Codice Civile art. 902 - Apertura priva dei requisiti prescritti per le luci.Apertura priva dei requisiti prescritti per le luci. [I]. L'apertura che non ha i caratteri di veduta o di prospetto [900] è considerata come luce, anche se non sono state osservate le prescrizioni indicate dall'articolo 901. [II]. Il vicino ha sempre il diritto di esigere che essa sia resa conforme alle prescrizioni dell'articolo predetto. InquadramentoLa norma in commento prevede che, qualora l'apertura sul fondo del vicino non abbia i caratteri di veduta o di prospetto, come delineati nel precedente art. 900, va considerata come luce, anche se non sono state osservate le prescrizioni indicate dall'art. 901, e comunque, il vicino ha sempre il diritto di esigere che essa sia resa conforme alle prescrizioni di quest'ultimo articolo. In quest'ottica, il proprietario del fondo confinante con il muro in cui il vicino ha aperto luci, regolari o irregolari che siano — salva in quest'ultimo caso la facoltà di chiederne la regolarizzazione, ai sensi dell'art. 902, comma 2 — ha diritto di chiuderle soltanto se erige una vera e propria costruzione in appoggio o in aderenza al predetto muro, dopo averlo reso comune, essendo questa la condizione richiesta dall'art. 904, comma 2, per sacrificare il diritto del vicino di tenere le luci nel muro. Pertanto, la norma di cui sopra, oltre ad escludere l'esistenza di un tertium genus rispetto a luce e veduta, identifica in sostanza il criterio differenziale tra luci e vedute, anziché nell'osservanza dei requisiti fissati dall'art. 901, nella funzione effettiva dell'apertura. UsucapioneLa giurisprudenza (Cass. II, n. 20200/2005) ha opportunamente precisato che un'apertura munita di inferriata, che consenta di guardare sul fondo sottostante mediante una manovra di per sé eccezionale e poco agevole per una persona di normale conformazione fisica, costituisce una luce e non una veduta, con la conseguenza che, nel caso in cui essa non sia conforme alle prescrizioni indicate nell'art. 901, il proprietario del fondo vicino può sempre esigerne la regolarizzazione, non potendo la mera tolleranza della sua difformità dalle prescrizioni di legge, ancorché protratta nel tempo, far sorgere, per usucapione, un diritto a mantenerla nello stato in cui si trova. In altri termini, il proprietario del fondo sul quale viene aperta una luce irregolare non ha diritto alla sua chiusura, ma solo alla regolarizzazione di tale luce (art. 902), né l'irregolarità della luce può determinare l'usucapione di alcun diritto (Cass. II, n. 8930/2000). La dottrina dominante è, invece, collocata nel senso che non si può disconoscere il carattere di opera visibile e permanente ad una presa d'aria e di luce (per tutti, Loiacono, 68). Si sottolinea, inoltre, l'irrazionalità della disparità di trattamento che così viene a crearsi tra le luci irregolari non usucapibili e le vedute, in quanto tali usucapibili (De Martino, in Comm. S. B., 1976, 383). Possesso e servitù di luci irregolariNella medesima prospettiva, il possesso di luci irregolari, sprovvisto di titolo e fondato sulla mera tolleranza del vicino, non può condurre all'acquisto per usucapione o per destinazione del padre di famiglia della relativa servitù, in quanto la servitù di aria e luce — che è negativa, risolvendosi nell'obbligo del proprietario del fondo vicino di non operarne la soppressione — non è una servitù apparente, atteso che l'apparenza non consiste soltanto nell'esistenza di segni visibili ed opere permanenti, ma esige che queste ultime, come mezzo necessario all'acquisto della servitù, siano indice non equivoco del peso imposto al fondo vicino in modo da fare presumere che il proprietario di questo ne sia a conoscenza. Né la circostanza che la luce sia irregolare è idonea a conferire alla indicata servitù il carattere di apparenza, non essendo possibile stabilire dalla irregolarità se il vicino la tolleri soltanto, riservandosi la facoltà di chiuderla nel modo stabilito, ovvero la subisca come peso del fondo, quale attuazione del corrispondente diritto di servitù o manifestazione del possesso della medesima (Cass. II, n. 11343/2004; Cass. II, n. 71/2002; Cass. S.U., n. 10285/1996). La servitù di luce, ancorché irregolare non può acquistarsi per usucapione o per destinazione del padre di famiglia, ma solo per titolo, posto che in base all'art. 902 un'apertura che non abbia i caratteri di veduta o di prospetto è considerato come luce, anche se non sono state rispettate le prescrizioni di cui all'art. 901 ed il vicino ha sempre facoltà che essa sia regolarizzata in conformità delle prescrizioni legali (Cass. II, n. 4404/1997). Parti del muro perimetralePer completezza, mette punto rammentare che non costituiscono luci in senso tecnico-giuridico, soggette alla disciplina dell'art. 901, quelle parti del muro perimetrale nelle quali sia stato inserito materiale di altra natura, quale in particolare il vetrocemento, il quale, pur consentendo il passaggio della luce, presenta caratteristiche analoghe a quelle del materiale impiegato per la costruzione del muro ed adempie alla medesima funzione di delimitazione e di riparo assegnata a quest'ultimo; viceversa, vanno considerate luci irregolari quelle altre parti del muro le quali, o per la natura del materiale impiegato, o per la struttura o conformazione di questo, o per il modo nel quale esso sia stato inserito nel muro e reso con questo solidale, non possono dirsi parte integrante della preesistente costruzione, in difetto dei necessari requisiti di stabilità, consistenza, sicurezza, coibenza, sì da costituire un semplice mezzo per impedire l'affaccio od il solo passaggio dell'aria (Cass. II, n. 2707/1991). Resta inteso che l'apertura sul fondo del vicino, la quale non abbia caratteri di veduta o di prospetto, in quanto non consenta di affacciarsi e guardare, è considerata come luce, anche se non conforme alle prescrizioni dell'art. 901, sicché, nell'ipotesi di irregolarità, ai sensi dell'art. 902, comma 2, il vicino ha diritto di esigere che l'apertura sia resa conforme a tali prescrizioni, anche mediante la sopraelevazione all'altezza minima interna, finalizzata ad impedire l'esercizio della veduta (Cass. II, n. 512/2013). BibliografiaAlbano, Luci e vedute, in Enc.. giur., XIX, Roma, 1990; Bozza, La distanza delle costruzioni dalle vedute nel condominio, in Giust. civ. 1992, I, 2838; Chinello, Servitù di luci e vedute: limiti all'acquisto per usucapione, in Immob. & proprietà 2006, 78; Colletti, Sulla controversa natura di luci e vedute, in Arch. loc. e cond., 2005, 198; Figone, Luci e vedute, in Dig. civ., XI, Torino, 1994; Fiorani L. - Fiorani G., Il regime delle luci, delle vedute e delle relative servitù nel codice civile, Latina, 1982; Loiacono, Luci e vedute, in Enc. dir., XXV, Milano, 1975; Magnani, Criteri distintivi tra luci e vedute, in Not. 1997, 413; Sestant, Brevi note in tema di distanza delle costruzioni dalle vedute dirette, in Giust. civ. 1994, I, 1091. |