Codice Civile art. 1226 - Valutazione equitativa del danno. [ 2056 ]Valutazione equitativa del danno. [2056] [I]. Se il danno non può essere provato nel suo preciso ammontare, è liquidato dal giudice con valutazione equitativa [113, 432 c.p.c.]. InquadramentoQuando la quantificazione del danno non può essere dimostrata, la liquidazione giudiziale avviene secondo equità. Detta equità non corrisponde a quella regolata dall'art. 114 c.p.c. in cui il giudice individua una soluzione equitativa della fattispecie. Per converso, nella valutazione equitativa del danno non patrimoniale o di impossibile quantificazione l'equità è esclusivamente un criterio di determinazione del contenuto di una pretesa riconosciuta (Bianca, in Comm. S.B., 1988, 387). Pertanto, deve comunque essere fornita adeguata dimostrazione della ricorrenza di un danno risarcibile mentre la valutazione equitativa soccorre solo in ordine alla individuazione del preciso ammontare del nocumento e della relativa liquidazione pecuniaria. Si tratta dunque di un criterio di chiusura del sistema applicabile allorché la base del danno risarcibile non sia regolata in via preventiva dalla legge, oppure non sia stabilita dai contraenti entro i limiti fissati dall'ordinamento, o ancora il danno non possa essere provato giudizialmente nel suo preciso ammontare. In base a tali principi anche la liquidazione equitativa del danno futuro postula che sia stata raggiunta la prova della sua integrazione, essendo solo carente, senza colpa, la prova della sua entità (Bianca, in Comm. S.B., 1988, 394). Il ricorso alla valutazione equitativa non esige l'istanza di parte. L'esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa, quale espressione del più generale potere di cui all'art. 115 c.p.c., dà luogo non già ad un giudizio di equità sostitutiva, ma ad un giudizio di diritto caratterizzato dall'equità giudiziale correttiva od integrativa, con la conseguenza che la sentenza pronunciata dal giudice nell'esercizio di tale potere non è assoggettata ai limiti di appellabilità previsti per le sentenze pronunciate secondo equità dall'art. 339 c.p.c. (Cass. n. 15605/2022 ; Cass. n. 4310/2018; Cass. n. 21103/2013; Cass. n. 20990/2011; Cass. n. 10607/2010).Il giudice può fare ricorso al criterio della liquidazione equitativa del danno, ove ne sussistano le condizioni, anche senza domanda di parte, trattandosi di criterio rimesso al suo prudente apprezzamento; tale facoltà può essere esercitata d'ufficio pure dal giudice di appello ( Cass. n. 2831/2021;Cass. n. 1636/2020; Cass. n. 2655/1961). Anche la giurisprudenza conferma che, in sede di liquidazione equitativa del danno, ciò che necessariamente si richiede è la prova, anche presuntiva, della sua certa esistenza, nonché del nesso di causalità giuridica che lo lega all'inadempimento (Cass. n. 8941/2022), in difetto della quale non vi è spazio per alcuna forma di attribuzione patrimoniale, attenendo il giudizio equitativo solo all'entità del pregiudizio medesimo, in considerazione dell'impossibilità o della grande difficoltà di dimostrarne la misura (Cass. n. 127/2016; Cass. n. 11968/2013; Cass. n. 27447/2011; Cass. n. 15585/2007; Cass. n. 9244/2007). Quindi, la liquidazione equitativa del danno postula la dimostrazione , da parte del danneggiato, del l'esistenza di un pregiudizio risarcibile (Cass. n. 6957/2024) nonché il preventivo accertamento che l'impossibilità o l'estrema difficoltà di una stima esatta del danno stesso sia legata a fattori oggettivi , non già a lla negligenza della parte danneggiata nell'allegarne e dimostrarne gli elementi dai quali desumerne l'entità (Cass. n. 9744/2023). La liquidazione del danno da perdita della capacità lavorativa specifica, pur diretta alla tendenziale integralità del ristoro e non meramente simbolica, può essere solo equitativa trattandosi di danno patrimoniale futuro, sicché essa va condotta con prudente e ragionevole apprezzamento di tutte le circostanze del caso (e, in specie, della rilevanza economica del danno alla stregua della coscienza sociale e dei vari fattori incidenti sulla gravità della lesione), dovendo il giudice spiegare le ragioni del processo logico sul quale la valutazione equitativa operata si fonda, indicando i criteri assunti a base del procedimento adottato (Cass. n. 14645/2015), salvo che la vittima continui a lavorare e produrre reddito e dunque possa dimostrare di quanto quest'ultimo sia diminuito (Cass. n. 15737/2018; Cass. n. 11361/2014). Le condizioni della liquidazione equitativaAffinché possa farsi legittimo ricorso all'equità per la quantificazione del danno deve trattarsi di danni non patrimoniali, la cui liquidazione per definizione non può essere dimostrata secondo canoni rigidi, ovvero di danni che non possono essere provati nel loro preciso ammontare per l'impossibilità assoluta o relativa o per la rilevante difficoltà di prova, non già per la semplice complessità della dimostrazione. La difficoltà della liquidazione attiene ai mezzi probatori di cui dispone o potrebbe diligentemente disporre il danneggiato (Bianca, in Comm. S.B., 1988, 394). E nondimeno l'allegazione di mezzi di prova non preclude al giudice la facoltà di avvalersi della liquidazione equitativa ove tali elementi siano reputati insufficienti o inaffidabili in ordine alla dimostrazione dell'ammontare del danno. All'uopo il giudice non può ignorare i fatti notori che incidano sul danno o quelli che emergano complessivamente dalle risultanze istruttorie. D'altronde è onere della parte danneggiata fornire i dati di fatto che valgano ad orientare il giudice nella quantificazione, sebbene l'adempimento di tale onere non possa condizionare l'applicazione della norma (Bianca, in Comm. S.B., 1988, 401). Sono estranei al giudizio equitativo i fattori che non incidono sul danno, come le facoltose condizioni economiche del danneggiante. Anche il lucro cessante e il danno futuro devono essere quantificati secondo equità (Bianca, in Comm. S.B., 1988, 397). L'equità è altresì criterio di liquidazione valevole quando la legge si riferisca a indennizzi o indennità. La liquidazione equitativa è ammissibile anche per una frazione del danno dedotto. L'ammissibilità della valutazione equitativa nella quantificazione del danno non esclude comunque che il giudice debba attenersi a dei parametri oggettivi che orientino tale ponderazione secondo un adeguato processo logico-giuridico in modo da impedire che detta valutazione diventi del tutto arbitraria e sottratta ad ogni controllo (Cass. n. 28075/2021; Cass. n. 26051/2020;Cass. n. 2327/2018; Cass. n. 8213/2013; Cass. n. 4047/2013; Cass. n. 16094/2005). Infatti, la liquidazione equitativa, anche nella sua forma cd. "pura", consiste in un giudizio di prudente contemperamento dei vari fattori di probabile incidenza sul danno nel caso concreto, sicché, pur nell'esercizio di un potere di carattere discrezionale, il giudice è chiamato a dare conto, in motivazione, del peso specifico attribuito ad ognuno di essi, in modo da rendere evidente il percorso logico seguito nella propria determinazione e consentire il sindacato del rispetto dei principi del danno effettivo e dell'integralità del risarcimento (Cass. n. 341/2025; Cass. n. 18795/2021; Cass. n. 22272/2018). Sicché nell'effettuare la liquidazione equitativa del danno non patrimoniale è necessario che il giudice si riferisca alla gravità del fatto, alle condizioni soggettive della persona, all'entità della sofferenza e del turbamento d'animo, in quanto altrimenti la stessa si pone al di fuori del fondamento e dei limiti di cui all'art. 1226, rendendo impossibile il controllo dell'iter logico seguito dal giudice di merito nella relativa quantificazione (Cass. n. 21087/2015; Cass. n. 16222/2015; Cass. n. 3582/2013). In base a tale criterio si è ritenuta priva di motivazione la riduzione del quantum del risarcimento relativo al danno morale patito dai congiunti della vittima di un illecito mortale, fondata sul mero e semplicistico assunto che la precedente liquidazione fosse eccessiva. In questa prospettiva non è ammissibile il ricorso al criterio equitativo puro per la liquidazione del danno non patrimoniale, dovendosi ritenere preferibile, per garantire l'adeguata valutazione del caso concreto e l'uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, l'adozione del criterio di liquidazione predisposto dalle tabelle milanesi, al quale la S.C. riconosce la valenza, in linea generale e nel rispetto dell'art. 3 Cost., di parametro di conformità della valutazione equitativa del danno non patrimoniale alle disposizioni di cui agli artt. 1226 e 2056, salva l'emersione di concrete circostanze che ne giustifichino l'abbandono (Cass. n. 17018/2018; Cass. n. 17678/2016; Cass. n. 20895/2015). La liquidazione equitativa del danno è stata ammessa in tema di illegittima levata di un protesto, la quale crea nell'attuale regime di mercato, che si fonda, in via principale, sul credito, un'inevitabile lesione dell'immagine del soggetto protestato, comportando una maggiore difficoltà di accesso al credito, idonea a tradursi nella negazione o riduzione di futuri prestiti ovvero nella richiesta immediata di esazione di crediti (Cass. n. 3427/2014). La liquidazione equitativa è stata ammessa anche per la riparazione del danno all'immagine professionale (Cass. n. 17483/2006) ) e del danno da perdita di guadagno di un'attività commerciale (Cass. n. 31251/2021). Alla valutazione equitativa può farsi ricorso anche all'esito del giudizio di inattendibilità delle risultanze peritali sulla quantificazione (Cass. n. 4017/2013; Cass. n. 1885/2002). Sebbene i crediti dei soggetti danneggiati da uno stesso fatto illecito siano tra loro autonomi, né tra essi si crei un vincolo di solidarietà attiva solo per la loro comune origine, tuttavia ne è ammissibile la richiesta di liquidazione cumulativa, alla stregua di una valutazione in via equitativa del danno, quando, pur essendo agevole la prova del pregiudizio complessivamente patito, sia oltremodo difficoltosa la prova della porzione subita da ciascuno, non avendo il debitore alcun interesse alla ripartizione del quantum debeatur tra i creditori, né rilevando quello, di fatto, e in contrasto con la condizione di cui art. 1226, di trarre vantaggio dalla difficoltà dei creditori di provare l'ammontare del danno individuale (Cass. n. 19713/2012). Allo stesso modo la liquidazione equitativa unitaria e globale è possibile quando il danno discenda dal concorso di plurime cause autonome, di cui sia difficoltosa la quantificazione separata degli esiti dannosi (Cass. n. 4544/1982). BibliografiaBarassi, Teoria generale delle obbligazioni, III, Milano, 1964; Benatti, La costituzione in mora del debitore, Milano, 1968; Betti, Teoria generale delle obbligazioni, I, Milano, 1953; Cottino, L'impossibilità sopravvenuta della prestazione e la responsabilità del debitore. Problemi generali, Milano, 1955; Franzoni, Colpa presunta e responsabilità del debitore, Padova, 1988; Giorgianni, L'inadempimento, Milano, 1975; Mengoni, voce Responsabilità contrattuale, in Enc. dir., 1988; Natoli-Bigliazzi Geri, Mora accipiendi e mora debendi, Milano, 1975; Osti, voce Impossibilità sopravveniente, in Nss. D. I., 1962; Realmonte, voce Caso fortuito e forza maggiore, in Dig. civ., 1988; Santoro, La responsabilità contrattuale: il dibattito teorico, in Contr. e impr. 1989; Trimarchi, Risarcimento del danno contrattuale ed extracontrattuale, Milano, 1984. |