Codice Civile art. 700 - Facoltà di nomina e di sostituzione.Facoltà di nomina e di sostituzione. [I]. Il testatore può nominare uno o più esecutori testamentari [587 2] e, per il caso che alcuni o tutti non vogliano o non possano accettare [702], altro o altri in loro sostituzione. [II]. Se sono nominati più esecutori testamentari, essi devono agire congiuntamente [708], salvo che il testatore abbia diviso tra loro le attribuzioni, o si tratti di provvedimento urgente per la conservazione di un bene o di un diritto ereditario. [III]. Il testatore può autorizzare l'esecutore testamentario a sostituire altri a se stesso, qualora egli non possa continuare nell'ufficio. InquadramentoLa volontà testamentaria è espressione di autonomia privata e la sua concreta attuazione, tutelata dall'ordinamento, é sovente definita come « esecuzione » del testamento (v. artt. 590, 591, 606, 620, 627, 629). L'esecuzione testamentaria compete normalmente all'erede, che ha non soltanto il diritto, ma anche il dovere di portarla a compimento. E, tuttavia, il testatore può sottrarre l'esecuzione del testamento all'erede ed affidarla ad una persona di sua fiducia, l'esecutore testamentario. Ciò può accadere per varie ragioni: perché il testamento contiene soltanto legati ed il testatore non ha inteso provvedere egli alla nomina di un erede; perché l'esecutore testamentario fornisce maggiore affidamento dell'erede riguardo all'esecuzione delle disposizioni testamentarie; perché tale esecuzione richieda una competenza professionale che l'erede non ha; perché sia possibile pronosticare un'elevata litigiosità tra gli eredi, con conseguente probabile paralisi dell'esecuzione del testamento; perché, come sovente accade, le disposizioni da eseguire contrastino con l'interesse dell'erede, tanto da indurre il testatore a dubitare che lo stesso le eseguirà. Ed anzi, l'origine storica ed il diffondersi dell'istituto, giacché esso — sconosciuto al diritto romano — venne utilizzato per assicurare l'adempimento delle disposizioni testamentarie a favore dell'anima, dei poveri o della Chiesa (Azzariti-Martinez-Azzariti 1973, 616). L'utilità della figura, quale strumento di migliore esecuzione della volontà testamentaria, si scontra, però, con una disciplina positiva in cui si coniugano una intrinseca difficoltà di collocazione sistematica ed un dettato normativo a volte insufficiente, a volte, impreciso: si attaglia certamente all'esecutore testamentario, perciò, la definizione di «indocile istituto» che gli è stato talvolta riservato (Candian, 1952, 379). Difatti, si discute sull'individuazione del titolare dell'interesse in funzione del quale l'esecutore testamentario agisce (il testatore, l'erede, i creditori e legatari, lo stesso esecutore), sulla fonte dei poteri dell'esecutore testamentario (rapporto di rappresentanza sotto forma di mandato post mortem ovvero di mandato sui generis; negozio autorizzativo; ufficio privato), sul concreto funzionamento dell'istituto, con particolare riguardo ai poteri di amministrazione dell'esecutore. Gli orizzonti dottrinaliL'esecutore testamentario svolge il suo compito quando colui che glielo ha affidato è morto ed amministra beni (se il testatore non lo ha privato del potere di amministrazione, ex art. 703, comma 2) che normalmente non sono suoi (a meno che egli non sia anche erede o legatario, ex art. 701, comma 2). Comunque voglia intendersi l'interesse che lo muove — interesse oggettivamente cristallizzato nel testamento ovvero interesse che l'attività dell'esecutore mira di volta in volta a soddisfare — esso gli è sicuramente estraneo. Questa « singolare alterità » (Cuffaro, in Tr. Res. 1997, 355) è generalmente riconosciuta dalla dottrina ed è nello stesso tempo causa delle difficoltà di inquadramento dell'istituto e fonte delle soluzioni che sono state proposte. Occorre allora dire che la dottrina meno recente aveva ricondotto la figura dell'esecutore testamentario all'istituto della rappresentanza, qualificando di volta in volta l'esecutore come rappresentante dei legatari e creditori, dell'erede, dell'eredità e del testatore. Si è in seguito giunti a qualificare l'esecutore testamentario come titolare di un ufficio privato, giacché « chi, nell'interesse altrui, in obbedienza ad un dovere ed in forza di un diritto proprio, commisurato al dovere medesimo, esplica in proprio nome una data attività, assume una figura che trova riscontro in un concetto noto. Egli non può essere, in siffatta veste, se non il titolare di un ufficio» (Messineo, 1923, 74), e di un ufficio privato, poiché l'interesse che esso persegue « tocca i singoli o un complesso di singoli ed in ragione della particolarità loro derivante dal fatto che nessuno può essere costretto ad assumerli » (Messineo, 1923, 86). Tale costruzione dottrinale è stata poi accolta dal codice civile vigente, tanto che, in uno dei primi commenti al libro delle successioni si trova affermato che ogni disputa sulla natura dell'esecutore testamentario « deve ritenersi superata in base alla legge in vigore; la quale appunto sulla teoria dell'ufficio ha costruito l'istituto » (Manca, 1941, 625). La nozione di « ufficio » echeggia infatti nella disposizione in commento, la quale stabilisce che il testatore possa autorizzare l'esecutore a sostituire altri a se stesso quando egli « non possa continuare nell'ufficio»; parimenti l'art. 704 riconosce all'esecutore il potere di esercitare «le azioni relative all'esercizio del suo ufficio »; l'art. 707, poi, obbliga l'esecutore a consegnare all'erede che ne faccia richiesta i beni dell'eredità « che non sono necessari all'esercizio del suo ufficio »; l'art. 710 contempla la possibilità dell'esonero dell'esecutore « dal suo ufficio »; l'art. 711 configura come gratuito « l'ufficio dell'esecutore »; l'art. 712, infine, pone a carico dell'eredità «le spese fatte dall'esecutore testamentario per l'esercizio del suo ufficio». La configurazione della figura in discorso come ufficio privato emerge altresì dalle garanzie di certezza, stabilità e pubblicità che regolano l'accettazione dell'incarico (art. 702); dall'ampliamento dei poteri riconosciuti all'esecutore, rispetto alla disciplina previgente (artt. 703 ss.); dal rafforzamento della responsabilità dell'esecutore nei confronti degli eredi e legatari (art. 709). È in prevalenza ritenuto, poi, che il potere di cui l'esecutore testamentario è dotato, quale titolare di un ufficio privato, abbia un fondamento negoziale, costituito dall'atto di nomina, e, in particolare, discende da un negozio di autorizzazione, contenuto nel testamento, in forza del quale l'esecutore può agire in nome proprio per l'attuazione della volontà del defunto (Azzariti-Martinez-Azzariti, 1973, 618; Caramazza, in Comm. De M. 1982, 556; Cuffaro, in Tr. Res. 1997, 356). L'inquadramento giurisprudenzialeLa S.C., in conformità all'indirizzo dottrinale prevalente, il giudice di legittimità ha affermato che quello dell'esecutore testamentario è «un ufficio di diritto privato (con accenti pubblicistici più o meno larghi, secondo taluni) in base al quale l'esecutore, s'intende a causa della necessaria clausola che lo nomina tale, è investito del potere, cioè è autorizzato, legittimato, a compiere determinati atti» (Cass. n. 724/1965; Cass. n. 6143/1996; Cass. n. 2707/1994; Cass. n. 4930/1993). La nomina dell'esecutore testamentarioL'incarico di esecutore testamentario prova la sua fonte nell'atto negoziale di nomina da parte del testatore, ma richiede l'accettazione da parte dell'esecutore testamentario. Poiché l'accettazione segue necessariamente la nomina si è al riguardo ravvisata un'ipotesi di fattispecie a formazione progressiva (Trimarchi, 1966, 390; Vicari 1994, 1319; Cuffaro, in Tr. Res. 1997, 358; in giurisprudenza Cass n. 4930/1993). La nomina, secondo il conforme insegnamento della dottrina, deve essere contenuta in un atto che abbia i requisiti formali del testamento: ciò si trae dalla lettera dell'art. 700, secondo cui essa proviene dal «testatore». Non sono richieste formule sacramentali, sicché il testatore può adoperare «le espressioni ed i termini ritenuti più opportuni» (Trimarchi, 1966, 390). È comunemente ammesso che la nomina possa essere disposta in un testamento diverso da quello contenente le disposizioni di ultima volontà da eseguire, purché si tratti di un testamento valido, come tale suscettibile di attuazione (Natoli, 1968, 328). Ma è ovvio che l'eventuale annullamento del testamento possa travolgere anche la nomina dell'esecutore (Cuffaro, in Tr. Res. 1997, 359). Si discute se la nomina dell'esecutore testamentario possa essere rimessa all'arbitrio di un terzo prescelto dal testatore. Per un verso viene sottolineato l'intuitus personae che presiede alla scelta dell'esecutore, con la conseguente affermazione che «la nomina deve essere fatta ad personam e non potrebbe essere lasciata all'arbitrio di un terzo», giacché l'esecutore, ai sensi dell'art. 700, può essere autorizzato a sostituire altri a se stesso solo dopo aver assunto le funzioni, cosicché è da escludere che «la prevista sostituzione possa aver luogo ab initio» (Natoli, 1968, 329; in senso analogo, ma dubitativamente, Cuffaro, in Tr. Res. 1997, 359) e, a fortiori, che la nomina dell'esecutore possa essere rimessa ad un terzo. L'opinione maggioritaria, tuttavia, parrebbe essere nel senso della piena ammissibilità nel nostro ordinamento della nomina di un esecutore rimessa all'arbitrio di persona di fiducia del testatore (Talamanca, in Comm. S.B. 1965, 445; Azzariti, Martinez e Azzariti, 1973, 619; Caramazza, in Comm. De M. 1982, 558). Questa soluzione sembra trovare conforto nell'art. 700, comma 3, e nell'osservazione che la nomina dell'esecutore testamentario, quale disposizione di carattere non patrimoniale, si sottrae al principio di stretta personalità delle disposizioni patrimoniali, le quali, secondo il principio fissato dall'art. 631, non possono essere rimesse all'arbitrio di un terzo. Il testatore, in definitiva, «può commettere ad altri la nomina» (Cass. n. 2059/1941). Nomina sotto condizione o termineÈ discusso se la nomina possa essere sottoposta a condizione e termine. Secondo alcuni l'atto di nomina sarebbe «normalmente puro» (Trimarchi, 1966, 391). L'apposizione della condizione e del termine, insomma, «sarebbe incompatibile con i poteri doveri di cui è titolare l'esecutore» (Vicari, 1994, 1318), oltre a contrastare con l'esigenza di una sollecita accettazione, la quale si desume dalla previsione dell'actio interrogatoria di cui all'art. 703, comma 3. Sembra preferibile, però, l'opinione che ammette l'assoggettabilità della nomina a condizione e termine (Cuffaro, in Tr. Res. 1997, 359; Talamanca, in Comm. S.B. 1965, 445). È stato chiarito che occorre distinguere secondo che l'esecutore sia dotato dei soli poteri essenziali previsti dalla legge ovvero che sia dotato anche del potere di amministrazione. Nel primo caso non vengono avvisati ostacoli all'ammissibilità tanto all'apposizione del termine iniziale e di quello finale, quanto della condizione sospensiva e di quella risolutiva. Nel secondo caso, viceversa, vengono ritenute certamente ammissibili, senza limiti, l'apposizione della condizione risolutiva e del termine finale, purché più ristretto del termine annuale previsto dall'art. 703. Quanto alla condizione sospensiva ed al termine iniziale, invece, essi rimangono in operanti se essi cadano prima dell'apertura della successione. In caso contrario deve ritenersi che l'esecutore non possa pretendere di conseguire l'amministrazione dei beni ereditari, poiché il sistema legislativo è «nel senso che l'amministrazione della massa ereditaria deve cominciare con l'apertura della successione, ed essere condizionata esclusivamente all'accettazione dell'esecutore» (Talamanca, in Comm. S.B. 1965, 445). La sostituzione disposta dal testatoreLa norma in commento contempla la sostituzione dell'esecutore disposta dal testatore. Il testatore, in particolare, può nominare uno o più sostituti dell'esecutore o degli esecutori testamentari per il caso che «alcuni o tutti non vogliano o non possano accettare». Ci si interroga, allora, anzitutto se ad essa possa applicarsi la presunzione prevista dall'art. 688, comma 2, secondo cui, in caso di sostituzione ordinaria, ove il testatore abbia disposto per il solo caso che l'erede non possa, oppure per il solo caso che non voglia accettare, deve presumersi che si sia voluto riferire anche al caso non espresso, salvo che consti una sua diversa volontà. Per un verso si è posto l'accento sul carattere «eminentemente fiduciario dell'incarico di esecutore testamentario», il che precluderebbe l'applicazione della disposizione in tema di sostituzione ordinaria (Manca, 1941, 627; Vicari, 1994, 1323). Per altro verso si è osservato che la presunzione in questione non sembra «subordinata al carattere patrimoniale ed attributivo della disposizione a cui la sostituzione si riferisce» (Talamanca, in Comm. S.B. 1965, 443), sicché non vi sarebbero ostacoli all'interpretazione analogica. La lettera della norma in esame, la quale prevede la sostituzione per il caso che l'esecutore non possa o non voglia «accettare» l'incarico, sembra riferirsi ad un congegno destinato ad operare in concomitanza con la costituzione dell'ufficio. Si discute, allora, se il testatore possa disporre la sostituzione post acceptum officium, ossia nel il caso che l'impossibilità o la rinuncia all'incarico siano successivi alla sua accettazione. La soluzione positiva trova conforto nell'argomento logico secondo cui, se è consentito al de cuius conferire all'esecutore il potere di «sostituire altri a se stesso, qualora egli non possa continuare nell'ufficio» (art. 703, comma 3), a maggior ragione è da credere possa provvedervi direttamente, non essendovi di ostacolo, del resto, il principio semel heres, semper heres, inapplicabile alla materia (Talamanca, in Comm. S.B. 1965, 442; Azzariti, Martinez e Azzariti, 1973, 622; Caramazza, in Comm. De M. 1982, 558). Secondo altri, anzi, la sostituzione prevista dal testatore per il caso di impossibilità o rinuncia all'assunzione dell'incarico opererebbe — pur in difetto di un'espressa volontà del testatore — anche in caso di impossibilità o rinunzia post acceptum officium (Vicari, 1994, 1323). La sostituzione disposta dall'esecutoreDalla sostituzione di cui si è detto finora va distinta l'ipotesi affatto diversa, alla quale pure si è accennato, di sostituzione prevista dall'art. 700, comma 3. Nel primo caso è previsto che la sostituzione sia disposta direttamente dal testatore per l'eventualità che il nominato non possa o non voglia accettare l'incarico. Nel secondo caso è prevista la sostituzione disposta dall'esecutore — ed attraverso lui, indirettamente, dal testatore — dopo l'accettazione dell'incarico, quando egli non possa continuare nell'ufficio. L'impossibilità di prosecuzione nell'ufficio è stata ravvisata non solo in ipotesi di morte dell'esecutore o di altro impedimento obbiettivo che lo riguardi, ma anche nel caso di altri eventi che rendano «seriamente difficile» la continuazione nell'incarico (Manca, 1941, 631). La formulazione della norma escluderebbe, secondo alcuni, che l'esecutore, anche se espressamente autorizzato dal testatore, possa sostituire altri a se stesso nel caso che non voglia accettare l'incarico (Manca, 1941, 631). Sembra, però, potersi osservare che anche la rinuncia all'incarico, se giustificata, possa essere talvolta ricondotta all'ipotesi di seria difficoltà alla prosecuzione dell'ufficio. E, inoltre, dopo aver ammesso la possibilità di devolvere la nomina dell'esecutore testamentario ad un terzo, muovendo proprio dall'art. 700, comma 3, sembra maggiormente coerente consentire che, se autorizzato dal testatore, l'esecutore possa autosostituirsi anche nel caso di rinuncia all'incarico non assistita da giustificazione (così Azzariti-Martinez-Azzariti, 1973, 621). In tanto può procedersi all'autosostituzione, però, in quanto essa provenga da chi validamente ricopre la carica di esecutore testamentario. Perciò l'esecutore che sia stato esonerato dall'incarico, ex art. 710, pur non potendo proseguirlo, non può nominare un sostituto (Contursi Lisi, 1950, 71; Talamanca, in Comm. S.B. 1965, 444). Anche se l'esecutore testamentario abbia nominato un sostituto inidoneo o incapace, finanche tale da rendersi meritevole di esonero, egli non può ripetere la nomina, essendo ormai comunque cessato dall'incarico. Non è prevista, ed è pertanto ritenuta esclusa, la nomina di coesecutori da parte dell'esecutore (Manca, 1941, 631). Da questa, però, va tenuta distinta l'ipotesi, da ritenersi ammissibile, che l'esecutore voglia avvalersi «sotto la sua responsabilità, dell'opera di terzi, specialmente esperti nella materia cui si riferisce l'attuazione della volontà del defunto» (Manca, 1941, 631). Pluralità di esecutoriÈ consentita la nomina di più esecutori testamentari. L'art. 700, comma 2, fissa in proposito il principio che essi devono agire congiuntamente. Nel caso di disaccordo tra gli esecutori, occorre, per dirimere il contrasto, far ricorso al giudice, ai sensi dell'art. 708. È competente il Presidente del tribunale del luogo in cui si è aperta la successione (l'ultimo domicilio del defunto, ex art. 456), ai sensi dell'art. 750 c.p.c., sentiti, se occorre, gli eredi, come è previsto dall'art. 708. La legge prevede due eccezioni alla regola che impone agli esecutori di agire congiuntamente. La prima si ha quando il testatore abbia diversamente stabilito, dividendo tra loro le attribuzioni. La seconda si ha quando l'atto da compiere sia giustificato da ragioni di urgenza riguardanti la conservazione di un bene o di un diritto ereditario. La nozione di provvedimento urgente per la conservazione di un bene o un diritto ereditario (art. 700, comma 2) è assai ampia. Vi debbono comprendere, perciò, non solo le iniziative di natura cautelare determinate da una situazione di periculum in mora, ma anche il compimento di quegli atti negoziali — basti pensare all'interruzione della prescrizione — in difetto dei quali il patrimonio ereditario, nel tempo necessario per combinare il simultaneo intervento degli esecutori, subirebbe un pregiudizio. Nel caso di impossibilità o rinunzia alla nomina da parte di alcuni degli esecutori, l'esecuzione sarà curata dagli altri, salva diversa volontà del testatore (Natoli, 1968, 331). 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