il quale riconosce validità alle disposizioni di carattere non patrimoniale «se contenute in un atto che ha la forma del testamento» — si desume dunque che il testamento è negozio a forma vincolata, da compiersi, cioè, con le modalità e secondo le tipologie disciplinate. Negozio formale «per eccellenza» (Bigliazzi Geri 1997, 163), il testamento è altresì, secondo alcuni, negozio solenne (Giannattasio 1961, 103; Azzariti, Martinez e Azzariti 1973, 396; Tamburrino 1992, 488). Ma, se si considera il significato dell'espressione, con cui si indica un rito od una cerimonia imponente e pomposa, capace di provocare partecipazione emotiva, occorre ammettere che, mentre è certamente negozio solenne il testamento per atto di notaio, giacché si realizza mediante «la sacra rappresentazione» (Branca 1986, 4) posta in essere dalla de cuius, dai testimoni e dal il notaio, nel testamento olografo non v'è nient'altro che «un foglio di carta, di per sé privo di qualunque solennità» (Branca 1986, 2). Perciò, «non ci resta che rispondere no alla domanda se il testamento sia sempre un atto solenne» (Branca 1986, 2). La funzione del formalismo testamentarioIl formalismo testamentario mirerebbe secondo alcuni a tutelare gli interessi degli eredi legittimi e si giustificherebbe in ragione della particolarità e gravità dell'atto. Esso perseguirebbe cioè lo scopo di tutelare gli interessi degli eredi legittimi contro decisioni del testatore avventate o precipitose. Ciò troverebbe conferma nell'art. 590 il quale consentirebbe l'eccezionale sanatoria di un testamento invalido proprio perché l'interesse degli eredi legittimi, tutelato dall'ordinamento con la previsione di una forma vincolata delle disposizioni testamentarie, non meriterebbe ulteriore protezione quando essi, pur consapevoli dell'invalidità del negozio, abbiano consentito a dargli esecuzione (Stolfi 1961, 68). Si è replicato che la tesi così riassunta presuppone una preminenza della successione legittima su quella testamentaria che invece è stata esclusa «dallo stesso legislatore il quale, all'art. 457, ha voluto dare alla successione testamentaria non solo prevalenza, ma anche preminenza nel senso che essa è quella preferita dall'ordinamento» (Capozzi 1983, 442). Altri hanno affermato che il formalismo testamentario mirerebbe a: «a) garantire una maggiore ponderatezza e serietà nella volizione testamentaria (funzione sostanziale del formalismo); b) precostituire la prova della volizione testamentaria attraverso la creazione del documento (funzione processuale del formalismo)» (Allara 1957, 73; v. nello stesso senso Capozzi 1983, 442). Analogamente è stata sottolineata l'importanza che la forma riveste quale strumento di garanzia della libertà di testare, di certezza e serietà della manifestazione di volontà, e di sicura determinazione del contenuto delle disposizioni (Azzariti, Martinez e Azzariti, 396). Nell'intento di porre a confronto le caratteristiche del formalismo testamentario e del formalismo negoziale, altri ancora hanno posto in risalto, con riguardo al testamento, «la caratteristica di atto mortis causa e la sua natura di etero-regolamento» (Liserre 1966, 177). Per un verso, è stata così sottolineata la «non ripetibilità» dell'atto di ultima volontà, che giustifica la definizione del testamento quale «ultimo messaggio del de cuius» (Liserre 1966, 179), il che consente di comprendere «appieno la particolare gravità di quest'atto e la ragione della sua ampia e a volte minuziosa disciplina» (Liserre 1966, 180). Per altro verso, si è aggiunto che «la dichiarazione del testatore si esaurisce sempre nella statuizione di regole di condotta per i superstiti, giustificandosi per questa via la qualifica attribuitale di etero-regolamento» (Liserre 1966, 181). L'aggravio di formalismo comune a tutte le forme testamentarie tenderebbe così a realizzare l'effetto minimo della «garanzia dell'esistenza di una volontà che debba valere post mortem. Ed infatti, non essendoci più il disponente al momento in cui le regole da lui dettate avranno esecuzione, si deve essere certi che esse corrispondano al suo effettivo volere» (Liserre 1966, 183 s.). Parte della dottrina ha nel corso del tempo presso a guardare con maggiore elasticità al formalismo testamentario, in modo da impedire che esso possa risolversi in pregiudizio della sostanza del testamento (v. Rescigno 1987, 18 ss.; Breitschmid 1988, 782 ss.). Di questa tendenza, efficacemente racchiusa nell'espressione «crepuscolo del formalismo» (Branca 1986, 114), vale qui anticipare che la volontà del legislatore di mitigare il peso del formalismo testamentario si mostra in modo chiaro soprattutto con riferimento al testamento olografo, ove si consideri che l'art. 602, a differenza dell'art. 775 del previgente c.c., prevede alcune importanti semplificazioni in ordine alla sottoscrizione e alla data: la prima può essere apposta diversamente che con il nome e il cognome, purché non susciti incertezza sulla persona del testatore; la seconda è sempre necessaria, ma la prova della sua non veridicità è ammessa non di per se stessa, ma solo entro limiti circoscritti. Sul piano dell'applicazione, poi, si sono segnalate «vedute della giurisprudenza pienamente consolidate, qual è la compatibilità della forma epistolare con la sostanza del testamento olografo, o in via di progressiva affermazione, come accade per la validità di aggiunte e correzioni assistite dai requisiti formali della originaria stesura» (Rescigno 1987, 20). Si va insomma soprattutto affermando che «il principio dell'interpretazione restrittiva del formalismo testamentario, il quale opera finché questa funzione ne demandi l'applicazione rigorosa» (Breitschmid 1988, 788). Per il testamento orale v. sub artt. 587, 590. BibliografiaAllara, Principi di diritto testamentario, Torino, 1957; Antonini, Il problema dell'applicabilità all'atto pubblico dell'art. 4 della legge sui ciechi, in Riv. dir. civ. 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