Codice Civile art. 979 - Durata.

Alberto Celeste

Durata.

[I]. La durata dell'usufrutto non può eccedere la vita dell'usufruttuario [678, 698, 796, 1014].

[II]. L'usufrutto costituito a favore di una persona giuridica non può durare più di trenta anni [1014].

Inquadramento

Il connotato precipuo dell'usufrutto è costituito dalla durata, nel senso che lo stesso ha durata temporanea in quanto non presenterebbe alcuna utilità pratica la proprietà, se la facoltà di godimento fosse separata per sempre. Pertanto, il diritto d'uso, così come disciplinato dal codice civile, è un diritto reale di natura temporanea, al quale non può essere attribuito carattere di perpetuità, anche se, significativamente, allorquando su un bene risulta costituito il diritto di usufrutto a favore di una persona, la situazione nella quale viene a trovarsi il proprietario, spogliato di ogni utilità economica fino all'estinzione del medesimo usufrutto, si designa con l'espressione “nuda proprietà”. Pertanto, l'usufrutto deve essere costituito ad tempus, e se nulla è detto in proposito nel titolo costitutivo, si intende costituito per tutta la durata della vita dell'usufruttuario, e, in ogni caso, la morte di quest'ultimo determina l'estinzione del diritto anche qualora non fosse ancora scaduto il termine finale previsto al momento della costituzione del suddetto rapporto. Si prevede, infine, che l'usufrutto di cui sopra possa essere costituito anche a favore di una persona giuridica, ma in tal caso lo stesso non può durare più di trenta anni.

Temporaneità dell'usufrutto

Il principio della temporaneità dell'usufrutto, da un lato, mira a tutelare l'interesse del proprietario a non sopportare un sacrificio perpetuo del suo diritto, e, dall'altro, risponde all'esigenza di garantire una libera circolazione dei beni. Dalla natura inderogabile delle limitazioni relative alla durata dell'usufrutto — in quanto imposte da norme ritenute di ordine pubblico — dovrebbe conseguire la nullità della clausola che preveda un usufrutto perpetuo; si è, tuttavia, rilevato come una convenzione diretta a dar vita ad un godimento perpetuo di un bene potrebbe essere idonea a costituire, limitatamente al periodo di tempo stabilito dalla norma in commento, il diritto di usufrutto, cui subentrerebbe, per il periodo successivo a quello massimo consentito dalla legge, un diritto personale avente ad oggetto l'utilizzazione, prevista inter partes, del bene (Palermo, in Tr. Res. 2002, 109).

Secondo la giurisprudenza, a norma degli artt. 979 e 980, la durata dell'usufrutto non può eccedere la vita dell'usufruttuario, il quale, peraltro, può cedere il suo diritto per un certo tempo o per tutta la sua durata; la temporaneità del diritto, pertanto, esclude che esso possa formare oggetto di disposizione testamentaria o ricadere nell'àmbito di una successione mortis causa; tuttavia, una volta che l'usufrutto sia stato ceduto per atto inter vivos, esso, fino alla morte dell'originario e primo usufruttuario, si rende suscettibile di successione mortis causa ove l'originario cessionario deceda prima del cedente, e, se il cessionario in questione non ne abbia disposto per atto di ultima volontà, esso si trasmette per legge agli eredi dello stesso (ed è suscettibile di successive trasmissioni mortis causa), non essendosi estinto e continuando a far parte del patrimonio relitto fino alla sua estinzione per morte del primo usufruttuario (Cass. II, n. 4376/2002).

Nello stesso ordine di concetti, si è statuito (Cass. II, n. 20788/2015) che il donante, il quale si sia riservato l'usufrutto ex art. 796 non può trasmetterlo mortis causa, poiché esso si estingue con la morte del titolare a norma dell'art. 979; nella diversa ipotesi del legato di usufrutto, il testatore ha la piena proprietà al tempo dell'apertura della successione, sicché può legare l'usufrutto, scindendolo dalla nuda proprietà trasmessa ad altro successore.

Ad ogni buon conto, poiché l'istituto dell'usufrutto perpetuo di cui al codice civile del 1865 non è più previsto dal codice civile vigente, il cui art. 979, comma 2, stabilisce che l'usufrutto non può avere una durata maggiore di trent'anni se costituito a favore di una persona giuridica, e stante che l'art. 252 disp. att. dispone che, quando per l'esercizio di un diritto o per la prescrizione o per l'usucapione il codice stabilisce un termine più breve di quello fissato dalle leggi anteriori, il nuovo termine si applichi anche all'esercizio dei diritti sorti anteriormente, con decorrenze diverse a seconda del diritto in questione, il diritto di usufrutto perpetuo, convertito in usufrutto trentennale, comincia a decorrere dal 28 ottobre 1941 e si estingue, perciò, in data 28 ottobre 1971 (Cass. II, n. 10453/2011).

In un'ipotesi particolare, sempre sul presupposto che, a norma degli artt. 979 980, la durata dell'usufrutto non può eccedere la vita dell'usufruttuario, si è statuito (Cass. II, n. 8911/2016) che, qualora sia concesso pro quota ad una pluralità di soggetti (e in assenza di usufrutto congiuntivo, che comporta l'accrescimento a favore dei superstiti), quella di ciascuno di essi per la quota attribuita; l'usufruttuario, peraltro, con atto inter vivos, può cedere il suo diritto (o la quota a lui spettante) per un certo tempo o per tutta la sua durata, sicché, in tale evenienza, il diritto limitato di godimento è suscettibile di successione mortis causa ove il cessionario deceda prima del cedente, perdurando fino a quando rimanga in vita quest'ultimo.

L'usufrutto acquistato da entrambi i coniugi permane, nella sua interezza e senza quota, nella comunione legale fra loro esistente fino allo scioglimento della stessa, allorquando cade in comunione ordinaria fra i medesimi coniugi, che divengono contitolari di tale diritto, ciascuno per la propria quota, fino alla sua naturale estinzione; tuttavia, ove la cessazione della comunione legale avvenga per effetto del decesso di uno dei coniugi, la quota di usufrutto spettante a quest'ultimo si estingue, non potendo avere durata superiore alla vita del suo titolare, salvo che il titolo non abbia previsto il suo accrescimento in favore del coniuge più longevo (Cass. II, n. 33546/2018).

Predeterminazione della durata

In proposito, si è precisato che la predeterminazione del contenuto e della durata del diritto di uso non configura requisito essenziale del contratto avente ad oggetto la costituzione del diritto medesimo, atteso che tali elementi, in difetto di previsione delle parti vanno determinati secondo la disciplina dettata dagli artt. 979 e 981 in materia di usufrutto, applicabili in forza del rinvio disposto dall'art. 1026 (Cass. II, n. 4706/1980).

Bibliografia

Caterina, Usufrutto e proprietà temporanea, in Riv. dir. civ. 1999, II, 715; De Cupis, Usufrutto, in Enc. dir., XLV, Milano, 1992; Di Bitonto, Usufrutto, in Enc. dir., XVI, Milano, 2008; Mazzon, Usufrutto, uso e abitazione, Padova, 2010; Musolino, L'usufrutto, Bologna, 2011; Plaia, Usufrutto, uso, abitazione, in Dig. civ., XIX, Torino, 1999; Ruscello, Origini ed evoluzione storica dell'usufrutto legale dei genitori, in Dir. fam. 2009, 1329.

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