Codice Civile art. 936 - Opere fatte da un terzo con materiali propri.Opere fatte da un terzo con materiali propri. [I]. Quando le piantagioni, costruzioni od opere sono state fatte da un terzo con suoi materiali, il proprietario del fondo ha diritto di ritenerle o di obbligare colui che le ha fatte a levarle. [II]. Se il proprietario preferisce di ritenerle, deve pagare a sua scelta il valore dei materiali e il prezzo della mano d'opera oppure l'aumento di valore recato al fondo [1150]. [III]. Se il proprietario del fondo domanda che siano tolte, esse devono togliersi a spese di colui che le ha fatte [2933]. Questi può inoltre essere condannato al risarcimento dei danni. [IV]. Il proprietario non può obbligare il terzo a togliere le piantagioni, costruzioni od opere, quando sono state fatte a sua scienza e senza opposizione o quando sono state fatte dal terzo in buona fede [1147]. [V]. La rimozione non può essere domandata trascorsi sei mesi dal giorno in cui il proprietario ha avuto notizia dell'incorporazione [2964 ss.]. InquadramentoQualora, diversamente dal precedente art. 935, sia stato il proprietario dei materiali ad impiegarli sul suolo altrui, allora l'accessione va ricondotta al fatto proprio di tale proprietario, nel senso che il suo diritto è regolato dal principio generale dell'indebito arricchimento, nella specie del proprietario del suolo. L'azione di indebito arricchimento, che spetta a chi si è impoverito, incontra due limiti, in quanto non deve superare né l'arricchimento dell'altra parte, né la diminuzione patrimoniale che essa ha sofferto. In quest'ordine di principi, la norma in commento prevede che, quando le piantagioni, costruzioni od opere sono state fatte da un terzo con suoi materiali, il proprietario del fondo ha diritto di ritenerle o di obbligare colui che le ha fatte a levarle. Se il proprietario preferisce di ritenerle, deve pagare a sua scelta il valore dei materiali e il prezzo della mano d'opera oppure l'aumento di valore recato al fondo. Qualora il proprietario del fondo domanda che siano tolte, esse devono togliersi a spese di colui che le ha fatte, e questi può, inoltre, essere condannato al risarcimento dei danni. Il proprietario non può obbligare il terzo a togliere le piantagioni, costruzioni od opere, quando sono state fatte a sua scienza e senza opposizione o quando sono state fatte dal terzo in buona fede. La rimozione non può essere domandata trascorsi sei mesi dal giorno in cui il proprietario ha avuto notizia dell'incorporazione. Rapporti con l'ingiustificato arricchimentoNell'ipotesi di costruzione realizzata senza concessione edilizia sul suolo altrui, mentre non è configurabile l'indennizzo di cui all'art. 936, stante la precarietà dell'acquisto, è invece ammissibile l'azione sussidiaria d'indebito arricchimento di cui agli artt. 2041 e 2042, in considerazione dell'incremento patrimoniale senza giusta causa derivante dall'utilità dell'opera nei limiti dell'altura depauperamento, atteso che la locupletazione del proprietario non è esclusa dalla precarietà del diritto dominicale conseguente all'eventuale demolizione dell'immobile abusivo, dovendosi accertare l'eventuale impiego comunque realizzatone e le utilità economiche in tal modo ricavate dalla costruzione abusiva (Cass. II, n. 12347/2003). La norma dell'art. 936, sebbene ispirata all'applicazione del principio secondo il quale quidquid solo inaedificatur solo cedit, ne contempera tuttavia le conseguenze patrimoniali, che altrimenti sarebbero sproporzionalmente vantaggiose per il proprietario del suolo, richiamandosi alla contemporanea osservanza del divieto generale dell'indebito arricchimento (art. 2041), per il quale a nessuno è consentito accrescere il patrimonio proprio con danno altrui (Cass. S.U. , n. 740/1963). Qualora il proprietario di porzioni immobiliari, circostanti e sovrastanti un vano altrui, demolisca quest'ultimo, ricostruendo in loco un edificio diverso, senza ripristinare nello stato precedente la proprietà altrui, viene a verificarsi un illecito aquiliano, il quale esula dall'ambito di applicazione dell'art. 936 (riguardante il diverso caso di opere su suolo inedificato di proprietà aliena), ed implica il diritto del danneggiato, ai sensi dell'art. 2058, alla reintegrazione in forma specifica, restando peraltro esclusa, ove tale reintegrazione sia attuata ricreando il suddetto vano nel nuovo edificio, ogni configurabilità di pretese creditorie del danneggiante in relazione all'eventuale vantaggio derivante al danneggiato dalla migliore consistenza e modernità del nuovo manufatto (Cass. S.U., n. 5814/1985). Opere eseguite su suolo comuneLa costruzione di un'opera da parte di un condomino su beni comuni non è disciplinata dalle norme sull'accessione, bensì da quelle sulla comunione, secondo le quali costituisce innovazione della cosa comune una modificazione della forma o della sostanza del bene che abbia l'effetto di alterarne la consistenza materiale o la destinazione originaria; pertanto, la costruzione da parte di un comproprietario di una ulteriore rampa su una scala comune e di un torrino — collegato con il bene di proprietà esclusiva — su un solaio, anch'esso comune, da un lato costituisce modifica strutturale della scala e del solaio rispetto alla loro primitiva configurazione ed assoggettamento ad un uso estraneo a quello originario comune, che viene soppresso; dall'altro può determinare l'appropriazione da parte del condomino del vano occupato dalla nuova rampa e della superficie del torrino (Cass. II, n. 21901/2004). Applicabilità alla proprietà demanialeL'acquisizione al demanio statale di un suolo oggetto di un diritto di superficie, costituito in favore di terzi da parte del precedente proprietario, comporta l'inopponibilità allo Stato di tale diritto, trattandosi di posizione non derivante da concessione ad opera di quest'ultimo, con la conseguenza che lo Stato stesso acquista per accessione la proprietà dei manufatti realizzati su detto suolo, in applicazione del disposto dell'art. 934 — operante anche con riguardo alla proprietà demaniale — e salva l'alternativa di cui all'art. 936 stesso codice, talché, ove venga esercitato l'ivi previsto diritto di ritenzione, ne consegue l'obbligo del proprietario, anche se trattasi dello Stato, di pagare a sua volta, all'autore delle costruzioni (nella specie, di stabilimento balneare su suolo divenuto demanio marittimo) il valore dei materiali e il prezzo della mano d'opera oppure l'aumento di valore recato al fondo (Cass. I, n. 4962/1993). In ipotesi di concessione di un bene del demanio marittimo, l'art. 49 c. nav., nell'esprimere un principio di ordine generale in base al quale le opere costruite sull'area demaniale vengono acquisite ipso iure allo Stato, prevede la devoluzione gratuita a quest'ultimo della proprietà del manufatto costruito alla cessazione della concessione salvo deroghe delle parti, non però nel senso di escludere l'indicata devoluzione, ma solo in ordine alle spese della costruzione, essendo altresì preclusa la possibilità di riconoscere al concessionario un indennizzo corrispondente al valore della costruzione, stante l'inapplicabilità dell'art. 936. Tali principi trovano applicazione anche nell'ipotesi in cui, prima dell'estinzione della concessione, il bene demaniale sia stato sdemanializzato ed acquisito al patrimonio disponibile dello Stato ai sensi dell'art. 35 c. nav. (Cass. I, n. 3842/2017). Qualità di terzoIl coniuge che, in costanza di matrimonio, abbia provveduto a proprie spese ad eseguire migliorie od ampliamenti dell'immobile di proprietà esclusiva dell'altro coniuge ed in godimento del nucleo familiare, in quanto compossessore ha diritto ai rimborsi ed alle indennità contemplate dall'art. 1150 in favore del possessore, nella misura prevista dalla legge a seconda che fosse in buona o mala fede, mentre va esclusa l'invocabilità dell'art. 936, in tema di opere fatte da un terzo con materiali propri, difettando nel compossessore il requisito della terzietà (Cass. I, n. 13259/2009). Nel caso in cui le opere fatte dal terzo sul fondo altrui con materiali propri siano state realizzate in esecuzione di un contratto di appalto stipulato con il conduttore del fondo, non trova applicazione l'art. 936, il quale presuppone che l'autore delle opere non sia legato né al proprietario né ad altri cui sia stato concesso il godimento del fondo, da un rapporto negoziale che gli abbia attribuito il diritto di costruire; pertanto, qualora il proprietario non chieda l'eliminazione delle opere, ma preferisca ritenerle, acquisendone l'incremento di valore in danno del costruttore, il problema va risolto sulla base dei principi dettati dagli artt. 2038 e 2041 in tema di prestazione indebita ed ingiustificato arricchimento (Cass. II, n. 12550/2009; Cass. II, n. 18669/2004). In linea con tali rilievi, si è affermato che non può essere considerato terzo, avente diritto all'indennità di cui all'art. 936, colui che abbia eseguito l'opera sul suolo altrui in adempimento di un contratto con persona diversa dal proprietario, atteso che egli entra in contatto con la cosa in via esclusivamente secondaria, a seguito o in ragione di un incarico conferitogli - non rileva a quale titolo - da diverso soggetto e si limita ad eseguire la sua volontà (Cass. II, n. 14021/2017). Al comproprietario e compossessore di buona fede di un immobile, che vi abbia eseguito addizioni costituenti miglioramenti (nella specie, costruendo un fabbricato sul terreno acquistato pro indiviso, non si applica la normativa dell'art. 936, nel richiamo fattone all'art. 1150, comma 5, in quanto tale disciplina postula che autore delle opere realizzate su suolo altrui sia un terzo, non potendo qualificarsi come tale il titolare di un diritto di natura reale, avente ad oggetto il fondo su cui le opere sono state eseguite; a tale comproprietario, per i predetti miglioramenti, non è pertanto dovuta un'indennità nella misura dell'aumento di valore conseguito dal bene ma, dovendo egli essere considerato, secondo i casi, un mandatario degli altri partecipi alla comunione, ai sensi dell'art. 1720 o un utile gestore nel loro interesse, ai sensi dell'art. 2031 spetta soltanto il rimborso degli oneri sostenuti (Cass. II, n. 743/2009). La disciplina dell'art. 936 è applicabile esclusivamente quando le opere siano state realizzate da un soggetto che non abbia con il proprietario del fondo nessun rapporto giuridico, di natura reale o personale, che gli conferisca la facoltà di costruire sul suolo; questa fattispecie deve ritenersi sussistente anche qualora un preesistente contratto sia venuto meno per invalidità o per risoluzione, stante l'efficacia retroattiva inter partes della relativa pronuncia, ma non ricorre invece nel caso in cui il terzo abbia realizzato l'opera nell'adempimento di un contratto stipulato con persona diversa dal proprietario dell'immobile, in quanto, in quest'ultima ipotesi, l'opera è riconducibile al rapporto contrattuale instaurato dal proprietario dell'immobile con il soggetto che ha commissionato l'opera (Cass. II, n. 11835/2003; Cass. II, n. 4623/2001; Cass. II, n. 9872/2000 cui adde Cass. II, n. 27900/2017, la quale ha escluso l'operatività del suddetto art. 936 ove, al contrario, l'attività costruttiva costituisca non già l'esercizio di un diritto, ma l'adempimento di un'obbligazione, nel qual caso la risoluzione del contratto che ne costituisce la fonte determina l'insorgere di un obbligo restitutorio ex art. 1458; in senso conforme, v., da ultimo, Cass. II, n. 27088/2021, sottolineando che l'obbligo restitutorio ex art. 1458, nascente dalla risoluzione del contratto, è incompatibile con il diritto potestativo del proprietario di ritenere la costruzione avvalendosi dell'accessione). In dottrina, si ha ritenuto che “terzo”, ai fini di cui alla norma in commento, possa essere anche la Pubblica Amministrazione che abbia occupato in via d'urgenza un terreno e vi abbia realizzato una costruzione, successivamente riconsegnati al proprietario del suolo per il venir meno delle esigenze che avevano giustificato il provvedimento di occupazione (Musolino, 1426). Buona fede del terzoLa buona fede del terzo, costruttore su suolo altrui, prevista dal comma 4 dell'art. 936 come ostativa allo ius tollendi del proprietario di esso, non si riferisce all'esecuzione delle opere, e cioè non consiste nel convincimento, da presumere, di tale terzo di aver agito sciente domino, ma deve fondarsi sulla convinzione del medesimo terzo — che deve provarla in base a circostanze obbiettive — di esser proprietario anche del suolo sul quale ha costruito (Cass. II, n. 3971/1997). In virtù del principio dell'accessione, il proprietario del suolo acquista la proprietà delle costruzioni e delle piantagioni fin dal momento in cui esse vengono dal terzo eseguito con materiali propri e si inseriscono e si incorporano nel suolo, salva la facoltà dello ius tollendi, data allo stesso proprietario, al fine di non rendere la sua condizione del tutto dipendente dal fatto più o meno arbitrario del terzo; qualora tale facoltà non sia o non possa essere esercitata (per essere, le opere considerate, state eseguite a sua scienza e senza opposizione o in buona fede) al terzo spetta solamente un diritto di credito da farsi valere nei confronti del proprietario del suolo; tale disciplina dell'accessione è applicabile anche quando il terzo abbia avuto la disponibilità del fondo e la concessione ad eseguire dette opere dal proprietario dello stesso fondo in base ad un titolo radicalmente nullo (Cass. V, n. 904/2019). La buona fede che esclude che il proprietario possa obbligare il terzo a togliere dal suo fondo le piantagioni, le costruzioni o le opere dal terzo stesso ivi realizzate (art. 936, comma 3), è presunta, secondo la disposizione dell'art. 1147, la quale contiene un principio generale non limitato all'ambito del possesso, in cui è stato dettato; tale presunzione, iuris tantum, consente la prova contraria, anche attraverso presunzioni semplici, cui il giudice può ricorrere allorché siano acquisiti al processo fatti gravi, precisi e concordanti, che escludano le conclusioni che da quella derivino (Cass. S.U., n. 1484/1997). Limitazioni allo ius tollendiNel caso in cui il terzo non autorizzato costruisce su fondo altrui, il proprietario del suolo può, anzitutto, esercitare il potere di chiedere la rimozione dell'opera a spese del terzo: trattasi di un potere distruttivo che può comportare gravi danni al terzo, costretto ad estirpare una piantagione o ad abbattere un edificio appena costruito. Tuttavia, tale potere si giustifica anche in relazione alla circostanza che l'opera potrebbe non rientrare affatto nei piani di utilizzazione del bene da parte del proprietario, nonché con la considerazione che, se questi è costretto a ritenere l'opera, dovrà pagare un'indennità che potrebbe avere un notevole valore economico. Si giustifica, quindi, perché il legislatore codicistico opti per soluzioni diversificate e, in particolare, preveda che il potere di chiedere la rimozione non sia incondizionato. Opposizione del proprietarioRiguardo all'opposizione del proprietario, si è, da ultimo, affermato che l'opposizione all'attività edificatoria intrapresa da un terzo, con materiali propri, su fondo altrui, che, ai sensi dell'art. 936, comma 4, conserva al proprietario di quest'ultimo l'alternativa tra ritenzione e demolizione della costruzione medesima, consiste in qualsiasi atto o fatto portato a conoscenza del terzo con mezzi idonei, con cui il proprietario manifesti tempestivamente — e, cioè, non oltre sei mesi dalla notizia dell'avvenuta incorporazione — l'intendimento di reagire e di opporsi all'illecita invasione della propria sfera dominicale (Cass. II, n. 141/2016). Ai sensi dell'art. 936, comma 4, integra opposizione del proprietario di un fondo all'attività edificatoria sullo stesso intrapresa da un terzo (con materiali propri) idonea a conservargli le facoltà di alternativa riconosciutegli dal primo comma dell'art. citato, di ritenere la costruzione realizzata dal terzo, con l'obbligo di rimborsargli la somma minore tra lo speso ed il migliorato e di obbligarlo a rimuoverla, qualsiasi atto o fatto portato a conoscenza del terzo con mezzi idonei con cui detto proprietario manifesti tempestivamente (non oltre sei mesi dalla notizia dell'avvenuta incorporazione) in modo inequivocabile, l'intendimento di reagire e di opporsi all'illecita invasione della propria sfera dominicale (Cass. II, n. 1506/1999; Cass. II, n. 2455/1993). Decadenza della domanda di rimozioneNell'ipotesi di opere eseguite da un terzo sul fondo altrui con materiali propri, la decadenza prevista dall'ultimo comma dell'art. 936, il quale dispone che la rimozione non può essere chiesta dopo sei mesi dal giorno in cui il proprietario del fondo ha avuto conoscenza dell'incorporazione, trova applicazione indipendentemente dalla circostanza che le opere abbiano determinato un incremento produttivo del fondo (Cass. II, n. 12763/1992). Rilevanza dell'utilità dell'operaSecondo la disciplina dettata dall'art. 936, l'utilità dell'opera realizzata su suolo altrui influisce sulla determinazione della misura dell'indennità spettante all'autore dell'opera, dovuta nella minor somma tra il valore dei materiali ed il prezzo della mano d'opera o l'aumento di valore recato al fondo; ne consegue che il proprietario del terreno è tenuto ad indennizzare il terzo solo se ed in quanto dalla realizzata incorporazione sia effettivamente derivato un incremento del suo patrimonio (Cass. II, n. 4623/2001). L'art. 936, in tema di opere fatte su suolo altrui, non richiede per la sua applicabilità l'utilità dell'opera realizzata ed il conseguente incremento di valore del fondo, potendo tale elemento influire indirettamente solo sulla scelta del proprietario del fondo tra lo ius tollendi ed il diritto di ritenere l'opera, ovvero, nei casi in cui lo ius tollendi non è ammesso o non è esercitato, sulla determinazione dell'indennità spettante all'autore dell'opera, dovuta nella minor somma tra il valore dei materiali ed il prezzo della mano d'opera e l'aumento di valore subito dal fondo (Cass. II, n. 713/1998; Cass. II, n. 888/1997). Illiceità della costruzioneNelle controversie riconducibili alle fattispecie regolate dagli artt. 1150 e 936, nessun indennizzo a carico del proprietario del fondo può essere preteso dal terzo costruttore che abbia realizzato l'opera in violazione della normativa edilizia, autonomamente commettendo nel primo caso, o concorrendo nel secondo, i reati previsti e puniti dagli artt. 31 e 41 l. n. 1150/1942 nonché 10 e 13 l. n. 765/1967, e ciò non tanto perché possano essere poste in dubbio la sussistenza o l'entità della locupletazione del proprietario del fondo nella prospettiva di un ordine di demolizione da parte della pubblica amministrazione competente, quanto piuttosto perché è da ritenere in contrasto con i principi generali dell'ordinamento ed in particolare con la funzione dell'amministrazione della giustizia che possa l'agente conseguire indirettamente, ma pur sempre per via giudiziaria, quel vantaggio che si era ripromesso di ottenere nel porre in essere l'attività penalmente illecita e che in via diretta gli è precluso dagli artt. 1346 e 1418 (Cass. II, n. 6777/2001). IndennizzoIn tema di accessione, a norma dell'art. 936, comma 2, ove il proprietario eserciti il diritto di ritenzione delle opere fatte dal terzo sul fondo, sorge automaticamente, a suo carico, l'obbligo di pagamento della relativa indennità, e ciò indipendentemente dalla prova degli esborsi per eventuali miglioramenti (Cass. II, 5420/2011). A norma dell'art. 936, ove un terzo abbia eseguito opere con materiali propri su fondo altrui, il proprietario di quest'ultimo può scegliere se acquisirne la proprietà oppure obbligare il terzo a rimuoverle; una volta che la rimozione non sia stata chiesta nel termine di sei mesi di cui all'art. 936, comma ultimo, il proprietario acquista a titolo originario ed ipso iure la proprietà delle opere realizzate, in virtù del principio generale dell'accessione, poiché l'obbligazione al pagamento del valore dei materiali e del prezzo della mano d'opera ovvero dell'incremento di valore — che insorge a suo carico a norma dell'art. 936, comma 2, — ha natura di indennizzo e non di prestazione sinallagmatica, e non costituisce quindi condizione per la pienezza dell'atto di acquisto (Cass. II, n. 23347/2009). In tema di accessione, l'indennizzo dovuto ai sensi dell'art. 936 dal proprietario del suolo al terzo che sullo stesso abbia realizzato opere e costruzioni con materiali propri costituisce debito di valore, sia che si determini in relazione all'incremento arrecato al fondo sia che abbia riguardo al valore dei materiali e al prezzo della mano d'opera, sicché il relativo importo, riferito all'epoca dell'incorporazione, deve essere rivalutato alla data della liquidazione (Cass. II, n. 8657/2006). Segnatamente, l'indennità dovuta, ai sensi dell'art. 936, comma 2, dal proprietario del suolo al terzo che ivi abbia realizzato opere e costruzioni con materiali propri costituisce debito di valore, mirando non solo a ricostituire il patrimonio dell’avente diritto, ma anche a ricompensarlo dei potenziali incrementi di valore non documentabili, sicché il giudice, nel liquidarla, è tenuto, anche di ufficio, a riconoscere, sulla corrispondente somma, gli interessi compensativi a far data dalla domanda (Cass. II, n. 6973/2017; Cass. II, n. 8657/2006). In tema di opere eseguite dal terzo con materiali propri su suolo altrui, l'espressione “il valore dei materiali e il prezzo della mano d'opera” contenuta nel comma 2 dell'art. 936 va interpretata come riferentesi a tutte le voci di spesa oggettivamente necessarie per l'esecuzione dell'opera (nel tempo e nel luogo in cui i lavori vennero eseguiti) a prescindere dai prezzi effettivamente pagati; e quindi come riferentesi non solo all'oggettivo valore di mercato, al tempo dell'esecuzione, delle due voci espressamente previste (materiali e mano d'opera), ma anche delle spese di progettazione tecnica necessaria per la costruzione delle opere trattenute, nonché al corrispettivo dovuto all'impresa che ha eseguito i lavori, anche se quest'ultimo non sia stato materialmente erogato, perché il terzo era titolare dell'impresa che ha eseguito le fabbriche con i propri capitali e la propria organizzazione (Cass. III, n. 273/2005). Secondo la disciplina dettata dall'art. 936, l'utilità dell'opera realizzata su suolo altrui influisce sulla determinazione della misura dell'indennità spettante all'autore dell'opera, dovuta nella minor somma tra il valore dei materiali ed il prezzo della mano d'opera o l'aumento di valore recato al fondo; ne consegue che il proprietario del terreno è tenuto ad indennizzare il terzo solo se ed in quanto dalla realizzata incorporazione sia effettivamente derivato un incremento del suo patrimonio (Cass. II, n. 4623/2001). Resta inteso che, ove l'esecuzione delle opere con materiali propri su suolo altrui configuri illecito penale, il terzo non ha diritto all'indennizzo ex art. 936, salvo che il manufatto sia oggetto di regolarizzazione urbanistica mediante concessione in sanatoria, giacché questa restituisce l'immobile ad uno stato di conformità al diritto, escludendo la sua futura demolizione, aggiungendo che, nelle controversie riconducibili alle fattispecie regolate dagli artt. 1150 e 936, il versamento, da parte del proprietario del fondo, dell'oblazione relativa all'opera abusiva ivi realizzata dal terzo estingue il reato, ex art. 24 l. n. 136/1999, anche nei confronti del costruttore che, pertanto, ha diritto a percepire l'indennizzo ex art. 936 (Cass. II, n. 1237/2016). Di recente, si è, però, precisato (Cass. V. n. 904/2019) che, qualora lo ius tollendi non sia esercitato dal proprietario, perché non sia o non possa essere esercitato (per essere, le opere considerate, state eseguite a sua scienza e senza opposizione o in buona fede), al terzo spetta un diritto di credito da farsi valere nei confronti del proprietario del suolo, e ciò anche qualora il terzo abbia avuto la disponibilità del fondo e la concessione ad eseguire dette opere dal proprietario dello stesso fondo in base ad un titolo radicalmente nullo. Risarcimento dei danniIn tema di costruzione od opera eseguita dal terzo con materiali propri su suolo altrui, il diritto al risarcimento del danno è dall'art. 936, comma 3, espressamente riconosciuto in favore del proprietario del suolo nel solo caso in cui il medesimo sia altresì legittimato a chiedere la rimozione dell'opera; quando invece al proprietario non è o non è più consentito proporre quest'ultima domanda, è il terzo ad avere viceversa diritto ad un indennizzo a fronte del vantaggio economico da detta costruzione od opera derivato al proprietario del fondo, vantaggio che è prioritario ed assorbente rispetto al danno dal medesimo eventualmente subito ed incompatibile con la relativa pretesa risarcitoria (Cass. I, n. 26595/2021; Cass. II, n. 3523/2017; Cass. II, n. 10441/2002). Usucapione a favore del costruttoreIn relazione ai modi di acquisto della proprietà della costruzione eseguita sul fondo altrui, l'usucapione e l'accessione operano con modalità diverse, perché l'accessione si perfeziona “ipso iure” nel momento stesso in cui la costruzione viene ad esistenza, mentre l'usucapione congiunta del suolo e del manufatto si può verificare solo dopo il decorso del termine (ventennale o decennale) previsto dagli artt. 1158 e 1159; ne consegue che l'usucapione non esclude l'operatività dell'accessione, ma si limita, semplicemente, a farne venire meno gli effetti a causa del successivo acquisto della proprietà e del suolo (Cass. II, n. 5739/2011). Chi esegue una costruzione con materiali propri ma sul fondo altrui, possedendola uti dominus per oltre vent'anni, ne acquista la proprietà per averla usucapita; in tale ipotesi, il principio dell'accessione dell'opera in favore del proprietario del fondo viene meno per successivo acquisto della proprietà del manufatto e del suolo verificatosi in virtù di usucapione a favore del costruttore (Cass. II, n. 20288/2008). In altri termini, nel caso in cui l'autore di una costruzione eseguita con materiali propri sul fondo altrui l'abbia posseduta uti dominus per il tempo necessario ad usucapire, l'acquisto della proprietà dell'opera, per accessione, a favore del proprietario del fondo viene meno per il successivo acquisto della proprietà del manufatto e del suolo, verificatosi in virtù dell'usucapione a favore del costruttore (Cass. I, n. 21933/2021). Accessione invertita in favore della Pubblica AmministrazioneL'acquisto da parte della P.A. di un fondo privato per effetto della cosiddetta accessione invertita presuppone che il bene acquisito sia stato interessato da trasformazioni così rilevanti da mutarne struttura e natura e non può derivare dall'esecuzione di semplici migliorie; tale ipotesi non ricorre là dove, costruita da privati una strada vicinale sul proprio terreno, essa venga successivamente asfaltata da parte del Comune, con l'installazione, nel sottosuolo, di condutture per il gas, il telefono e lo scarico delle acque; tali opere, infatti, incidono solo sulla titolarità del godimento del bene e sulle modalità del suo esercizio, evidenziando l'asservimento di detta strada a fini pubblici, ma non comportano un mutamento della consistenza e della struttura del preesistente manufatto, né implicano l'acquisizione in proprietà dell'ente territoriale, la quale postula l'inemendabile trasformazione del suolo in una componente essenziale di un'opera pubblica; ne consegue che l'esecuzione dei suddetti lavori non legittima i proprietari frontistanti ad aprire accessi diretti dai loro fondi su tale strada privata, se non previa costituzione di un ordinario diritto di servitù (Cass. II, n. 11747/2009). Legittimazione attiva e passivaIn tema di opera eseguita dal terzo con materiali propri su suolo altrui, ove il terzo abbia trasferito l'opera stessa ad altro soggetto dietro pagamento del valore dei materiali e dell'attività occorsi per la sua realizzazione, il rapporto fra l'obbligo di corrispondere l'indennizzo, gravante ex art. 936 sul proprietario del fondo il quale intenda esercitare il diritto di ritenzione, ed il diritto ad ottenerlo — non diversamente dall'inverso rapporto tra il diritto di chiedere la rimozione dell'opera e l'obbligo di provvedere al riguardo — devesi riconoscere non più tra il terzo e detto proprietario bensì tra questi ed il cessionario dell'opera, trovandosi l'uno a beneficiare dell'arricchimento e l'altro a subire il depauperamento in ragione dei quali la ratio della norma tende a ristabilire una situazione di relativo equilibrio (Cass. II, n. 1246/2000). BibliografiaAlpa, Accessione, in Dig. civ., I, Torino, 1987; Cimmino, Accessione e costruzione sul suolo comune, in Not. 2011, 634; Dell'Aquila, L'acquisto della proprietà per accessione, unione, commistione e specificazione, Milano, 1979; Dinacci, Accessione, in Enc. dir., I, Milano 2007; Messinetti, I fenomeni acquisitivi da eventi materiali (art. 934-940 c.c.), Padova, 2004; Musolino, L'accessione di opere fatte da un terzo con materiali propri: la nozione di terzo, in Riv. not. 2001, 1426; Paradiso, L'accessione al suolo - art. 934-938, Milano, 1994; Salaris, Accessione, in Enc. giur., I, Roma 1997; Santersiere, Accessione e rimozione di opera illegittima su fondo altrui, in Nuovo dir. 1999, 265; Terzago, La buona fede nell'accessione invertita, in Immob. & diritto 2005, n. 9, 94. |