Codice Civile art. 1164 - Interversione del possesso.

Alberto Celeste

Interversione del possesso.

[I]. Chi ha il possesso corrispondente all'esercizio di un diritto reale su cosa altrui non può usucapire la proprietà della cosa stessa, se il titolo del suo possesso non è mutato per causa proveniente da un terzo o in forza di opposizione da lui fatta contro il diritto del proprietario. Il tempo necessario per l'usucapione [1158-1162] decorre dalla data in cui il titolo del possesso è stato mutato.

Inquadramento

Una volta ricordato che il potere esercitato sulla cosa può corrispondere a quello che vi esercita il titolare di un usufrutto o di un'enfiteusi, la regola è che colui che esercita il potere che spetta all'usufruttuario (che gode la cosa ma non può mutarne la destinazione) o all'enfiteuta (che gode la cosa con l'obbligo di migliorarla, pagando un canone annuo) non possa modificare da se stesso, nella sua sfera psichica interna, il titolo del suo possesso e trasformarlo da possesso a titolo di usufrutto o di enfiteusi a possesso a titolo di proprietà (animo domini) al fine di invocarne l'usucapione. In quest'ottica, con una disposizione analoga a quella contemplata nel precedente art. 1141 riguardo alla detenzione, la norma in commento stabilisce che chi ha il possesso corrispondente all'esercizio di un diritto reale su cosa altrui non può usucapire la proprietà della cosa stessa, se il titolo del suo possesso non è mutato in forza di due condizioni alternative che esteriorizzino tale fenomeno (interversio possessionis), e segnatamente o per causa proveniente da un terzo oppure in forza di opposizione da lui fatta contro il diritto del proprietario, precisando ovviamente, che il tempo necessario per l'usucapione decorre dalla data in cui il titolo del possesso è stato mutato.

Interversio possessionis

Una parte della dottrina ha considerato la norma de qua come una mera applicazione dell'art. 1141, in quanto l'art. 1164 presupporrebbe soltanto il mutamento contestuale di animus e corpus, mentre l'art. 1141, comma 2, prevede soltanto un mutamento di animus (Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale, Milano, 1962, 392). L'opposizione si concretizza in una dichiarazione, anche non formale, rivolta al controinteressato e rimuove l'ostacolo all'acquisto del possesso costituito dalla detenzione, senza creare, peraltro, di per sé stessa, il possesso esclusivo in chi si trovi nella veste di condetentore (dopo l'opposizione, compossessore); la causa proveniente dal terzo, invece, è costituita da un titolo di qualunque genere (anche un contratto invalido), purché idoneo a fondare il possesso (Sacco, in Tr. G. S.-P. 1960, 182).

Dal canto suo, la giurisprudenza ha affermato che la norma dell'art. 1164 disciplina l'interversione del possesso nei soli confronti di chi avendo inizialmente esercitato il possesso corrispondente a un diritto reale su cosa altrui, intenda usucapire la proprietà della cosa stessa, con la conseguenza che tale norma non è, invece, applicabile quando il possesso si sia estrinsecato sin dall'inizio in una attività corrispondente al diritto di proprietà o di comproprietà (Cass. II, 18255/2015; Cass. II, n. 1209/1986).

Se l'affaccio da una veduta su fondo altrui è disciplinato, anche nella durata, dalle parti, titolari dei rispettivi beni, non è configurabile né la tolleranza prevista dall'art. 1144, che prescinde da qualsiasi accordo, né un potere di fatto, corrispondente ad un diritto reale su bene altrui, perché non vi è contrasto con il titolare di esso; pertanto, per l'usucapione di tale diritto, da un lato, è irrilevante il lungo tempo dell'esercizio della facoltà concessa, e, dall'altro, è necessario che l'interversio possessionis, successiva alla prevista cessazione della facoltà, sia idonea a manifestare l'animus possidendi ex art. 1164 (Cass. II, n. 2167/1998).

Posto che il possesso continuo e non interrotto attraverso il quale, con il decorso del tempo legislativamente previsto, si perviene all'acquisto a titolo originario della proprietà di un bene immobile, è quello che si esplica attraverso l'esercizio delle facoltà di godimento tipiche del diritto di proprietà, comprendenti tutte le forme di utilizzazione e disposizione del bene, ove il soggetto che intende usucapire la proprietà di un terreno sia titolare di un diritto di servitù sullo stesso, risulta idonea a tale scopo solo l'esplicazione di quelle attività corrispondenti all'esercizio delle residue forme di utilizzazione e disposizione che sono espressioni del diritto di proprietà, e non sono, invece, connaturate al diritto di servitù, né espressione non univoca di entrambi i diritti (Cass. II, n. 708/2001).

Resta inteso che la mera mancata riconsegna del bene al comodante, nonostante le reiterate richieste di questi, a seguito di estinzione del comodato è inidonea a determinare l'interversione della detenzione in possesso, traducendosi nell'inottemperanza alle pattuizioni in forza delle quali la detenzione era stata costituita, suscettibile, in sé, di integrare un'ordinaria ipotesi di inadempimento contrattuale all'obbligo restitutorio gravante per legge sul comodatario (Cass. II, n. 8213/2016).

Si è ulteriormente chiarito, in tema di espropriazione forzata, il provvedimento di aggiudicazione non determina automaticamente, per il solo fatto che esso venga pronunciato ed a prescindere dalla sua esecuzione, il mutamento dell'animus rem sibi habendi del proprietario espropriato, trasformandolo in animus detinendi alieno nomine, con la conseguenza che l’aggiudicazione trasferisce la proprietà e non il possesso del bene (Cass. II, n. 4047/2024).

Usufruttuario e enfiteusi

L'usufruttuario, ancorché possessore rispetto ai terzi, è nel rapporto con il nudo proprietario, mero detentore del bene, con la conseguenza che egli può usucapirne la proprietà solo ponendo in essere un atto di interversione del possesso esteriorizzato in maniera inequivocabile e riconoscibile, vale a dire attraverso un'attività durevole, contrastante e incompatibile con il possesso altrui (Cass. II, n. 335/2011).

Ove su di un immobile coesistano il diritto del nudo proprietario e quello dell'usufruttuario, il possesso che acquista rilievo ai fini dell'usucapione è, in primo luogo, configurabile a favore dell'usufruttuario, il quale può esercitarlo anche a vantaggio del nudo proprietario, ampliandone il godimento anche attraverso la costituzione di servitù attive; peraltro, se il nudo proprietario ha, di fatto, la disponibilità del bene, possono assumere rilievo anche gli atti di possesso dal medesimo compiuti, l'esercizio dei quali costituisce onere probatorio della parte che lo invochi (Cass. II, n. 21231/2010).

Comproprietà e compossesso

Particolare attenzione hanno prestato i giudici di legittimità riguardo alle situazioni di comproprietà e compossesso.

Invero, il godimento di un bene comune da parte del singolo contitolare può integrare possesso idoneo all'acquisto per usucapione del bene medesimo solo quando presenti connotati di esclusività ed incompatibilità con il compossesso degli altri partecipanti e si traduca perciò in un'attività durevole, apertamente contrastante ed inoppugnabilmente incompatibile con il possesso altrui, e non anche, pertanto, per il mero fatto che si risolva in un'utilizzazione di detto bene più intensa o diversa da quella praticata dagli altri comunisti o condomini (Cass. II, n. 24133/2009).

In una situazione di compossesso — come quella esistente tra i componenti di una comunione ereditaria in pendenza del giudizio di divisione — è ravvisabile una lesione possessoria solo quando uno dei condividenti abbia alterato e violato, senza il consenso e in pregiudizio degli altri partecipanti, lo stato di fatto o la destinazione della cosa oggetto del comune possesso, in modo da impedire o restringere il godimento spettante a ciascun compossessore sulla cosa medesima mediante atti integranti un comportamento durevole, tale da evidenziare un possesso esclusivo animo domini su tutta la cosa, incompatibile con il permanere del possesso altrui (Cass. II, n. 25646/2008).

Sempre in materia di successione ereditaria, si è affermato (Cass. II, n. 35067/2022) che il coerede, prima della divisione, può usucapire la quota degli altri coeredi, senza necessità di invertire il titolo del possesso, allorché eserciti il proprio possesso in termini di esclusività, ossia in modo inconciliabile con la possibilità di godimento altrui e tale da evidenziare l'inequivoca volontà di possedere uti dominus e non più uti condominus, della cui prova è onerato, non essendo sufficiente che gli altri partecipanti si astengano dall'uso della cosa, aggiungendo, peraltro, che tale volontà non può desumersi dal fatto che lo stesso abbia utilizzato e amministrato il bene ereditario attraverso il pagamento delle imposte e lo svolgimento di opere di manutenzione, operando la presunzione iuris tantum che egli abbia agito nella qualità di coerede e abbia anticipato anche la quota degli altri.

In tema di comunione, anche in mancanza di un atto formale di interversione del possesso, può essere usucapita la quota di un comproprietario da parte degli altri, sempre che l'esercizio della signoria di fatto sull'intera proprietà comune non sia dovuto alla mera astensione del titolare della quota ma risulti inconciliabile con la possibilità di godimento di quest'ultimo ed evidenzi, al contrario, in modo del tutto univoco, la volontà di possedere uti dominus e non uti condominus (Cass. II, n. 12775/2008).

In tema di compossesso, il godimento esclusivo della cosa comune (nella specie gestione del fondo agricolo) da parte di uno dei compossessori non è, di per sé, idoneo a far ritenere lo stato di fatto così determinatosi funzionale all'esercizio del possesso ad usucapionem e non anche, invece, conseguenza di un atteggiamento di mera tolleranza da parte dell'altro compossessore, risultando necessario, a fini della usucapione, la manifestazione del dominio esclusivo sulla res communis da parte dell'interessato attraverso un'attività durevole, apertamente contrastante ed inoppugnabilmente incompatibile con il possesso altrui, gravando l'onere della relativa prova su colui che invochi l'avvenuta usucapione del bene (Cass. II, n. 19478/2007; cui adde Cass. II, n. 17322/2010).

In tema di possesso ad usucapionem di beni immobili, la fattispecie acquisitiva del diritto di proprietà si perfeziona allorché il comportamento materiale, continuo ed ininterrotto, attuato sulla res sia accompagnato dall'intenzione resa palese a tutti di esercitare sul bene una signoria di fatto corrispondente al diritto di proprietà, sicché, in materia di usucapione di beni oggetto di comunione, il comportamento del compossessore, che deve manifestarsi in un'attività apertamente ed obiettivamente contrastante con il possesso altrui, deve rivelare in modo certo ed inequivocabile l'intenzione di comportarsi come proprietario esclusivo (Cass II, n. 11419/2003).

Il comproprietario può usucapire la quota degli altri comproprietari estendendo la propria signoria di fatto sulla res communis in termini di esclusività, ma a tal fine non è sufficiente che gli altri partecipanti si siano limitati ad astenersi dall'uso della cosa, occorrendo, per converso, che il comproprietario in usucapione ne abbia goduto in modo inconciliabile con la possibilità di godimento altrui, in modo tale, cioè, da evidenziarne una inequivoca volontà di possedere uti dominus e non più uti condominus (Cass. II, n. 9903/2006; Cass. II, n. 11842/1997).

Il coerede il quale, dopo la morte del de cuius , sia rimasto nel possesso del bene ereditario, può, prima della divisione, usucapire la quota degli altri coeredi: a tal fine, lo svolgimento di trattative con gli altri coeredi per la vendita da parte di costoro dei diritti loro spettanti sulla comune eredità non è incompatibile con il possesso esclusivo del coerede possessore che non abbia ancora maturato l'usucapione (Cass. II, n. 27287/2005). Si è chiarito (Cass. II, n. 10734/2018) che, al medesimo fine, egli, che già possiede animo proprio ed a titolo di comproprietà, è tenuto ad estendere tale possesso in termini di esclusività, il che avviene quando il coerede goda del bene con modalità incompatibili con la possibilità di godimento altrui e tali da evidenziare una inequivoca volontà di possedere uti dominus e non più uti condominus, non essendo, al riguardo, univocamente significativo che egli abbia utilizzato ed amministrato il bene ereditario e che i coeredi si siano astenuti da analoghe attività, sussistendo la presunzione iuris tantum che abbia agito nella qualità e operato anche nell'interesse degli altri (in tal senso, v., da ultimo, Cass. II, n. 9359/2021, la quale, riformando la pronuncia di merito, ha escluso che possa costituire prova dell'usucapione di un appartamento la circostanza che il coerede, che già vi abitava con il padre, abbia continuato, dopo la morte di questi, ad essere l'unico ad averne la disponibilità).

Il coerede o il partecipante alla comunione può usucapire l'altrui quota indivisa della cosa comune, dimostrando l'intenzione di possedere non a titolo di compossesso ma di possesso esclusivo (uti dominus) e senza opposizione per il tempo al riguardo prescritto dalla legge, senza la necessità di compiere atti di interversio possessionis alla stregua dell'art. 1164, potendo, invece, il mutamento del titolo consistere in atti integranti un comportamento durevole, tali da evidenziare un possesso esclusivo ed animo domini della cosa, incompatibili con il permanere del compossesso altrui; viceversa, non sono al riguardo sufficienti atti soltanto di gestione consentiti al singolo compartecipante o anche atti familiarmente tollerati dagli altri, o ancora atti che, comportando solo il soddisfacimento di obblighi o erogazione di spese per il miglior godimento della cosa comune, non possono dare luogo ad un estensione del potere di fatto sulla cosa nella sfera di altro compossessore (Cass. II, n. 9100/2018; Cass. II, n. 16841/2005; Cass. II, n. 5127/1999).

Il chiamato all'eredità subentra al de cuius nel possesso dei beni ereditari senza la necessità di materiale apprensione, come si desume dall'art. 460 che lo abilita, anche prima dell'accettazione, alla proposizione delle azioni possessorie a tutela degli stessi, così come l'erede, exart. 1146, vi succede con effetto dall'apertura della successione; ne consegue che, nell'uno e nell'altro caso, instauratasi una situazione di compossesso sui beni ereditari, qualora uno dei coeredi (o dei chiamati) impedisca agli altri di partecipare al godimento di un cespite, trattenendone le chiavi e rifiutandone la consegna di una copia, tale comportamento — che manifesta una pretesa possessoria esclusiva sul bene — va considerato atto di spoglio sanzionabile con l'azione di reintegrazione (Cass. II, n. 1741/2005).

Il coerede, il quale dopo la morte del de cuius sia rimasto nel possesso del bene ereditario, può, prima della divisione, usucapire la quota degli altri coeredi, senza che sia necessaria l'interversione del titolo del possesso (artt. 1102,1141 e 1164), attraverso l'astensione del possesso medesimo in termini di esclusività ma a tal fine non è sufficiente che gli altri partecipanti si siano astenuti dall'uso comune della cosa, occorrendo altresì che il coerede ne abbia goduto in modo inconciliabile con la possibilità di godimento altrui e tale da evidenziale un'inequivoca volontà di possedere uti dominus e non più uti condominus; poiché, peraltro, tale volontà non può desumersi dal fatto che il coerede abbia utilizzato e amministrato il bene ereditario, provvedendo fra l'altro al pagamento delle imposte e alla manutenzione (sussistendo al riguardo una presunzione iuris tantum che egli abbia agito nella qualità e che abbia anticipato le spese anche relativamente alla quota degli altri coeredi), il coerede che invochi l'usucapione ha l'onere di provare che il rapporto materiale con il bene si è verificato in modo da escludere, con palese manifestazione del volere, gli altri coeredi dalla possibilità di instaurare analogo rapporto con il medesimo bene ereditario (Cass. II, n. 5226/2002).

Per il combinato disposto degli artt. 1102, comma 2, 1141, comma 2, e 1164 con riferimento ai beni in comunione non è sufficiente il solo possesso perché possa maturare l'usucapione a favore di uno dei partecipanti, occorrendo un comportamento materiale che esteriorizzi sin dall'inizio in maniera non equivoca l'intento di possedere il bene in maniera esclusiva (Cass. II, n. 12961/2000).

In tema di compossesso, il godimento esclusivo della cosa comune da parte di uno dei compossessori non è, di per sé, idoneo a far ritenere lo stato di fatto così determinatosi funzionale all'esercizio del possesso ad usucapionem, e non anche, invece, conseguenza di un atteggiamento di mera tolleranza da parte dell'altro compossessore, risultando, per converso, necessario, a fini di usucapione, la manifestazione del dominio esclusivo sulla res da parte dell'interessato attraverso un'attività apertamente contrastante ed inoppugnabilmente incompatibile con il possesso altrui, gravando l'onere della relativa prova su colui che invochi l'avvenuta usucapione del bene (Cass. II, n. 8152/2001).

Bibliografia

Botta, Acquisto per usucapione e validità dell'atto di trasferimento dell'immobile, in Not. 2007, 6; Guerinoni, L'usucapione, in Trattato dei diritti reali, diretto da Gambaro e Morello, I, Milano, 2008; Montel-Sertorio, Usucapione, in Nss. D.I., XX, Torino, 1975; Natali, L'acquisto di servitù per usucapione, in Immob. & proprietà 2006, 212; Peratoner, Usucapione e trascrizione, in Giur. it. 2005, I; Ruperto, Usucapione (diritto vigente), in Enc. dir., XLV, Milano, 1992; Vitucci, Acquisto per usucapione e legittimazione a disporre, in Giust. civ. 2004, II.

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