Codice Civile art. 633 - Condizione sospensiva o risolutiva.InquadramentoGli elementi accidentali, condizione, termine ed onere o modus, costituiscono strumenti di governo del valore impegnativo del negozio e possono essere apposti anche al testamento. Anzi, il modus — proprio dei soli negozi a titolo gratuito — trova la sede del suo maggiore impiego proprio nel testamento e nella donazione. Gli elementi accidentali, ed in particolare la condizione e il modo, attribuiscono rilevanza ai motivi interni, cioè costituiscono lo strumento tecnico giuridico attraverso il quale quei motivi vengono a far parte del contenuto del negozio (Giannattasio, 1961, 217). L'apposizione degli elementi accidentali al testamento subisce però rilevanti eccezioni. L'art. 549 vieta infatti al testatore di imporre pesi o condizioni sulla quota riservata ai legittimari, ammettendo la sola possibilità di impedire la divisione per un tempo limitato, ai sensi dell'art. 713. Il termine è poi compatibile con il solo legato, poiché l'art. 637 stabilisce che esso si considera non apposto all'istituzione di erede. Ed infatti l'apposizione del termine, tanto iniziale quanto finale, contrasterebbe sia con il principio per cui l'erede prosegue senza soluzione di continuità la personalità del defunto, sia con il divieto delle sostituzioni fedecommissarie previsto dalla legge. La disciplina degli elementi accidentali del testamento è contenuta negli artt. 633-648. Si deve aver presente, però, che essa va integrata con quella dettata per la condizione nel contratto dagli artt. 1353-1361 e per il termine nelle obbligazioni dagli artt. 1184-1187. La condizioneLa condizione è definita dall'art. 1353, il quale stabilisce che essa è un avvenimento futuro ed incerto da cui dipende l'inizio o la fine dell'efficacia del negozio. Riferita al testamento, dunque, la condizione determina l'inizio o la fine dell'efficacia dell'istituzione di erede o del legato rendendo «eventuale l'assetto di interessi predisposto» (Talamanca, in Comm. S.B. 1965, 41). Secondo l'art. 633 le disposizioni a titolo universale e particolare, tanto l'istituzione di erede che il legato, possono farsi sotto condizione sospensiva o risolutiva. In particolare, la condizione è sospensiva quando l'avvenimento futuro ed incerto produce l'efficacia della disposizione testamentaria ed è risolutiva quando ne determina l'inefficacia. La disposizione in tal modo risolto il dibattito che, nel passato, aveva indotto taluno sostenere l'opinione secondo cui l'istituzione di erede non avrebbe potuto essere assoggettata a condizione risolutiva, poiché essa si sarebbe posta in contrasto con il principio semel heres, semper heres. A tale tesi si era obiettato che il menzionato principio è da intendere nel senso che l'accettazione ereditaria è irretrattabile, non che l'acquisto della qualità di erede non possa essere sottoposto a condizione risolutiva. Nondimeno, anche in occasione della redazione del codice vigente sono state avanzate riserve sull'ammissibilità della condizione risolutiva apposta all'istituzione di erede, sulla considerazione che la retroattività della condizione avrebbe comportato la caducazione dei diritti medio tempore acquistati dai terzi. Ecco dunque che la validità dell'istituzione a titolo universale e particolare sotto condizione sospensiva o risolutiva, già ammessa sotto l'imperio del codice civile abrogato, è stata espressamente riconosciuta dall'art. 633 vigente c.c. (Cass. n. 6365/1980). Ed è stato in pari tempo stabilito, a tutela della conoscibilità dell'apposizione della condizione, che la trascrizione dell'acquisto a causa di morte, ai sensi dell'art. 2660, comma 2, n. 6, debba contenere la menzione della condizione o del termine apposti alla disposizione testamentaria, con la precisazione che l'omissione o l'inesattezza di alcuna delle indicazioni richieste non nuoce alla validità della trascrizione, eccetto che induca incertezza sulle persone, sul bene o sul rapporto giuridico cui l'atto si riferisce, ex art. 2665. Caratteristiche individuanti della condizione Al fine di stabilire se una clausola testamentaria abbia o meno natura di condizione, occorre soffermarsi non tanto alla formulazione letterale adoperata dal testatore, quanto sull'obiettiva subordinazione dell'efficacia del negozio al verificarsi di un fatto (Cass. n. 10008/1992). Il menzionato principio, operante con riguardo a qualunque negozio giuridico, si applica anche in materia testamentaria, ove l'apposizione della condizione, sia sospensiva che risolutiva, è ammessa dalla disposizione in commento. E perciò la giurisprudenza è costante nell'affermare che la presenza di una clausola testamentaria condizionale è rivelata non tanto dalla sua formulazione letterale e dalla sua collocazione nel contesto del negozio, quanto dal carattere intrinseco del fatto cui è subordinata l'efficacia del negozio stesso (Cass. n. 1950/1962; Cass. n. 1701/1969; Cass. n. 6365/1980). Prova dell'avveramento della condizione Con riguardo alla prova in giudizio dell'avveramento della condizione, deve ricordarsi che essa incombe su chi intenda avvalersene (Cass. n. 2684/1969). Tempo di avveramento della condizione Posto che la condizione è un avvenimento futuro ed incerto da cui dipende l'efficacia del negozio, occorre chiedersi se l'evento dedotto in condizione debba essere futuro rispetto al momento di formazione del testamento, oppure rispetto al momento di apertura della successione. Viene in particolare in questione, qui, l'ipotesi che il testatore istituisca erede taluno a condizione che lo assista fino alla morte. Secondo alcuni la condizione testamentaria non potrebbe essere concepita se non come evento futuro rispetto al momento in cui il testamento è destinato a divenire efficace, con l'apertura della successione. La condizione in esame, per contro, attenendo ad una condotta antecedente, non si configurerebbe come vera condizione, e neppure come modus. Si tratterebbe, invece, di una condicio in praesens vel in praeteritum collata, che non è condizione in senso proprio perché non consiste in un evento futuro e non dà luogo alla situazione di pendenza. Altri hanno osservato che nessuna disposizione di legge impone che la condizione apposta ad un testamento debba avere per oggetto una circostanza futura rispetto al momento dell'apertura della successione, potendo l'evento dedotto in condizione essere futuro anche soltanto rispetto al momento della redazione del testamento (Giannattasio, 1961, 219; Caramazza, in Comm. De M. 1982, 257; v. in giurisprudenza Cass. n. 6061/1981; Cass. n. 1823/1970; Cass. n. 531/1960; da ult. Cass. n. 28272/2018). Classificazione delle condizioni La condizione può essere apposta ad ogni singola disposizione o a più disposizioni, oppure può riguardare l'intero testamento, e ciascuna condizione segue la propria sorte, in rapporto di accessorietà con la disposizione cui è apposta (Messineo, 1952, 134). Tralasciando la già menzionata distinzione tra condizione sospensiva e risolutiva — l'una destinata a determinare l'efficacia della disposizione testamentaria, l'altra la sua inefficacia — si usa tradizionalmente classificare le condizioni come casuali, potestative e miste, ciascuna delle quali può trovare ingresso nel testamento. La condizione è casuale quando l'evento in essa dedotto dipende dal caso o dalla volontà di terzi; è potestativa quando l'evento dipende dalla volontà dell'istituito; è mista quando l'evento dipenda in parte dal caso o dalla volontà di terzi, in parte dalla volontà dell'istituito. Quanto alla condizione casuale, va ricordato che l'evento condizionale non può essere rimesso al mero arbitrio del terzo — Titius heres esto si Caius voluerit — poiché essa si porrebbe in contrasto con il principio di stretta personalità del negozio testamentario, principio che trova espresso riconoscimento nell'art. 631, secondo cui è nulla ogni disposizione testamentaria con la quale si fa dipendere dall'arbitrio di un terzo l'indicazione dell'erede o del legatario, ovvero la determinazione della quota di eredità. Quanto alla condizione potestativa, poi, si deve di aggiungere che essa, nel testamento, non è utilmente configurabile come condizione meramente potestativa — istituisco Tizio erede se vorrà, lego il bene a Caio se vorrà — giacché è già la legge a sancire che non è erede chi non vuole ed a contemplare che il legato possa essere oggetto di rinuncia. La SC pare aver escluso la sussistenza di una condizione in un caso in cui il de cuius aveva istituito una determinata persona « qualora dovessi morire per cause accidentali oppure per causa naturale », ed era invece morto suicida (Cass n. 19463/2005). Condizione e delazione Occorre esaminare, ora, l'influenza della condizione apposta all'istituzione di erede sulla delazione dell'eredità, ossia sull'offerta del patrimonio ereditario al chiamato. La questione chiama in causa una disputa dottrinale dalle conseguenze pratiche significative, che è sorta sul quesito se, in caso di istituzione sottoposta a condizione sospensiva, vi sia o meno un'unica delazione e se essa si verifichi fin dal momento dell'apertura della successione, ovvero soltanto dal momento dell'avveramento della condizione. Secondo un orientamento deve ritenersi che nella istituzione condizionale si abbia delazione condizionale a favore dell'istituito e contemporaneamente delazione esposta a risoluzione a favore di colui che è chiamato per il caso che la condizione non si verifichi (Cicu, 1961, 57). Secondo questa impostazione la delazione in favore del chiamato sotto condizione sospensiva si verificherebbe comunque al momento dell'apertura della successione, sebbene egli non possieda la stessa pienezza di poteri che ha il chiamato sotto condizione risolutiva (Cicu, 1969, 200). Per la soluzione opposta, schierata contro la condizionalità della delazione, invece, si è anzitutto sostenuto che condizionale è l'istituzione di erede, non la delazione (Cariota Ferrara, 1991, 246). Si è aggiunto che ammettere delazione esposta a risoluzione a favore di chi è chiamato per il caso che la condizione non si verifichi significherebbe ammettere assurdamente due delazioni entrambe attuali (Cariota Ferrara, 1991, 248). Dunque, introdotta la distinzione tra condizione sospensiva e risolutiva, si è osservato che la disciplina giuridica dettata in materia di testamento non si discosta da quella che regola ogni negozio condizionale. Sarebbe erroneo, quindi, persino voler discutere se a favore del chiamato sotto condizione sospensiva possa aversi una delazione attuale (Cariota Ferrara, 1991, 247). Si può dunque affermare, perciò, secondo quest'ultimo indirizzo (cui possono ascriversi Natoli, 1968, 315; Cirillo, 1994, 1078; Cannizzo, 1996, 88), che la vocazione sotto condizione sospensiva non dà luogo alla delazione immediata od attuale, ma ad una delazione successiva. Conferma di ciò si rinverrebbe nell'art. 480, che fa decorrere la prescrizione del diritto di accettare l'eredità, per il chiamato sotto condizione sospensiva, dal momento in cui si verifica la condizione. La S.C. ha espressamente fatto proprio il primo degli indirizzi dottrinali (Cass. n. 663/1969). Successivamente la SC ha ribadito il principio second cui, nel caso di delazione condizionata dell'eredità, la condizione retroagisce, cosicché il chiamato in ordine successivo acquista l'eredita fin dal momento dell'apertura della succession (Cass. n. 2737/1975). La giurisprudenza, infine, ammette costantemente una delazione simultanea a favore dei primi chiamati e dei chiamati ulteriori in caso di successioni legittime (Cass. n. 7073/1995; Cass. n. 8737/1993). 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