Codice Civile art. 1148 - Acquisto dei frutti.

Alberto Celeste

Acquisto dei frutti.

[I]. Il possessore di buona fede [1147] fa suoi i frutti naturali separati fino al giorno della domanda giudiziale e i frutti civili maturati fino allo stesso giorno [820, 821]. Egli, fino alla restituzione della cosa, risponde verso il rivendicante [948] dei frutti percepiti dopo la domanda giudiziale e di quelli che avrebbe potuto percepire dopo tale data, usando la diligenza di un buon padre di famiglia [1176 1].

Inquadramento

Il proprietario può agire, con l'azione di rivendicazione, per far riconoscere il suo diritto ed ottenere la restituzione della cosa posseduta da altri, e, per converso, il possessore, qualora tale domanda sia accolta, è tenuto a restituire la cosa al legittimo proprietario. Tuttavia, l'ordinamento prende in considerazione il fatto che il possessore, anche se in linea di fatto, ha utilizzato pur sempre la cosa, sicché gli riconosce alcuni diritti, previa verifica se lo stesso si trovi in buona o male fede. In quest'ottica, la norma in commento stabilisce che il possessore di buona fede fa suoi i frutti naturali separati fino al giorno della domanda giudiziale ed i frutti civili maturati fino allo stesso giorno; aggiunge, poi, che egli, fino alla restituzione della cosa, risponde verso il rivendicante dei frutti percepiti dopo la domanda giudiziale e di quelli che avrebbe potuto percepire dopo tale data, usando la diligenza di un buon padre di famiglia. Dunque, il possessore in buona fede non è tenuto a restituire i frutti che ha percepiti, e, al fine di determinare il momento nel quale cessa tale diritto, si tiene che conto che gli effetti della sentenza (in questo caso, che accoglie la rivendicazione) retroagiscono al momento della domanda. Pertanto, il tempo occorrente per lo svolgimento del giudizio non deve andare a danno di chi poi risulterà vittorioso, sicché i frutti percepiti durante la lite spetteranno al proprietario, e, anzi, per evitare che il possessore, sapendo di doverli restituire, trascuri la coltivazione o lasci perire i frutti, dal giorno della domanda alla restituzione della cosa, la norma de qua prevede che il possessore risponde verso il rivendicante non solo dei frutti percepiti, ma anche di quelli percipiendi, ossia che avrebbe potuto percepire usando la diligenza media. Pertanto, tale disposizione costituisce, più che un'equiparazione della citazione ad un atto di costituzione di malafede, un'applicazione del principio generale della preservazione del diritto di cui si chiede la tutela in giudizio dal pregiudizio derivante dalla durata di questo. Ovviamente, il possessore in mala fede deve restituire, invece, la cosa, con tutti i frutti percepiti e percipiendi.

Buona fede

Sul versante dottrinale, si è evidenziato, in proposito, che la presenza di due tipologie di possessori, distinte in base all'elemento soggettivo, discende dalla rilevanza attribuita allo stato psicologico in cui versa il soggetto al momento dell'instaurarsi della situazione possessoria: soltanto chi, in tale circostanza, ignorava di ledere l'altrui diritto, può realmente dirsi possessore di buona fede e goderne i benefici. In forza del principio mala fides superveniens non nocet, gli effetti dell'iniziale buona fede perdurano fino al momento della domanda giudiziale di restituzione dei frutti; tale delimitazione trova fondamento nella natura dichiarativa della sentenza, che accerta la situazione giuridica con efficacia retroattiva al momento della proposizione della domanda (Natoli, 178; contra, De Martino, in Comm. S.B. 1984, il quale ritiene che la domanda costituisca direttamente il possessore in mala fede). Comunemente, l'ignoranza dovuta a colpa grave è equiparata alla mala fede; si ritiene pacifico, inoltre, che l'errore di diritto sia compatibile con la buona fede e che il possesso possa dirsi di buona fede anche se non si appoggia ad alcun titolo (Sacco — Caterina, in Tr. C. M. 2000, 452). Viene considerata, quindi, superata la posizione che riteneva “possessore di buona fede” in senso proprio soltanto chi fosse divenuto possessore in base ad un acquisto a non domino attraverso un titolo valido, ignorando la carenza di titolarità del dante causa, affermando, quindi, l'applicabilità dell'art. 1148 anche ove il possesso provenga da un atto di acquisto a domino, ma nullo ab origine o successivamente annullato, risoluto o rescisso (Scalia, Nota sulla configurabilità di un possesso in buona fede, in Giur. it. 1992, I, 1, 1104).

Anche al fine della restituzione dei frutti ex art. 1148, la buona fede del possessore, ai sensi dell'art. 1147, comma 3, va presunta, e ne è sufficiente l'esistenza al momento dell'acquisto del possesso stesso, mentre resta ininfluente la successiva conoscenza del diritto altrui da parte del possessore, fino alla data della proposizione della domanda giudiziale, la quale diversifica le sue posizioni secondo le espresse previsioni del citato art. 1148 (Cass. II, n. 12362/1992). La buona fede che qualifica il possesso idoneo ex art. 1148 a determinare l'acquisto dei frutti della cosa (posseduta) fino al giorno della domanda giudiziale di restituzione si presume (ex art. 1147, comma 3) e prescinde dall'esistenza di un titolo, rilevando (ex art. 1147, comma 1) la c.d. opinio dominii, ossia il ragionevole convincimento di poter esercitare sulla cosa posseduta il diritto di proprietà (od altro diritto reale) senza ledere la sfera altrui; pertanto, i principi generali fissati dalle norme predette sono applicabili anche al possesso di un bene acquistato a domino in forza di un contratto poi dichiarato nullo (Cass. II, n. 3097/1988; Cass. II, n. 1446/1985). Il possesso di un bene, che sia stato acquisito in forza di un contratto poi dichiarato nullo, resta soggetto ai principi generali fissati dagli artt. 1147 e 1148, con la conseguenza che, ove sussista la buona fede (da presumersi) alla data del suddetto acquisto, la medesima buona fede non viene esclusa dalla mera proposizione della domanda rivolta a far valere quella nullità, ed il possessore è tenuto alla restituzione dei frutti solo a partire dalla data della domanda di rilascio (Cass. III, n. 19502/2019; Cass. II, n. 3315/1985).

Natura del debito di restituzione dei frutti

In tema di possesso, l'obbligo di restituzione dei frutti della cosa da parte del possessore in favore del proprietario — indipendentemente dalla buona fede o meno del primo — ha carattere di debito di valore relativamente ai frutti naturali, mentre dà luogo ad un debito di valuta, soggetto al principio nominalistico, in relazione ai frutti civili, costituenti il corrispettivo del godimento della cosa (Cass. III, n. 848/2020; Cass. II, n. 5776/2006: nella specie, trattavasi di somme riscosse a titolo di pigione; Cass. II, n. 1784/1993). L'obbligo del possessore di restituire i frutti, ai sensi dell'art. 1148, riguarda anche con riferimento ai frutti “civili”, sia quelli percepiti che quelli percepibili con la diligenza del buon padre di famiglia, e si traduce, per entrambe le ipotesi, in un debito di valuta (non di valore, come quello inerente ai frutti “naturali”), come tale produttivo di interessi legali “giorno per giorno”, secondo il criterio fissato dall'art. 821, comma 3 (Cass. II, n. 12362/1992). I principi che impongono di tenere conto della svalutazione monetaria nella liquidazione dei debiti di valore sono inapplicabili in tema di restituzione dei frutti naturali da parte dell'erede apparente o di chi ha posseduto i beni ereditari in virtù di semplice chiamata alla successione, qualora la restituzione all'avente diritto avvenga a distanza di tempo tale dalla raccolta dei frutti da doversi escludere che la medesima consegna potesse aver luogo in natura (Cass. II, n. 4442/1980).

Decorrenza dell'obbligo di restituzione dei frutti

L'efficacia retroattiva della risoluzione del contratto per inadempimento (nella fattispecie trattavasi di prenotazione di alloggio in cooperativa edilizia) non comporta il maturare di interessi, sulle somme versate dall'una all'altra parte in esecuzione del contratto, a decorrere dalla data del versamento, atteso che il venir meno ex tunc del vincolo contrattuale rende privo di causa il pagamento già eseguito in forza del contratto successivamente risolto, ma appunto per questo impone di far capo ai principi sulla ripetizione dell'indebito per qualificare giuridicamente la pretesa volta ad ottenere la restituzione di quel pagamento; e, in materia di indebito oggettivo, ai sensi dell'art. 2033 il debito dell'accipiens, a meno che questi sia in mala fede, produce interessi solo a seguito della proposizione di un'apposita domanda giudiziale, non essendo sufficiente un qualsiasi atto di costituzione in mora del debitore, perché trova qui applicazione la tutela prevista per il possessore di buona fede, in senso oggettivo, dall'art. 1148, a norma del quale questi è obbligato a restituire i frutti soltanto dalla domanda giudiziale, alla cui data di proposizione retroagiscono gli effetti della sentenza (Cass. I, n. 17558/2006).

All'esito dello scioglimento della comunione legale, ciascun coniuge può domandare la divisione del patrimonio comune, da effettuarsi secondo i criteri stabiliti agli artt. 192 e 194, e il coniuge rimasto nel possesso esclusivo dei beni fruttiferi (nel caso, bene immobile) già appartenenti alla comunione legale è tenuto, in base ai principi generali (art. 820, comma 3), al pagamento, in favore dell'altro coniuge, del corrispettivo pro quota di tale godimento, quali frutti spettanti ex lege, a prescindere da comportamenti leciti o illeciti altrui; tali frutti civili si acquistano giorno per giorno in ragione della durata del diritto (art. 821, comma 3), a far data dalla domanda di divisione, quale momento d'insorgenza del debito di restituzione (pro quota) del bene medesimo ex art. 1148 (Cass. I, n. 10896/2005; cui adde Cass. I, n. 9845/2012).

Nell'ipotesi di azione di ripetizione di indebito oggettivo, ex art. 2033, il debito dell'accipiens, a meno che egli non sia in mala fede, produce interessi solo a seguito della proposizione di un'apposita domanda giudiziale, non essendo sufficiente un qualsiasi atto di costituzione in mora del debitore, atteso che all'indebito si applica la tutela prevista per il possessore in buona fede, in senso soggettivo, dall'art. 1148, a norma del quale questi è obbligato a restituire i frutti soltanto dalla domanda giudiziale, secondo il principio per il quale gli effetti della sentenza retroagiscono al momento della proposizione della domanda. (Cass. S.U., n. 14886/2009; Cass. III, n. 4745/2005).

L'obbligo di restituzione dei frutti percepiti e percipiendi dopo la domanda giudiziale posto dall'art. 1148 a carico del possessore si estende anche ai frutti prodotti dal bene a seguito dell'intervento dello stesso possessore, rilevando, a vantaggio di questi, tale intervento ai soli fini del rimborso delle spese, a norma del successivo art. 1149 (Cass. III, n. 2747/1998).

Interessi sul debito di restituzione dei frutti

Gli interessi sul debito di restituzione dei frutti vanno corrisposti sulla somma giudizialmente accertata dal momento in cui si verifica l'evento generatore (Cass. II, n. 417/1969; Cass. II, n. 213/1959).

Qualora i frutti di un immobile, che il possessore deve restituire ai sensi dell'art. 1148, siano stati determinati in ragione di anno, gli interessi sul debito di restituzione dei frutti medesimi devono essere corrisposti in relazione a ciascuna annualità (Cass. II, n. 3754/1968).

Applicabilità nei rapporti tra comunisti

La norma dettata dall'art. 1148, in tema di restituzione dei frutti da parte del possessore, si applica anche al possesso esercitato da uno dei condomini sulla quota indivisa di un immobile appartenente ad altro condomino, non essendo tale disposizione limitata al possesso a non domino e spettando al condomino l'azione di recupero dei frutti nell'ipotesi di possesso esclusivo della cosa comune, esercitato, in buona o mala fede, da un altro partecipante alla comunione (Cass. II, n. 1300/1970).

In materia di comunione, il comproprietario di un bene fruttifero che ne abbia goduto per l'intero senza un titolo giustificativo - esclusa l'applicabilità dell'art. 1148, che disciplina il diverso caso della sorte dei frutti naturali o civili percepiti dal possessore di buona fede tenuto a restituire la cosa al rivendicante - deve corrispondere agli altri, quale ristoro per la privazione dell'utilizzazione pro quota del bene comune, i frutti civili, che, identificandosi con il corrispettivo del godimento dell'immobile che si sarebbe potuto concedere a terzi secondo i correnti prezzi di mercato, possono essere individuati, solo in mancanza di altri più idonei criteri di valutazione, nei canoni di locazione percepibili per l'immobile (Cass. II, n. 20394/2013).

In tema di successione mortis causa, si è puntualizzato che l'art. 535, comma 1, che rinvia alle disposizioni sul possesso in ordine a restituzione dei frutti, spese, miglioramenti e addizioni, si riferisce al possessore di beni ereditari convenuto in petizione di eredità ex art. 533, mentre è estraneo allo scioglimento della comunione ereditaria; esso non si applica, quindi, al condividente che, avendo goduto il bene comune in via esclusiva senza titolo giustificativo, è tenuto alla corresponsione dei frutti civili agli altri condividenti, quale ristoro della privazione del godimento pro quota (Cass. II, n. 640/2014). In argomento, si è chiarito (Cass. II, n. 21505/2019) che l'art. 1147, in base al quale la buona fede è presunta ed è sufficiente sussista al tempo dell'acquisto, detta un principio di carattere generale, applicabile anche al possessore dei beni ereditari, sicché chi agisce per rivendicare i beni ereditari - eventualmente previo annullamento del testamento che ha chiamato all'eredità il possessore di buona fede - può pretendere soltanto i frutti indebitamente percepiti nei limiti fissati dall'art. 1148.

Inapplicabilità alle ipotesi di detenzione

Nel contratto preliminare ad effetti anticipati la disponibilità del bene conseguita dal promissario acquirente ha luogo con la piena consapevolezza dei contraenti che l'effetto traslativo non si è ancora verificato, risultando piuttosto dal titolo l'altruità della cosa; deve ritenersi, quindi, inesistente nel promissario acquirente l'animus possidendi sicché la sua relazione con la cosa deve essere qualificata come semplice detenzione con esclusione della applicabilità alla fattispecie della disciplina dell'art. 1148, relativo all'obbligo del possessore in buona fede di restituire i frutti percepiti dopo la domanda (Cass. II, n. 13368/2005; cui adde Cass. II, n. 8796/2000; Cass. I, n. 1533/1996).

Il promissario acquirente di un fondo agricolo, che ne abbia conseguito la disponibilità a titolo di anticipata esecuzione di un contratto preliminare poi dichiarato nullo, in quanto detentore della cosa, è tenuto a restituire non solo il bene indebitamente goduto, ma anche le utilità ab initio ricavate dallo stesso, non rilevando, al riguardo, la disposizione di cui all'art. 1148, la quale limita temporalmente l'obbligo restitutorio dei frutti per il possessore in buona fede con decorrenza dal giorno della domanda giudiziale (Cass. II, n. 23035/2013).

Bibliografia

Bigliazzi Geri, Addizioni e miglioramenti, in Enc. giur., I, Roma, 1988; Corsale, Note in tema di possesso di buona fede e obbligo di restituzione dei frutti, in Giur. it. 1994, I, 1, 797; Dimundo, Frutti civili, in Dig. civ., VIII, Torino, 1992; Gaggero, Miglioramenti e addizioni, in Dig. civ., XI, Torino, 1994; Gardani, Ritenzione (diritto di), in Dig. civ., XVIII, Torino, 1998; Gentile, Effetti del possesso e azioni possessorie, Napoli, 1958; Inzitari, Miglioramenti (diritto privato), in Enc. dir., XXVI, Milano, 1976; Natoli, Il possesso, in Il diritto privato oggi, diretto da Cendon, Milano 1992.

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