Codice Civile art. 1100 - Norme regolatrici.

Antonio Scarpa

Norme regolatrici.

[I]. Quando la proprietà o altro diritto reale spetta in comune a più persone, se il titolo o la legge [258 ss., 832 ss. c. nav.] non dispone diversamente, si applicano le norme seguenti.

Inquadramento

L'art. 1100 descrive la comunione come situazione di contitolarità tra più persone relativa al dritto di proprietà o ad altro diritto reale, presupposto di applicabilità della disciplina di cui agli artt. 11001116, se non diversamente stabilito dal titolo o dalla legge.

Pluralità di comunioni e comunione impropria

I beni di una comunione possono provenire da titoli diversi, contrattuali o ereditari, costituenti essi stessi distinte comunioni. L'acquisto di beni in comune, attraverso diversi titoli, non dà luogo ad un accrescimento dell'originaria comunione costituita col primo titolo di acquisto, quanto alla somma di tante comunioni, ciascuna regolata dal suo titolo.

La pluralità dei titoli d'acquisto esclude, dunque, la configurabilità di un'unica comunione, comportando la sussistenza di più comunioni, con la conseguenza che ciascun compartecipe non vanta sulla totalità dei beni un diritto corrispondente alla somma delle singole frazioni che gli derivano da ciascun titolo, ma tanti diritti, ciascuno per la quota corrispondente ad ogni titolo e relativo ai beni con lo stesso acquistati; ove pertanto, in sede di divisione, sia assegnata a ciascun compartecipe, su una singola massa, la somma delle quote a lui spettanti su tutte le masse, con la correlativa esclusione da queste ultime, la fattispecie non è riconducibile ad un negozio di accertamento dichiarativo, ma assume la sostanza di un negozio traslativo (Cass. V, n. 13009/2007).

In ipotesi di divisione dei beni provenienti da titoli diversi, vanno ravvisate, così, tante divisioni quanti sono i distinti titoli e correlativamente le masse oggetto di comunione (Cass. II, n. 3512/2019; Cass. II, n. 27465/2018).Nel caso di divisione di beni appartenenti a diverse comunioni, è, perciò, possibile procedere ad un'unica divisione invece che a tante divisioni quante sono le masse solo con il consenso di tutte le parti, consenso che non può risultare da una manifestazione tacita o da un semplice comportamento processuale non oppositivo avverso la domanda di divisione unitaria, ma deve materializzarsi in uno specifico e apposito negozio giuridico, da cui possa evincersi in modo inequivocabile tale comune volontà Cass. II, n. 15494/2019; Cass. II, n. 3029/2009).

Si ha, invece, comunione impropria quando più diritti reali di godimento sul medesimo bene si estendono in forma diffusa sull'intero cespite, essendo limitati solo in via astratta dalla quota, come nel caso in cui il proprietario partecipi anch'egli per una determinata quota al godimento della cosa, insieme all'usufruttuario, realizzando un'ipotesi di comunione di godimento, disciplinata dagli artt. 1100 ss., ovvero quando su di un medesimo bene concorrono un diritto di proprietà ed uno di usufrutto, trattandosi in tal caso di concorso di diritti reali differenti per tipo (Cass. II, n. 8727/2005).

Comunione ereditaria

La comunione ereditaria ha ad oggetto non soltanto la comproprietà o contitolarità di diritti, ma il complesso dei rapporti attivi e passivi che formavano il patrimonio del de cuius al momento della morte. Lo scioglimento dello stato di indivisione si verifica soltanto quando i condividenti abbiano proceduto con le operazioni previste dagli artt. 713 ss. ad eliminare la maggior parte delle relative componenti; d'altra parte, lo scioglimento della comunione ereditaria non è incompatibile con il perdurare di uno stato di comunione ordinaria rispetto a singoli beni già compresi nell'asse ereditario in divisione, sicché l'attribuzione congiunta di beni ereditari non dà luogo al cosiddetto stralcio di quota o a una divisione parziale (Cass. II, n. 4224/2007).

Comunione e condominio negli edifici

La comunione ordinaria va tenuta distinta dal condominio edilizio. Nella comunione semplice, il godimento delle cose comuni costituisce non lo scopo della relazione di comproprietà, quanto un limite dell'uso individuale. La disciplina codicistica della comunione non si confronta con un interesse generale, poiché persegue solo l'interesse del singolo. Pertanto, si ha comunione quando, su un bene determinato, spetta congiuntamente pro indiviso a più persone il diritto di proprietà o altro diritto reale, conservando ciascuna di esse il proprio diritto sull'intero e sua qualsiasi parte; mentre nel condominio di edifici esistono più proprietari esclusivi di più parti distinte di un medesimo fabbricato (singole unità immobiliari), i quali per necessità pratiche (derivanti dall'uso o dall'utilità o dal godimento per tutti) restano in comune proprietari pro indiviso di talune altre parti dell'edificio. Pertanto, mentre nella comunione si ha uno stato di fatto transeunte e contingente, destinato a cessare con la divisione, nel condominio, per talune parti, lo stato di comunione è di norma forzato e permanente. Al di fuori di tali parti riprende, però, l'autonomia del diritto di ciascun condomino, avendo costui non una quota ideale, come nella comunione, ma una quota reale, nei confronti della quale le cose comuni hanno un carattere di accessorietà e complementarietà rispetto alla proprietà esclusiva (Cass. III, n. 1887/1962). Così, le norme rispettivamente dettate in tema di comunione e in tema di condominio, sono del tutto coerenti con le assolute specificità dei due distinti regimi di contitolarità, uno essenzialmente provvisorio e votato allo scioglimento (art. 1111), l'altro, all'opposto, tendenzialmente perpetuo (art. 1119). 

Diversamente che nella comunione ordinaria, dunque, nel condominio di edifici il godimento dei beni comuni è non unicamente un limite, quanto lo scopo del diritto stesso di condominio: la “relazione di accessorietà”, descritta dall'art. 1117, trova, cioè, il suo fondamento nel fatto che le parti comuni siano necessarie per l'esistenza, ovvero che siano permanentemente destinate all'uso o al godimento comune (Fragali, 137).

Comunione e società

Il godimento delle cose comuni, come delle parti condominiali, peraltro, pur rientrando nell'oggetto tipico del rapporto, non ha, tuttavia, scopi di lucro, ovvero speculativi, né è ravvisabile l'esercizio in comune di un'attività svolta da parte dei comunisti o dei condomini, sicché è netta pure la diversità tra comunione o condominio edilizio e società. Dunque, la comunione è caratterizzata dalla prevalenza dell'elemento statico del godimento dei beni secondo la destinazione loro propria, mentre nella società prevale l'elemento dinamico della strumentalità dei beni per il compimento di un'attività, i cui utili saranno poi ripartiti tra le parti. La trasformazione di una comunione in società può, in ogni modo, risultare, oltre che da un atto formale, anche attraverso il comportamento in concreto assunto dai comproprietari con lo svolgimento, di fatto, di attività di impresa e l'utilizzazione all'uopo di beni comuni (Cass. I, n. 12087/1992).

Quanto, poi alla comunione a scopo di godimento (espressamente disciplinata dall'art. 2248), essa postula una situazione giuridica di contitolarità (presupponendo, pertanto, la comproprietà del bene in capo a tutti coloro che vi partecipino) e si caratterizza per il fatto che oggetto del godimento (fine esclusivo della comunione) è il bene comune, mentre nella società (che va istituita per contratto) rileva l'esercizio in comune di un'attività svolta a fine di lucro da parte di più soggetti, per l'esercizio della quale non è necessaria alcuna comunione di beni, che sono soltanto lo strumento attraverso il quale essa viene a realizzarsi e operare (Cass. I, n. 23952/2018; Cass. I, n. 6361/2004).  Il criterio di discriminazione fra comunione e società di godimento consiste, allora, non tanto nello scopo di guadagno — che può sussistere anche nella prima, senza che ciò comporti necessariamente il suo inquadramento nello schema societario — quanto nella presenza dell'impresa, nel senso che si configura la società se lo scopo lucrativo sia perseguito attraverso un'attività imprenditrice, che si sostituisca o si affianchi al mero godimento, ed in funzione della quale vengano adoperati in tutto o in parte i beni comuni, che vanno perciò a costituire il fondo comune dell'organismo sociale (Cass. I, n. 4558/1979). Nel caso, quindi, di comunione d'azienda, il godimento della cosa comune si realizza mediante il diretto sfruttamento della medesima da parte dei partecipanti alla comunione, rendendo configurabile l'esercizio di un'impresa collettiva, nella forma della società regolare oppure della società irregolare o di fatto, laddove l'art. 2248 assoggetta alle norme degli artt. 1100  ss. la comunione costituita o mantenuta al solo scopo di godimento (Cass. II, n. 10188/2019; Cass. II, n. 3028/2009). La conversione in società di una comunione incidentale ereditaria di azienda configura un contratto, soggetto come tale, ai sensi dell'art. 1323, alle norme generali dettate per i contratti nel secondo titolo del quarto libro di detto codice, con la conseguenza che il conferimento (traslativo) dell'immobile comune o del diritto di relativo godimento ultranovennale o a tempo indeterminato (in difetto di stipulazione per iscritto e di sua desumibilità da prova scritta), è affetto, a norma dell'art. 1350, da invalidità, riflettentesi sul contratto di società (Cass. II, n. 2960/1982).

Comunione incidentale e comunione forzosa

La comunione incidentale non scaturisce dall'incontro negoziale delle volontà delle parti, ma da obbiettive situazioni giuridiche di diversa natura che possono esser anche determinate dalla volontà coincidente, ma non concorde (e quindi non consistente in un contratto), delle parti. Ad esempio, nelle ipotesi delle vie agrarie ex collatione privatorum agrorum, la comunione discende dal fatto materiale del conferimento, in relazione alle reali esigenze dei fondi, e produce effetti giuridici anche in mancanza di qualsiasi forma scritta, potendosene dare prova, come per ogni altra comunione incidentale, con qualsiasi mezzo, e, quindi, mediante prova testimoniale o anche sulla base di presunzioni desumibili dal prolungato e pacifico uso della strada da parte dei proprietari dei fondi al cui servizio essa sia posta, dalle caratteristiche obiettive dei luoghi e dalle esigenze di comunicazione e di coltivazione dei fondi stessi (Cass. II, n. 25294/2015).

Costituiscono, invece, fattispecie di comunione forzosa quelle conseguenti all'esercizio di un diritto potestativo, quale, ad esempio, il diritto di appoggio al muro del vicino previsto dagli artt. 874 e 875.

Multiproprietà

L'istituto della multiproprietà immobiliare si caratterizza per il diritto di godimento turnario di un medesimo bene da parte di una pluralità di soggetti, e richiede che sia in concreto individuata la quota di ciascun comproprietario come effettiva entità della partecipazione al godimento dell'immobile (Cass. II, n. 6352/2010). Il conferimento dell'immobile nella società alla quale partecipano i soggetti che intendono ripartirsene il godimento rappresenta, invece, il dato caratterizzante della cosiddetta multiproprietà azionaria, la quale si distingue da quella immobiliare tipica per il fatto che non comporta l'attribuzione di un diritto reale in favore dei multiproprietari, i quali acquistano solo una quota del capitale della società proprietaria (Cass. I, n. 5494/1999).

Comunione legale tra coniugi e comproprietà della casa familiare

La comunione legale dei beni tra i coniugi, a differenza di quella ordinaria, è una comunione senza quote, nella quale i coniugi sono solidalmente titolari di un diritto avente per oggetto i beni di essa e rispetto alla quale non è ammessa la partecipazione di estranei. Nei rapporti con i terzi ciascun coniuge, mentre non ha diritto di disporre della propria quota, può tuttavia disporre dell'intero bene comune, ponendosi il consenso dell'altro coniuge (richiesto dall'art. 180, comma 2, per gli atti di straordinaria amministrazione) come un negozio unilaterale autorizzativo che rimuove un limite all'esercizio del potere dispositivo sul bene, a cui mancanza (ove si tratti di bene immobile o di bene mobile registrato) si traduce in un vizio da far valere nei termini fissati dall'art. 184 (Cass. II, n. 14093/2010). Nella comunione legale dei coniugi non può, quindi, ravvisarsi alcun potere di rappresentanza reciproca in capo ai coniugi stessi, non prevedendo nessuna norma tale potere ed anzi, ai sensi dell'art. 177, comma 1 lett. a), gli acquisti compiuti dai due coniugi insieme o separatamente durante il matrimonio costituiscono ipso iure oggetto della comunione.

La natura di comunione senza quote della comunione legale dei coniugi permane sino al momento del suo scioglimento, di cui all'art. 191 c.c., allorquando i beni cadono in comunione ordinaria e ciascun coniuge, che abbia conservato il potere di disporre della propria quota, può liberamente e separatamente alienarla, essendo venuta meno l'esigenza di tutela del coniuge a non entrare in rapporto di comunione con estranei (Cass. I, n. 8803/2017).

Legittimazione processuale dei singoli comproprietari

Secondo principio generale, ciascun comproprietario, in quanto titolare di un diritto che, sia pure nei limiti segnati dalla concorrenza dei diritti degli altri partecipanti, investe l'intera cosa comune (e non una sua frazione), è legittimato ad agire o resistere in giudizio per la tutela della stessa nei confronti dei terzi o di un singolo condomino, anche senza il consenso degli altri partecipanti (Cass. VI,  n. 1650/2015). Perciò, anche un solo condomino può proporre le azioni reali a difesa della proprietà comune, senza che si renda necessario integrare il contraddittorio nei confronti di tutti i partecipanti. La necessità dell'integrazione del contraddittorio dipende, tuttavia, dal comportamento del convenuto. Infatti, qualora il convenuto si limiti a negare il diritto di comproprietà dell'attore, non si richiede la citazione in giudizio di altri soggetti, non essendo in discussione la comunione del bene. Per contro, ove il convenuto eccepisca di essere proprietario esclusivo del bene, la controversia ha come oggetto la comunione di esso, cioè l'esistenza di un rapporto unico plurisoggettivo e il contraddittorio deve svolgersi nei confronti di tutti coloro dei quali si prospetta la contitolarità, giacché la sentenza non può conseguire un risultato utile se non pronunciata nei confronti di tutti i partecipanti alla comunione (Cass. II, n. 5190/2002).

Soggiace all'onere di offrire la prova rigorosa prescritta in tema di azione di rivendica della proprietà dall'art. 948 chi — invocando la qualità di comproprietario e non di proprietario esclusivo del bene — agisca per ottenere — previo accertamento della comunione — il recupero della utilizzazione della cosa — di cui lamenti di essere stato privato — attraverso un provvedimento che gli consenta l'esercizio dei poteri spettanti al comunista nell'uso della cosa comune impedito dal comportamento del comproprietario (Cass. II, n. 3648/2004).

Del pari, in virtù della presunzione che ciascun comproprietario operi con il consenso degli altri, ogni comunista è legittimato ad agire per il rilascio dell'immobile comune senza che sia necessaria la partecipazione degli altri (Cass. III, n. 6427/2009). Così, si sostiene che in tema di cessazione, recesso o risoluzione di contratti aventi ad oggetto l'utilizzazione economica dell'immobile oggetto di comunione, vige il principio della concorrenza dei pari poteri gestori in tutti i comproprietari, in forza del quale ciascuno di essi è legittimato ad agire, anche in giudizio — e senza che sia all'uopo necessaria un'autorizzazione degli altri compartecipi, contro chi pretenda di avere un diritto di godimento sul bene, sulla base della comunanza di interessi tra tutti i partecipanti alla comunione e della conseguente presunzione di un loro consenso all'iniziativa volta alla tutela di detti interessi, salvo che si deduca e si dimostri, a superamento di tale presunzione, il dissenso della maggioranza dei partecipanti stessi (Cass. III, n. 14772/2004).

È stato poi precisato che la locazione della cosa comune da parte di uno dei comproprietari rientra nell'ambito della gestione di affari ed è soggetta alle regole di tale istituto, tra le quali quella di cui all'art. 2032, sicché, nel caso di gestione non rappresentativa, il comproprietario non locatore può ratificare l'operato del gestore e, ai sensi dell'art. 1705, comma 2, applicabile per effetto del richiamo al mandato contenuto nel citato art. 2032, esigere dal conduttore, nel contraddittorio con il comproprietario locatore, la quota dei canoni corrispondente alla rispettiva quota di proprietà indivisa (Cass. S.U., n. 11135/2012; Cass. III, n. 25433/2019).

Quanto alle domande risarcitorie, con riguardo al danno subito da cosa oggetto di comproprietà, l'azione è esperibile da ciascun partecipante nei limiti della propria quota verso il responsabile, senza che insorga necessità di integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri condomini: L'appartenenza del bene danneggiato a più comproprietari non implica solidarietà attiva in un unico credito risarcitorio, ma l'insorgenza di un autonomo diritto di ciascuno dei comproprietari al ristoro del pregiudizio causato al proprio patrimonio (Cass. I, n. 254/2010). Ove, invece, il bene in comproprietà abbia cagionato danni a terzi, tra i comproprietari sussiste litisconsorzio necessario passivo quando sia domandata nei loro confronti la condanna ad un «facere» (ad esempio, l'eliminazione della situazione di pericolo causata dalla loro proprietà), mentre sussiste litisconsorzio solo facoltativo quando nei loro confronti sia domandata la condanna al risarcimento del danno (Cass. III, n. 10208/2011).

Bibliografia

Branca, Comunione. Condominio negli edifici, in Comm. S.B., artt. 1100 - 1139, Bologna-Roma, 1982; Busnelli, L’obbligazione soggettivamente complessa, Milano, 1974; Fragali, La comunione, in Tr. C.M., XIII, t. 1, Milano, 1973; Fedele, La comunione, Torino, 1986; Palazzo, Comunione, in Dig. civ., III, Torino, 1988, 158 ss., 168 s.; Scarpa, Disciplina del “condominio minimo”: duo faciunt collegium?, in Immobili & diritto, 2005, 30 ss.; Scozzafava, voce Comunione, in Enc. giur., VII, Roma, 1988, 2 ss.

 

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