Codice Civile art. 957 - Disposizioni inderogabili.Disposizioni inderogabili. [I]. La enfiteusi, salvo che il titolo disponga altrimenti, è regolata dalle norme contenute negli articoli seguenti (1). [II]. Il titolo [587, 1350 n. 2, 2643 n. 2, 2648] non può tuttavia derogare alle norme contenute negli articoli 958 secondo comma, 961 secondo comma, 962 (2), 965, 968, 971 e 973. (1) V. l. 22 luglio 1966, n. 607; l. 18 dicembre 1970, n. 1138; l. 14 giugno 1974, n. 270. (2) L'art. 962 è stato abrogato dall'art. 18 l. n. 607, cit. InquadramentoL'enfiteusi, come diritto reale di godimento, ha avuto uno sviluppo alquanto altalenante, in quanto, sorto nel medio evo, il codice civile del 1865 lo aveva considerato con sfavore mentre quello attuale ha tentato di rivalutarlo, anche se le aspettative sono state in gran parte deluse; va pure registrato sul punto un intervento da parte del legislatore speciale (l. n. 607/1966; l. n. 1138/1970; l. n. 270/1974), che però talvolta ha trovato qualche smentita da parte dei giudici della Consulta. La dottrina ha evidenziato che l'enfiteusi ha radici nel diritto romano antico ed anche in quello ellenico-orientale. L'istituto realizzerebbe la sua funzione economica nello sviluppo dell'agricoltura, a mezzo della creazione di un diritto reale a favore di chi coltiva la terra. Già nei primi secoli dell'era cristiana, si diffusero due istituti, il ius perpetuum e il ius emphyteuticarium, che nel V secolo si confusero nel solo ius emphyteuticarium, il quale divenne in età giustinianea il vero tipo giuridico. Nel corso della storia, l'enfiteusi ha vissuto alterne vicende di favore per la sua funzione economica di “correttivo del latifondo”, come anche di avversione a causa del supposto stato di soggezione economica che nascerebbe a carico dell'enfiteuta. Tuttavia, l'emergere di un'agricoltura incentrata sulla funzione di impresa e sull'autonomia rispetto alla proprietà ha comportato il declino dell'utilizzo dell'istituto giuridico in questione (Alessi, 1). Comunque, l'enfiteusi attribuisce alla persona, a cui favore è costituita, lo stesso potere di godimento che spetta al proprietario, salvo l'obbligo di migliorare il fondo e di pagare al proprietario-concedente un canone periodico (a differenza dell'usufruttuario, l'enfiteuta può anche mutare la destinazione del fondo, purché non lo deteriori). In quest'ordine di concetti, la norma in commento stabilisce che l'enfiteusi può essere costituita mediante titolo (contratto, testamento) o per usucapione, ma il titolo non può derogare ad alcune norme specificamente indicate (artt. 958, comma 2, 961, comma 2, 962, 965, 968, 971 e 973). Contenuto dell'enfiteusiLa giurisprudenza ha avuto modo di compendiare il contenuto del diritto di enfiteusi. Invero, si è affermato che non può considerarsi costitutivo di enfiteusi il contratto che, oltre a non prevedere l'obbligo di miglioramenti, rechi una destinazione del fondo oggettivamente incompatibile con ogni successiva miglioria (Cass. III, n. 10646/1994). Oggetto dell'enfiteusi, disciplinata dagli artt. 957 ss., possano essere solo i “fondi”, ossia i beni immobili (originariamente solo rustici e ora anche urbani) e non può quindi formare oggetto del diritto in questione un'azienda, universitas rerum alla quale deve essere riconosciuta natura mobiliare, conseguentemente l'art. 28 del r.d. n. 3269/1923 — che escludeva per i contratti di concessione enfiteutica la possibilità di procedere, dopo la registrazione ad un giudizio di congruità — non è applicabile nel caso in cui oggetto del contratto sia un'azienda alberghiera, e il dichiarato è soggetto ad accertamento da parte dell'ufficio (Cass. I, n. 4886/1988). Il “livello” ha natura di diritto reale di godimento su bene altrui, assimilabile all'enfiteusi anche in punto di disciplina ed estraneo ai rapporti regolati dalla speciale legislazione sui contratti agrari, sicché le domande di accertamento negativo e quelle di affrancazione dallo stesso non soggiacciono alla condizione di procedibilità del previo esperimento del tentativo di conciliazione di cui all'art. 46 l. n. 203/1982 (Cass. II, n. 3689/2018). Resta fermo che, quando, per l'esistenza di un determinato contratto, la legge richieda, a pena di nullità, la forma scritta (nella specie, contratto costitutivo di enfiteusi), alla mancata produzione in giudizio del relativo documento non può supplire il deposito di una scrittura contenente la confessione della controparte in ordine alla pregressa stipulazione del contratto de quo, nemmeno se da essa risulti che quella stipulazione fu fatta per iscritto (Cass. II, n. 4431/2017). Locazione ad longum tempus o in perpetuumAd avviso dei giudici di legittimità, la locazione ad longum tempus o in perpetuum, pur dando luogo, come l'enfiteusi, ad un rapporto di carattere reale, con il quale si trasferisce l'utile dominio del fondo per un tempo lunghissimo e qualche volta in perpetuo, si distingue da essa dal punto di vista dommatico e pratico per alcune differenze fondamentali: mentre nella locazione sia ad longum tempus sia (là dove è ammessa) in perpetuum manca l'obbligo di migliorare il fondo, ch'è concesso già in stato di produzione, l'obbligo di migliorare è, invece, connaturale, essenziale ed indispensabile per l'enfiteusi che riguarda terre incolte; mentre nella locazione ad longum tempus od in perpetuum il canone ha natura di corrispettivo del godimento del fondo ed è fissato proporzionalmente ai frutti, nell'enfiteusi il canone rispecchia la sua natura di corrispettivo del trasferimento dell'utile dominio e l'esistenza dell'obbligo di migliorare la terra concessa sterile, onde è normalmente costituito da una pensio certa di tenue valore; non basta per la qualificazione del contratto come enfiteusi, anziché come locazione ad longum tempus, la previsione di un laudemio pattuito non come acconto della possibile futura affrancazione, ma come un vero e proprio buon ingresso (laudemio buona entrata), né la pattuizione della clausola risolutiva espressa per il mancato pagamento di due annualità di canoni (clausola che non può mancare nell'enfiteusi ma che può essere dalla parte introdotta in altri contratti); né la ripartizione dei tributi gravanti sul fondo nel senso di mettere una quota a carico del conduttore (Cass. II, n. 682/1962). BibliografiaAlbano - Greco - Pescatore, Della proprietà, in Commentario al codice civile, III, Torino 1968; Alessi, Enfiteusi (diritto civile), in Enc. giur., XII, Roma 1989; Cattedra, L'enfiteusi, manuale teorico-pratico, Firenze, 1983; Marinelli, Sulla prevalenza dell'affrancazione sulla devoluzione del fondo enfiteutico, in Giust. civ. 1985, I, 2766; Musolino, Enfiteusi e affrancazione del bene, in Riv. notar. 2001, 154; Orlando Cascio, Enfiteusi, in Enc. dir., XIV, Milano, 1965; Palermo, Contributo allo studio dell'enfiteusi (dal codice civile alle leggi di riforma), in Riv. notar. 1982, 804; Tomassetti, Enfiteusi, in Enc. giur., VI, Milano, 2007; Vitucci, Enfiteusi, in Dig. civ., VII, Torino, 1991. |