Codice Civile art. 1114 - Divisione in natura.

Antonio Scarpa

Divisione in natura.

[I]. La divisione ha luogo in natura, se la cosa può essere comodamente divisa in parti corrispondenti alle quote dei partecipanti [718 ss.].

Inquadramento

Gli artt. da 1111 a 1114 affermano il diritto di divisione spettante a ciascuno dei partecipanti, stabiliscono i conseguenti poteri del giudice, limitano il patto di indivisibilità, enucleano le nozioni di indivisibilità e di comoda divisibilità e delineano le posizioni dei creditori e degli aventi causa dei partecipanti.

Il diritto alla divisione e i suoi limiti

Il principio generale posto dall'art. 1111 è che ciascuno dei partecipanti ad una comunione può sempre domandare lo scioglimento, sicché le norme concernenti le ipotesi di indivisibilità assumono — rispetto alla normale divisibilità dei beni — carattere di eccezionalità e la sussistenza delle situazioni limitative da esse previste deve essere accertata rigorosamente, dovendosi assicurare, fin dove possibile, la salvaguardia del diritto potestativo del singolo compartecipe ad ottenere lo scioglimento della comunione e l'assegnazione in natura della parte di sua spettanza (Cass. II, n. 3353/1987).

Il diritto allo scioglimento della comunione può sempre essere esercitato, sia nell'ipotesi di comunione ereditaria, sia di comunione incidentale, senza che abbia rilievo il fatto per lungo tempo e per qualsiasi motivo si sia tollerato lo stato di comunione. Né impedisce la divisione il fatto che la quota di taluno dei condividenti risulti gravata da iura in re aliena.

Perché si abbia un  negozio divisorio non è necessario che si verifichi lo scioglimento della comunione nei confronti di tutti i coeredi, essendo sufficiente che ciò avvenga rispetto ai coeredi partecipanti all'atto; in tal caso, infatti, lo scioglimento della comunione opera egualmente, pur se limitatamente ai soli partecipanti all'atto ed ancorché i coeredi che rimangono in comunione debbano, poi, mettere in essere un altro (od altri) negozio per pervenire allo scioglimento definitivo e totale della comunione stessa (Cass. II, n. 3694/2021).

La dilazione, fino a cinque anni, della divisione, prevista dall'art. 1111, comma 1, è un provvedimento discrezionale del giudice, adottabile nel caso che lo scioglimento della comunione possa pregiudicare gli interessi dei partecipanti. Il pregiudizio contemplato dalla norma non può ravvisarsi nella lesione dell'interesse dei singoli partecipanti a conservare posizioni personali di vantaggio, ma va ravvisato obbiettivamente, con riguardo all'interesse obiettivo della comunione (Cass. I, n. 1831/1973; Cass. II, n. 1360/1963).

La disposizione dell'art. 1111, comma 2 — in base alla quale il patto di rimanere in comunione non può, comunque, avere una durata superiore ai dieci anni — trova un limite implicito nella regola dettata dal successivo art. 1112, secondo cui lo scioglimento non può essere chiesto quando si tratta di cose che, se divise, cesserebbero di servire all'uso cui sono destinate (Cass. II, n. 5261/2011).

I beni di una comunione possono provenire da titoli diversi, costituenti, essi stessi, distinte comunioni, da considerare come entità patrimoniali a sé stanti, con la conseguenza che, in sede di divisione giudiziale, ben può essere assegnata ad uno dei condividenti la quota indivisa di un bene. Ne consegue che non è necessaria la partecipazione del terzo in giudizio qualora non sia stato chiesto lo scioglimento della diversa comunione relativa a quel singolo bene (Cass. II, n. 27377/2021).

La disposizione di cui all'art. 1112, che stabilisce l'indivisibilità del bene nel caso in cui la sua assegnazione in proprietà esclusiva ad uno dei condividenti ne comporti la cessazione dall'uso cui esso è destinato, ha applicazione esclusivamente nel caso in cui allo scioglimento della comunione si pervenga per via giudiziale, in quanto, nello scioglimento convenzionale, il potere dei comproprietari di addivenire allo scioglimento e di disporre dei beni implica anche il potere di mutarne l'uso e la destinazione originaria, sicché la possibilità di divisione del bene non trova altri impedimenti se non quelli derivanti da ragioni fisiche o da vincoli posti da leggi speciali (Cass. II, n. 7274/2006).

Per la configurazione dell'impedimento sancito dall'art. 1112, occorre che l'elemento volitivo si integri con quello oggettivo, in quanto lo scioglimento, che si attua normalmente con l'attribuzione ai partecipanti di porzioni materiali della cosa comune (art. 1114), può essere escluso dalla volontà dei comunisti di imprimere a tale cosa una determinata caratteristica d'uso solo quando siffatta volizione trovi attuazione in una situazione materiale che venendo meno con la divisione determini la perdita della possibilità di usare ulteriormente la cosa in conformità della sua convenuta destinazione (Cass. II, n. 4176/1983).

Il principio dell'art. 1114, per il quale la divisione ha luogo in natura se la cosa può essere comodamente divisa in porzioni corrispondenti alle quote dei partecipanti, non esclude la possibilità del ricorso al correttivo dei conguagli in denaro, previsto dall'art. 728  (Cass. II, n. 2117/1995). Il requisito della comoda divisibilità del bene, ai sensi degli artt. 720 e 1114, postula sotto l'aspetto strumentale che il frazionamento sia attuabile mediante la determinazione in concreto di porzioni suscettibili di autonomo e libero godimento, non gravate, almeno di norma, da pesi, servitù e limitazioni eccessive, e che possono formarsi senza la necessità di fronteggiare problemi tecnici troppo costosi e particolarmente complessi e, sotto l'aspetto economico-funzionale, che la divisione non incida sull'originaria destinazione del bene e non comporti un sensibile deprezzamento del valore delle singole porzioni rispetto al valore dell'intero (Cass. II, n. 1104/1990; Cass. II, n. 14577/2012).

Non è necessario formare delle porzioni assolutamente omogenee, poiché il diritto del condividente ad una porzione in natura dei beni compresi nelle categorie degli immobili, dei mobili e dei crediti in comunione non consiste nella realizzazione di un frazionamento quotistico delle singole entità appartenenti alla medesima categoria, ma nella proporzionale divisione dei beni rientranti nelle suddette tre categorie, dovendo evitarsi un eccessivo frazionamento dei cespiti (Cass. II, n. 8286/2019Cass. II, n. 9282/2018).

L'indivisibilità o la disagevole divisibilità di un immobile, può ritenersi legittimamente predicabile solo nell'ipotesi in cui singole unità immobiliari siano considerate indivisibili o non comodamente divisibili, mentre non può riguardare blocchi di beni (Cass. II, n. 25332/2011).

La prescrizione del diritto dei comunisti ai frutti dovuti loro dal comproprietario utilizzatore del bene comune decorre soltanto dal momento della divisione e, cioè, dal tempo in cui si è reso (o si sarebbe dovuto rendere) il conto, non essendo configurabile, con riguardo a tali crediti, un'inerzia del creditore cui possa riconnettersi un effetto estintivo, giacché è appunto dalla divisione che traggono origine l'obbligo della resa dei conti, con decorrenza dal momento in cui è sorta la comunione, nonché l'esigenza dell'imputazione alla quota di ciascun comunista delle somme di cui è debitore verso i condividenti (Cass. II., n 21906 /2021).

Non può essere disposta la divisione giudiziale di una comunione (ordinaria o ereditaria), che abbia ad oggetto un fabbricato abusivo o parti di esso, in assenza della dichiarazione circa gli estremi della concessione edilizia e degli atti ad essa equipollenti, come richiesti dall'art. 46 d.P.R. n. 380/2001 e dall'art. 40, comma 2, l.  n. 47/1985. Ogni comproprietario ha così diritto di ottenere lo scioglimento della comunione per l'intero complesso degli altri beni ereditari, con la sola esclusione dell'edificio abusivo  (Cass. S.U., n. 25021/2019).

Profili processuali

Nel giudizio di divisione tutti i coeredi, condomini e creditori opponenti assumono la qualità di litisconsorti necessari, agli effetti dell'art. 784 c.p.c. Tale qualità permane in ogni grado del processo, indipendentemente dall'attività e dal comportamento di ciascuna parte; ne consegue che, se, in fase di gravame, l'appellante o il ricorrente non abbia provveduto alla notificazione nei confronti di uno o più comunisti, il giudice dell'impugnazione deve ordinare l'integrazione del contraddittorio in forza dell'art. 331 c.p.c. (Cass. II, n. 14654/2013).

I creditori iscritti e coloro che hanno acquistato diritti sull'immobile in virtù di atti trascritti hanno diritto ad intervenire nella divisione, ma non ne sono parti necessarie, assumendo la posizione di litisconsorti, con la conseguente necessità d'integrazione del contraddittorio nel giudizio di appello, ex art. 331 c.p.c., soltanto con l'effettivo intervento in causa, anche a seguito di chiamata in giudizio, ex art. 1113, comma 3, c.c., la quale costituisce un onere per i comunisti, sui quali grava l'obbligo di salvaguardare il diritto d'intervento dei creditori iscritti e dei cessionari opponenti o trascriventi (Cass. VI n. 15994/2020; Cass. II, n. 19529/2012).

Gli acquirenti di singoli beni già facenti parte della massa e che ne siano divenuti proprietari solitari, devono, quindi, essere chiamati ad intervenire nel giudizio di divisione, a norma dell'art 1113, se ed in quanto si voglia che la relativa decisione faccia stato anche nei loro confronti. Pertanto, ove tali acquirenti non siano stati chiamati a partecipare al giudizio divisionale, la relativa sentenza non è inutiliter data, essendo perfettamente eseguibile, ma è solamente non opponibile ai detti acquirenti. L'art. 1113, comma 3, anche al fine di garantire la continuità delle trascrizioni nei registri immobiliari, individua nella trascrizione dell'atto di acquisto il momento determinante per stabilire quali soggetti debbano partecipare al giudizio di divisione. Tale ultima disposizione si pone su di un piano diverso rispetto all'art. 111 c.p.c., che disciplina la successione a titolo particolare e fa salve, tra le altre, le norme sulla trascrizione, così enunciando una regola che attiene non tanto all'integrità del contraddittorio, quanto all'opponibilità della sentenza (Cass. II, n. 78/2013).

La trascrizione della domanda giudiziale di divisione non rende inefficace l'ipoteca iscritta successivamente sul bene dal creditore di uno dei comunisti, ma esime i comproprietari dall'onere di chiamare in giudizio il creditore, affinché lo scioglimento della comunione abbia effetto nei suoi confronti, anche se l'approvazione dell'attribuzione delle quote nel giudizio di divisione avvenga dopo l'iscrizione dell'ipoteca, avuto riguardo all'effetto di prenotazione che si riconnette alla trascrizione della domanda di divisione (Cass. II, n. 19550/2009).

Nel caso di comproprietà di beni gravati da un diritto di usufrutto, la partecipazione dell'usufruttuario al giudizio di divisione si rende necessaria nella sola ipotesi di comunione ereditaria, e sempreché l'usufruttario rivesta, altresì, la qualità di erede (art. 713), ma non in caso di divisione convenzionale, dovendo ritenersi consentito ai comproprietari, nell'esercizio della loro autonomia negoziale, di pattuire fra di essi lo scioglimento della comunione stessa (art. 784. Parimenti, se con la domanda di divisione si chiede lo scioglimento della comunione non ereditaria avente ad oggetto la contitolarità della nuda proprietà, l'usufruttuario pro quota dell'immobile non è parte necessaria del giudizio, atteso che l'usufrutto e la nuda proprietà, costituendo diritti reali diversi, danno luogo — ove spettino a più persone — a un concorso di iura in re aliena sul medesimo bene, e non anche ad una comunione in senso proprio. Nel giudizio di divisione, l'usufruttuario stesso, il quale abbia acquistato il diritto in base a un negozio trascritto in data anteriore alla trascrizione della domanda di divisione, può essere chiamato in giudizio, ai sensi dell'art. 1113, comma 3, in relazione all'art. 106 c.p.c., perché la sentenza abbia effetto nei suoi confronti (Cass. II, n. 27412/2005).

Il creditore intervenuto nel giudizio di divisione non può opporsi alla assegnazione delle quote per attribuzione, invece che per sorteggio, quando non contesti che le quote siano di uguale valore (Cass. III, n. 1838/1963). Per il disposto dell'art. 1113, comma 2, l'efficacia dell'opposizione del creditore, ai fini della impugnativa della divisione immobiliare di cui sia parte il debitore, è condizionata alla trascrizione dell'atto di opposizione anteriormente alla trascrizione della divisione. La trascrizione si pone quindi come condizione di ammissibilità della domanda del creditore, che deve ex officio essere rilevata dal giudice senza la necessità di una eccezione di parte (Cass. II, n. 2889/1973).

Tanto nella divisione ereditaria che in quella ordinaria, il giudice non può procedere al regolamento, sulla massa, dei debiti dipendenti dal rapporto di comunione senza che, in aggiunta alla domanda principale, sia stata anche proposta istanza di rendiconto , mentre, assolto tale presupposto, può autonomamente provvedere, anche in assenza di apposita domanda, alla liquidazione di tale regolamento col sistema dei prelevamenti ovvero con l'incremento della quota, costituendo questa autonoma attività giudiziale, ferma restando la possibilità di deroga pattizia delle norme sull'imputazione e sui prelevamenti, nonché di quelle che stabiliscono l'ordine delle operazioni divisionali . Il regolamento, sulla massa, dei debiti dipendenti dai rapporti di comunione, in quanto afferenti alla gestione della stessa, può essere realizzato dai compartecipi creditori attraverso il prelievo di beni dalla massa in proporzione alle rispettive quote ovvero, quando ciò non sia avvenuto o non sia possibile, attraverso l'incremento delle loro quote di concorso rispetto a quelle risultanti dal titolo della comunione (Cass. II, n. 27086 /2021 ). Il coerede che, dopo la morte del "de cuius", utilizza ed amministra individualmente un bene ereditario è obbligato al pagamento agli altri coeredi della corrispondente quota dei frutti naturali (che entrano a far parte della comunione e quindi si ripartiscono tra i partecipanti "pro quota") e dei frutti civili (soggetti alla regola della divisione "ipso iure"), tratti dal bene goduto. Peraltro, la domanda di rendimento del conto implica la sistemazione contabile delle partite di dare e di avere tra le parti, senza che siano necessarie eccezioni o domande riconvenzionali, per ricavarne, quale conseguenza, l'accertamento contabile del saldo finale delle rispettive partite, oggetto della conseguente statuizione di condanna (Cass. II, n. 18548/2022).

Bibliografia

Branca, Comunione. Condominio negli edifici, in Comm. S.B., artt. 1100 - 1139, Bologna-Roma, 1982; Fragali, La comunione, in Tr. C.M., XIII, t. 1, Milano, 1973; Palazzo, Comunione, in Dig. civ., III, Torino, 1988, 158 ss., 168 s.; Scozzafava, voce Comunione, in Enc. giur., VII, Roma, 1988, 2 ss.; Fedele, La comunione, Torino, 1986; Scarpa, Disciplina del “condominio minimo”: duo faciunt collegium?, in Immobili & diritto, 2005, 30 ss.; Busnelli, L'obbligazione soggettivamente complessa, Milano, 1974.

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