Codice Civile art. 1236 - Dichiarazione di remissione del debito.InquadramentoL'estinzione dell'obbligazione per remissione consiste nella rinuncia del creditore a far valere il credito attraverso apposita dichiarazione che deve essere inviata al debitore e che può essere respinta da quest'ultimo entro un termine congruo. Tale dichiarazione unilaterale ha natura negoziale recettizia. In ogni caso la remissione non può essere imposta dal debitore, che ha un margine valutativo delimitato nel tempo volto a verificare il suo interesse alla remissione. Il debitore può a sua volta dichiarare — entro un termine che sia, secondo le circostanze del caso concreto, idoneo a ponderare tale interesse — che non intende approfittare della rinuncia; altrimenti, decorso tale termine, la remissione non è rifiutabile. Sotto il profilo degli interessi che la remissione mira a proteggere le opinioni sono discordanti: secondo alcuni l'istituto tutela un prevalente interesse del creditore, in quanto è espressione del principio secondo il quale chi è titolare di un diritto può rinunziare ad esso; in base ad altra opinione, la remissione mira a tutelare l'interesse del debitore all'adempimento ovvero alla liberazione senza adempimento (Tilocca, 405); altra ricostruzione sostiene che l'interesse tutelato è di carattere negativo, ossia quello del debitore a non essere liberato mediante remissione, esprimendosi in questa posizione il principio dell'indipendenza della propria sfera giuridica (Di Prisco, in Tr. Res., 1999, 301), a non subire un'umiliazione, un'offesa, a non essere leso nel proprio prestigio e nell'onore (Di Prisco, in Tr. Res., 1999, 302); ulteriore opinione afferma che l'art. 1236 realizza un equilibrio tra gli opposti interessi del debitore e del creditore. In sostanza la norma riuscirebbe a comporre in unità di tutela un duplice, contrastante profilo: quello dell'interesse del creditore a disporre liberamente del suo diritto; quello dell'interesse del debitore a non ottenere una liberazione che urti contro la propria dignità o altrimenti non voluta (Giacobbe-Guida, 768). Il rilascio di una quietanza a saldo, mentre comporta a termini dell'art 1199 la presunzione iuris tantum di pagamento anche degli interessi, non importa la remissione del relativo debito quando il creditore neghi tale portata liberatoria, giacché la remissione di un debito deve sempre risalire ad una manifestazione di volontà del creditore incompatibile con l'intenzione di conservare il proprio diritto, e l'indicazione a saldo, che di per sé non denota una transazione e neppure una rinuncia, non può determinare il superamento dei limiti di efficacia probatoria della quietanza, cioè dell'avvenuto pagamento di una certa somma per un certo titolo (Cass. n. 13189/2013; Cass. n. 2245/1978).La dichiarazione di rinuncia di un avvocato ai crediti vantati nei confronti di un cliente, ove resa in un procedimento disciplinare a carico del professionista, va qualificata come remissione del debito ed estingue l'obbligazione solo ove comunicata al debitore (Cass. n. 1057/2022). L'interpretazione della dichiarazione, ai fini dell'accertamento della sua natura di remissione del debito, costituisce verifica di fatto non sindacabile in sede di legittimità (Cass. n. 460/2009; Cass. n. 459/1969). Si tratta di figura tipica a sè stante, inserita tra i modi di estinzione delle obbligazioni (Cass. n. 1144/1966). La natura giuridicaLa dottrina prevalente qualifica la remissione come negozio giuridico unilaterale e recettizio con effetto abdicativo del credito (Di Prisco, in Tr. Res., 1999, 297), che non esige come elemento connaturale l'animus donandi del remittente (Giacobbe-Guida, 774). Qualora in via meramente eventuale ricorra l'intento liberale, si profila una liberalità indiretta e si applicheranno le norme sulla nullità della donazione (Tilocca, 410). Per converso altra dottrina contesta la configurabilità della remissione come rinuncia e ciò perché la rinuncia è diretta alla semplice dismissione del diritto di credito e non sempre comporta l'estinzione dell'obbligazione (come accade nel caso di rinunzia da parte del creditore solidale); inoltre quand'anche alla rinuncia segua l'estinzione del debito, detta estinzione è solo un effetto indiretto della rinuncia mentre la remissione è sempre e in ogni caso finalizzata all'estinzione dell'intero rapporto obbligatorio (Perlingieri, in Comm. S.B., 1988, 195). Minoritaria è la tesi che attribuisce alla remissione natura contrattuale, ritenendo il consenso del debitore, eventualmente manifestato per contegno concludente, come elemento perfezionativo dell'accordo. Secondo una ricostruzione intermedia, a fronte della costante funzione estintiva della remissione, si ha o si può avere una variabilità di struttura in ragione dell'interesse perseguito nel concreto rapporto obbligatorio; ne consegue che la funzione estintiva remissoria si può realizzare sia tramite lo schema contrattuale sia tramite lo schema dell'atto unilaterale (Perlingieri, in Comm. S.B., 1988, 208). Deve ritenersi invece superata la datata impostazione secondo cui la remissione sarebbe un atto giuridico in senso stretto poiché l'unico effetto diretto si sostanzierebbe nella perdita del diritto di credito, ossia nella separazione del diritto dalla sfera del creditore, mentre l'effetto estintivo dell'obbligazione avrebbe fonte nella legge: non potendo il diritto di credito restare in vita senza un titolare, la legge ne determinerebbe l'estinzione. Di contro è principio ormai acquisito che effetto diretto della remissione è l'estinzione dell'obbligazione. Ancora è controverso in dottrina se si tratti di negozio unilaterale a titolo necessariamente gratuito (Perlingieri, in Comm. S.B., 1988, 172) ovvero di negozio neutro quanto alla causa ovvero a causa generica (Giacobbe-Guida, 771). Secondo la prima tesi la remissione onerosa non sarebbe più remissione ma dazione in pagamento o transazione (Perlingieri, in Comm. S.B., 1988, 171). Il che è smentito dallo stesso legislatore che individua un'ipotesi di remissione onerosa nell'art. 1240 (Di Prisco, in Tr. Res., 1999, 304). L'accettazione del debitore cui la remissione è comunicata, la quale può desumersi anche dal difetto di opposizione entro un congruo termine, non vale a perfezionarla e quindi non attribuisce alla remissione natura contrattuale; si tratta piuttosto di dichiarazione che rende la remissione irrevocabile. In senso contrario si osserva che la remissione quale atto unilaterale recettizio è sempre irrevocabile mentre è risolvibile all'esito dell'opposizione del debitore tempestivamente intervenuta (Tilocca, 391). Avendo la remissione natura contrattuale, è richiesta la capacità di agire del creditore remittente mentre non è necessaria la capacità del debitore, atteso che la produzione di un effetto esclusivamente favorevole al destinatario dell'atto non può essere preclusa dall'incapacità del soggetto. In ultimo la remissione può essere condizionata sospensivamente o risolutivamente e nelle obbligazioni ad esecuzione continuata può essere a termine (Di Prisco, in Tr. Res., 1999, 292; Tilocca, 409). La remissione si distingue dal pactum de non petendo, attraverso il quale il creditore si impegna, anche in via temporanea, a non azionare il credito, che comunque persiste (Giacobbe-Guida, 772). Le pronunce giurisprudenziali sostengono che la remissione del debito è un atto abdicativo di natura negoziale, il quale esige e postula che il diritto di credito si estingua conformemente alla volontà remissoria e nei limiti da questa fissati, ossia che l'estinzione si verifichi solo se ed in quanto voluta dal creditore con la conseguenza che la volontà di remissione presuppone anche, e in primo luogo, la consapevolezza nel creditore dell'esistenza del debito. Peraltro, pur non potendosi presumere, la remissione del debito può ricavarsi anche da una manifestazione tacita di volontà, ma in tal caso è indispensabile che la volontà abdicativa risulti da una serie di circostanze concludenti e non equivoche, assolutamente incompatibili con la volontà di avvalersi del diritto di credito (Cass. n. 16061/2019; Cass. n. 16125/2006; Cass. n. 13169/2000). La S.C. afferma altresì il carattere neutro della causa remissoria, la cui ricostruzione è devoluta alla cognizione esclusiva del giudice di merito (Cass. n. 10293/2007). Per la sua validità non è quindi richiesta la causa donandi (Cass. n. 3559/1976). Pertanto la remissione del debito costituisce un negozio unilaterale recettizio, neutro quoad causam (con conseguente irrilevanza dell'assenza di vantaggi per il creditore) e non soggetto a particolari requisiti di forma nemmeno ad probationem, i cui effetti non possono essere disconosciuti dal creditore una volta manifestato l'intento abdicativo al debitore, il quale soltanto può paralizzare l'efficacia di tale negozio, ovvero determinarne la risoluzione per l'avverarsi di una condicio iuris, mediante tempestiva opposizione. Dalla natura giuridica della remissione discende che essa può essere annullata per errore del creditore solo quando detto errore sia riconoscibile dal debitore sicché è escluso l'annullamento ove si accerti che l'errore è stato causato dal modo di tenuta della contabilità del creditore, in modo che il debitore non poteva venirne a conoscenza (Cass. n. 4090/1978). È altresì risolvibile per eccessiva onerosità qualora l'evento straordinario ed imprevedibile che giustifica il rimedio dell'art. 1467 consista in un fatto esterno, che si trovi in rapporto di causa ad effetto rispetto alla eccessiva onerosità, e non in un comportamento della controparte. Siffatto ultimo comportamento, in quanto alteri i rapporti fra contraenti quali si erano inizialmente costituiti, ovvero perturbi il normale svolgimento del contratto, può essere causa di risoluzione per inadempimento e non per eccessiva onerosità (Cass. n. 1272/1955). Ai sensi dell'art. 2726, i limiti di ammissibilità della prova testimoniale stabiliti per i contratti concernono il contratto nell'accezione tecnica precisata dall'art. 1321; nondimeno si applicano anche alle ipotesi espressamente previste del pagamento e della remissione del debito benché non siano estensibili agli atti unilaterali tra vivi aventi contenuto patrimoniale (Cass. n. 10989/2003). È ammissibile la remissione sospensivamente condizionata (Cass. n. 2921/1995; Cass. n. 936/1967) e parziale (Cass. n. 5260/1983; Cass. n. 4090/1978; Cass. n. 1322/1969). Mentre l'accordo remissorio, diretto ad estinguere il debito verso il pagamento da parte del debitore di una quota di esso, costituendo un tipico negozio a struttura bilaterale (o plurilaterale), si perfeziona con il consenso manifestato da entrambe le parti, la remissione del debito, ai sensi dell'art. 1236, è strutturata quale negozio unilaterale recettizio relativamente al quale la dichiarazione a parte creditoris si presume accettata dal debitore, e diventa pertanto operativa dei suoi tipici effetti estintivi dal momento in cui la comunicazione perviene a conoscenza della persona alla quale è destinata, a meno che questa, avuta conoscenza della manifestata volontà remissiva, non dichiari entro un proprio termine di ricusarla e, quindi, di non volerne profittare (Cass. n. 2021/1995, in Giur. it. 1995, 10, 1, I, 1654, con nota di Cavaliere). L'accordo stipulato tra creditore esecutante e debitore esecutato in ordine alla rinuncia alla procedura esecutiva, da parte del primo, ed all'adempimento parziale della prestazione, da parte del secondo, non integra una datio in solutum, bensì può assumere i caratteri e la veste della transazione, in quanto — essendo sorto dissenso circa l'interpretazione del titolo esecutivo, la ritualità della procedura, la pignorabilità ed il valore dei beni — miri a porre termine a liti e contrasti mediante reciproche concessioni, ovvero della remissione del debito, se abbia ad oggetto la mera rinuncia del creditore, definitiva ed irrevocabile, ad una parte del credito (Cass. n. 6934/1982). I crediti remittibiliPossono formare oggetto di remissione tutti i diritti di credito, compresi i crediti incedibili (Perlingieri, in Comm. S.B., 1988, 169), ad esclusione dei crediti alimentari, di lavoro e irrinunciabili. Possono costituire oggetto di remissione anche i crediti incerti, illiquidi, non scaduti o condizionati (Giacobbe-Guida, 784; Di Prisco, in Tr. Res., 1999, 292) ed anche quelli futuri ed eventuali purché siano determinati o determinabili (Tilocca,410). Quanto alle obbligazioni naturali si contrappongono due orientamenti in ordine agli effetti della remissione: secondo il primo, essa non può costituire oggetto di ritenzione nel caso di adempimento (Giacobbe-Guida, 785); in base al secondo, il pagamento è ripetibile dal debitore (Perlingieri, in Comm. S.B., 1988, 239). Secondo la dottrina, i crediti dello Stato e degli enti pubblici non sono rinunciabili (Giacobbe-Guida, 789). Anche la giurisprudenza ritiene ammissibile la remissione dei crediti futuri ed eventuali purché determinati o determinabili (Cass. n. 204/1975). Al contempo possono costituire oggetto di rinuncia i crediti che non siano giudizialmente o documentalmente accertati, come il diritto al risarcimento dei danni acquisito in ragione della verificazione dell'illecito e non ancora acclarato (Cass. n. 1483/1952). Secondo la S.C. anche i crediti dello Stato e degli enti pubblici possono costituire oggetto di remissione e ciò perché la disciplina in materia di amministrazione e contabilità degli enti pubblici non economici non interferisce sulla facoltà degli enti medesimi, nell'esercizio della propria autonomia negoziale, ed in relazione a posizioni creditorie delle quali sia difficile ottenere il soddisfacimento, di porre in essere atti di transazione o parziale rinuncia, soggetti alla normale disciplina civilistica, e sottratti ad ogni possibilità di successiva rimozione mediante provvedimenti amministrativi di autotutela, mancando il potere di incidere autoritativamente sugli effetti di un negozio privatistico (Cass. S.U., n. 5809/1985). Gli effetti della remissioneLa remissione opera sull'effetto obbligatorio estinguendolo ma non interviene sulla causa. Il fatto che la fonte del rapporto obbligatorio rimanga integra, nonostante la remissione, ne permette l'operatività sotto il profilo della responsabilità precontrattuale, degli effetti della remissione nell'obbligazione solidale e con riguardo alle conseguenze che ne derivano sull'obbligazione di durata (Giacobbe-Guida, 772). La remissione estingue il rapporto obbligatorio a cui si riferisce ma non i rapporti connessi per fonte, soggetti e sinallagma, fatta eccezione per i rapporti di garanzia che si estinguono in via automatica in conseguenza dell'estinzione del rapporto principale (Tilocca, 411). La remissione del debito principale non produce effetti sulla sorte del debito per interessi, salva diversa volontà del remittente (Tilocca, 410). Ma in senso contrario si rileva che ai fini dell'estensione della remissione anche agli interessi occorre verificare in concreto la volontà manifestata dal remittente (Giacobbe-Guida, 783). La remissione può costituire oggetto di un'eccezione di estinzione del credito che rientra nel novero di quelle che devono essere proposte dalla parte, sulla quale grava pertanto l'onere di allegare e provare il fatto estintivo dell'obbligazione (Cass. n. 11749/2006; Cass. n. 1110/1999). La forma della remissioneIn linea di principio la remissione non soggiace a vincoli di forma e non richiede l'uso di formule sacramentali, sicché può essere manifestata tacitamente attraverso comportamenti concludenti, purché univoci ed incompatibili con la volontà di valersi del credito; tuttavia, l'atto di remissione deve assumere gli stessi vincoli formali cui sia eventualmente sottoposto il negozio da cui l'obbligazione trae origine (Giacobbe-Guida, 785). Qualora la remissione sia effettuata in un atto mortis causa, secondo alcuni è qualificabile come legato di liberazione, secondo altri è preclusa tale qualificazione, poiché siffatto legato ha causa liberale mentre la remissione ha causa astratta (Tilocca, 399). Secondo la giurisprudenza, la remissione del debito non richiede una forma solenne, in difetto di un'espressa previsione normativa, e può quindi essere desunta anche da una manifestazione tacita di volontà o da un comportamento concludente, purché siano tali da manifestare in modo univoco la volontà abdicativa del creditore, in quanto risultino da circostanze logicamente incompatibili con la volontà di avvalersi del diritto di credito (Cass. n. 11749/2006; Cass. n. 4/1982). La dichiarazione del debitore di non volerne profittareIl mancato rifiuto del debitore non può essere equiparato ad un'accettazione volta a perfezionare un contratto bilaterale. Piuttosto, la mancata opposizione, pur avendo un implicito contenuto adesivo, è rilevante soltanto sotto il profilo oggettivo, come fatto, relativamente alla decadenza dal rifiuto (Di Prisco, in Tr. Res., 1999, 297). Neanche l'eventuale accettazione espressa della remissione a cura del debitore assume alcuna valenza; infatti, la disposizione del debitore in merito nulla aggiungerebbe all'atto, che per sua essenza è unilaterale. Per converso, l'opposizione del debitore ha valenza risolutiva della remissione (Tilocca, 391). Pertanto, il rifiuto del debitore si riferisce ad una conseguenza che già si è prodotta, ossia la liberazione del debitore (Di Prisco, in Tr. Res., 1999, 297), che viene rimossa con effetto retroattivo secondo il meccanismo della condizione risolutiva. In tal caso si avrebbe la reviviscenza dell'obbligazione del debitore (Di Prisco, in Tr. Res., 1999, 298), senza soluzione di continuità. Altra impostazione preferisce discorrere in termini di effetto eliminativo prodotto dal rifiuto. Solo le tesi che propendono per la natura contrattuale della remissione attribuiscono al rifiuto effetto impeditivo del perfezionamento della fattispecie. Altri ritiene che la remissione sia sospensivamente condizionata al mancato rifiuto del debitore entro un termine congruo, sicché l'effetto estintivo si produrrebbe solo quando il debitore abbia espressamente accettato ovvero sia decorso il termine congruo senza alcuna opposizione. Il potere di opposizione spetta al debitore principale, ma non al fideiussore e a ciascuno dei condebitori, qualora il remittente non si sia riservato il diritto nei confronti di alcuno. L'opposizione del debitore pro quota ha valore limitato alla sua quota. L'opposizione non consente la reviviscenza delle garanzie che assistevano il credito estinto (Giacobbe-Guida, 781; Tilocca, 419; Di Prisco, in Tr. Res., 1999, 300). Il termine congruo secondo buona fede, ovvero richiesto dalla natura degli affari o secondo gli usi (Di Prisco, in Tr. Res., 1999, 298), indicato dalla norma affinché il debitore possa dichiarare di non volerne profittare, è previsto a pena di decadenza. Una volta scaduto, la remissione è irrevocabile e l'opposizione non produce effetti (Tilocca, 415). Ma in senso contrario altra dottrina osserva che il termine non si può considerare imposto a pena di decadenza della riconosciuta facoltà di opposizione. Sicché quand'anche il termine reputato congruo secondo le circostanze del caso concreto sia decorso, comunque il debitore può opporsi alla remissione, non derivandone alcuna preclusione, ma al più una responsabilità del debitore per tardivo esercizio del potere di opposizione, qualora ciò abbia provocato dei danni nella sfera giuridica del creditore remittente (Giacobbe-Guida, 779). Il debitore che intenda opporsi non è comunque tenuto a rispettare l'eventuale termine fissato dal creditore a tale scopo e contenuto nell'atto di remissione; nondimeno, detto termine gli giova ove sia più favorevole del termine desumibile dalla natura degli affari o dagli usi (Tilocca, 415). La dichiarazione di non volerne profittare ha anch'essa natura negoziale unilaterale recettizia e determina la risoluzione della remissione, facendo rivivere il rapporto obbligatorio originario, sicché esclude che il debitore o i suoi creditori possano eccepire l'intervenuta remissione (Tilocca, 420). Inoltre, la dottrina reputa che, avendo l'opposizione una valenza risolutiva della remissione, i creditori del debitore che ne siano pregiudicati possono proporre contro di essa azione revocatoria. La remissione di debito è un negozio unilaterale e recettizio, il cui effetto, già verificatosi in conseguenza della comunicazione al debitore della dichiarazione del remittente, diventa definitivo ed ineliminabile se, decorso il termine congruo, il debitore non vi abbia fatto opposizione (Cass. n. 2111/1968). Pertanto, essa si perfeziona, acquistando efficacia giuridica, mediante la sola comunicazione al debitore, senza che occorra l'accettazione di costui, avente l'unica funzione di rendere irrevocabile l'atto remissorio (Cass. n. 959/1967; Cass. n. 1426/1964; Cass. n. 1272/1955). Pertanto, la giurisprudenza aderisce alla tesi secondo cui il rifiuto opera come condizione risolutiva. La remissione nelle obbligazioni solidali e indivisibiliNelle obbligazioni solidali attive la remissione di uno dei creditori solidali incide solo sulla quota che gli spetta. Nelle obbligazioni indivisibili fa insorgere nel debitore il diritto di essere remunerato da parte dei concreditori non remittenti limitatamente alla parte oggetto di remissione. Nelle obbligazioni solidali passive la remissione deve essere comunicata a tutti i condebitori e determina l'estinzione dell'intera obbligazione, salva diversa volontà espressa dal creditore remittente. Nelle obbligazioni indivisibili la remissione effettuata nei confronti di uno solo dei condebitori non produce effetti, ma genera il diritto in favore di detto debitore di ottenere dal creditore il valore della prestazione corrispondente alla sua quota. Qualora nelle obbligazioni indivisibili la remissione sia effettuata nei confronti di tutti i condebitori, l'opposizione proveniente da uno solo di essi non esclude comunque l'estinzione dell'obbligazione, ma fa sorgere il diritto del debitore opponente di ottenere dal creditore il valore della quota dovuta dai debitori non opponenti (Tilocca, 411). La remissione del debito a favore di uno dei condebitori in solido libera anche gli altri debitori quando il creditore non abbia riservato il suo diritto verso gli altri (Cass. n. 1735/1963). Vertendosi in tema di obbligazione solidale, la convenzione tra creditore esecutante e debitore esecutato in ordine alla rinuncia alla procedura esecutiva, da parte del primo, ed all'adempimento parziale della prestazione, da parte del secondo, qualora si tratti di transazione, non estende automaticamente gli effetti estintivi dell'obbligazione originaria (sia questa novata o non) nei riguardi dei debitori solidali rimasti ad essa estranei, occorrendo all'uopo che costoro dichiarino di volerne approfittare, ai sensi dell'art. 1304, mentre, qualora si tratti di remissione del debito, a norma del precedente art. 1301, libera anche tali debitori, salvo che il creditore abbia riservato implicitamente ed esplicitamente il suo diritto verso i medesimi, con conseguente possibilità di esigere da essi il credito, detratta la parte gravante, nei rapporti interni, sul debitore favorito dalla remissione (Cass. n. 6934/1982). BibliografiaBarassi, La teoria generale delle obbligazioni, III, Milano 1964; Buccisano, La novazione oggettiva e i contratti estintivi onerosi, Milano 1968; De Lorenzi, voce Compensazione, in Dig. civ., 1988; Favero, voce Confusione, in Enc. dir., Milano 1961; Giacobbe-Guida, Remissione del debito (diritto vigente), in Enc. dir., Milano, 1988; Magazzù, voce Novazione (diritto civile), in Enc. dir., Milano 1978; Ragusa-Maggiore, voce Compensazione (diritto civile), in Enc. dir., Milano, 1961; Rescigno, voce Novazione (diritto civile), in Enc. dir., Milano 1965; Schlesinger, voce Compensazione, in Nss. D. I., Torino, 1959; Tilocca, voce Remissione del debito, in Nss. D. I., Torino, 1968. |