Codice Civile art. 1186 - Decadenza dal termine.Decadenza dal termine. [I]. Quantunque il termine sia stabilito a favore del debitore, il creditore può esigere immediatamente la prestazione se il debitore è divenuto insolvente [1868] o ha diminuito, per fatto proprio, le garanzie che aveva date o non ha dato le garanzie che aveva promesse [1274, 1299, 1313, 1626, 1844 2, 1850, 1867, 1877, 2743]. InquadramentoLa presunzione in ordine all'operatività, in favore del debitore, del termine di adempimento, dettata dall'art. 1184, trova un contemperamento nella previsione dell'art. 1186, che subordina la persistenza del beneficio del termine alla fiducia riposta dal creditore nella solvibilità del proprio obbligato. Sicché, quando la solvibilità del debitore, assicurata dalla sussistenza della garanzia generica del suo patrimonio ovvero di garanzie specifiche concesse a tutela del credito, venga meno, sono integrati i presupposti per la decadenza dal beneficio del termine (Di Majo, in Comm. S.B., 1988, 223). In questo senso la previsione ha natura cautelare, appunto perché tende a salvaguardare la situazione di pericolo che potrebbe determinarsi per il creditore (Di Majo, in Comm. S.B., 1988, 223). Pertanto, qualora nella sfera del debitore intervengano modificazioni patrimoniali tali da far temere un suo successivo inadempimento, la legge attribuisce al creditore la facoltà di esigere immediatamente la prestazione dovuta, senza l'attesa del decorso del termine originariamente previsto, il che potrebbe compromettere definitivamente le aspettative del creditore stesso (Natoli, in Tr. C.M., 1974, 125). La decadenza dal beneficio del termine può realizzarsi: a) per la sopravvenuta insolvenza del debitore; b) per la diminuzione delle garanzie già date; c) per la mancata concessione delle garanzie che il debitore aveva promesso. Nella prima ipotesi è compromessa la garanzia patrimoniale generica, negli altri due casi vengono diminuite o non concesse le garanzie specifiche (Natoli, in Tr. C.M., 1974, 126). La prova di tali condizioni può essere fornita anche per presunzioni. La decadenza dal beneficio del termine, in presenza dei relativi presupposti, non esige una previa pronunzia giudiziale di natura costitutiva, ma ben può essere fatta valere unitamente alla domanda di adempimento immediato (Di Majo, in Comm. S.B., 1988, 231). Secondo la giurisprudenza, la finalità della previsione è quella di accelerare l'esecuzione della prestazione quando vi sia il rischio che le garanzie patrimoniali offerte dal debitore si possano perdere (Cass. n. 1783/1972). La possibilità per il creditore di esigere immediatamente la prestazione, quantunque sia stabilito un termine a favore del debitore, non postula il conseguimento di una preventiva pronuncia giudiziale, né la formulazione di un'espressa domanda, potendo essere il diritto al pagamento immediato virtualmente dedotto con la domanda o il ricorso per ingiunzione di pagamento del debito non ancora scaduto, in quanto la sentenza o il decreto che tale domanda accolgano devono ritenersi contenere un implicito accertamento positivo delle condizioni per l'applicabilità della citata norma (Cass. n. 20042/2020; Cass. n. 24330/2011; Cass. n. 6984/2003). Anche la giurisprudenza precedente si esprime nel senso che la decadenza possa essere fatta valere con la richiesta di immediato adempimento (Cass. n. 5371/1989), la quale integra un atto unilaterale recettizio, che determina l'effetto della decadenza dal momento in cui perviene a conoscenza del debitore (Cass. n. 3865/1984). Qualora si realizzino i presupposti per la decadenza dal beneficio del termine, di cui il creditore si avvalga, non è escluso che il creditore possa riammettere il debitore al beneficio prima dell'adempimento, come può desumersi sia per manifestazione di volontà espressa sia per fatti concludenti; ciò accade, ad esempio, quando il creditore accetti il pagamento delle sole rate scadute (App. Genova, 26 marzo 2001). La nozione di insolvenzaSecondo una parte della dottrina, nel caso in cui il debitore sia un imprenditore non sussisterebbe differenza alcuna tra l'insolvenza di cui all'art. 1186 e l'insolvenza fallimentare descritta dall'art. 5 l. fall. (per la nuova disciplina v. l’art. 2, comma 1, lett. b) d.lgs. n. 14/2019 “Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza”) (Bianca, 221). Secondo altra parte della dottrina, ai fini del fallimento, il dissesto non deve necessariamente concretarsi in un'eccedenza del passivo sull'attivo nel bilancio del debitore, essendo invece rilevante che il debitore sia indotto dalle proprie difficoltà finanziarie a ricorrere a mezzi anormali per il pagamento, rivelando così il proprio stato di debolezza patrimoniale. Diversamente l'insolvenza di cui all'art. 1186 si riscontrerebbe nell'ipotesi in cui il dissesto economico sia rappresentato da un effettivo sbilancio della situazione complessiva del debitore, il cui passivo deve prevalere sull'attivo, essendo invece irrilevante la mera difficoltà del singolo pagamento dovuta ad una temporanea mancanza di liquidità per il debitore (Natoli, in Tr. C.M., 1974, 127). Secondo una ulteriore impostazione, tra i due concetti non vi è una differenza qualitativa ma meramente quantitativa, con l'effetto che l'insolvenza rilevante ai fini della decadenza sarebbe espressione di una situazione di pericolo rappresentata dal venir meno della garanzia generica costituita dal patrimonio del debitore mentre l'insolvenza fallimentare rappresenterebbe l'aggravamento e la concretizzazione di quel pericolo. Lo stato di insolvenza rilevante ai fini di integrare l'istituto della decadenza dal beneficio del termine si distingue altresì dal mutamento delle condizioni patrimoniali di uno dei contraenti, rilevante nei contratti a prestazioni corrispettive ai fini di autorizzare la controparte a sospendere l'esecuzione della propria prestazione, ai sensi dell'art. 1461. Entrambe le norme forniscono al creditore strumenti di cautela rispetto ad una situazione di pericolo per il proprio credito, ma la maggiore incisività della tutela di cui all'art. 1186 trova giustificazione nella più grave situazione di squilibrio patrimoniale a cui è subordinata la relativa applicazione (Natoli, in Tr. C.M., 1974, 129). In base all'analisi della S.C., lo stato di insolvenza rilevante ai fini della decadenza del debitore dal beneficio del termine è costituito da una situazione di dissesto economico, sia pure temporaneo, in cui il debitore venga a trovarsi, la quale renda verosimile l'impossibilità da parte di quest'ultimo di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni. Tale stato di insolvenza non deve rivestire i caratteri di gravità e irreversibilità, potendo conseguire anche ad una situazione di difficoltà economica e patrimoniale reversibile, purché idonea ad alterare, in senso peggiorativo, le garanzie patrimoniali offerte dal debitore, e va valutato con riferimento al momento della decisione (Cass. n. 17362/2023; Cass. n. 24330/2011). Altri arresti si esprimono in termini di squilibrio nella capacità di fare fronte alle obbligazioni al fine di descrivere la condizione di insolvenza rilevante (Cass. n. 12126/2008; Cass. n. 1343/1978). L'insolvenza prevista non postula necessariamente un collasso economico, ma solo l'impotenza a soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni (Cass. n. 1750/1976). Il mero inadempimento di un'obbligazione non può, di per sé, dimostrare lo stato di insolvenza, questa consistendo in una situazione di sbilancio economico (Cass. n. 3010/1975). Ancora, l'ammissione dell'imprenditore alla procedura di amministrazione controllata, il cui presupposto è la temporanea difficoltà di adempiere le proprie obbligazioni, comporta la decadenza del medesimo dal beneficio del termine con riferimento all'ipotesi in cui il debitore sia divenuto insolvente, non sussistendo incompatibilità tra tale decadenza e il blocco dei pagamenti che caratterizza la procedura di amministrazione controllata, dato che in realtà questa preclude solo, per i titoli o le cause anteriori alla data del decreto del tribunale, le azioni esecutive sul patrimonio del debitore, senza incidere sull'esigibilità dei crediti, sulla consequenziale decorrenza degli interessi e sull'ammissibilità di azioni giudiziarie di cognizione, tanto di accertamento che di condanna (Cass. n. 3024/1995). La riduzione o la mancata dazione delle garanzie specificheLa decadenza dal beneficio del termine si realizza anche quando il debitore diminuisca per fatto proprio le garanzie che in precedenza aveva concesso ovvero non conceda le garanzie che a suo tempo aveva promesso. La norma intende fare riferimento alle garanzie specifiche in senso stretto. Pertanto, non comporta decadenza il venir meno della condizione cui la legge subordina l'esistenza di un privilegio del creditore, in quanto il privilegio si ricollega alla qualità del credito e non ad un particolare rapporto di garanzia; allo stesso modo, non vi è decadenza nel caso in cui il debitore non abbia provveduto al rilascio dei titoli cambiari promessi (Natoli, in Tr. C.M., 1974, 133). Il richiamo al fatto proprio deve ritenersi esteso ad entrambe le fattispecie della diminuzione e della mancata dazione, con la conseguenza che è richiesto comunque che il debitore versi in stato di colpa affinché possa operare la decadenza (Di Majo, in Comm. S.B., 1988, 226). Sotto questo profilo, nel caso di deterioramento della cosa data in pegno o sottoposta ad ipoteca, la regola di cui all'art. 1186 deve essere integrata dalla previsione dell'art. 2743, secondo cui anche nel caso di deterioramento avvenuto per caso fortuito, il creditore può chiedere che gli sia prestata idonea garanzia su altri beni e, in mancanza, può chiedere l'immediato pagamento del credito. Da ciò si deduce che, se la diminuzione della garanzia avviene per colpa del debitore, la decadenza è immediata; altrimenti essa consegue alla mancata reintegrazione della garanzia venuta meno (Natoli, in Tr. C.M., 1974, 134). Secondo la giurisprudenza, la decadenza concerne le sole garanzie in senso proprio, sicché l'istituto non si applica nel caso di mancato rilascio delle cambiali promesse (Trib. Firenze 1 ottobre 1966). La norma, quando allude al fatto proprio del debitore, postula il requisito della colpa del debitore al fine della decadenza fuori dall'ipotesi dell'insolvenza (Cass. n. 897/1948). La decadenza dal beneficio del termine per insolvenza del debitore, a carico dell'obbligato cambiario principale, comporta analoga decadenza rispetto all'obbligazione del di lui avallante, anche se questi non sia divenuto insolvente (Cass. n. 4855/2007). Inoltre, la decadenza del debitore dal beneficio del termine deve essere estesa al terzo fideiussore, in quanto quest'ultimo è obbligato in solido col debitore principale e non può che essere tenuto al pagamento del debito negli stessi modi e termini del rapporto principale, stante il rapporto di accessorietà del rapporto fideiussorio rispetto al rapporto garantito (Trib. Siena 19 febbraio 1986; Trib. Milano 26 gennaio 1984). La tassatività delle ipotesi delineateSecondo l'opinione maggioritaria, l'elencazione delle ipotesi che giustificano la decadenza dal beneficio del termine è tassativa, cosicché non vi rientrano fattispecie eterogenee, riconducibili ad altri istituti, come la manifestazione della volontà di non voler adempiere, o comunque la pacifica emersione di tale volontà, prima che il termine scada, ipotesi che integra la mora ex re (Natoli, in Tr. C.M., 1974, 136). In base ad altra impostazione, la norma in tema di decadenza dal termine esprimerebbe il principio per il quale ogni fatto del debitore che metta in pericolo il soddisfacimento del credito rende il debitore immeritevole del beneficio accordatogli dalla legge, sicché anche quando il debitore dichiari preventivamente di non volere adempiere opererebbe la decadenza (Bianca, 223). Peraltro, i presupposti della mora automatica sono alquanto restrittivi in quanto presuppongono la dichiarazione per iscritto dell'intenzione di non adempiere e non regolano specificamente gli effetti della dichiarazione rilasciata prima della scadenza del termine di adempimento. Né la previsione specifica dell'art. 1219, comma 2, n. 2, esclude che, all'esito della manifestazione della volontà di non adempiere, il debitore possa rimeditare la propria scelta ed adempiere. Sicché tale contegno sarebbe piuttosto valutabile sotto il profilo della violazione dei canoni di correttezza e buona fede (Natoli, in Tr. C.M., 1974, 139). Parte della dottrina ritiene inoltre che le ipotesi tassative previste dalla norma affinché possa operare l'istituto della decadenza dal beneficio del termine non sarebbero applicabili ad alcuni contratti tipici, attesa l'incompatibilità con le previsioni specifiche ad essi dedicate. Tra questi rientra il contratto di apertura di credito bancario, posto che l'art. 1845 prevede che l'istituto di credito possa recedere per giusta causa ed, all'uopo, debba essere concesso un termine di 15 giorni per la restituzione delle somme dovute, termine che non viene meno quando la giusta causa di recesso sia rappresentata dall'insolvenza del correntista (Di Majo, in Comm. S.B., 1988, 227). Lo stesso autore reputa che la decadenza non operi neanche nel contratto di mutuo, nel caso di insolvenza del mutuatario, poiché in questa evenienza la restituzione dell'intero si giustifica in ragione della risoluzione anticipata del contratto, ai sensi dell'art. 1819, mentre nella fattispecie di promessa di mutuo l'insolvenza del promissario giustifica il rifiuto dell'adempimento dell'obbligazione del promittente, ai sensi dell'art. 1822 (Di Majo, in Comm. S. B., 1988, 229). Alcune pronunzie hanno equiparato la dichiarazione del debitore di non volere adempiere accompagnata dalla cessazione delle attività preparatorie alla dichiarazione dell'intento definitivo di non volere adempiere, ai fini della maturazione della decadenza dal beneficio del termine (Cass. n. 1721/1982). La disposizione di carattere generale dell'art. 1186, che consente al creditore di esigere immediatamente la prestazione anche quando per essa sia stato stabilito un termine nell'interesse del debitore, se questo è divenuto insolvente o ha diminuito per fatto proprio le garanzie o non ha dato le garanzie promesse, può essere derogata dalle parti o dalla disciplina particolare dei singoli contratti e non è, dunque, applicabile nel contratto di apertura di credito bancario a termine, in cui, ai sensi dell'art. 1845, il recesso della banca prima della scadenza del termine è possibile per giusta causa o quando sia stato previsto dalle parti (Cass. n. 9307/1994; Cass. n. 9943/1993). Con specifico riferimento ad un contratto di sconto bancario, la decadenza dal beneficio del termine non è configurabile rispetto ad un debito sospeso, anziché differito o a termine (Cass. n. 4163/1990). Ancora, in materia di vendita con pagamento rateale, non sussiste, salva speciale pattuizione, il diritto del venditore adempiente, il quale non intenda agire per la risoluzione contrattuale, di chiedere anche il pagamento delle rate non scadute, per la corresponsione delle quali sono stati apposti altrettanti termini in favore del debitore, e ciò perché la decadenza dal beneficio del termine non si verifica per il solo fatto dell'inadempimento della parte a cui favore il termine è stato apposto, ma soltanto nella ricorrenza delle ipotesi a tal fine previste dalla citata disposizione (Cass. n. 3178/1962). Secondo la giurisprudenza di merito, l'art. 1186 è applicabile al contratto di mutuo (Trib. Modica 13 novembre 1987). BibliografiaBianca, Diritto civile, IV, L'obbligazione, Milano 1997; Bigliazzi Geri, voce Buona fede nel diritto civile, in Dig. civ., 1988; Di Majo, Le modalità delle obbligazioni, Bologna-Roma, 1986; Di Majo, L'adempimento dell'obbligazione, Bologna 1993; Giorgianni, voce Obbligazione (diritto privato), in Nss. D.I., Torino, 1965; Nicolò, voce Adempimento (diritto civile), in Enc. dir., Milano, 1958; Rescigno, voce Obbligazioni (nozioni), in Enc. dir., Milano 1979; Rodotà, voce Diligenza (diritto civile), in Enc. dir., Milano, 1964; Romano, voce Buona fede (diritto privato), in Enc. dir., Milano, 1959; Rovelli, voce Correttezza, in Dig. civ., 1989; Schlesinger, Il pagamento al terzo, Milano, 1961. |