Codice Civile art. 1137 - Impugnazione delle deliberazioni dell'assemblea 1

Antonio Scarpa

Impugnazione delle deliberazioni dell'assemblea1 

[I]. Le deliberazioni prese dall'assemblea a norma degli articoli precedenti sono obbligatorie per tutti i condomini.

[II]. Contro le deliberazioni contrarie alla legge o al regolamento di condominio ogni condomino assente, dissenziente o astenuto può adire l'autorità giudiziaria chiedendone l'annullamento nel termine perentorio di trenta giorni, che decorre dalla data della deliberazione per i dissenzienti o astenuti e dalla data di comunicazione della deliberazione per gli assenti.

[III]. L'azione di annullamento non sospende l'esecuzione della deliberazione, salvo che la sospensione sia ordinata dall'autorità giudiziaria.

[IV]. L'istanza per ottenere la sospensione proposta prima dell'inizio della causa di merito non sospende né interrompe il termine per la proposizione dell'impugnazione della deliberazione. Per quanto non espressamente previsto, la sospensione è disciplinata dalle norme di cui al libro IV, titolo I, capo III, sezione I, [con l'esclusione dell'articolo 669-octies, sesto comma,] del codice di procedura civile.2

 

[1] Articolo modificato dall'art. 15, l. 11 dicembre 2012, n. 220. La modifica è entrata in vigore il 18 giugno 2013. Il testo precedente recitava: «[I]. Le deliberazioni prese dall'assemblea a norma degli articoli precedenti sono obbligatorie per tutti i condomini. [II]. Contro le deliberazioni contrarie alla legge o al regolamento di condominio ogni condomino dissenziente può fare ricorso all'autorità giudiziaria, ma il ricorso non sospende l'esecuzione del provvedimento, salvo che la sospensione sia ordinata dall'autorità stessa. [III]. Il ricorso deve essere proposto, sotto pena di decadenza, entro trenta giorni, che decorrono dalla data della deliberazione per i dissenzienti e dalla data di comunicazione per gli assenti». V. Corte cost., 2 febbraio 1990, n. 49 che aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 1 l. 7 ottobre 1969, n. 742 «nella parte in cui non dispone che la sospensione feriale dei termini ivi prevista si applichi anche al termine di 30 giorni di cui all'art. 1137 del codice civile per l'impugnazione delle delibere dell'assemblea di condominio».

[2] Le parole  «, con l'esclusione dell'articolo 669-octies, sesto comma,» sono state soppresse dall'art. 1, comma 11, d.lgs.  10 ottobre 2022, n. 149 (ai sensi dell'art. 52 d.lgs. n. 149/2022, il citato decreto legislativo entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale). Per la disciplina transitoria v. art. 35 d.lgs. n. 149/2022, come da ultimo modificato dall'art. 1, comma 380, lett. a), l. 29 dicembre 2022, n. 197,  che prevede che : "1. Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti.".

Inquadramento

Gli artt. 1135, 1136 e 1137 prevedono le attribuzioni proprie dell'assemblea dei condomini, le regole essenziali per il suo regolare funzionamento e lo strumento di reazione dato ai singoli contro le deliberazioni del collegio.

Le attribuzioni dell'assemblea

L'art. 1135, relativo alle attribuzioni dell'assemblea, è stato appena marginalmente modificato dalla Riforma del 2012. Rimane l'elencazione a carattere meramente esemplificativo delle competenze in precedenza già contemplate da tale disposizione, sicché parimente rimane la configurazione dell'assemblea come organo primariamente destinato ad esprimere la volontà collettiva dei partecipanti, e perciò in grado di deliberare, in pratica, qualunque provvedimento, anche non previsto dalla legge o dal regolamento di condominio, purché non volto a perseguire una finalità extracondominiale.

La delibera condominiale che accerti, a maggioranza, l'ambito dei beni comuni e l'estensione delle proprietà esclusive, in deroga all'art. 1117 c.c., è nulla, perché inidonea a comportare l'acquisto a titolo derivativo di tali diritti, non essendo sufficiente, all'uopo, un atto meramente ricognitivo ed occorrendo, al contrario, l'accordo di tutti i comproprietari espresso in forma scritta (Cass. II, n. 20612/2017).

Le deliberazioni contrarie alla legge o al regolamento, ovvero comunque comportanti una distorsione del potere decisionale del collegio, in quanto dirette alla realizzazione di fini estranei alla comunità condominiale, vanno sempre soggette all'impugnazione disciplinata dall'art. 1137. L'argine estremo posto all'operato dell'assemblea è, quindi, costantemente segnato dalla sfera di proprietà dei singoli condomini, sia in ordine alle cose comuni che a quelle esclusive, a meno che non si tratti di sconfinamenti specificamente accettati dagli stessi condomini negli atti di acquisto, oppure mediante approvazione del regolamento di condominio che li contempli. Nemmeno l'urgenza e la necessità dei lavori a farsi sulle proprietà esclusive possono legittimare l'assemblea a deliberare, nell'interesse comune, l'esecuzione di tali opere invadenti le porzioni di proprietà solitaria. Parimenti, i diritti esclusivi dei singoli condomini costituiscono il limite del potere dell'amministratore di eseguire le deliberazioni dell'assemblea.

Si è affermato che l'azione di annullamento delle delibere assembleari costituisce la regola generale, ai sensi dell'art. 1137, mentre la categoria della nullità ha un'estensione residuale ed è rinvenibile nelle seguenti ipotesi: mancanza originaria degli elementi costitutivi essenziali, impossibilità dell'oggetto in senso materiale o giuridico - quest'ultima da valutarsi in relazione al "difetto assoluto di attribuzioni" -, contenuto illecito, ossia contrario a "norme imperative" o all'"ordine pubblico" o al "buon costume". Pertanto, sono nulle le deliberazioni con le quali, a maggioranza, siano stabiliti o modificati i generali criteri di ripartizione delle spese previsti dalla legge o dalla convenzione, da valere per il futuro, trattandosi di materia che esula dalle attribuzioni dell'assemblea previste dall'art. 1135, nn. 2) e 3), mentre sono meramente annullabili le deliberazioni aventi ad oggetto la ripartizione in concreto tra i condomini delle spese relative alla gestione delle parti e dei servizi comuni adottate in violazione dei criteri generali previsti dalla legge o dalla convenzione stessi, trattandosi di deliberazioni assunte nell'esercizio di dette attribuzioni assembleari, cosicché la relativa impugnazione va proposta nel termine di decadenza previsto dall'art. 1137, comma 2 (Cass. S.U. n. n. 9839/2021). Nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo emesso per la riscossione di contributi condominiali, il giudice può sindacare sia la nullità dedotta dalla parte o rilevata d'ufficio della deliberazione assembleare posta a fondamento dell'ingiunzione, sia l'annullabilità di tale deliberazione, a condizione che quest'ultima sia dedotta in via d'azione, mediante apposita domanda riconvenzionale di annullamento contenuta nell'atto di citazione (Cass. S.U. n. n. 9839/2021).

Il condomino che intenda impugnare una delibera dell'assemblea, per l'assunta erroneità della disposta ripartizione delle spese, deve allegare e dimostrare di avervi interesse, il quale presuppone la derivazione dalla detta deliberazione di un apprezzabile pregiudizio personale, in termini di mutamento della sua posizione patrimoniale (Cass. VI, n. 6128/2017). Il controllo del giudice sulle decisioni dell'assemblea dei condomini può al più abbracciare anche l'eccesso di potere, purché la causa della deliberazione risulti falsamente deviata dal suo modo di essere, in quanto anche in tal caso lo strumento di cui all'art. 1137 c.c. non è finalizzato a controllare l'opportunità o convenienza della soluzione adottata dall'impugnata delibera, ma solo a stabilire se l'atto collegiale sia, o meno, il risultato del legittimo esercizio del potere dell'assemblea. Ne consegue che esulano dall'ambito del sindacato giudiziale sulle deliberazioni condominiali, ad esempio, le censure inerenti alla vantaggiosità della scelta operata dall'assemblea sui costi da sostenere nella gestione delle spese relative alle cose e ai servizi comuni (Cass. VI, n. 5061/2020;Cass. II, n. 4686/2018; Cass. VI, n. 20135/2017).

L'assemblea del condominio ha altresì il potere di decidere le modalità concrete di utilizzazione dei beni comuni, nonché di modificare quelle in atto, anche revocando una o precedenti delibere , benché non impugnate da alcuno dei partecipanti e stabilendone liberamente gli effetti, sulla base di una rivalutazione dei dati ed apprezzamenti obiettivamente rivolti alla realizzazione degli interessi comuni ed alla buona gestione dell'amministrazione, non producendosi alcun autonomo diritto acquisito in capo ai condomini, ovvero ai terzi , soltanto per effetto ed in sede di esecuzione della precedente delibera (Cass. II, n. 2636/2021).

Allorché l'assemblea non travalichi la finalità condominiale, mai il sindacato giurisdizionale può allargarsi al punto di valutare il merito delle sue delibere o di controllare la discrezionalità delle sue scelte: perciò, le deliberazioni di essa sono obbligatorie e vincolanti per tutti i condomini, compresi i dissenzienti, gli astenuti e gli assenti.

L'unica delle preesistenti attribuzioni assembleari che risulta toccata dalla l. n. 220/2012 è l'art. 1135, n. 4, stabilendosi che l'assemblea, quando provvede alle opere di manutenzione straordinaria e alle innovazioni, deve costituire obbligatoriamente un fondo speciale di importo pari all'ammontare dei lavori; ovvero, se il contratto con l'appaltatore di tali opere preveda che i lavori debbano essere eseguiti in base a un contratto che ne prevede il pagamento graduale in base al loro stato di avanzamento, il fondo può essere costituito in relazione ai singoli pagamenti dovuti. In tal senso, la costituzione del fondo speciale, per intero o in rapporto ali stati d'avanzamento, diviene condizione di rispondenza alla legge della determinazione assembleare di approvazione dell'intervento manutentivo o innovativo, la cui sussistenza potrà essere sindacata da giudice in sede di impugnazione ex art. 1137 (Cass. VI, n. 16953/2022).

La delibera assembleare in ordine alla manutenzione straordinaria deve determinare l'oggetto del contratto di appalto da stipulare con l'impresa prescelta, ovvero le opere da compiersi e il prezzo dei lavori, non necessariamente specificando tutti i particolari dell'opera, ma comunque fissandone gli elementi costruttivi fondamentali, nella loro consistenza qualitativa e quantitativa Ove siano mancate la preventiva approvazione o la successiva ratifica della spesa inerente alla manutenzione straordinaria da parte dell'assemblea, l'iniziativa contrattuale dell'amministratore non è sufficiente a fondare l'obbligo di contribuzione dei singoli condomini, salvo che non ricorra il presupposto dell'urgenza, ex art. 1135, ultimo comma  (Cass. II n. 18793/2020; Cass. II, n. 25839/2019; Cass. VI, n. 20136/2017).

Si consideri, infatti, come non trova applicazione in ambito condominiale, proprio per la chiara divisione dei poteri riservati all'amministratore e all'assemblea, il principio — invece accettato per le società — che si preoccupa di lasciar valido l'atto irregolarmente compiuto dall'amministratore nei confronti dei terzi che abbiano ragionevolmente fatto affidamento sull'operato e sui poteri del rappresentante dell'ente (Cass. VI, n. 20136/2017; Cass. II, n. 4232/1987). Di tal che, l'appaltatore che abbia eseguito lavori di manutenzione straordinaria su disposizione dell'amministratore senza previa deliberazione dell'assemblea dei condomini, contestualmente istitutiva del fondo speciale o del pagamento per stati d'avanzamento, non potrà pretendere dai singoli condomini di partecipare alle spese derivanti dall'esecuzione di quell'appalto.

In base all'immutato art. 1135, comma 2, l'amministratore è abilitato ad ordinare lavori di manutenzione straordinaria aventi carattere di urgenza, dovendo, in questo caso, riferirne nella prima assemblea. L'adempimento di tale obbligo di riferire all'assemblea, in ogni caso (non presupponendo la ratifica di un atto esorbitante dal mandato, ma solo l'attuazione del dovere generale di rendere conto della gestione ai condomini), neppure condiziona il diritto dell'amministratore al rimborso delle spese riconosciute urgenti, nei limiti in cui il giudice le ritenga giustificate. Allorché, invece, l'assemblea intendesse ratificare, e di conseguenza approvare, le spese straordinarie, prive dei connotati di indifferibilità ed urgenza, effettuate dall'amministratore senza preventiva autorizzazione, surrogando in tal modo la mancanza di una preventiva delibera, sarà a questo punto necessaria la contestuale predisposizione del fondo speciale.

L'erogazione delle spese di manutenzione ordinaria e di quelle relative ai servizi comuni essenziali non richiede la preventiva approvazione dell'assemblea, trattandosi di esborsi cui l'amministratore provvede in base ai suoi poteri e non come esecutore delle delibere dell'assemblea; la loro approvazione è, invece, richiesta in sede di consuntivo, giacché solo con questo si accertano le spese e si approva lo stato di ripartizione definitivo, che legittima l'amministratore ad agire contro i condomini morosi per il recupero delle quote poste a loro carico (Cass. II, n. 454/2017).

Costituzione dell'assemblea e validità delle sue deliberazioni

Quanto alla costituzione dell'assemblea ed alla validità delle sue deliberazioni, per la seduta in prima convocazione i commi 1 e 2 dell'art. 1136 confermano il quorum deliberativo della maggioranza degli intervenuti e della metà del valore dell'edificio, riducendo, tuttavia, il quorum costitutivo, il quale richiede sempre i due terzi del valore dell'edificio, ma rappresentativi della maggioranza (e non più dei due terzi) dei partecipanti al condominio. Prima della l. n. 220/2012, l'art. 1136, comma 3, non specificava, per contro, alcunché circa la regolare costituzione dell'assemblea in seconda convocazione, limitandosi a fissare la maggioranza (un terzo dei partecipanti al condominio ed un terzo del valore dell'edificio) con la quale la stessa potesse validamente deliberare in tutti i casi diversi da quelli indicati nei commi 4 e 5, da ciò intendendosi che tale maggioranza fosse sufficiente, di norma, anche a fini costitutivi.

Quanto alle decisioni contemplate nei commi 4 e 5 dell'art. 1136, si imponeva poi, per la regolarità della costituzione dell'assemblea, quella diversa maggioranza occorrente per l'approvazione delle relative delibere, escludendosi che il richiamo alle maggioranze stabilite dal comma 2 valesse ad estendere il quorum costitutivo dell'assemblea in prima convocazione (Cass. II, n. 3952/1994).

Con apprezzabile semplificazione, il comma 3 dell'art. 1136, a seguito della Riforma, prescrive che, indipendentemente dall'oggetto della delibera da adottare, «l'assemblea in seconda convocazione è regolarmente costituita con l'intervento di tanti condomini che rappresentino almeno un terzo del valore dell'intero edificio e un terzo dei partecipanti al condominio». La struttura del procedimento assembleare emergente dal novellato art. 1136 conferma, peraltro, il condizionamento della seconda convocazione all'inutile e negativo esperimento della prima, sia per completa assenza dei condomini, sia per insufficiente partecipazione degli stessi in relazione al numero ed al valore delle quote; sicché, la prima, infruttuosa convocazione (da annotare, quale mancata costituzione, nel registro dei verbali dell'assemblea: art. 1130, n. 7) resta, come tale, condizione di legittimità della seconda adunanza.

L'assemblea in seconda convocazione delibera validamente, in generale, col voto favorevole della maggioranza degli intervenuti (i quali, come visto, per la regolare costituzione devono rappresentare almeno un terzo del valore dell'edificio e dei partecipanti), se a sua volta pari almeno ad un terzo del fabbricato.

Segue, nei commi 4 e 5 dell'art. 1136, un minuzioso elenco di delibere che richiedono più consistenti quorum deliberativi (fermi, dunque, i requisiti costituivi fissati nei commi 1 e 3, rispettivamente per la prima e la seconda convocazione).

La maggioranza indicata dal comma 2 dell'art. 1136 è ancora richiamata in tema di approvazione del regolamento di condominio (art. 1138, comma 3), scioglimento del condominio (art. 61, comma, disp. att.), rettifica o modifica della tabella millesimale (art. 69, comma 1, disp. att.), attivazione di un sito internet del condominio (art. 71-ter disp. att.), autorizzazione dell'amministratore a partecipare al procedimento di mediazione (art. 71-quater, comma 3, disp. att.), approvazione della proposta di mediazione (art. 71-quater, comma 5, disp. att.).

Il comma 4 dell'art. 66 disp. att. replica il contenuto già implicito nel comma 3 dell'art. 1136, nel senso che la prima e la seconda convocazione devono avvenire, quanto meno, in due giorni successivi. Il comma 5 del medesimo art. 66, invece, dà forma legislativa ad un'opzione che aveva in precedenza avallo unicamente giurisprudenziale, disponendo che, qualora sia prevedibile che l'esame degli argomenti posti all'ordine del giorno non possa esaurirsi in una sola riunione, l'amministratore abbia facoltà di fissare più riunioni consecutive, in modo da assicurare lo svolgimento dell'assemblea in termini brevi, e così provvedere alla convocazione delle relative adunanze successive con un unico avviso, senza la necessità di ulteriori convocazioni.

L'art. 67 disp. att. (in particolare, commi 1 e 5) ha inoltre subito cambiamenti complessivamente ispirati dallo scopo di regolare l'esercizio del diritto dei condomini di farsi rappresentare nelle assemblee, in maniera da garantire l'effettività del dibattito e la concreta collegialità delle riunioni, prescrivendo, anzitutto, la forma scritta della delega, facendo poi divieto al delegato di rappresentare più di un quinto dei condomini e del valore dell'edificio ove i condomini siano più di venti, impedendo, infine, il conferimento di deleghe all'amministratore. In particolare, risulta quindi superata l'ammissibilità, dapprima sostenuta nelle sentenze, di un'attribuzione verbale del potere rappresentativo per la partecipazione all'assemblea condominiale (cui conseguivano difficoltà di prova quanto all'esistenza, all'oggetto ed ai limiti della delega); la necessità della delega scritta faciliterà anche la redazione dell'elenco nominativo degli intervenuti all'interno del verbale dell'assemblea, ai fini della verifica dei quorum prescritti dall'art. 1136.

Allorché una clausola del regolamento di condominio limiti il potere dei condomini di farsi rappresentare nelle assemblee, imponendo un numero massimo di deleghe per ciascuno degli intervenuti all'adunanza, la stessa si intende inderogabile, in quanto posta a presidio della superiore esigenza di garantire l'effettività del dibattito e la concreta collegialità delle assemblee. Perciò, la partecipazione all'assemblea condominiale di un rappresentante fornito di un numero di deleghe superiore a quello consentito dal regolamento di condominio, comportando un vizio nel procedimento di formazione della relativa delibera, dà luogo ad un'ipotesi di annullabilità della stessa, senza che possa rilevare il carattere determinante, o meno, del voto espresso dal delegato per il raggiungimento della maggioranza occorrente per l'approvazione della deliberazione stessa (cosiddetta prova di resistenza (Cass. VI, n. 8520/2017).

Per la validità delle deliberazioni assembleari di condominio, devono essere individuati e riprodotti nel relativo verbale i nomi dei condomini assenzienti e di quelli dissenzienti, nonché i valori delle rispettive quote millesimali. Tale individuazione è, però, unicamente funzionale alla verifica della sussistenza delle maggioranze prescritte dall'art. 1136 ai fini della validità dell'approvazione delle deliberazioni con riferimento all'elemento reale ed all'elemento personale, come ad identificare i condomini assenti, dissenzienti o astenuti, cui è riservato potere di impugnazione ex art. 1137, o a rilevare situazioni di eventuale conflitto di interessi. Non può allora assumersi che risulti sovvertita la presunzione di validità della delibera assembleare allorché, nel relativo verbale di adunanza alcuni di essi siano individuati con riferimento unicamente al cognome ed alla loro quote di partecipazione al condominio, a meno che non sia dedotta l'esistenza di altro condomino avente il medesimo cognome ed equivalente quota millesimale (Cass. II, n. 23903/2016).

Il verbale di un'assemblea condominiale ha natura di scrittura privata, sicché l'eventuale falso ideologico in esso non è integra né il delitto di cui all'art. 485 c.p., né altre ipotesi di falso documentale punibile. Pertanto, il valore di prova legale del verbale di assemblea condominiale, munito di sottoscrizione del presidente e del segretario, è limitato alla provenienza delle dichiarazioni dai sottoscrittori e non si estende al contenuto della scrittura, e, per impugnare la veridicità di quanto risulta dal verbale, non occorre che sia proposta querela di falso, potendosi, invece, far ricorso ad ogni mezzo di prova (Cass. II, n. 23903/2016; Cass. VI, n. 11375/2017; Cass. VI, n. 20069/2017).

L'omessa sottoscrizione del verbale dell'assemblea condominiale ad opera del presidente non costituisce causa di annullabilità della delibera (Cass. VI-2, n. 27163/2017).

Convocazione

I rinnovati art. 1136, comma 6, e art. 66, comma 3, disp. att., pongono, quale presupposto di legittimità della delibera assembleare, la convocazione di tutti gli “aventi diritto”, adoperando perciò una nozione soggettiva di legittimazione, chiaramente più vasta, che sostituisce il precedente riferimento ai soli “condomini”.

A tal proposito, può rimarcarsi come la Riforma del 2012 (pur mantenendo in apertura dell'art. 1137 la definizione contenitiva dell'obbligatorietà delle deliberazioni “per tutti i condomini”) abbia ampliato l'ambito personale di efficacia della decisione dell'assemblea condominiale, quale espressione del metodo collegiale e del principio di maggioranza, sganciando la stessa dal riscontro di sussistenza della contemporanea relazione di proprietà su una o più unità immobiliari.

Così, stando al comma 2 dell'art. 67 disp. att., i comproprietari di un'unità immobiliare sita in condominio, che appartenga pro indiviso a più persone, hanno diritto ad un solo rappresentante nell'assemblea (ferma l'esigenza che tutti i comproprietari siano preventivamente informati della convocazione dell'assemblea, nonché l'attribuzione del potere rappresentativo nelle forme della delega di cui al comma dell'art. 1106); peraltro, ciascuno dei comproprietari è tenuto in solido, nei confronti del condominio, al pagamento degli oneri condominiali, e la ripartizione pro quota delle spese comuni, ai sensi degli artt. 1101 e 1104, avverrà, poi, nei rapporti interni tra comunisti (Cass. II. n. 21907/2011).

Se, invece, l'appartamento è oggetto di usufrutto, si assumeva, prima dell'entrata in vigore della Riforma del condominio, che l'usufruttuario, agli effetti dell'art. 1004, fosse direttamente tenuto nei confronti del condominio al pagamento delle spese di amministrazione e di manutenzione ordinaria, mentre le spese per le riparazioni straordinarie dovessero porsi a carico del nudo proprietario. In pratica, si faceva divieto all'assemblea di stabile stabilire la modalità di imputazione degli oneri tra nudo proprietario ed usufruttuario in deroga alla disciplina di cui agli artt. 1004 e 1005 (Cass. II, n. 9920/2017, in tema di diritto reale di abitazioneCass. II, n. 2236/2012). A seguito della l. n. 220/2012, l'art. 67, comma 8, disp. att. impone, però, il pagamento solidale dei contributi dovuti dagli stessi nudo proprietario ed usufruttuario, sebbene, pur essendo entrambi in tutti i casi necessariamente destinatari dell'avviso di convocazione, soltanto l'usufruttuario vota negli affari che attengono all'ordinaria amministrazione, mentre il proprietario ha diritto di voto nelle restanti deliberazioni. Dunque, all'usufruttuario non è riconosciuto il diritto di votare nelle deliberazioni che concernono la manutenzione straordinaria, né è consentito di votare al nudo proprietario negli affari che attengono all'ordinaria amministrazione e al semplice godimento delle cose e dei servizi comuni, ma entrambi sono obbligati in solido per il pagamento dei contributi dovuti all'amministrazione condominiale.

 Qualcosa di analogo capiti pure nella relazione tra il conduttore ed il locatore, per effetto dell'art. 10, l. n. 392/1978. In virtù di tale disposizione, il conduttore ha diritto di voto unicamente nelle deliberazioni relative alle spese ed alle modalità di gestione dei servizi di riscaldamento e di condizionamento d'aria, mentre non gli è riconosciuta la partecipazione all'assemblea relativamente alle decisioni concernenti le spese per il servizio di pulizia, il funzionamento e l'ordinaria manutenzione dell'ascensore, la fornitura dell'acqua e dell'energia elettrica, lo spurgo dei pozzi neri e delle latrine e la fornitura degli altri servizi comuni, che pure l'art. 9 l. n. 392/1978 pone interamente a suo carico: con la conseguenza che il conduttore non partecipa a tutte le deliberazioni concernenti le spese, che è però tenuto a sostenere. Dovrà, piuttosto, ora verificarsi, come pure si prospettava nelle pagine precedenti, se la Riforma si rivelerà capace di provocare una rimodernata interpretazione dell'ultimo comma dell'art. 10 l. n. 392/1978, in relazione all'art. 66 disp. att., in modo da ricomprendere anche gli inquilini tra gli “aventi diritto“ cui va esteso, per quelle delibere, l'onere di convocazione gravante sull'amministratore.

C'è poi la disciplina adesso contenuta nei commi 4 e 5 dell'art. 63, disp. att., per i quali, innanzitutto, chi subentra nei diritti di un condomino è obbligato, solidalmente con questo, al pagamento dei contributi relativi all'anno in corso e a quello precedente; ma, si aggiunge, «chi cede diritti su unità immobiliari resta obbligato solidalmente con l'avente causa per i contributi maturati fino al momento in cui è trasmessa all'amministratore copia autentica del titolo che determina il trasferimento del diritto». Così, la comunicazione della variazione (la quale deve non soltanto assumere la forma scritta, per l'annotazione nel registro dell'anagrafe, di cui all'art. 1130, n. 6, ma addirittura essere accompagnata dalla trasmissione di copia autentica dell'atto di proprietà) occorre allo scopo di procurare la liberazione dell'alienante dall'obbligo di contribuzione alle spese condominiali  (Cass. II, n. 21860/2020).

L'espressione “anno in corso”, di cui all'art. 63, comma 4, disp. att. c.c.,  va intesa, alla luce del principio della "dimensione annuale della gestione condominiale", con riferimento al periodo annuale costituito dall'esercizio della gestione condominiale, il quale può anche non coincidere con l'anno solare (Cass. VI, n. 7395/2017).

Riguardo sempre all'obbligo di convocazione, l'art. 66, comma 3, disp. att. c.c., precisa che, in caso di avviso omesso, tardivo o incompleto degli aventi diritto, la deliberazione adottata è annullabile, ma su istanza (soltanto) dei dissenzienti o assenti perché non ritualmente convocati. Qui l'intervento della Riforma sembra del tutto apprezzabile, avendo tratto le dovute conseguenze sotto il profilo processuale dalla sistemazione della fattispecie dell'omessa convocazione nell'ambito dei rimedi sostanziali operata da Cass. S.U., n. 4806/2005. Una volta condiviso il principio per cui la mancata comunicazione a taluno dei condomini dell'avviso di convocazione dell'assemblea condominiale, in quanto vizio procedimentale, comporti non la nullità, ma l'annullabilità della delibera condominiale, con conseguente soggezione dell'impugnazione al termine di trenta giorni previsto dall'art. 1137, comma 3, già prima del sopravvenire della l. n. 220/2012 ad alcuni sembrava inevitabile che la legittimazione a domandare il relativo annullamento spettasse, ai sensi dell'art. 1441, unicamente al singolo avente diritto pretermesso.  Del pari, il ricondursi del vizio dell’omessa convocazione alla categoria dell’invalidità implica che il condomino non ritualmente avvisato, il quale invochi l’annullamento, non dovrebbe potersi limitare ad allegare di non aver ricevuto la comunicazione, incombendo, piuttosto, su di lui l’onere di dedurre e provare, in caso di contestazione, i fatti dai quali l’omessa comunicazione risulti (Cass, II, n. 6735/2020; Cass. II, n. 23903/2016).

L'art. 66, comma 3, disp. att., stabilisce che «l’avviso di convocazione, contenente specifica indicazione dell’ordine del giorno, deve essere comunicato almeno cinque giorni prima della data fissata per l’adunanza in prima convocazione, a mezzo di posta raccomandata, posta elettronica certificata, fax o tramite consegna a mano, e deve contenere l’indicazione del luogo e dell’ora della riunione». Viene dunque enunciata l’indispensabilità di una “specifica indicazione dell’ordine del giorno”, ovvero di una descrizione completa degli argomenti da trattare, che così consenta a ciascun partecipante di comprenderne esattamente il tema e l’importanza. L'avviso di convocazione, quale atto unilaterale recettizio, deve non solo essere inviato, ma anche ricevuto nel termine stabilito di almeno cinque giorni prima della data fissata per l'adunanza in prima convocazione (Cass. II, n. 24041/2020).

La legge 13 ottobre 2020, n. 126, che ha convertito, con modificazioni, il decreto-legge 14 agosto 2020, n. 104, ha inciso sul comma 3 dell’art. 66, comma 3, disp. att. codice civile, prevedendo che l’avviso di convocazione deve contenere, in alternativa all’indicazione del luogo e dell’ora della riunione, l’indicazione «se prevista in modalità di videoconferenza, della piattaforma elettronica sulla quale si terrà la riunione e dell’ora della stessa». Il comma sesto aggiunto dalla legge n. 126/2020 all’art. 66 disp. att. cod. civ. (modificato dall’art. 5-bis del decreto-legge 7 ottobre 2020, n. 125, introdotto dalle legge di conversione 27 novembre 2020, n. 159) ha poi disposto che “la partecipazione all'assemblea può avvenire in modalità di videoconferenza”: a) ove espressamente previsto dal regolamento condominiale, ovvero b) previo consenso della maggioranza dei condomini.

All'art. 66, comma 1, disp. att., che tuttora regolamenta la convocazione straordinaria dell'assemblea su richiesta di due condomini i quali rappresentino un sesto del valore dell'edificio, sono dalla Riforma affiancati ulteriori poteri di impulso della convocazione assembleare assegnati anche singolarmente ai condomini (artt. 1117-quater, 1120, comma 3, 1129, comma 11), presidiati dall'art. 1129, comma 12, n. 1, ove si ravvisa, quale fattispecie di “grave irregolarità” legittimante la revoca giudiziale dell'amministratore, proprio il “ripetuto rifiuto di convocare l'assemblea per la revoca e per la nomina del nuovo amministratore o negli altri casi previsti dalla legge”. Né va dimenticata la legittimazione di ciascun condomino a convocare “senza formalità” l'assemblea per la nomina del nuovo amministratore, in caso di sopravvenuta perdita di alcuno dei requisiti dell'incarico, ai sensi dell'art. 71-bis, comma 4, disp. att.

Di grande importanza si rivela il comma 3 dell'art. 67 disp. att., il quale, nelle situazioni di supercondominio, o di condominio complesso, descritte dall'art. 1117-bis, ma solo allorché i partecipanti siano complessivamente più di sessanta, obbliga ciascuno dei più condominii coordinati a designare, con la maggioranza di cui all'art. 1136, comma 5, un proprio rappresentante all'assemblea per la gestione ordinaria delle parti comuni ai diversi edifici e per la nomina dell'amministratore.

Impugnazione delle deliberazioni

Quanto all'impugnazione delle deliberazioni dell'assemblea, il riformulato art. 1137 mostra di condividere la soluzione della giurisprudenza che già aveva esteso al condomino astenuto la legittimazione all'azione, al pari del dissenziente e dell'assente, trattandosi di condomini, gli uni come gli altri, che non hanno contribuito all'approvazione. Spetta al condomino che sia stato assente all'assemblea nel corso della quale la delibera contestata è stata assunta o che, se presente, abbia espresso in merito il suo dissenso o si sia astenuto, l'onere di provare tali circostanze (Cass. II, n. 5611/2019). Risulta, inoltre, eliminato dal testo di questa stessa disposizione il riferimento letterale al “ricorso”, quale forma dell'atto di impugnazione; essendo pertanto ormai inequivocabile che esso vada proposto con citazione, è facile presagire che sia destinata ad esaurirsi l'indulgente soluzione dell'equipollenza propugnata da Cass. S.U., n. 8491/2011. L'appello avverso la sentenza che abbia deciso sull'impugnazione di una delibera assembleare avanzata erroneamente nelle forme del ricorso, va proposto, in assenza di specifiche previsioni di legge, mediante citazione, in conformità alla regola generale di cui all'art. 342 c.p.c., sicché la tempestività del gravame va verificata in base alla data di notifica dell'atto e non a quella di deposito dello stesso nella cancelleria del giudice "ad quem" (Cass. VI, n. 8839/2017; in senso opposto, Cass. II, n. 21632/2019).

Si è precisato come nel giudizio di impugnazione avverso una delibera assembleare, exart. 1137, in cui la legittimazione passiva spetta all'amministratore, l'allegazione, ad opera del ricorrente, della proprietà esclusiva del bene su cui detta delibera abbia inciso  può formare oggetto di un accertamento meramente incidentale, funzionale alla decisione della sola causa sulla validità dell'atto collegiale ma privo di efficacia di giudicato in ordine all'estensione dei diritti reali dei singoli, in quanto esula dai limiti della stessa legittimazione passiva dell'amministratore una domanda volta ad ottenere l'accertamento, in capo ad un singolo, della proprietà esclusiva su di un bene altrimenti comune, ex art. 1117 c.c. (Cass. II, n. 20612/2017).

Il comma 4 del nuovo art. 1137 ammette inoltre la proponibilità di un'istanza per ottenere la sospensione della deliberazione prima dell'inizio della causa di merito, così ribaltando l'interpretazione che, nel sistema finora in uso, escludeva la stessa, per essere la previa impugnativa indefettibile presupposto logico-giuridico della sospensione. Peraltro, viene precisato che tale istanza ante causam non abbia effetti impeditivi della decadenza per la proposizione dell'impugnazione, sicché sarà inevitabile che ad essa l'interessato accompagni comunque la tempestiva notificazione della citazione introduttiva del giudizio ordinario di cognizione.

Ai fini della decorrenza del termine perentorio di 30 giorni (art. 1137, comma 2) per l'impugnazione delle delibere assembleari, la presunzione di conoscenza ex art. 1335 postula il recapito all'indirizzo del condomino del verbale contenente le decisioni dell'assemblea, e non obbliga quest'ultimo ad attivarsi per acquisire e conoscere il testo delle deliberazioni stesse. Non è idonea, pertanto, a soddisfare l'onere di comunicazione agli assenti exart. 1137 la produzione della delibera assembleare a corredo di una domanda di decreto ingiuntivo (Cass. II, n. 16081/2016).

Ai sensi dell'art. 2377 c.c. - dettato in tema di società di capitali ma, per identità di "ratio", applicabile anche in materia di condominio - la sostituzione della delibera impugnata con altra adottata dall'assemblea in conformità della legge, facendo venir meno la specifica situazione di contrasto fra le parti, determina la cessazione della materia del contendere (Cass. VI, n. 20071/2017).

L'efficacia preclusiva e precettiva del giudicato di annullamento di una delibera condominiale è meramente negativa, in quanto essa pone soltanto un limite all'esercizio dell'attività di gestione dell'assemblea, impedendole di riapprovare un atto affetto dagli stessi vizi, atto che sarebbe altrimenti a sua volta invalido; la sentenza di annullamento resa ai sensi dell'art. 1137 ha, inoltre, effetto nei confronti di tutti i condomini, anche qualora non abbiano partecipato direttamente al giudizio di impugnativa promosso da uno o da alcuni di loro, ma con riguardo alla specifica deliberazione impugnata (Cass. II, n. 2127/2021).

Sui profili processuali dell'esplicitazione della causa petendi dell'impugnazioneex art. 1137 c.c., con riguardo sia al vizio dedotto che alla delibera censurata, Cass. VI, n. 16675/2018.

Le parole  «con l'esclusione dell'articolo 669-octies, sesto comma,» sono state soppresse dall'art. 1, comma 11, d.lgs.  10 ottobre 2022, n. 149 (per la disciplina transitoria v. art. 35 d.lgs. n. 149/2022, come da ultimo modificato dall'art. 1, comma 380, lett. a), l. 29 dicembre 2022, n. 197).Scarpa AntonioDi conseguenza, nei giudizi di impugnazione delle deliberazioni dell'assemblea di condominio, il richiamo delle norme sui procedimenti cautelari è divenuto integrale. La Riforma ha anche modificato il sesto comma dell'articolo 669-octies del codice di procedura civile, nel senso che dopo le parole «ai sensi dell'articolo 688» sono inserite le seguenti: «e ai provvedimenti di sospensione dell'efficacia delle delibere assembleari adottati ai sensi dell'articolo 1137, quarto comma, del codice civile»; nonché l'ottavo comma dell'articolo 669-octies, nel senso che dopo le parole «di cui al sesto comma,» sono inserite le seguenti: «né dei provvedimenti cautelari di sospensione dell'efficacia delle deliberazioni assunte da qualsiasi organo di associazioni, fondazioni o società,». Nei lavori preparatori del decreto, si è spiegato che, in attuazione del principio di delega (comma 17, lettera q), si è inteso così stabilire che il regime di non applicazione del “procedimento di conferma previsto dall'art. 669 octies e dal primo comma dell'art. 669 novies“ si applichi anche ai provvedimenti di sospensione dell'efficacia delle delibere assembleari, adottati ai sensi dell'articolo 1137, quarto comma del codice civile, ferma restando, anche per questi casi, la facoltà di ciascuna parte di instaurare il giudizio di merito. L'intervento riformatore avrebbe un dichiarato “scopo deflattivo del contenzioso. Infatti, molto spesso, l'attore, dopo avere ottenuto, nell'ambito del giudizio di merito, il provvedimento cautelare con il quale è stata disposta la sospensione dell'esecuzione della deliberazione non ha un reale interesse alla decisione di merito diverso da quello costituito dalla necessità di ‘stabilizzare' gli effetti della decisione cautelare”. Pertanto, si è pensato di coordinare il regime della efficacia di questi provvedimenti cautelari equiparandolo a quello previsto dall'art. 669-octies. In questo modo, si è osservato, le parti saranno spinte ad abbandonare il giudizio di merito, senza che ciò incida sul provvedimento cautelare di sospensione dell'esecuzione della deliberazione. Conseguentemente sono state apportate modifiche al fine di prevedere che l'estinzione del giudizio di merito non determina neppure l'inefficacia dei provvedimenti cautelari di sospensione dell'efficacia delle deliberazioni assembleari. In sostanza, il legislatore delegato ha inteso assimilare il procedimento per la sospensione delle delibere condominiali a quelle misure che la legge 12 maggio 2005, n. 80, intervenendo sull'art. 669-octies, esonerò dalle disposizioni sull'inizio o sull'estinzione del giudizio di merito, comportanti l'inefficacia della misura cautelare. Si tratta, con riguardo agli scopi prefissati, di una operazione malriuscita. Quella delle impugnazioni delle deliberazioni di assemblea sottoposte ad un termine di decadenza, con istanza di sospensione dell'esecuzione, ha da sempre rappresentato una ipotesi di necessitata presentazione congiunta di domanda cautelare e di merito, per essere la previa tempestiva impugnativa indefettibile presupposto logico-giuridico della sospensione.

Il quarto comma dell'art. 1137 c.c., introdotto dalla legge 11 dicembre 2012, n. 220, aveva, già malamente, provato ad ovviare a tanto, come si è già detto, ammettendo la proponibilità di un'istanza per ottenere la sospensione della deliberazione prima dell'inizio della causa di merito, ma precisando che tale istanza ante causam non ha effetti impeditivi della decadenza per la proposizione dell'impugnazione, il che rende praticamente inevitabile che ad essa l'interessato accompagni comunque tuttora la notificazione della citazione introduttiva del giudizio ordinario di cognizione. Volendosi rendere soltanto eventuale la proposizione della causa di merito dal condomino che abbia ottenuto l'accoglimento, rivelatosi pienamente satisfattivo, della istanza ante causam di sospensione dell'esecuzione della delibera impugnata, bisognerebbe garantirgli che la stessa istanza interrompa il termine perentorio di trenta giorni di cui all'art. 1137, secondo comma, cod. civ. Non vale obiettare che ad impedire la decadenza potrebbe bastare la comunicazione della domanda di mediazione (art. 5, sesto comma, d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28), sia perché lo svolgimento della mediazione non dovrebbe mai precludere la concessione di un provvedimento urgente e cautelare (terzo comma dello stesso art. 5), sia perché se il tentativo fallisce, la domanda giudiziale deve essere poi comunque proposta entro il medesimo termine di decadenza decorrente dal deposito del verbale presso la segreteria dell'organismo. Se nell'ottica originaria della disciplina del procedimento cautelare uniforme, delineata dalla legge 26 novembre 1990, n. 353, sembrava scontato che il giudizio di merito dovesse essere avviato dal beneficiario della misura cautelare, onde evitarne la caducazione, il regime poi allestito con la l. n. 80/2005 per i provvedimenti di urgenza e lato sensu anticipatori, che ora si vorrebbe estendere alle sospensive delle impugnative di delibere condominiali, ha implicato un ribaltamento delle posizioni delle parti, con correlata allocazione dell'onere della prova. E' allora agevole preconizzare che sarà il condominio, destinatario passivo della misura urgente, a proporre una domanda di accertamento dell'intervenuta decadenza del condomino che abbia conseguito la sospensione dell'esecuzione della delibera, per non aver proposto entro i trenta giorni di cui all'art. 1137, secondo comma, cod. civ., la domanda di merito, domanda che rimane (del tutto incoerentemente col sistema della strumentalità attenuata di cui all'art. 669-octies, sesto comma) l'unico atto previsto dalla legge avente idoneità ad impedire tale decadenza.

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