Codice Civile art. 703 - Funzioni dell'esecutore testamentario.

Mauro Di Marzio

Funzioni dell'esecutore testamentario.

[I]. L'esecutore testamentario deve curare che siano esattamente eseguite le disposizioni di ultima volontà del defunto [706].

[II]. A tal fine, salvo contraria volontà del testatore, egli deve amministrare la massa ereditaria, prendendo possesso dei beni che ne fanno parte [709].

[III]. Il possesso non può durare più di un anno dalla dichiarazione di accettazione, salvo che l'autorità giudiziaria, per motivi di evidente necessità, sentiti gli eredi, ne prolunghi la durata, che non potrà mai superare un altro anno.

[IV]. L'esecutore deve amministrare come un buon padre di famiglia [1176 1] e può compiere tutti gli atti di gestione occorrenti. Quando è necessario alienare beni dell'eredità, ne chiede l'autorizzazione all'autorità giudiziaria, la quale provvede sentiti gli eredi [747 ss. c.p.c.].

[V]. Qualsiasi atto dell'esecutore testamentario non pregiudica il diritto del chiamato a rinunziare all'eredità [519 ss.] o ad accettarla col beneficio d'inventario [484 ss.].

Inquadramento

Dopo aver accettato la carica, l'esecutore testamentario assume un compito che la norma in commento identifica come cura delle disposizioni di ultima volontà del defunto. Tale cura si realizza attraverso molteplici attività che si articolano nell'esercizio di poteri e nell'adempimento di doveri diversi.

Il testatore, in particolare, può dar vita a due figure di esecutore testamentario sensibilmente diverse: quella dell'esecutore dotato dei poteri di amministrazione della massa ereditaria e quella dell'esecutore privo di tali poteri, ai sensi dell'art. 703, comma 2. Quest'ultima disposizione, infatti, pone l'amministrazione come elemento meramente naturale dell'esecuzione testamentaria, ossia come elemento che appartiene alla fattispecie solo se il testatore non abbia disposto diversamente.

Nel suo complesso l'attività dell'esecutore, tenuto conto della sua variabile latitudine, dovrebbe essere qualificata come gestione, contrapposta all'amministrazione che egli esercita, ai sensi del secondo comma della disposizione, salva diversa volontà del testatore (Trimarchi, 1966, 396). Si è replicato che una contrapposizione di amministrazione e gestione non è configurabile, giacché, se è vero che l'amministrazione non può identificarsi con l'attività dell'esecutore globalmente considerata, nel linguaggio legislativo la gestione ha esclusivo riferimento patrimoniale e in tale accezione è pure utilizzata nella disciplina dei compiti dell'esecutore (Cuffaro, in Tr. Res. 1997, 366).

L'esecuzione testamentaria può, in linea di principio, aver riguardo sia alle disposizioni a titolo particolare che a quelle a titolo universale, di carattere patrimoniale o non patrimoniale. Il potere di amministrazione, tuttavia, è strumentale all'esecuzione delle sole disposizioni a titolo particolare, come si desume dall'art. 707, il quale ricollega il possesso della massa ereditaria e, con esso, la sua amministrazione, all'attuazione di disposizioni a titolo particolare.

Il potere del testatore di ampliare o comprimere le funzioni attribuite all'esecutore incontra un limite in alcune disposizioni dettate dagli artt. 700-712 alle quali viene comunemente riconosciuta natura inderogabile (Cuffaro, in Tr. Res. 1997, 363).

In particolare l'erede non può affidare all'esecutore testamentario la facoltà di procedere a suo piacimento ad imprecisati cambiamenti delle disposizioni testamentarie. La questione (su cui v. Magni 1994, 160 ss.; Porcari 1993, 973 ss.) è stata esaminata in un caso in cui la testatrice aveva lasciato libera «la sua esecutrice testamentaria di “cambiare qualche cosa” delle precedenti disposizioni del testamento medesimo ove le fosse parso opportuno» (in giurisprudenza Cass. n. 3082/1993).

L'esecutore senza poteri di amministrazione della massa

La possibilità che il testatore, avvalendosi della previsione dettata dall'art. 703, comma 2, abbia privato l'esecutore del potere di amministrazione della massa ereditaria vale a fissare la soglia minima delle sue attribuzioni, attribuzioni che in tal caso «si riducono a ben poca cosa» (Talamanca, in Comm. S.B. 1965, 462), risolvendosi in un'attività di controllo e vigilanza sull'osservanza della volontà testamentaria (Manca, 1941, 639; Natoli,1968, 332).

L'esecutore testamentario, anche se sprovvisto dell'amministrazione della massa, può chiedere l'apposizione dei sigilli e l'inventario, in applicazione degli artt. 753, comma 1, 763, comma 1, e 771, n. 3, c.p.c. Egli, poi, ai sensi dell'art. 705, deve sollecitare l'apposizione dei sigilli e la formazione dell'inventario quando tra i chiamati all'eredità vi siano minori, assenti, interdetti o persone giuridiche. All'esecutore testamentario, infine, può, quando non sia anche un erede o un legatario, essere conferita la facoltà di procedere alla divisione dei beni ereditari, ex art. 706.

Esecutore ed altri amministratori

L'amministrazione dei beni ereditari, quale elemento naturale della fattispecie, è un amministrazione di scopo, ossia «un mezzo al servizio del fine specifico dell'esecuzione del testamento» (Natoli, 1968, 338). Tale osservazione rinvia al quesito se dal collegamento funzionale tra amministrazione ed esecuzione possano desumersi limiti al potere di amministrazione dell'esecutore, particolarmente con riguardo alla sua esclusività.

Vi è stato, così, in dottrina, chi ha ritenuto che i poteri del chiamato non possessore (art. 460) e del curatore dell'eredità giacente (art. 528) concorrano con l'amministrazione dell'esecutore testamentario (Natoli, 1968, 214; Trimarchi, 1966, 395).

La tesi della programmatica incompatibilità tra le attribuzioni dell'esecutore testamentario e quelle di altri soggetti è stata da altri respinta sulla considerazione delle finalità cui le attribuzioni dell'esecutore sono strumentali, sicché il rapporto tra amministrazione dell'esecutore ed altre amministrazioni andrebbe esaminato «in un'ottica di compatibilità» (Cuffaro, in Tr. Res. 1997, 376). Dall'opposto versante si è osservato che nulla può far ritenere che l'amministrazione della massa, e cioè del patrimonio ereditario, affidatagli dal comma 2 dell'articolo in esame, non sia esclusiva: onde, non potendo la sua amministrazione concorrere con quella di altri soggetti, ogni atto che sia necessario alla gestione del patrimonio ereditario può e deve essere compiuto dall'esecutore testamentario (Talamanca, in Comm. S.B. 1965, 476).

Esecutore e chiamato non possessore

La presenza di un chiamato non possessore, secondo una diffusa opinione, non impedisce l'apprensione ed amministrazione della massa ereditaria da parte dell'esecutore testamentario (Talamanca, in Comm. S.B. 1965, 488).

La legittimazione al compimento degli atti di cui all'art. 460, comma 2, la quale viene meno quando vi sia un altro soggetto legittimato, curatore dell'eredità giacente o esecutore testamentario, non spetta al chiamato non possessore neppure in caso di inerzia dell'esecutore (contra Natoli, 1968, 215). Il chiamato non possessore, in tale ipotesi, può invece agire nei confronti dell'esecutore soltanto per ottenerne l'esonero, ai sensi dell'art. 710, quando la sua inerzia si configuri come inadempimento degli obblighi dell'ufficio.

I poteri di cui all'art. 460, definitivamente consumati per effetto dell'accettazione della carica da parte dell'esecutore testamentario munito dei poteri di amministrazione, non riprendono vigore alla scadenza dell'anno, o del biennio, di cui all'art. 703, comma 3, dovendo in tal caso lo stesso esecutore testamentario richiedere, in difetto di accettazione dell'eredità, la nomina di un curatore dell'eredità giacente, né potendo, ovviamente, consegnare i beni a persona diversa da questo.

Esecutore e chiamato possessore

Il possibile conflitto tra l'esecutore testamentario dotato dell'amministrazione della massa ed il chiamato all'eredità che sia in possesso di beni ereditari — l'uno tenuto ad amministrare, l'altro a compiere entro un breve termine l'inventario e, parimenti, ad amministrare — è stato risolto nel senso della prevalenza del chiamato possessore sulla considerazione che, nel caso contrario, il primo dovrebbe consegnare all'esecutore i beni di cui ha il possesso e, in conseguenza, tale possesso dovrebbe essere considerato irrilevante agli effetti di cui all'art. 485, perché i termini ivi previsti non avrebbero alcun significato. Ciò potrebbe, in pratica, procrastinare il compimento della successione, con tutti gli inconvenienti connessi al perdurare di una situazione di vacanza della titolarità ereditaria (Natoli, 1968, 241).

L'attività dell'esecutore testamentario, dunque, si ridurrebbe in presenza del chiamato possessore ad un'attività di vigilanza, tendente ad impedire il compimento di atti pregiudizievoli per l'attuazione della volontà testamentaria. Dopo di che, venuta meno la situazione di vacanza ai sensi dell'art. 485 (per essere divenuto erede puro e semplice ovvero erede beneficiato il chiamato possessore, pure per aver rinunziato all'eredità), non vi sarebbe più ostacolo al completo dispiegarsi dei poteri dell'esecutore testamentario. Altri ritengono invece che «l'amministrazione dell'esecutore testamentario prevalga sulla c.d. curatela di diritto del chiamato possessore, e che egli abbia il diritto di conseguire da quest'ultimo il possesso dei beni ereditari» (Talamanca, in Comm. S.B. 1965, 490), sicché lo spossessamento del chiamato da parte dell'esecutore farebbe cessare ex nunc la legittimazione del primo, ex art. 486, comma 1, e impedirebbe il decorso dei termini di cui all'art. 485.

Nell'unico precedente giurisprudenziale noto, la Corte di Cassazione ha dato implicita adesione al secondo degli indirizzi richiamati, affermando che «la consegna dei beni all'esecutore non pregiudica il diritto del chiamato ad accettare con beneficio d'inventario, o, addirittura, di rinunciare» (Cass. n. 735/1961).

Esecutore e curatore dell'eredità giacente

Si discute se, in presenza di un esecutore testamentario munito dell'amministrazione della massa ereditaria, possa procedersi alla nomina del curatore dell'eredità giacente, quando sussistano i presupposti di cui all'art. 528, ovvero il chiamato all'eredità non abbia accettato e non sia nel possesso di beni ereditari. Secondo un indirizzo, in presenza di un esecutore testamentario dotato dei poteri di amministrazione, la nomina del curatore dell'eredità giacente e la sua conseguente amministrazione non sarebbe preclusa, ma «potrebbe non ravvisarsi opportuna, data la presenza di un altro soggetto che è espressamente legittimato a provvedervi» (Natoli, 1968, 255).

Altri hanno negato la possibilità di nomina di un curatore dell'eredità giacente quando vi sia un esecutore testamentario dotato del potere di amministrazione, sostenendo che la giacenza dell'eredità si configurerebbe solo nell'inerzia degli interessati e, pertanto, non avrebbe motivo di esistere laddove il testatore abbia disposto per l'amministrazione dei propri beni dopo la morte (Ferri, in Comm. S.B. 1970, 154; Santarcangelo, 1991, 601; Bonilini, 1991, 545; Vicari, 1994, 1338; Capozzi, 1982, 612; Prestipino, in Comm. De M. 1981, 488).

In giurisprudenza si trova affermato che nessuna concorrenza di amministrazione è ipotizzabile tra la figura dell'esecutore e quella del curatore. Solo questi, infatti, fino alla chiusura dell'eredità giacente, è il responsabile della gestione dei beni ereditari e, conseguentemente, deve avere i pieni poteri di amministrazione, beninteso sotto il controllo del giudice (Pret. Roma 28 novembre 1973, Temi rom., 1976, 91).

Sembra da condividere l'opinione dell'esclusività dell'amministrazione dell'esecutore, in presenza della quale la nomina del curatore dell'eredità giacente è preclusa. Alla scadenza dell'anno o del biennio di cui all'art. 703, comma 3, poi, sarà lo stesso esecutore testamentario, se sussistano i presupposti previsti dall'art. 528, a sollecitare la nomina del curatore dell'eredità giacente, che il giudice potrà designare anche nella stessa persona dell'esecutore testamentario.

Esecutore e potere di disposizione dell'erede

Ove si accolga l'opinione secondo cui l'amministrazione dell'esecutore testamentario è esclusiva, sicché nessun potere di amministrazione della massa può essere riconosciuto neppure all'erede (Vicari, 1994, 1331), resta da chiedersi se quest'ultimo rimanga temporaneamente privato del potere di disposizione dei beni compresi nella massa ereditaria, che altrimenti gli spetterebbe, dal potere di amministrazione esclusiva spettante all'esecutore testamentario.

La dottrina prevalente ritiene che il potere di disposizione dell'erede non sia affatto influenzato dalla presenza di un esecutore testamentario munito dei poteri di amministrazione della massa ereditaria «in mancanza di espressa disposizione in contrario, essendo l'erede, come regola, proprietario e legittimo possessore dei beni ereditari, nessuna limitazione egli subisce quanto alla disposizione dei beni» (Manca, 1941, 643).

Secondo una diversa opinione, la permanenza in capo all'erede del potere di disposizione dovrebbe essere esclusa in considerazione della funzione dell'esecuzione testamentaria, volta all'adempimento della volontà testamentaria attraverso l'amministrazione della massa ereditaria, anche contro la volontà dell'erede. Di qui si dovrebbe desumere che, qualora si riconoscesse all'erede il potere di disporre del patrimonio ereditario, sottraendo all'esecutore i mezzi necessari per dare attuazione alla volontà testamentaria, lo scopo stesso dell'ufficio di esecutore testamentario rimarrebbe travolto.

Altri hanno sostenuto che erede ed esecutore sarebbero titolari di una duplice e concorrente legittimazione a disporre: dell'esecutore testamentario in via primaria, ove sussistano le circostanze che giustificano l'atto e risultino osservate le formalità procedurali; dell'erede in via secondaria, ove l'esplicazione di tale potere non comprometta l'esatta esecuzione delle disposizioni testamentary (Cuffaro, in Tr. Res. 1997, 370).

Orbene, salvo a non ammettere la contraddizione insita nell'opinione che l'erede, pur non potendo ottenere dall'esecutore altro che la restituzione dei beni non necessari all'adempimento della volontà testamentaria, possa tuttavia alienare i beni ereditari, sembra esatto ritenere che il potere di disposizione sia sottratto all'erede durante l'amministrazione dell'esecutore testamentario (Talamanca, in Comm. S.B. 1965, 472; Talamanca, 1970, 987; Trimarchi, 1966, 395; Vicari, 1994).

In tal senso si è pronunciata la giurisprudenza di merito (Trib. Pavia 21 maggio 1992).

L'erede, in definitiva, nel corso dell'amministrazione dell'esecutore, perde il potere di disposizione della massa ereditaria, salvo, naturalmente, per quei beni dei quali abbia ottenuto la restituzione, ex art. 707.

Esecutore ed erede beneficiato

Il rapporto tra esecutore ed erede beneficiato è menzionato all'art. 703, comma 5, secondo cui l'attività dell'esecutore non pregiudica il diritto del chiamato di accettare l'eredità con beneficio di inventario: nulla è detto, però, sul rapporto tra i poteri dell'esecutore testamentario dotato dell'amministrazione della massa e quelli dell'erede beneficiato.

Parte della dottrina (Capozzi, 1982, 612; Cuffaro, in Tr. Res. 1997, 378) è nel senso della prevalenza dell'amministrazione dell'erede beneficiato su quella dell'esecutore testamentario, sul rilievo che i poteri dell'erede beneficiato sono «chiaramente finalizzati alla liquidazione del compendio ereditario attraverso una rigorosa procedura che tende a salvaguardare gli interessi in gioco e crea responsabilità e sanzioni; analoghi poteri non spettano all'esecutore la cui attività di liquidazione può esercitarsi solo in quanto rivolta alla realizzazione della volontà testamentaria» (Vicari, 1994, 1338).

Si può replicare, però, che, se fosse esatta l'opinione ricordata, l'accettazione beneficiata consentirebbe senza difficoltà all'erede di neutralizzare la nomina dell'esecutore testamentario. Secondo altri, dunque, competerebbe all'esecutore testamentario, in caso di concorso con l'erede beneficiato, sia l'amministrazione che la liquidazione dell'eredità (Talamanca, in Comm. S.B. 1965, 492; Talamanca, 1970, 994).

La S.C., in un'occasione, ha ammesso che l'esecutore testamentario possa procedere alla liquidazione concorsuale di cui all'art. 498 (Cass. n. 1661/1960).

L'esecutore e l'adempimento dei legati

Se è vero che l'esecutore testamentario amministra in esclusiva la massa ereditaria, egli deve provvedere all'adempimento dei legati, e ciò trova conferma nel rilievo che l'amministrazione dell'esecutore testamentario è preordinata all'esatta attuazione delle disposizione testamentarie, tra le quali i legati. Del menzionato potere, inoltre, è menzione nell'art. 707, comma 2.

Appare dunque corretto l'indirizzo dottrinale prevalente, che riconosce all'esecutore testamentario il potere di adempiere i legati (Manca, 1941, 642; Talamanca, in Comm. S.B. 1965, 477; Trimarchi, 1966, 398; Migliori, 1970, 252; Capozzi, 1982, 605; Caramazza, in Comm. S.B. 1982, 571; Vicari, 1994, 1326; Palazzo, in Tr. I.Z. 1996, 829; Cuffaro, in Tr. Res. 1997, 367), pur dovendosi per completezza ricordare che è stata sostenuta anche l'opinione opposta (Contursi Lisi, 1950, 157).

In giurisprudenza il potere dell'esecutore di adempiere i legati è dato per scontato (App. Brescia 13 settembre 1953; Trib. Perugia 25 gennaio 1960; Trib. Napoli 11 giugno 1985; Trib. Roma 1 febbraio 1988; Trib. Pavia 21 maggio 1992).

Il legatario deve dunque rivolgersi all'esecutore, ai sensi dell'art. 649, comma 3. Difatti, pur essendo l'esecutore testamentario, «un semplice detentore dei beni ereditari, può disporre del possesso, appunto in quanto amministratore della massa ereditaria: e può disporne indipendentemente dall'erede, che a sua volta, proprio in funzione dell'amministrazione dell'esecutore, è privato del potere di disporre di quel possesso». (Talamanca, in Comm. S.B. 1965, 479).

Oltre alla materiale consegna della cosa legata, l'amministrazione dell'esecutore — come emerge da Trib. Pavia 21 maggio 1992 — rileva anche ad altri fini, quali l'acquisto dal terzo della cosa da trasferire al legatario (art. 651, comma 1) ovvero l'effettuazione della scelta in caso di legato di genere (art. 644) o di legato alternativo (art. 665), senza che tali poteri possano ritenersi circoscritti all'ipotesi che il testatore li abbia espressamente previsti (in tal senso in dottrina Cuffaro, in Tr. Res. 1997, 367), giacché, se compete all'esecutore testamentario l'adempimento dei legati, non si può negargli la legittimazione a svolgere le attività che ad esso siano strumentali.

L'esecutore e il pagamento dei debiti

Secondo l'opinione prevalente l'esecutore testamentario può pagare i debiti ereditari (Manca, 1941, 638; Talamanca, in Comm. S.B. 1965, 480; Trimarchi, 1966, 398; Capozzi, 1982, 605; Caramazza in Comm. De M. 1982, 571; Vicari 1994, 1326).

Non è di ostacolo al pagamento dei debiti da parte dell'esecutore l'osservazione che l'erede potrebbe avere interesse ad effettuare direttamente in pagamento con denaro proprio, al fine di evitare l'alienazione di beni ereditari, giacché detto interesse ben può essere fatto valere in sede di procedimento di autorizzazione alla vendita, ai sensi dell'art. 703, comma 4.

Secondo altri, il pagamento delle passività ereditarie non atterrebbe né all'esecuzione del testamento, né all'amministrazione dei beni, ma riguarderebbe un aspetto della successione riguardo al quale è esclusivamente competente l'erede, abbia accettato puramente e semplicemente o con beneficio di inventario (Cuffaro, 1997, 367).

L'esecutore e la disposizione di beni ereditari

Esula dall'amministrazione dell'esecutore, in linea di principio, il potere di disposizione dei beni ereditari, amministrando degli un patrimonio altrui. Tuttavia l'art. 703, comma 4, consente all'esecutore di alienare beni dell'eredità, dietro autorizzazione dell'autorità giudiziaria, in presenza di necessità.

La necessità va valutata in relazione all'amministrazione dell'esecutore ed ai limiti di essa, quale amministrazione conservativa volta allo scopo di realizzare l'esatto adempimento della volontà testamentaria. L'alienazione, dunque, deve essere necessaria al fine dell'adempimento dei legati, del pagamento dei debiti ereditari e della conservazione del patrimonio ereditario (Talamanca, in Comm. S.B. 1965, 484).

Non sempre, però, l'autorizzazione è richiesta, potendo l'esecutore procedere senza di essa alle alienazioni già previste dal testatore. È stato infatti detto che ai sensi dell'art. 703, «la necessità dell'autorizzazione del giudice per alienare beni dell'eredità si riferisce a quelle alienazioni che si rendano necessarie durante lo svolgimento dell'incarico per determinazione autonoma dell'esecutore e non anche a quelle che sono state previste e volute dal testatore» (Cass. n. 1386/1953).

Il limite temporale dell'amministrazione in funzione della durata del possesso

L'amministrazione dell'esecutore è un effetto naturale dell'esecuzione testamentaria, poiché il testatore può disporre diversamente, ai sensi dell'art. 703, comma 2. Tale amministrazione si attua attraverso la presa di possesso dei beni che fanno parte dell'eredità. Il possesso dell'esecutore, dunque, rileva non già, di per se stesso, quale potere di fatto sulla cosa, bensì quale strumento al servizio del connotato saliente della figura di esecutore testamentario in esame, ovvero della sua amministrazione della massa ereditaria.

La dottrina è concorde nel ritenere che la formula adottata dal legislatore sia imprecisa e che l'esecutore abbia non il possesso, ma la detenzione alieno nomine dei beni ereditari (Manca, 1941, 639; Talamanca, in Comm. S.B 1965, 495; Jannuzzi, 1984, 625; Bonilini, 1991, 543; Vicari, 1994, 1328; Cuffaro, in Tr. Res. 1997, 371).

Si ammette tuttavia che l'esecutore testamentario si legittimato non soltanto all'azione di spoglio, ex art. 1168, comma 2, ma anche all'azione di manutenzione, ex art. 1170, giacché egli amministra, coltivandone l'aspetto materiale, la situazione possessoria dell'erede (Talamanca 1965, 495 s.). L'esecutore, quindi, è legittimato ad esperire anche l'azione di manutenzione non in quanto vero è proprio possessore, ma in quanto amministratore della massa. Altri, non diversamente, ritengono che tale legittimazione «appare giustificabile dall'ampia formula dell'art. 704» (Cuffaro, in Tr. Res. 1997, 371).

Il comma 2 della disposizione in commento, quale norma dispositiva, può essere derogato dalla contraria volontà del testatore, che, potendo sottrarre l'amministrazione all'esecutore, può anche comprimerla nei limiti ritenuti opportuni, circoscrivendo il possesso e l'amministrazione dei beni ereditari entro l'ambito desiderato, ad esempio assegnando all'esecutore i soli beni mobili o immobili, o di alcuni di essi. In ogni caso, la separazione tra titolarità del compendio ereditario ed amministrazione del medesimo è destinata ad avere una durata limitata nel tempo. E, sotto tale profilo, la dottrina è concorde nel ritenere che il testatore non possa disattendere il dettato normativo conferendo all'esecutore un'amministrazione della massa di durata maggiore di quella prevista. Secondo l'art. 703, comma 3, infatti, il possesso dell'esecutore non può durare più di un anno.

La S.C. ha in un'occasione affermato che le funzioni dell'esecutore testamentario non cessano dopo un anno dall'accettazione della nomina. Tale limitazione temporale è posta dalla legge per il solo possesso dei beni ereditari, non anche per l'amministrazione degli stessi da parte da parte dell'esecutore testamentario, la cui gestione deve durare salvo contraria volontà del testatore (Cass. n. 1969/1969).

La cessazione dei poteri di detenzione e amministrazione della massa ereditaria a seguito del decorso dell'anno di cui all'art. 703, comma 3, non comporta decadenza dell'esecutore dall'ufficio, ché la sua durata si rapporta all'esistenza di disposizioni testamentarie da eseguire (Cass. n. 1386/1953; Cass. n. 929/1964; Cass. n. 78/1967).

Il prolungamento del possesso

Il terzo comma della norma in commento, dopo averne fissato la durata in un anno, prevede il prolungamento del possesso dall'autorità giudiziaria, in caso di «evidente necessità», sentiti gli eredi, per un periodo non superiore ad un ulteriore anno.

Il procedimento è quello previsto dall'art. 749 c.p.c. L'esecutore deve agire con ricorso al giudice del luogo dell'aperta successione, che fissa l'udienza di comparizione delle parti dinanzi a sé ed il termine per la notificazione, provvedendo, all'esito, con ordinanza reclamabile a norma dell'art. 739 c.p.c.. Il provvedimento reso dal tribunale sul reclamo non è ricorribile per cassazione ex art. 111 Cost. (Cass. n. 1619/1974).

Bibliografia

: Ambanelli, Sulla legittimazione processuale dell'esecutore testamentario, in Nuova giur. civ. comm. 1995, I, 644; Azzariti-Martinez-Azzariti, Successioni per causa di morte e donazioni, Padova, 1973; Barbero, Sistema istituzionale del diritto privato italiano, II, Torino, 1951; Benettini, Sulla figura giuridica dell'esecutore testamentario, in Giur. it. 1941, I, 1, 245; Bonilini, Esecutore testamentario, in Dig. civ., VII, 1991; Bonilini, Degli esecutori testamentari, Milano, 2005; Brama, Manuale dell'esecutore testamentario, Milano, 1989; Brama, Manuale del curatore dell'eredità giacente, Milano, 1992; Brunelli-Zappulli; Il libro delle successioni e donazioni, Milano, 1941; Candian, Del c.d. “ufficio privato” e, in particolare, dell'esecutore testamentario, in Temi 1952, 379; Capozzi, Successioni e donazioni, II, Milano, 1982; Cariota Ferrara, Le successioni per causa di morte, Napoli, 1991; Celentano, Sull'incarico conferito all'esecutore testamentario di scegliere i legatari tra persone bisognose, in Dir. e giust. 1986, 460; Coniglio, La nullità del provvedimento d'autorizzazione a vendere i beni dell'eredità in confronto al terzo, in Giur. Compl. Cass. Civ. 1946; Contursi Lisi, L'esecutore testamentario, Padova, 1950; Criscuoli, ll testamento. Norme e casi, Padova, 1995; De Simone, Esecuzione testamentaria e litisconsorzio necessario, in Dir. e giust. 1954, 325; Fusi, Rilevanza strutturale-operativa della funzione processuale dell'esecutore testamentario, in Giust. civ. 1994, I, 2526; Giardino, Un istituto che va scomparendo (brevi riflessioni in tema di esecutore testamentario), in Riv. not. 1971, 313-318 Giannattasio, Delle successioni. Successioni testamentarie, in Comm. cod. civ. Torino, 1961; Jannuzzi, Manuale della volontaria giurisdizione, Milano, 1984; Lorefice, Dei provvedimenti di successione, Padova, 1991; Lupoi, Trusts e successioni mortis causa, in Atti del convegno su successioni mortis causa e mezzi alternativi di trasmissione della ricchezza, in Jus 1997, 279; Magni, In tema di disposizioni testamentarie rimesse all'arbitrio del terzo, in Nuova giur. civ. comm. 1994, I, 160-163; Magni, Sull'accettazione e rinunzia dell'ufficio di esecutore testamentario, in Nuova giur. civ. comm. 1994, I, 292; Mazzacane, La volontaria giurisdizione nell'attività notarile, Roma, 1980; Mengoni, Conclusioni, in Atti del convegno su successioni mortis causa e mezzi alternativi di trasmissione della ricchezza, in Jus 1997, 309; Messineo, Contributo alla dottrina della esecuzione testamentaria, Roma, 1923; Migliori, Aspetti pratici della esecuzione testamentaria, in Riv. not. 1971, 239; Natoli, Sui caratteri della divisione effettuata dall'esecutore testamentario, in Foro pad. 1954, III, 1; Natoli, L'amministrazione dei beni ereditari, I, L'amministrazione durante il periodo antecedente all'accettazione dell'eredità, Milano, 1968; Porcari, Nota a Cass. 15 marzo 1993, n. 3082, 1993, 973; Santarcangelo, La volontaria giurisdizione nell'attività negoziale, III, Milano, 1986; Talamanca, Poteri e funzioni dell'esecutore testamentario, in Riv. not. 1970; Torrente, Nota a Cass. 14 febbraio 1946, n. 43, in Foro it. 1946, I, 185; Trimarchi, Esecutore testamentario (dir. priv.), in Enc. dir., 1966, XV, 389; Trojani, Rapporto esistente tra amministrazione dell'esecutore testamentario e curatela dell'eredità giacente, in Vita not. 1991, 367; Vicari, L'esecutore testamentario, Successioni e donazioni, I, Padova, 1994.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario