Codice Civile art. 872 - Violazione delle norme di edilizia.Violazione delle norme di edilizia. [I]. Le conseguenze di carattere amministrativo della violazione delle norme indicate dall'articolo precedente sono stabilite da leggi speciali. [II]. Colui che per effetto della violazione ha subito danno deve esserne risarcito, salva la facoltà di chiedere la riduzione in pristino quando si tratta della violazione delle norme contenute nella sezione seguente o da questa richiamate [2933]. InquadramentoLa norma in commento — di fondamentale importanza in quanto contempla la c.d. doppia tutela a favore del privato — stabilisce che le conseguenze di carattere amministrativo della violazione delle norme in materia di edilizia risultano stabilite da leggi speciali, specificando che colui il quale, per effetto della violazione, ha subìto un danno deve esserne risarcito, salva la facoltà di chiedere la riduzione in pristino quando si tratta della violazione delle norme contenute nella sezione seguente, ossia la IV, segnatamente in materia di distanza nelle costruzioni, o da questa richiamate. In altri termini, in caso di costruzione realizzata in violazione di norme edilizie, al fine dell'accoglimento della domanda volta ad ottenere la riduzione in pristino dello stato dei luoghi, con conseguente demolizione del manufatto, non è sufficiente accertare l'illegittimità dello stesso, ma è necessario verificare che la disposizione edilizia violata abbia carattere integrativo delle norme poste dal codice civile a tutela dei diritti dei proprietari confinanti, atteso che, soltanto in presenza di tale condizione, l'art. 872, comma 2, consente, oltre che il risarcimento del danno, la rimozione in forma specifica degli effetti della violazione. Tuttavia, al fine di stabilire se una norma contenuta nello strumento urbanistico locale sia integrativa della disciplina prevista dal codice civile in materia di distanze tra costruzioni, dando così luogo al diritto di ottenere, ai sensi dell'artt. 872, comma 2, oltre il risarcimento del danno, anche la riduzione in pristino, non è necessario che essa contenga una diretta previsione in tal senso, essendo sufficiente che essa regoli, con qualsiasi criterio o modalità — quali la previsione di aree libere o il rapporto tra altezza e distanza tra edifici — la misura dello spazio che deve essere osservato tra le costruzioni. Resta inteso che, nell'azione proposta dal proprietario di un immobile contro il proprietario di un immobile vicino allo scopo di ottenere la rimessione in pristino di quest'ultimo, per la dedotta contrarietà delle opere compiute alle prescrizioni degli strumenti urbanistici locali, non può ritenersi implicitamente compresa l'azione di risarcimento del danno, stante il diverso carattere delle due azioni, di natura reale la prima ed obbligatoria la seconda, la quale ultima può differire dalla prima anche per quanto riguarda i soggetti. Risarcimento dei danniRiguardo al risarcimento del danno, come una delle possibili forme di tutela del privato leso dalla violazione delle norme di edilizia da parte del vicino ed integrative del codice civile, si è specificato che tale danno si identifica nella violazione stessa, determinando quest'ultima un asservimento di fatto del fondo del vicino, al quale, pertanto, compete il risarcimento senza la necessità di una specifica attività probatoria (Cass. II, n. 10600/1999). La violazione delle norme edilizie, infatti, integra sempre un fatto potenzialmente dannoso ai fini della condanna generica al risarcimento, salvo l'accertamento in sede di giudizio di liquidazione della concreta esistenza del danno e dell'entità dello stesso (Cass. II, n. 2162/1987); del resto, il danno che egli subisce (danno conseguenza e non danno evento) deve ritenersi in re ipsa, senza necessità di una specifica attività probatoria, essendo l'effetto, certo e indiscutibile, dell'abusiva imposizione di una servitù nel proprio fondo e, quindi, della limitazione del relativo godimento che si traduce in una diminuzione temporanea del valore della proprietà (Cass. II, n. 21501/2018; v., da ultimo, Cass. II, n. 25082/2021, la quale, rispetto a questa presunzione, sia pure iuris tantum, di tale pregiudizio, fa salva la possibilità per il preteso danneggiante di dimostrare che, per la peculiarità dei luoghi o dei modi della lesione, il danno debba, invece, essere escluso). Nel caso, invece, di violazioni di norme speciali di edilizia non integrative della disciplina del codice, mancando un asservimento di fatto del fondo contiguo, il proprietario di questo è tenuto a fornire una prova precisa del danno, sia in ordine alla sua potenziale esistenza che alla sua entità obiettiva, in termini di amenità, comodità, tranquillità ed altro (Cass. II, n. 10775/1994). Parimenti, la realizzazione di opere in violazione di norme recepite dagli strumenti urbanistici locali, diverse da quelle in materia di distanze, non comportano immediato e contestuale danno per i vicini, il cui diritto al risarcimento presuppone l'accertamento di un nesso tra la violazione contestata e l'effettivo pregiudizio subito, e la prova di tale pregiudizio deve essere fornita dagli interessati in modo preciso, con riferimento alla sussistenza del danno ed all'entità dello stesso (Cass. II, n. 10362/2018). Di contro, le norme degli strumenti urbanistici che prescrivono le distanze nelle costruzioni o come spazio tra le medesime o come distacco dal confine o in rapporto con l'altezza delle stesse, ancorché inserite in un contesto normativo volto a tutelare il paesaggio o a regolare l'assetto del territorio, conservano il carattere integrativo delle norme del codice civile, perché tendono a disciplinare i rapporti di vicinato e ad assicurare in modo equo l'utilizzazione edilizia dei suoli privati e, pertanto, la loro violazione consente al privato di ottenere la riduzione in pristino (Cass. II, n. 13624/2021). In ordine alla perimetrazione dei danni risarcibili, si è specificato che il danno definitivo da violazione della normativa edilizia in tema di volumi e altezza di cui all'art. 872 consiste nel deprezzamento commerciale del fabbricato in concreto danneggiato per diminuzione di visuale, esposizione, luce, aria, sole e amenità in genere (Cass. II, n. 13230/2010; Cass. II, n. 3340/2002). Tale danno non consiste solo nel deprezzamento commerciale del bene o nella totale perdita di godimento di esso — aspetti che vengono superati dalla tutela ripristinatoria — ma anche nell'indebita limitazione del pieno godimento del fondo in termini di diminuzione di amenità, comodità e tranquillità, trattandosi di effetti pregiudizievoli egualmente suscettibili di valutazione patrimoniale (Cass. II, n. 6414/2000). Il pregiudizio consistente nella diminuzione o esclusione del panorama goduto da un appartamento e tutelato dalle norme urbanistiche, secondo determinati standard edilizi a norma dell'art. 872, costituisce un danno ingiusto, come tale risarcibile, la cui prova va offerta in base al rapporto tra il pregio che al panorama goduto riconosce il mercato ed il deprezzamento commerciale dell'immobile susseguente al venir meno o al ridursi di tale requisito (Cass. II, n. 3679/1996). Ove sia disposta la demolizione dell'opera illecita, il risarcimento del danno va computato tenendo conto della temporaneità della lesione del bene protetto dalle norme non rispettate e non del valore di mercato dell'immobile, diminuito per effetto della detta violazione, poiché tale pregiudizio è suscettibile di eliminazione (Cass. II, n. 14294/2018). Riduzione in pristinoIn ordine all'altra forma di tutela, si è avuto modo di specificare che, ai sensi dell'art. 872, la riduzione in pristino, essendo un mezzo di tutela volto ad eliminare le violazioni delle disposizioni sulle distanze nelle costruzioni, può essere riconosciuta ed eseguita — nello stesso interesse dell'autore dell'illecito — in termini meno radicali dell'eliminazione fisica della cosa, attraverso la condanna all'arretramento del manufatto alla distanza prescritta (Cass. II, n. 14611/2007). Al riguardo, si è opportunamente precisato (Cass. II, n. 30761/2018) che, ove sia realizzata una costruzione in violazione delle distanze o dei confini, la riconosciuta illegittimità della stessa non ne comporta necessariamente la demolizione integrale, ma, unicamente, la riduzione entro i limiti di legge, con demolizione delle sole parti che superano tali limiti, sicché, nell'ipotesi in cui venga ordinata la demolizione della costruzione illegittima, senza specificare l'esatta misura della inosservanza di distanze o confini, il relativo accertamento può essere effettuato esclusivamente dal giudice dell'esecuzione, nell'esercizio dei poteri previsti dall'art. 612 c.p.c. Sempre sul presupposto che le norme relative alle distanze tra costruzioni previste dall'art. 873 c.c. e dai regolamenti locali vanno tenute distinte dalle regole di edilizia contenute in leggi speciali e nei regolamenti comunali (artt. 871 e 872) poiché, in caso di loro violazione, esclusivamente le prime, che incidono sui rapporti di vicinato, consentono al privato l'esercizio delle azioni di riduzione in pristino e di risarcimento del danno, mentre le seconde, essendo dirette al soddisfacimento di interessi di ordine generale, ne limitano la tutela alla sola azione risarcitoria, si è, di recente, chiarito (Cass. II, n. 5605/2019) che, da un lato, la regolarità urbanistica del fabbricato non rileva ai fini della proposizione dell'azione ripristinatoria atteso che, in ipotesi di mancato rispetto delle distanze, il provvedimento autorizzatorio può essere disapplicato dal giudice ordinario, previo accertamento incidentale della sua illegittimità, e, dall'altro, se le distanze sono state osservate, il vicino non ha diritto di chiedere la riduzione in pristino anche se l'immobile è abusivo. Ne consegue che non costituisce violazione dell'art. 112 c.p.c. l'accoglimento, anche d'ufficio, fatto dal giudice, di una domanda che rientri in quella, di maggiore ampiezza, ritualmente proposta dalla parte (alla quale, del resto, è sempre consentito procedere alla riduzione della pretesa originariamente formulata); ciò trova giustificazione nella ratio del citato art. 112, che è quella di garantire il contraddittorio, cioè di impedire che trovino accoglimento domande sulle quali controparte non sia stata in grado di difendersi; esigenza questa che non è in alcun modo frustrata allorquando il bene accordato sia comunque ricompreso nel petitum tempestivamente formulato e non esuli dalla causa petendi, intesa come l'insieme delle circostanze di fatto, indipendentemente dalla loro qualificazione giuridica, posta a fondamento della pretesa (Cass. II, n. 475/2002). Al contempo, il giudice, di fronte ad una domanda di riduzione in pristino di opere eseguite in contrasto con le prescrizioni vigenti, deve verificare la sussistenza delle lamentate violazioni sotto ogni profilo, alla stregua di criteri normativi identificabili ed applicabili d'ufficio, e, pertanto, non incorre nel vizio di ultrapetizione ove applichi integralmente la disciplina sanzionatoria delle violazioni accertate, ancorché la domanda non abbia fatto specifico riferimento a tutte le conseguenze derivanti dalla violazione delle prescrizioni predette (Cass. II, n. 3889/2017). Sempre sul versante processuale, si è ritenuto che l'azione volta al rispetto delle distanze legali ha natura reale e, pertanto, deve essere proposta nei confronti del proprietario attuale della costruzione illegittima, quale unico possibile destinatario dell'eventuale ordine di demolizione della stessa, sicché, ove nel corso del giudizio il bene sia alienato ed il successore a titolo particolare diventi parte del processo per intervento o per esservi stato chiamato, l'alienante non estromesso acquista la posizione di interventore ad adiuvandum dell'acquirente, esclusivamente nei confronti del quale va pronunziata la sentenza di condanna (Cass. II, n. 3236/2017). Sul rilievo che la norma in esame detta le regole per la repressione degli abusi edilizi, rammentando al comma 1 che la violazione della disciplina urbanistica di cui all'art. 871, comporta sanzioni amministrative contenute in leggi speciali e, al contempo, che la tutela risarcitoria è svincolata dalle conseguenze amministrative, la dottrina ha evidenziato che il rinvio al solo articolo precedente si rivela insufficiente e lacunoso, in quanto le conseguenze amministrative discendono anche dall'inosservanza degli artt. 869 e 870 (Tabet-Ottolenghi-Scaliti, La proprietà, in Giurisprudenza sistematica di diritto civile e commerciale, diretta da Bigiavi, Torino, 1981, 290). Riguardo al soggetto destinatario della domanda, si è puntualizzato che il proprietario del fondo danneggiato da opere eseguite sul fondo del vicino, in violazione delle distanze legali, può esperire, oltre all'azione risarcitoria, di natura obbligatoria, quella ripristinatoria, di natura reale, ex art. 872: la prima, mirando al ristoro del pregiudizio patrimoniale conseguente all'edificazione illegittima, è esercitabile anche nei confronti dell'autore materiale di questa mentre la seconda, volta all'eliminazione fisica delle modifiche apportate sul fondo contiguo, va necessariamente proposta nei confronti del proprietario della costruzione, anche se materialmente realizzata da altri, potendo egli soltanto essere destinatario dell'ordine di demolizione che il ripristino delle distanze legali tende ad attuare (Cass. II, n. 458/2016). Reintegrazione in forma specificaSul versante sistematico, è stato correttamente osservato che l'art. 2058, comma 2, che prevede la possibilità di ordinare il risarcimento del danno per equivalente anziché la reintegrazione in forma specifica, in caso di eccessiva onerosità di quest'ultima, non trova applicazione nelle azioni intese a far valere un diritto reale la cui tutela esige la rimozione del fatto lesivo, come quella diretta ad ottenere la riduzione in pristino per violazione delle norme sulle distanze, atteso il carattere assoluto del diritto leso (Cass. II, n. 11744/2003; Cass. II, n. 5113/1999; Cass. II, n. 7124/1991). Resta inteso che le distanze fra le costruzioni sono predeterminate con carattere cogente in via generale ed astratta, in considerazione delle esigenze collettive connesse ai bisogni di igiene e di sicurezza, di guisa che al giudice non è lasciato alcun margine di discrezionalità nell'applicazione della disciplina in materia per equo contemperamento degli appositi interessi, sicché, in caso di costruzione realizzata senza l'osservanza delle distanze legali o regolamentari, il giudice deve ordinare incondizionatamente la riduzione in pristino, ancorché questa possa incidere sulle parti dell'edificio regolari (Cass. II, n. 8691/2017). Norme in tema di altezza degli edificiSpesso le norme edilizie contemplano disposizioni in ordine all'altezza degli edifici, sicché è importante verificare qual è la tutela invocabile dal privato eventualmente leso. La giurisprudenza sul punto ha precisato che, al fine di verificare se siano rispettati i vincoli di altezza fissati dai regolamenti edilizi, quando l'entità del distacco tra fabbricati sia stabilita in rapporto all'altezza delle costruzioni che si fronteggiano, l'altezza da prendere in considerazione è quella dei prospetti che delimitano il distacco, e deve essere misurata avendo riguardo al livello del suolo alla base dei prospetti medesimi, dovendosi, in caso di fabbricati con prospetti su più fronti a quote diverse, aver riguardo, in particolare, all'altezza di ciascun prospetto, misurata dal piano del marciapiede o, in mancanza, del piano di calpestio, coincidente con piano del distacco, con la precisazione che, se il distacco è formato da una strada, occorre prendere come base il piano del marciapiede in senso proprio, mentre in assenza di marciapiede va fatto riferimento alla quota di mezzeria della strada costruita o costruenda, o, infine, se la strada non è prevista, alla quota di mezzeria del distacco (Cass. II, n. 106/2016). Ancora, in tema di distanze legali, sono da ritenere integrative delle norme del codice civile solo le disposizioni dei regolamenti edilizi locali relative alla determinazione della distanza tra i fabbricati in rapporto all'altezza e che regolino con qualsiasi criterio o modalità la misura dello spazio che deve essere osservato tra le costruzioni, mentre le norme che, avendo come scopo principale la tutela di interessi generali urbanistici, disciplinano solo l'altezza in sé degli edifici, senza nessun rapporto con le distanze intercorrenti tra gli stessi, tutelano, nell'àmbito degli interessi privati, esclusivamente il valore economico della proprietà dei vicini, conseguendone che, mentre nel primo caso sussiste, in favore del danneggiato, il diritto alla riduzione in pristino, nel secondo è ammessa la sola tutela risarcitoria (Cass. II, n. 5142/2019; Cass. II, n. 10264/2016; Cass. II, n. 1073/2009). Norme in tema di cortili interniNella stessa ottica, le norme dei regolamenti comunali edilizi concernenti i cortili interni, volte non a determinarne l'ampiezza minima ai fini della tutela dell'interesse pubblico inerente alle esigenze igieniche, ma a disciplinare la distanza delle costruzioni su fondi finitimi, appartenenti a diversi proprietari, devono considerarsi a tutti gli effetti norme integrative del codice civile, sicché la loro violazione dà luogo non solo al risarcimento dei danni, ma anche alla riduzione in pristino (Cass. II, n. 1383/1998). Derogabilità convenzionaleCi si è posto il problema se, in tema di distanze legali nelle costruzioni, le prescrizioni contenute nei piani regolatori e nei regolamenti edilizi comunali, possano essere oggetto di deroga convenzionale da parte dei privati, e la soluzione è stata articolata a seconda della natura della norma presa in considerazione. Invero, allorché tali disposizioni siano dettate — contrariamente a quelle del codice civile — a tutela dell'interesse generale ad un prefigurato modello urbanistico, si è statuito che non tollerino deroghe convenzionali da parte dei privati. Tali deroghe, se concordate, sono invalide, né tale invalidità può venire meno per l'avvenuto rilascio di concessione edilizia, poiché il singolo atto non può consentire la violazione dei principi generali dettati, una volta per tutte, con gli indicati strumenti urbanistici (Cass. II, n. 9751/2010). Ne consegue l'invalidità, anche nei rapporti interni, delle convenzioni stipulate fra proprietari confinanti le quali si rivelino in contrasto con le norme urbanistiche in materia di distanze, salva peraltro rimanendo la possibilità, per questi ultimi, di accordarsi sulla ripartizione tra i rispettivi fondi del distacco da osservare (Cass. II, n. 2117/2004). Di converso, le norme sulle distanze di cui all'art. 873, dettate a tutela di reciproci diritti soggettivi dei singoli e miranti unicamente ad evitare la creazione di intercapedini antigieniche e pericolose, sono derogabili mediante convenzione tra privati (Cass. II, n. 12966/2006). Resta inteso (ad avviso di Cass. II, n. 11567/2016) che, in caso di violazione delle distanze convenzionali, è irrilevante l'accertamento della dannosità in concreto, essendo sufficiente verificare, tenuto conto del principio dell'autonomia negoziale, se siano state o meno rispettate le distanze contrattualmente previste. Rilevanza del condonoCostituisce ius receptum che, in tema di distanze nelle costruzioni, ai sensi dell'art. 873, il condono edilizio, esplicando i suoi effetti sul piano dei rapporti pubblicistici tra pubblica amministrazione e privato costruttore, non ha incidenza nei rapporti tra privati, i quali hanno ugualmente facoltà di chiedere la tutela ripristinatoria apprestata dall'art. 872 per le violazioni delle distanze previste dal codice civile e dalle norme regolamentari integratrici (Cass. II, n. 3031/2009; Cass. II, n. 12966/2006; Cass. II, n. 7892/1999). Invero, in tema di proprietà, l'obbligo di rispettare le distanze legali — previste dagli strumenti urbanistici per le costruzioni legittime non soltanto a tutela dei proprietari frontisti ma anche per finalità di pubblico interesse — deve essere osservato a maggior ragione nel caso di costruzioni abusive, anche se sia intervenuta la relativa sanatoria amministrativa, i cui effetti sono limitati al campo pubblicistico e non pregiudicano i diritti dei terzi; pertanto, il proprietario del fondo contiguo, leso dalla violazione delle norme urbanistiche, ha comunque il diritto di chiedere ed ottenere l'abbattimento o la riduzione a distanza legale della costruzione illegittima nonostante sia intervenuto il condono edilizio (Cass. II, n. 18728/2005). Parimenti, in tema di distanze minime tra costruzioni, la rilevanza giuridica della licenza o concessione edilizia si esaurisce nell'ambito del rapporto pubblicistico tra P.A. e privato, senza estendersi a quelli tra privati e, pertanto, il conflitto tra proprietari interessati in senso opposto alla costruzione deve essere risolto in base al diretto raffronto tra le caratteristiche oggettive dell'opera e le norme edilizie che disciplinano le distanze legali, tra le quali non possono comprendersi anche quelle concernenti la licenza e la concessione edilizia, perché queste riguardano solo l'aspetto formale dell'attività edificatoria; di conseguenza, così come è irrilevante la mancanza di licenza o concessione edilizia, allorquando l'opera risponda oggettivamente a tutte le prescrizioni del codice civile e delle norme speciali e non leda alcun diritto del vicino, allo stesso modo, l'avere eseguito la costruzione in conformità dell'ottenuta licenza o concessione, non esclude, di per sé, la violazione di dette prescrizioni e, quindi, il diritto del vicino, a seconda dei casi, alla riduzione in pristino o al risarcimento dei danni (Cass. II, n. 4833/2019; Cass. II, n. 7563/2006). PrescrizioneMolto sentite in subiecta materia le problematiche in materia di prescrizione, laddove si è puntualizzato che l'esecuzione di una costruzione in violazione di norme di edilizia dà luogo ad un illecito permanente, con la conseguenza che la prescrizione del diritto al risarcimento del danno non decorre dalla data di realizzazione della costruzione ma da quella di cessazione della permanenza e cioè dal momento in cui la costruzione viene demolita, o dal momento in cui essa viene resa legittima mediante rinuncia dell'amministrazione, che irroghi una sanzione pecuniaria, ad ordinarne la demolizione, oppure ancora dal decorso del termine ventennale utile per l'usucapione del diritto reale di mantenere la costruzione nelle condizioni in cui si trova (Cass. II, n. 594/1990; Cass. II, n. 1659/1988). Sopravvenienza di normeAltrettanto sentite le problematiche di diritto intertemporale, in ordine alle quali la soluzione della giurisprudenza è stata nel senso che, in caso di successione nel tempo di norme edilizie, la nuova disciplina meno restrittiva è applicabile anche alle costruzioni realizzate prima della sua entrata in vigore, con l'unico limite dell'eventuale giudicato formatosi nella controversia sulla legittimità o non della costruzione, onde non può disporsi la demolizione degli edifici originariamente illeciti alla stregua delle precedenti norme, nei limiti in cui siano consentiti dalla normativa sopravvenuta (Cass. II, n. 1565/2000). Resta inteso che la ricostruzione di un manufatto edilizio che sostituisca, anche integralmente, una precedente cubatura, non integra una nuova costruzione, ai fini dell'applicabilità delle sopravvenute disposizioni più restrittive in tema di distanze, salvo che non sussistano disposizioni regolamentari che disciplinino diversamente il caso della demolizione con contestuale ricostruzione; ove peraltro la nuova costruzione superi in altezza quella preesistente, si è in presenza di una sopraelevazione, come tale vincolata al rispetto delle disposizioni in tema di distanze fra costruzioni vigenti al momento della sua realizzazione (Cass. II, n. 1817/2004). BibliografiaAlpa-Bessone, Poteri dei privati e statuto della proprietà, Vol. III: La nuova disciplina delle proprietà edilizia e urbanistica, Padova, 1983: Bernardini, Contenuto della proprietà edilizia - Prospettive e problemi, Bologna, 1982; Centofanti - Favagrossa, Diritto urbanistico - Legislazione nazionale e regionale - Piani regolatori - Procedimento ablatorio - Tutela giurisdizionale, Padova, 2012; Carullo, L'edificabilità dei suoli, Padova 1983; De Michele, Vigore, efficacia ed applicabilità dei piani regolatori comunali nel sistema di pianificazione locale, in Riv. giur.urbanistica 2005, 381; De Ruvo, La cassazione si pronuncia sugli “stralci” dei piani regolatori, in Corr. giur. 1986, 1268; Figone, Osservazioni sui poteri dei privati e statuto della proprietà, in Riv. giur. edil. 1983, II, 240; Gallo, Piani regolatori e rapporti di vicinato (per il ritorno all'esegesi e all'ars iuris), in Riv. dir. civ. 1997, I, 831; Gambaro, Ius aedificandi e nozione civilistica della proprietà, Milano 1975; Grimaldi, Principi giurisprudenziali in tema di piani regolatori generali, in Appalti urbanistica edilizia 2004, 181. |