Codice Civile art. 1150 - Riparazioni, miglioramenti e addizioni.

Alberto Celeste

Riparazioni, miglioramenti e addizioni.

[I]. Il possessore, anche se di mala fede, ha diritto al rimborso delle spese fatte per le riparazioni straordinarie.

[II]. Ha anche diritto a indennità per i miglioramenti recati alla cosa, purché sussistano al tempo della restituzione.

[III]. L'indennità si deve corrispondere nella misura dell'aumento di valore conseguito dalla cosa per effetto dei miglioramenti, se il possessore è di buona fede; se il possessore è di mala fede, nella minor somma tra l'importo della spesa e l'aumento di valore.

[IV]. Se il possessore è tenuto alla restituzione dei frutti, gli spetta anche il rimborso delle spese fatte per le riparazioni ordinarie, limitatamente al tempo per il quale la restituzione è dovuta.

[V]. Per le addizioni fatte dal possessore sulla cosa si applica il disposto dell'articolo 936. Tuttavia, se le addizioni costituiscono miglioramento e il possessore è di buona fede, è dovuta una indennità nella misura dell'aumento di valore conseguito dalla cosa [157 trans.].

Inquadramento

A completamento della disposizione precedente, la norma in commento delinea la disciplina delle spese necessarie, a loro volta distinte in ordinarie e straordinarie. Le spese ordinarie sono quelle che servono per le riparazioni ordinarie, e non sono rimborsabili se non quando il possessore è tenuto alla restituzione dei frutti, e, se risulta obbligato dal momento della domanda, limitatamente a tale periodo; invece, se lo stesso possessore non è tenuto alla restituzione dei frutti, il rimborso non spetta, poiché le spese de quibus si ritengono compiute per il godimento della cosa, a compensazione dei frutti percepiti. Le spese straordinarie sono quelle che superano il limite della conservazione della cosa e della sua utilità, e vanno rimborsate al possessore sia di buona che di mala fede. Per quanto concerne le spese “utili” — quelle “voluttuarie” non sono, invece, mai rimborsabili — ossia che hanno aumentato il valore della cosa, il rimborso è dovuto al possessore (in buona o male fede) se i miglioramenti sussistano al tempo della restituzione, in quanto, per un verso, si tende a non distogliere chi di fatto si trova ad utilizzare la cosa dal compimento di opere che ne accrescano il valore, e, per altro verso, non è sembrato giusto che il proprietario traesse vantaggio dall'aumento di valore della cosa propria a spese altrui. In quest'ultima ipotesi, però, l'importo del rimborso si differenzia, poiché, al possessore in buona fede, l'indennità deve corrispondere alla misura dell'aumento di valore conseguito dalla cosa a seguito dei miglioramenti, mentre, al possessore in mala fede, alla minor somma tra lo speso ed il migliorato. Relativamente alle addizioni, si applicano, infine, le regole contemplate in materia di accessione di cui all'art. 936 ss., tuttavia, se le addizioni costituiscono miglioramento e il possessore è in buona fede, è dovuta un'indennità nella misura dell'aumento di valore conseguito dalla cosa.

Ambito di applicabilità della norma

I giudici di legittimità si sono preoccupati di delimitare correttamente la sfera di operatività della norma de qua. La norma dell'art. 1150, che attribuisce al possessore, all'atto della restituzione della cosa, il diritto al rimborso delle spese fatte per le riparazioni straordinarie ed all'indennità per i miglioramenti recati alla cosa stessa, di natura eccezionale e non può, dunque, essere applicata in via analogica al detentore qualificato o a qualsiasi diverso soggetto; ne consegue che, qualora nella promessa di vendita venga concordata la consegna del bene prima della stipulazione del contratto definitivo, la relazione del promissorio acquirente con il bene si definisce in termini di detenzione qualificata, sicché l'art. 1150 non si applica a tale ipotesi (Cass. II, n. 28379/2017, la quale aveva confermato la sentenza d'appello con cui era stata respinta la domanda di rimborso formulata dai promittenti venditori di un immobile, che ne avevano mantenuto il possesso dopo la conclusione del preliminare, seppur pattuendo in quella sede “l'anticipazione dell'effetto traslativo” in favore del promissario acquirente; Cass. III, n. 13316/2015; Cass. II, n. 17245/2010; Cass. III, n. 5948/2005; Cass. II, n. 18651/2004; Cass. II, n. 12627/1993 ; cui adde Cass. II, n. 22994/2022, la quale ha confermato la sentenza che aveva rigettato la domanda di rimborso delle spese di manutenzione straordinaria relative a un immobile, detenuto dal richiedente dapprima a titolo di locazione e successivamente in virtù di un contratto preliminare di compravendita, sul presupposto che si configurasse una situazione di mera detenzione qualificata, essendo carente l'animus possidendi).

Il coerede il quale sul bene comune da lui posseduto abbia eseguito delle migliorie, può pretendere, in sede di divisione, non già l'applicazione dell'art. 1150, comma 5 — secondo cui è dovuta un'indennità pari all'aumento di valore della cosa in conseguenza dei miglioramenti — ma, quale mandatario o utile gestore degli altri eredi partecipanti alla comunione ereditaria, il rimborso delle spese sostenute per materiali e manodopera (Cass. II, n. 5135/2019, escludendo la rivalutazione monetaria, trattandosi di debito di valuta e non di debito di valore;  Cass. II, n. 6982/2009).

Al comproprietario e compossessore di buona fede di un immobile, che vi abbia eseguito addizioni costituenti miglioramenti — nella specie, costruendo un fabbricato sul terreno acquistato pro indiviso — non si applica la normativa dell'art. 936, nel richiamo fattone all'art. 1150, comma 5, in quanto tale disciplina postula che autore delle opere realizzate su suolo altrui sia un terzo, non potendo qualificarsi come tale il titolare di un diritto di natura reale, avente ad oggetto il fondo su cui le opere sono state eseguite; a tale comproprietario, per i predetti miglioramenti, non è pertanto dovuta un'indennità nella misura dell'aumento di valore conseguito dal bene ma, dovendo egli essere considerato, secondo i casi, un mandatario degli altri partecipi alla comunione, ai sensi dell'art. 1720 o un utile gestore nel loro interesse, ai sensi dell'art. 2031 spetta soltanto il rimborso degli oneri sostenuti (Cass. II, n. 743/2009).

Sul versante processuale, si è puntualizzato che, ove venga proposta domanda di corresponsione di una somma a titolo di indennità per miglioramenti sulla base degli artt. 192, 2033 e 936, il giudice non può qualificare l'azione ai sensi dell'art. 1150, giacché il riconoscimento del diritto ivi previsto postula l'allegazione e la prova del possesso del bene da parte del creditore (Cass. III, n. 22730/2019: nella specie, si è cassata la sentenza di merito che aveva riqualificato la domanda di rimborso delle spese sopportate dal coniuge per la ristrutturazione dell'immobile in proprietà dell'altro coniuge, avanzata ai sensi degli artt. 192, 2033 e 936,  in termini di azione ex art. 1150, sull'erroneo presupposto che l'attore avesse composseduto il bene ristrutturato per il solo fatto che lo stesso era stato adibito a casa familiare).

Rimborso delle spese per riparazioni straordinarie

La previsione normativa di cui all'art. 1150, comma 1, accomuna, senza distinzioni di sorta, il possessore di mala fede a quello di buona fede quanto al riconoscimento del diritto al rimborso delle spese per le riparazioni straordinarie, al pari di quella di cui al successivo comma quarto, per effetto della quale al rimborso delle spese per le riparazioni ordinarie ha diritto il possessore (non meglio qualificato sotto il profilo dello status soggettivo) tenuto alla restituzione dei frutti; la distinzione tra possessore di buona e di mala fede rileva, pertanto, in quest'ultima ipotesi, al solo, limitato fine di individuare il dies a quo del dovuto rimborso, che coincide con il (diverso) momento a partire dal quale ciascuno di essi risulti, rispettivamente, obbligato alla restituzione dei frutti ex artt. 1148 e 1150, comma 4 (Cass. II, n. 7985/1997).

Miglioramenti e addizioni

La distinzione tra miglioramenti ed addizioni non è sempre agevole e, al riguardo, gli interpreti si sono sforzata di chiarire i relativi concetti. Generalmente, si ritiene che il miglioramento del bene si identifichi con un incremento qualitativo che ne accresca in modo durevole il valore (Bigliazzi Geri, 1), sì da implicare un incremento patrimoniale del proprietario che sia significativo, non transeunte ed indipendente — per quanto possibile — da variabili di mercato. La dottrina più attenta ha abbandonato il ricorso ad un criterio meramente fisico per distinguere i miglioramenti dalle addizioni, giudicato non soddisfacente, abbracciando piuttosto una distinzione funzionale in relazione alla natura economica dei beni ed a una loro separata utilizzazione (Inzitari, 283). Con ciò si attribuisce nuova importanza all'attività dei terzi, in ossequio ad una concezione dinamica della proprietà, valorizzando il carattere di investimento rivestito dal mutamento, in tal modo incoraggiandolo (Gaggero, 370). Si è, quindi, individuato il tratto caratterizzante delle addizioni nell'essere opere che mantengono una propria distinta entità, pur incorporandosi nel bene principale, sì da produrre un reale incremento quantitativo (Masi, in Tr. Res. 2002, 607). Peraltro, alcuni autori ritengono che le addizioni possano eventualmente comportare un aumento di valore della cosa, costituendo in tal caso un vero e proprio miglioramento (c.d. addizioni miglioratizie), ma possano anche prescinderne, costituendo cioè entità voluttuarie (c.d. addizioni non miglioratizie) (Montel, in Tr. Vas. 1962, 385).

Ad avviso della giurisprudenza, il diritto ad un'indennità per i miglioramenti arrecati alla cosa ed esistenti al tempo della restituzione, il quale si correla all'incremento attuale ed effettivo che si verifica, in conseguenza di tali miglioramenti, nel patrimonio del proprietario, spetta al possessore in ogni caso, ex art. 1150, avendo la distinzione tra possessore di buona o mala fede rilevanza unicamente ai fini del calcolo della indennità medesima; ove detti miglioramenti siano costituiti da addizioni, il proprietario, in virtù del disposto dell'art. 936 (comma 4), espressamente richiamato, può obbligare il terzo ad asportarli, salvo che costui le abbia fatte in buona fede o che il proprietario stesso ne fosse a conoscenza e non vi si fosse opposto (Cass. II, n. 12342/2002). 

Resta inteso che, in tema di corresponsione di una somma a titolo di miglioramenti, l'inquadramento della domanda nella fattispecie di cui all'art. 1150 o in quella di cui all'art. 936 è rimessa al potere-dovere di qualificazione del giudice di merito; ne discende che una volta proposta la domanda di conseguimento dell'indennità per i miglioramenti ai sensi della prima ipotesi, ben può lo stesso giudice, senza incorrere in una mutatio libelli non consentita, accogliere la domanda ai sensi della seconda (Cass. II, n. 16804/2018: in applicazione del principio, si è ritenuta corretta la motivazione della sentenza d'appello la quale, sebbene avesse correttamente affermato che la domanda ex art. 1150 presuppone la qualità di possessore e quella ex art. 936 la qualità di terzo, aveva erroneamente concluso che il giudice di primo grado avesse accolto una domanda diversa da quella originariamente proposta in fattispecie nella quale l'azione era stata esperita da due coniugi promissari acquirenti di un immobile detenuto per un certo tempo in vista della stipulazione del contratto definitivo di acquisto, mai concluso posto che il preliminare era stato risolto per inadempimento dei medesimi promissari acquirenti).

Misura dell'indennità

Il diritto ad un'indennità per i miglioramenti arrecati alla cosa ed esistenti al tempo della restituzione, il quale si correla all'incremento attuale ed effettivo che si verifica, in conseguenza di tali miglioramenti, nel patrimonio del proprietario, spetta al possessore in ogni caso, ex art. 1150, avendo la distinzione tra possessore di buona o mala fede rilevanza unicamente ai fini del calcolo della indennità medesima; ove detti miglioramenti siano costituiti da addizioni, il proprietario, in virtù del disposto dell'art. 936 (comma 4), espressamente richiamato, può obbligare il terzo ad asportarli, salvo che costui le abbia fatte in buona fede o che il proprietario stesso ne fosse a conoscenza e non vi si fosse opposto (Cass. II, n. 12342/2002).

Decorrenza della prescrizione del credito per l'indennità

Poiché il diritto del possessore all'indennità per i miglioramenti recati alla cosa e per le addizioni costituenti miglioramento ha come presupposto la sussistenza dei medesimi all'atto della restituzione della cosa migliorata, a tale momento va riportata, ai sensi dell'art. 2935, la decorrenza del termine prescrizionale del diritto medesimo (Cass. II, n. 2876/1991).

Resta inteso (ad avviso di Cass. II, n. 15805/2023) che il principio secondo il quale la domanda giudiziale fa cessare gli effetti del possesso di buona fede che non siano divenuti irrevocabili ed impedisce quelli ulteriori non attiene soltanto all'acquisto dei frutti, ma si riferisce a tutti i possibili effetti del possesso di buona fede, tra i quali è quello che attribuisce al possessore il diritto di essere indennizzato dal proprietario dell'incremento di valore arrecato alla cosa, che resta, dunque, irrilevante, ove dipenda da opere eseguite dopo la notificazione della domanda.

Costruzioni senza autorizzazione

Con riferimento alle indennità dovute al possessore ai sensi dell'art. 1150, l'esecuzione di una costruzione senza autorizzazione (e perciò esposta, in mancanza di condono o di sanatoria, al pericolo di demolizione per ordine della competente autorità amministrativa) non realizza un miglioramento indennizzabile, essendo al riguardo necessario un incremento non precario, ma stabile ed effettivo, nel patrimonio del proprietario; né assume rilievo l'eventualità di una successiva sanatoria dell'abuso, essendo in tal caso esperibile, ai sensi dell'art. 2041, l'azione di arricchimento senza causa, nei limiti della differenza fra la somma dovuta ai sensi dell'art. 1150 e gli oneri economici derivanti dalla sanatoria (Cass. II, n. 11300/2007; Cass. II, n. 8834/1997).

Ai sensi dell'art. 1150, il possessore ha diritto all'indennità per i miglioramenti, purché l'incremento di valore sussista al tempo della restituzione della cosa, in quanto il diritto medesimo prescinde dall'esistenza di un rapporto contrattuale fra le parti e si correla al dato obiettivo dell'incremento di valore secondo criteri di effettività e attualità, traendo il proprietario vantaggio dalla miglioria solo dal momento della reintegrazione nel godimento del bene (Cass. II, n. 8156/2012).

Il diritto del possessore di buona fede ad un indennizzo, secondo la previsione dell'art. 1150, per i miglioramenti arrecati al bene altrui ed esistenti al tempo della restituzione, si correla all'incremento attuale ed effettivo che si verifica, in conseguenza di tali miglioramenti, nel patrimonio dell'attore in rivendicazione; pertanto, ove il miglioramento consista in un'opera necessariamente destinata alla demolizione, deve escludersi la spettanza di tale indennizzo in considerazione della precarietà dell'aumento di valore conseguito dal fondo rivendicato (Cass. II, n. 16012/2002).

Nelle controversie riconducibili alle fattispecie regolate dagli artt. 1150 e 936 nessun indennizzo a carico del proprietario del fondo può essere preteso dal terzo costruttore che abbia realizzato l'opera in violazione della normativa edilizia, autonomamente commettendo nel primo caso, o concorrendo nel secondo, i reati previsti e puniti dagli artt. 31 e 41 l. n. 1150/1942 nonché 10 e 13 l. n. 765/1967, e ciò non tanto perché possano essere poste in dubbio la sussistenza o l'entità della locupletazione del proprietario del fondo nella prospettiva di un ordine di demolizione da parte della pubblica amministrazione competente, quanto piuttosto perché è da ritenere in contrasto con i principi generali dell'ordinamento ed in particolare con la funzione dell'amministrazione della giustizia che possa l'agente conseguire indirettamente, ma pur sempre per via giudiziaria, quel vantaggio che si era ripromesso di ottenere nel porre in essere l'attività penalmente illecita e che in via diretta gli è precluso dagli artt. 1346 e 1418 (Cass. II, n. 6777/2001).

Al possessore del fondo non spetta indennizzo per addizioni consistenti in edifici abusivamente eretti sullo stesso, non potendo ammettersi alcun indennizzo per lo svolgimento di un'attività illecita anche sotto il profilo penale (Cass. II, n. 27408/2013; Cass. II, n. 8834/1997).

Natura dei crediti del possessore

Riguardo alla natura, si è precisato che il credito per l'indennità ex art. 1150 costituisce un credito di valore in quanto mira a reintegrare il patrimonio del possessore che ha eseguito i miglioramenti, onde il giudice è tenuto ad operarne la rivalutazione, tenuto conto della svalutazione monetaria (Cass. II, n. 3792/1990).

L'indennità per i miglioramenti arrecati alla cosa spettante al possessore a norma dell'art. 1150, anche nella forma del rimborso delle spese sostenute per eseguirli, costituisce un debito di valore e, pertanto, essa deve essere determinata dal giudice con riferimento ai valori monetari correnti al momento della liquidazione, tenendo conseguentemente conto, anche d'ufficio, della svalutazione monetaria verificatasi sino a quel momento (Cass. II, n. 11051/1993; Cass. II, n. 1784/1993; Cass. II, n. 8491/1987).

Rapporti con la disciplina dell'accessione

Ai sensi dell'art. 1150, ultimo comma, qualora le addizioni sul bene altrui, costituente miglioramento, siano state apportate dal possessore in buona fede, al possessore medesimo spetta un'indennità nella misura dell'aumento di valore conseguito dalla cosa, mentre resta esclusa la facoltà accordata al proprietario dall'art. 936, ossia la scelta fra il pagamento di detto incremento e l'eventuale minore importo rappresentato dal valore dei materiali e dal prezzo della mano d'opera (Cass. II, n. 8918/1991; Cass. II, n. 2390/1986).

Il coniuge che, in costanza di matrimonio, abbia provveduto a proprie spese ad eseguire migliorie od ampliamenti dell'immobile di proprietà esclusiva dell'altro coniuge ed in godimento del nucleo familiare, in quanto compossessore ha diritto ai rimborsi ed alle indennità contemplate dall'art. 1150 in favore del possessore, nella misura prevista dalla legge a seconda che fosse in buona o mala fede, mentre va esclusa l'invocabilità dell'art. 936, in tema di opere fatte da un terzo con materiali propri, difettando nel compossessore il requisito della terzietà (Cass. I, n. 13259/2009; Cass. I, n. 2199/1989).

Bibliografia

Bigliazzi Geri, Addizioni e miglioramenti, in Enc. giur., I, Roma, 1988; Corsale, Note in tema di possesso di buona fede e obbligo di restituzione dei frutti, in Giur. it. 1994, I, 1, 797; Dimundo, Frutti civili, in Dig. civ., VIII, Torino, 1992; Gaggero, Miglioramenti e addizioni, in Dig. civ., XI, Torino, 1994; Gardani, Ritenzione (diritto di), in Dig. civ., XVIII, Torino, 1998; Gentile, Effetti del possesso e azioni possessorie, Napoli, 1958; Inzitari, Miglioramenti (diritto privato), in Enc. dir., XXVI, Milano, 1976; Natoli, Il possesso, in Il diritto privato oggi, diretto da Cendon, Milano 1992.

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