Codice Civile art. 757 - Diritto dell'erede sulla propria quota.Diritto dell'erede sulla propria quota. [I]. Ogni coerede è reputato solo e immediato successore in tutti i beni componenti la sua quota o a lui pervenuti dalla successione, anche per acquisto all'incanto [719, 720], e si considera come se non avesse mai avuto la proprietà degli altri beni ereditari [2646, 2825]. InquadramentoLa norma sancisce la regola dell'effetto retroattivo della divisione ereditaria, che fa subentrare l'assegnatario nella titolarità esclusiva dei beni a lui assegnati sin dal momento dell'apertura della successione (facendogli perdere, sempre con effetto retroattivo, la proprietà degli altri beni ereditari). La sentenza di divisione ha, quindi, natura dichiarativa e non costitutiva. L'effetto retroattivo della divisione ereditariaLa giurisprudenza di legittimità ha chiarito che in tema di comunione ereditaria, il principio della natura dichiarativa della sentenza di divisione opera esclusivamente in riferimento all'effetto distributivo, per cui ciascun condividente è considerato titolare, sin dal momento dell'apertura della successione, dei soli beni concretamente assegnatigli e a condizione che si abbia una distribuzione dei beni comuni tra i condividenti e le porzioni a ciascuno attribuite siano proporzionali alle rispettive quote; esso non opera, invece — e la sentenza produce effetti costitutivi — quando ad un condividente sono assegnati beni in eccedenza rispetto alla sua quota, in quanto rientranti nell'altrui quota, caso in cui sorge l'obbligo di versamento del conguaglio. Ne consegue che, in tal caso, gli interessi compensativi sul conguaglio decorrono soltanto dal passaggio in giudicato della sentenza costitutiva che fa cessare lo stato di indivisione mediante attribuzione ad un condividente di un bene eccedente la sua quota (Cass. n. 406/2014). La disciplina di cui all'art. 757, inoltre, non opera per quanto attiene ai frutti separati ed agli altri incrementi oggettivi dei beni ereditari verificatisi anteriormente allo scioglimento della comunione ereditaria, presumendosi tali incrementi, salvo patto contrario, come acquisiti alla massa e così automaticamente alla titolarità «pro quota» di ciascun coerede (Cass. n. 31125/2023) . Ne consegue che, all'atto di scioglimento della comunione, il possessore del cespite ereditario ha l'obbligo di rendere il conto in relazione ai frutti maturati prima della divisione (Cass. n. 21013/2011). Si è, infine, chiarito che che fino alla divisione la donazione, da parte del coerede, della quota di un bene indiviso compreso in una massa ereditaria è nulla, non potendosi, prima della divisione, ritenere che il singolo bene faccia parte del patrimonio del coerede donante (Cass. S.U., n. 5068/2016). Altra conseguenza della natura meramente dichiarativa della divisione è che essa non è idonea a fornire la prova della titolarità del bene nei confronti dei terzi, mentre assume rilevanza probatoria nella controversia sulla proprietà tra i condividenti o i loro aventi causa, giacché la divisione, accertando i diritti delle parti sul presupposto di una comunione di beni indivisi, postula necessariamente il riconoscimento dell'appartenenza delle cose in comunione (Cass. n. 4730/2015). Ai sensi dell'art. 757, inoltre, la vendita da parte di un coerede dei diritti allo stesso spettanti su alcuni beni facenti parte della comunione ereditaria, avendo effetti puramente obbligatori, non fa subentrare l'acquirente nella comunione stessa, a meno che non risulti, anche attraverso il comportamento delle parti (rappresentato, ad esempio, dall'inserimento dell'acquirente nella gestione della comunione), l'intenzione delle stesse, pur attraverso la menzione dei soli beni economicamente più significativi, di trasferire l'intera quota spettante all'alienante (Cass. n. 737/2012). BibliografiaMora, Il contratto di divisione, Milano, 1995. |