Codice Civile art. 1117 quater - Tutela delle destinazioni d'uso (1).Tutela delle destinazioni d'uso (1). [I]. In caso di attività che incidono negativamente e in modo sostanziale sulle destinazioni d'uso delle parti comuni, l'amministratore o i condomini, anche singolarmente, possono diffidare l'esecutore e possono chiedere la convocazione dell'assemblea per far cessare la violazione, anche mediante azioni giudiziarie. L'assemblea delibera in merito alla cessazione di tali attività con la maggioranza prevista dal secondo comma dell'articolo 1136. (1) Articolo inserito dall'art. 2, l. 11 dicembre 2012, n. 220. La modifica è entrata in vigore il 18 giugno 2013. InquadramentoL'art. 1117 contiene un'elencazione non tassativa, ma meramente esemplificativa, delle parti comuni dell'edificio, salvo diversa volontà espressa nel titolo. La norma esprime la “relazione di accessorietà” tra le unità immobiliari di proprietà esclusiva e le cose, gli impianti ed i servizi di uso comune, fondamento tecnico dell'attribuzione del diritto di condominio. L'art. 1117-bis estende, poi, la disciplina condominiale ai casi in cui abbiano parti comuni più edifici o più condomini. Gli artt. 1117-ter e 1117-quater analizzano il rilievo della destinazione d'uso delle parti comuni, ai fini delle relative modificazioni e della tutela. La definizione del condominioLa Riforma del condominio, introdotta con la l. n. 220/2012 (e poi modificata con il d.l. n. 145/2013, convertito in l. n. 9/2014), ha confermato la scelta, già adottata dal codice civile del 1942, di non dare una definizione normativa del condominio degli edifici. La disciplina del Codice Civile ad esso dedicato si apre tuttora con un'elencazione, appena aggiornata, delle cose che vi appartengono. L'art. 1117, come lo stesso sopravvenuto art. 1117-bis, seppur non danno una definizione di condominio, suppongono la stessa: c'è condominio quando a più unità immobiliari, o a più edifici, appartengono una o più cose comuni. Le due norme risolvono, pertanto, un problema di attribuzione di beni, prendendo atto della connessione materiale e della relazione di accessorietà correnti tra le porzioni di proprietà esclusiva e le parti condominiali. La “situazione soggettiva di condominio” si contrassegna proprio per tale nesso con la proprietà solitaria, nesso che giustifica l'appartenenza, individua l'oggetto del diritto, ne determina il contenuto e delinea i caratteri della partecipazione all'organizzazione del gruppo (Corona, 2001, 3). Rimane tuttavia irrisolto il problema di individuare chi sia il titolare di questo diritto di condominio, chi abbia, cioè, i poteri e le facoltà di compiere le azioni necessarie per conseguire dalle cose condominiali interessi giuridicamente vincolanti. L'individuazione del profilo soggettivo della situazione di condominio non è affatto agevolata dopo le novità introdotte dalla l. n. 220/2012. In giurisprudenza, peraltro, Cass. S.U., n. 19663/2014, ha sottolineato come non possono ignorarsi gli elementi che vanno nella direzione della progressiva configurabilità in capo al condominio di una sia pure attenuata personalità giuridica, o, comunque, sicuramente di una soggettività giuridica autonoma. Viceversa, ad avviso di Cass. S.U., n. 10934/2019, il legislatore ha respinto in sede di riforma dell'istituto la prospettiva di dare al condominio personalità giuridica con conseguenti diritti sui beni comuni. La costituzione del condominio. Condominio parziale e supercondominioLa situazione di condominio, regolata dagli artt. 1117 ss., si attua sin dal momento in cui si opera il frazionamento della proprietà di un edificio, a seguito del trasferimento della prima unità immobiliare suscettibile di separata utilizzazione dall'originario unico proprietario ad altro soggetto. Originatasi la situazione di condominio edilizio, costituita da uno o più edifici ricompresi in una più ampia organizzazione, e connotata dall'esistenza di talune cose in rapporto di accessorietà con le unità immobiliari di proprietà esclusiva, trova applicazione la relativa disciplina, e si intendere, soprattutto, operante la presunzione legale ex art. 1117 di comunione «pro indiviso» di tutte quelle parti del complesso che, per ubicazione e struttura, siano — in tale momento costitutivo del condominio — destinate all'uso comune o a soddisfare esigenze generali e fondamentali del condominio stesso, salvo che dal titolo non risulti, in contrario, una chiara ed univoca volontà di riservare esclusivamente alla venditrice o ad alcuno dei condomini la proprietà di dette parti (Cass. II, n. 3852/2020, Cass. UU, n. 27363/2021) L'art. 1117 attribuisce, invero, ai titolari delle singole unità immobiliari dell'edificio la comproprietà di beni, impianti e servizi — indicati espressamente o «per relationem» — in estrinsecazione del principio “accessorium sequitur principale”, per propagazione ad essi dell'effetto traslativo delle proprietà solitarie, in quanto necessari all'uso comune, ovvero destinati ad esso, se manca o non dispone diversamente il relativo titolo traslativo. In realtà, l'art. 1117 c.c. non si limita a formulare una mera presunzione di comune appartenenza a tutti i condomini, vincibile con qualsiasi prova contraria, potendo essere superata soltanto dalle opposte risultanze di quel determinato titolo che ha dato luogo alla formazione del condominio per effetto del frazionamento dell'edificio in più proprietà individuali (Cass. II, n. 24189/2021). L'individuazione delle parti comuni, risultanti dall'art. 1117 c.c. non opera, dunque, con riguardo a cose che, per le loro caratteristiche strutturali, risultino destinate al servizio esclusivo di una o più unità immobiliari(Cass. II, n. 24189/2021). Viceversa, la comproprietà di una o più cose, non incluse tra quelle elencate nell'art. 1117 c.c. può essere attribuita a tutti i condomini quale effetto dell'acquisto individuale operato con i rispettivi atti di una quota di tale bene, oppure in forza di un contratto costitutivo di comunione, ai sensi degli artt. 1350, n. 3, e 2643, n. 3, c.c., recante l'inequivoca manifestazione del consenso unanime dei condomini, espressa della forma scritta essenziale, alla nuova situazione di contitolarità degli immobili individuati nella loro consistenza e localizzazione (Cass. II, n. 10370/2021). In caso di edificio costruito da più soggetti su suolo comune, il condominio insorge al momento in cui avviene l'assegnazione in proprietà esclusiva dei singoli appartamenti (Cass. II, n. 5335/2017). L'art. 1123, comma 3, , si riferisce, peraltro, alle situazioni di “condominio parziale”: allorché le cose e gli impianti comuni siano destinati a servire soltanto una parte del fabbricato, nell'ambito della più vasta compartecipazione, la norma identifica i soggetti obbligati a concorrere alle spese per la conservazione con i solo condomini rientranti nel ristretto gruppo che dalla cosa o dall'impianto tragga utilità. Pure il condominio parziale non esige un fatto o atto costitutivo a sé, ma insorge ope legis, in presenza della condizione materiale o funzionale giuridicamente rilevante; finendo per coesistere nell'edificio con la più vasta organizzazione configurata dal condominio. Può, tuttavia, ipotizzarsi pure un'apposita clausola del regolamento volta ad attribuire soltanto ad un gruppo di condomini la proprietà di un bene o di un impianto, ovvero ad accertarne la titolarità esclusiva in forza della destinazione oggettiva della cosa stessa, dando conto delle conseguenze gestionali di tale situazione di condominio parziale. Nessuna modifica relativa al regime delle cose comuni può, infatti, derivare da una delibera di istituzione di uno o più condomini parziali nell'ambito del fabbricato: la volontà della maggioranza assembleare non potrebbe validamente modificare le relazioni di comproprietà tra i singoli condomini e le parti comuni dell'edificio, né incidere sulla legittimazione dei partecipanti a decidere in ordine alla loro gestione. Si vedano, del resto, gli artt. 61 e 62 disp. att. i quali consentono lo scioglimento del condominio nel caso in cui «un gruppo di edifici... si possa dividere in parti che abbiano le caratteristiche di edifici autonomi», sempre che «restano in comune con gli originari partecipanti alcune delle cose indicate dell'articolo 1117 del codice». Sui profili processuali della domanda volta all'accertamento della ravvisabilità di autonomi condomini dei box auto o delle autorimesse (Cass. VI, n. 24431 /2017; Cass. VI, n. 15550/2017). La domanda di accertamento della qualità di condomino, ovvero di appartenenza di un'unità immobiliare in proprietà esclusiva ad un condominio edilizio, in quanto inerente all'esistenza, o meno, del rapporto di condominialità ex art. 1117 c.c., non va proposta nei confronti della persona che svolga l'incarico di amministratore del condominio medesimo, imponendo, piuttosto, la partecipazione quali legittimati passivi di tutti i condomini in una situazione di litisconsorzio necessario (Cass. VI, n . 4697/2020). Anche ai fini della costituzione di un supercondominio, non occorre né la manifestazione di volontà dell'originario costruttore, né tanto meno d'approvazioni assembleari di tutti i proprietari delle unità immobiliari di ciascun condominio, venendo il medesimo in essere ipso iure et facto, se il titolo o il regolamento condominiale non dispongono altrimenti. Si tratta di una fattispecie legale, in cui una pluralità di edifici, costituiti o meno in distinti condomini, sono ricompresi in una più ampia organizzazione condominiale, legati tra loro dall'esistenza di talune cose, impianti e servizi comuni (quali il viale di accesso, le zone verdi, l'impianto di illuminazione, la guardiola del portiere, il servizio di portierato, ecc.) in rapporto di accessorietà con i fabbricati, cui si applicano in pieno le norme sul condominio, anziché quelle sulla comunione (Cass. II, n. 19939/2012; Cass. II, n. 19799/2014). È, invece, nulla una deliberazione assembleare che decida di istituire un unico condominio assemblante più edifici autonomi, in quanto lesiva del diritto di ciascun condomino di fare parte del condominio costituito dal solo edificio in cui sia proprietario di unità immobiliari; sono altresì nulle, di conseguenza, le delibere assunte successivamente da assemblee convocate come se esistesse un unico condominio, per deliberare su materie attinenti ai singoli fabbricati (Cass. II, n. 11276/1995). Il potere degli amministratori di ciascun condominio di compiere gli atti indicati dagli artt. 1130 e 1131 c.c. è limitato alla facoltà di agire o resistere in giudizio con riferimento ai soli beni comuni all'edificio amministrato e non a quelli facenti parte del complesso immobiliare composto da più condomìni, che deve essere gestito attraverso le deliberazioni e gli atti assunti dai propri organi, quali l'assemblea di tutti i proprietari e l'amministratore del cd. supercondominio (Cass. II, n. 2279/2019). Come già accennato, l'art. 1117- bis estende, nei limiti della compatibilità, la disciplina di cui al capo II, Titolo VII, del Libro III a tutte le situazioni in cui più edifici o più condomini abbiano parti comuni. In realtà, la giurisprudenza già aveva abbandonato l'imprescindibile configurazione del condominio quale edificio esteso in senso verticale, considerando come anche le tipologie costruttive composte da corpi di fabbrica adiacenti orizzontalmente potessero essere dotate di strutture portanti e di impianti essenziali comuni, come quelli elencati nell'art. 1117, ed addirittura desumendo dagli artt. 61 e 62 disp. att. l'ammissibilità di una “condominialità” sussistente tra edifici «indipendenti» (Cass. II, n. 8066/2005). L'ampiezza della definizione normativa adottata dal nuovo art. 1117-bis travalica la più limitata fattispecie, del cd. supercondominio. La generica immagine che prospetta l'art. 1117-bis si accontenta del presupposto dei più edifici o (anche) delle più unità immobiliari aventi parti comuni: la sua formulazione abbraccia, quindi, (con conseguente incidenza immediata dei principi tratti, ad esempio, dall'art. 1136 o dall'art. 1138) anche entità atipiche che finora trovavano la loro primaria e libera regolamentazione nell'autonomia negoziale (quali, ad esempio, i consorzi di urbanizzazione: Triola, 26). Di grande importanza si rivela il comma 3 dell'art. 67 disp. att., il quale, nelle situazioni di supercondominio, o di condominio complesso, descritte dall'art. 1117-bis, ma solo allorché i partecipanti siano complessivamente più di sessanta, obbliga ciascuno dei più condomini coordinati a designare, con la maggioranza di cui all'art. 1136, comma 5, un proprio rappresentante all'assemblea per la gestione ordinaria delle parti comuni ai diversi edifici e per la nomina dell'amministratore. Se l'assemblea non vi provveda, ciascun partecipante può chiedere che l'autorità giudiziaria nomini il rappresentante del proprio condominio. Del pari, qualora alcuni dei condomini interessati non abbiano nominato il proprio rappresentante, alla nomina provvede il tribunale su ricorso anche di uno solo dei rappresentanti già nominati. La necessaria diffida preventiva a provvedervi ed il conseguente ricorso all'autorità giudiziaria sono notificati al condominio cui si riferiscono in persona dell'amministratore o, in mancanza, a tutti i condomini. Il comma 4 dell'art. 67 disp. att. aggiunge che ogni limite o condizione al potere di rappresentanza si considera non apposto, dovendo il rappresentante rispondere secondo le regole del mandato e comunicare tempestivamente all'amministratore di ciascun condominio (il quale ne riferisce nella rispettiva assemblea) l'ordine del giorno e le decisioni assunte dalla riunione dei rappresentanti dei condomini. Fondamento del diritto di condominioIl diritto di condominio sulle parti comuni dell'edificio ha il suo fondamento nel fatto che tali parti siano necessarie per l'esistenza dell'edificio stesso, ovvero che siano permanentemente destinate all'uso o al godimento comune. Altro elemento essenziale del diritto di condominio è la coesistenza nello stesso edificio, o nel complesso di edifici, di più proprietà solitarie e, ad un tempo, di più cose, servizi e impianti destinati all'uso comune e pertanto di proprietà comune, siccome accessori strumentali rispetto ai beni finali di proprietà esclusiva. Pertanto il regime privatistico del condominio non dipende dalla destinazione d'uso o dalla conformazione delle cose in proprietà esclusiva. La natura non tassativa, quanto meramente esemplificativa, dell'elencazione delle parti comuni ex art. 1117 comporta che la disposizione in parola può essere integrata ab extrinseco se la cosa, per obbiettive caratteristiche strutturali, serve in modo esclusivo all'uso o al godimento di una parte dell'immobile, venendo meno, in questi casi, il presupposto per il riconoscimento di una contitolarità necessaria, giacché la destinazione particolare del bene prevale sull'attribuzione legale, alla stessa stregua del titolo contrario (Cass. II, n. 4787/2007). Affinché possa operare, ai sensi dell'art. 1117, il cosiddetto diritto di condominio, è, quindi, necessario che sussista una relazione di accessorietà fra i beni, gli impianti o i servizi comuni e l'edificio in comunione, nonché un collegamento funzionale fra primi e le unità immobiliari di proprietà esclusiva (Cass. II, n. 23001/2019). Qualora, per le sue caratteristiche funzionali e strutturali, il bene serva al godimento delle parti singole dell'edificio comune, si presume — indipendentemente dal fatto che la cosa sia, o possa essere, utilizzata da tutti i condomini o soltanto da alcuni di essi — la contitolarità necessaria di tutti i condomini su di esso. Tale presunzione può essere vinta da un titolo contrario, la cui esistenza deve essere dedotta e dimostrata dal condomino che vanti la proprietà esclusiva del bene, potendosi a tal fine utilizzare il titolo — salvo che si tratti di acquisto a titolo originario — solo se da esso si desumano elementi tali da escludere in maniera inequivocabile la comunione (Cass. II, n. 27145/2008). Il rapporto di accessorietà necessaria che lega le parti comuni dell'edificio fa sì che la condominialità di un bene non possa essere esclusa per il solo fatto che le costruzioni siano realizzate, anziché come porzioni di piano l'una sull'altra (condominio verticale), quali proprietà singole in sequenza (villette a schiera, condominio in orizzontale), poiché la nozione di condominio è configurabile anche nel caso di immobili adiacenti orizzontalmente in senso proprio, purché dotati delle strutture portanti e degli impianti essenziali indicati dall'art. 1117 (Cass. II, n. 18344/2015; Cass. II, n. 8066/2005). Modificazioni e tutela della “destinazione d'uso”La tradizione interpretativa, come visto, spiegava l'art. 1117, con la sua elencazione non tassativa, ma meramente esemplificativa delle parti comuni, come espressione di una “relazione di accessorietà” tra le porzioni di proprietà esclusiva e le cose, gli impianti ed i servizi di uso comune, fondamento tecnico dell'attribuzione del diritto di condominio (si veda indicativamente Triola, 2007, 48). Sarebbe proprio siffatta strumentalità delle cose oggetto del diritto di condominio rispetto alle proprietà solitarie dei condomini il connotato distintivo della comunione edilizia, non esaurendosi essa, come la comunione semplice, nell'ambito del mero rapporto di titolarità con i beni su cui incide. La nozione di “godimento”, con riferimento alle parti comuni dell'edificio, esprime, in realtà, realtà due differenti fenomeni: l'uno attinente all'utilizzazione obiettiva della res, e cioè all'utilità prodotta in favore delle unità immobiliari dall'unione materiale o dalla destinazione funzionale delle cose, degli impianti, dei servizi, indipendentemente da qualsiasi attività umana; l'altro che si concreta, piuttosto, nell'uso delle parti comuni quale effetto dell'attività personale dei titolari delle porzioni solitarie. Ciò spiega perché alcune delle parti comuni, contemplate nell'art. 1117, di regola destinate a fornire utilità oggettiva ai condomini, sono talora suscettibili pure di un uso soggettivo, cioè particolare ed anomalo, diverso da quello connesso con la funzione peculiare di tali parti ed indipendente dalla relativa funzione strumentale (Cass. II, n. 2255/2000). La Riforma introdotta con la l. n. 220/2012, con riguardo alla regola di attribuzione “ex lege” del diritto di condominio, di cui all'art. 1117, ha ribadito il criterio generale che definisce l'ambito della proprietà condominiale con riferimento a “tutte le parti dell'edificio necessarie all'uso comune”. La riscrittura della disciplina codicistica del condominio edilizio non ha, pertanto, abbandonato il radicamento strettamente proprietario del diritto di condominio, sebbene le prassi applicative in tema di ripartizione delle spese e di uso delle cose comuni si orientino sempre più spesso nella direzione di privilegiare un fondamento utilistico delle relazioni condominiali (Cass. II, n. 14107/2012). È da porre in risalto come il legislatore della recente Riforma abbia posto al centro della nuova disciplina condominiale il valore della “destinazione” unitaria delle cose comuni, valore che non si riduce ad un coacervo disorganizzato di usi e godimenti individuali, ma si pone quale autonomo vincolo funzionale dell'insieme. L'art. 1117-ter contempla una maggioranza qualificata, pari ai quattro quinti dei condomini ed ai quattro quinti del valore dell'edificio, che consenta all'assemblea di “modificare la destinazione delle parti comuni”, richiamando gli stessi limiti impeditivi già generalmente operanti per le innovazioni (il pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza), seppur non quello dell'inservibilità all'uso o al godimento del singolo. L'art. 1117-ter contempla altresì gravosi oneri di pubblicità, comunicazione e contenuto dell'avviso di convocazione, nonché della stessa deliberazione, concernenti le assemblee che intendano modificare la destinazione d'uso di parti comuni. Sono così imposti obblighi di forma e modalità di notifica per l'invito a partecipare, come obblighi di informazione sullo specifico argomento posto all'ordine del giorno, in modo da consentire a ciascun condomino di comprendere esattamente il tenore e l'importanza dell'assemblea, nonché obblighi di analiticità del deliberato, dovendo esso consacrare l'effettuazione degli adempimenti preliminari. La convocazione che non indichi le parti comuni oggetto della modificazione e la nuova destinazione d'uso è sanzionata mediante nullità, ovvero come violazione non soltanto di una regola di collaborazione attinente alla formazione del procedimento collegiale, quanto come trasgressione di un criterio di attribuzione che sfugge anche alla decadenza dell'impugnazione ex art. 1137, comma 2. A norma dell'art. 1117-quater, ove la destinazione d'uso delle parti comuni sia negativamente incisa dall'attività di alcuno dei partecipanti o di terzi, l'amministratore, come anche il singolo condomino, possono diffidare l'esecutore di tali attività pregiudizievoli o anche chiedere la convocazione dell'assemblea per far cessare, semmai in via giudiziaria, le turbative. In realtà, già in base all'art. 1130, n. 4, l'amministratore del condominio, pur indipendentemente dal conferimento di uno specifico incarico dell'assemblea e dalle eventuali autonome iniziative dei singoli condomini, ha il potere, e, quindi, la relativa legittimazione processuale, di reprimere ogni situazione o comportamento che generi un uso abnorme delle cose condominiali. Del pari, l'esistenza dell'organo rappresentativo unitario non ha mai fatto dubitare della facoltà dei singoli condomini di agire in giudizio per conservare l'uso di un bene comune in maniera conforme alla sua funzione ed originaria destinazione. Le stesse azioni possono essere deliberate a maggioranza dall'assemblea dei condomini, la quale può conferire all'amministratore o ad altri il potere di procedere nel comune interesse per la salvaguardia delle parti comuni Il titolo contrarioLa presunzione di condominialità delle parti dell'edificio esemplificativamente elencate dall'art. 1117 non opera se la cosa, per obbiettive caratteristiche strutturali, serve in modo esclusivo all'uso o al godimento di una parte dell'immobile, venendo meno in questi casi il presupposto per il riconoscimento di una contitolarità necessaria, giacché la destinazione particolare del bene vince l'attribuzione legale (Cass. II, n. 1680/2015). La medesima presunzione di attribuzione ex art. 1117, quando operi, può essere invece derogata dal titolo, vale a dire da un atto di autonomia privata che, espressamente, disponga un diverso regime delle parti di uso comune. Per escludere la presunzione di condominialità non basta un qualsiasi mezzo di prova (come per qualsiasi altra presunzione) ma occorre un titolo specifico, inevitabilmente in forma scritta, riguardando beni immobili, non essendo perciò sufficienti meri comportamenti dei condomini (Cass. II, n. 6005/2008). Allo scopo di sottrarre i beni elencati nell'art. 1117 alla comproprietà dei condomini e dimostrarne l'appartenenza esclusiva al titolare di una porzione esclusiva, è quindi necessario un titolo contrario, contenuto non già nella compravendita o nella donazione delle singole unità immobiliari, bensì nell'atto costitutivo del condominio. Titolo idoneo a vincere la presunzione di condominialità ex art. 1117, infatti, è non l'atto di acquisto del singolo appartamento condominiale, quanto il negozio posto in essere da colui o da coloro che hanno costituito il condominio dell'edificio, in quanto tale negozio, rappresentando la fonte comune dei diritti dei condomini, ne determina l'estensione e le limitazioni reciproche. Il titolo, agli effetti dell'art. 1117, può essere rappresentato anche da un testamento (Cass. VI, n. 9227/2017). Una volta costituito il condominio, si trasferiscono ai singoli acquirenti delle unità immobiliari anche le corrispondenti quote delle parti comuni, di cui non è più consentita la disponibilità separata a causa dei concorrenti diritti degli altri condomini, dovendo emergere dal titolo la volontà delle parti di riservare al costruttore originario o ad uno o più dei condomini la proprietà esclusiva di beni che, per loro struttura ed ubicazione dovrebbero considerarsi comuni (Cass. II, n. 3257/2004). Spetta al proprietario, che rivendichi la proprietà esclusiva di un bene presuntivamente attribuito al condominio, l'onere di dare la prova del proprio diritto individuale sulla res (Cass. II, n. 3852/2020; Cass. II, n. 3159/2006; Cass. II, n. 1498/1998). La presunzione di comunione, tra i condomini di un edificio condominiale, di un bene rientrante tra quelli indicati dall'art. 1117, può, comunque esser superata se il contrario risulta dal titolo, e non già se la situazione di fatto deponga per la possibilità di ottenere le medesime utilità fornite da quel bene attraverso il godimento di altre parti comuni, comunque strumentali alla medesima porzione esclusiva (Cass. II, n. 3409/2000). Né la prova contraria alla presunzione di condominialità può basarsi sulle risultanze del regolamento condominiale né sull'eventuale inclusione del bene nelle tabelle millesimali come proprietà esclusiva di un condomino (Cass. II, n. 21440/2022; Cass. II, n. 23001/2019; Cass. III, n. 6175/2009). Beni comuni acquistati per convenzione o per usucapioneI condomini possono convenire, in forza della loro autonomia negoziale, che taluni beni costituiscano parti comuni, al fine di conferire loro una destinazione indisponibile senza il consenso di tutti e di estendere loro il regime della indivisibilità ed inseparabilità che è proprio delle parti comuni indicate dall'art. 1117 e che impedisce al singolo condomino di disporre di queste parti indipendentemente dalla sua proprietà esclusiva senza il consenso degli altri (Cass. II, n. 6036/1995). Esula dalle potestà dell'amministratore come dell'assemblea, ed impone il consenso di tutti i partecipanti, la stipula di un contratto volto all'acquisto di un bene non già rientrante tra le parti comune al momento della costituzione del condominio, come la proposizione di una domanda diretta non alla difesa della proprietà comune, ma alla sua estensione mediante declaratoria di appartenenza al condominio di un'ulteriore area, siccome acquistata per usucapione, implicando tali atti non solo l'accrescimento del diritto di comproprietà, ma anche la proporzionale assunzione degli obblighi e degli oneri ad esso correlati. A tanto l'amministratore può procedere solo in virtù di un mandato speciale rilasciato da ciascun condomino (Cass. II, n. 25014/2020). Si è affermata la nullità delle clausole che limitano il diritto dei condomini di usare, godere o disporre dei beni condominiali, riservando all'originario proprietario il diritto di apportare modifiche alle parti comuni, con conseguente intrasmissibilità di tale facoltà ai successivi acquirenti da quello (Cass. II, n. 5336/2017). Un regolamento di condominio contrattuale può, peraltro, attribuire la comproprietà di beni - inclusi tra quelli indicati nell'art. 1117 - a coloro cui appartengono determinate unità immobiliari, indipendentemente dalla sussistenza di fatto del rapporto di strumentalità che determina la costituzione "ex lege" del condominio edilizio (Cass. II, n. 4432/2017). Parti comuniSulla nozione di suolo su cui sorge l'edificio: Cass. II, n. 6154/2016; sulla nozione di muri maestri: Cass. II, n. 11288/2018; Cass. II, n. 4978/2007; sulla facciata: Cass. II, n. 945/1998; su tetti, lastrici solari e terrazzi; Cass. II, n. 27154/2014; sulle aree destinate a parcheggio: Cass. II, n. 8220/2016; su portineria e alloggio del portiere: Cass. II, n. 30302/2022; Cass. n. 6474/2005; sui sottotetti: Cass. II, n. 23902/2016; Cass. VI, n. 3627/2018. L'area esterna di un edificio condominiale, della quale manchi un'espressa riserva di proprietà nel titolo originario di costituzione del condominio e sia stato omesso qualsiasi riferimento nei singoli atti di trasferimento delle unità immobiliari, può essere ritenuta di natura condominiale, ai sensi dell'art. 1117 c.c., in quanto soggetta alla speciale normativa urbanistica dettata dall'art. 41-sexies l. n. 1150/1942, introdotto dall'art. 18 l. n. 765/1967, ove venga accertato che sia destinata a parcheggio secondo la prescrizione della concessione edilizia, originaria o in variante, e che poi, in corso di costruzione, sia stata riservata a tale fine e non impiegata, invece, per realizzarvi opere di altra natura. Pertanto, spetta a chi vanti il diritto di uso a parcheggio di una determinata area, in quanto vincolata ex art. 41-sexies l. n. 1150 cit., di provare che la stessa sia compresa nell'ambito dell'apposito spazio riservato, trattandosi di elemento costitutivo del relativo diritto (Cass. VI, n. 5831/2017; Cass. VI, n. 4255/2018). Anche i proprietari esclusivi di spazi destinati a posti auto compresi nel complesso condominiale possono dirsi condomini, e quindi presumersi comproprietari di quelle parti comuni che, al momento della formazione del condominio, si trovino in rapporto di accessorietà, strutturale e funzionale, con detti spazi (Cass. II, n. 884/2018). Al fine di accertare se l'uso esclusivo di un'area esterna al fabbricato, altrimenti idonea a soddisfare le esigenze di accesso all'edificio di tutti i partecipanti, sia attribuito ad uno o più condomini, è irrilevante la circostanza che l'area stessa, per la conformazione dei luoghi, sia stata di fatto goduta più proficuamente e frequentemente dal condomino titolare della contigua unità immobiliare adibita ad attività commerciale, occorrendo all'uopo un titolo di fonte negoziale (ravvisabile nel regolamento condominiale c.d. contrattuale) che conferisca al bene natura pertinenziale e la cui interpretazione presuppone un apprezzamento di fatto rimesso al giudice di merito (Cass. II, n. 20712/2017). L'art. 1117, n. 3), conclude poi la norma sull'attribuzione della condominialità si conclude con una rassegna aggiornata degli impianti ormai considerati pressoché indispensabili ai fini di una completa e reale utilizzazione del fabbricato, in base all'evoluzione delle esigenze dei cittadini nel campo abitativo ed alle mutate concezioni in tema di igiene, salubrità, svago e convivenza, ribadendo il criterio di delimitazione della proprietà comune segnato dal punto di diramazione ai locali di proprietà esclusiva, ed introducendo per le reti unitarie il nuovo riferimento al punto di utenza individuale(Cass. II, n. 27248/2018). Peraltro, ove si tratti di impianti installati successivamente alla costruzione dell'edificio, ma con il consenso di tutti i condomini, gli stessi sono di proprietà comune — secondo la presunzione di cui all'art. 1117 n. 3 in mancanza di titolo contrario — fra tutti i condomini e la ripartizione delle spese relative è regolata dai criteri stabiliti dall'art. 1123 (Cass. II, n. 3264/2005). Altrimenti, ove l'impianto non sia installato originariamente nell'edificio all'atto della sua costruzione e vi venga realizzato successivamente per iniziativa di tutti o parte dei condomini, esso non costituisce proprietà comune di tutti i partecipanti, bensì appartiene in proprietà a quei condomini che l'hanno allestito a loro spese, salvo la facoltà degli altri condomini prevista dall'art 1121, ultimo comma, di partecipare successivamente all'innovazione. Da ciò la configurabilità di condomini parziali: dunque, all'impianto deliberato a maggioranza si applicano le conseguenze in tema di partecipazione alle assemblee ed alle spese proprie dei condomini parziali. BibliografiaAA. VV., Il nuovo condominio, a cura di Triola, Torino, 2013; Basile, Regime condominiale ed esigenze abitative, Milano, 1979; Caruso, Gli obblighi dei condomini, in Il Condominio a cura di C.M. Bianca, Torino, 2007; Celeste - Salciarini L., Il regolamento di condominio e le tabelle millesimali, Milano, 2006; Celeste - Scarpa, La Riforma del Condominio, Milano, 2012; Celeste – Scarpa, Il condominio negli edifici, Milano 2017; Colonna, Sulla natura delle obbligazioni del condominio. in Foro it. 1997, I, 872; Corona, Il regime di ripartizione delle spese nel condominio, in Studi economico-giuridici, Milano, 1969; Corona, Contributo alla teoria del condominio negli edifici, Milano, 1974; Peretti Griva, Il condominio di case divise in parti, Torino, 1960; Scarpa, “Condominio (Riforma del)”, Digesto delle discipline privatistiche, sezione civile, Appendice di aggiornamento VIII, Torino, 2013; Terzago G. - Terzago P., La ripartizione delle spese nel condominio, Milano, 1994; Triola, Il condominio, Milano, 2007. |