Codice Civile art. 1335 - Presunzione di conoscenza.Presunzione di conoscenza. [I]. La proposta, l'accettazione [1326], la loro revoca [1328] e ogni altra dichiarazione diretta a una determinata persona si reputano conosciute nel momento in cui giungono all'indirizzo del destinatario, se questi non prova di essere stato, senza sua colpa, nell'impossibilità di averne notizia. InquadramentoSebbene la norma faccia riferimento alla proposta, accettazione e revoca, atti che concorrono alla formazione del contratto, la presunzione di conoscenza si applica a tutte le dichiarazioni recettizie (Scognamiglio, in Comm. S.B., 1992, 180; Giampiccolo, 314). Ma in senso contrario altra dottrina limita il campo di applicazione della norma alle sole dichiarazioni destinate a combinarsi in un negozio (Rescigno, Incapacità naturale e adempimento, Napoli 1950, 240). In base ad un orientamento intermedio l'applicabilità della disciplina delle dichiarazioni recettizie fuori dell'ambito degli atti che sono strumentali alla conclusione del contratto deve avvenire secondo una ponderazione caso per caso (Ravazzoni, 313). L'atto si presume conosciuto nel momento in cui giunge all'indirizzo del destinatario; tuttavia, si tratta di presunzione relativa, che determina l'inversione dell'onere della prova, spettando al destinatario dimostrare che non vi è stata possibilità di conoscenza, senza colpa. Sicché la relatività della presunzione costituisce il naturale temperamento del principio di conoscenza al quale è informato l'intero sistema (Mirabelli, in Comm. Utet, 1984, 99). La presunzione di conoscenza deve ritenersi estesa, oltre che alla mera cognizione, anche all'esatta cognizione; in questa prospettiva, il ricevente dovrà dimostrare che l'erronea percezione non sia a lui imputabile (Mirabelli, in Comm. Utet, 1984, 102). Alcuni autori ritengono che la previsione dell'art. 1335 si riferisca non già alla presunzione di conoscenza ma ad una presunzione di conoscibilità (Giampiccolo, 315; Bianca, 224; contra Scognamiglio, in Comm. S.B., 1992, 181). La norma si applica a tutte le dichiarazioni recettizie (Cass. n. 3908/1992). Nella sfera di applicabilità della norma non rientra la notificazione degli atti processuali, che soggiace alla specifica disciplina del codice di rito (Cass. n. 6432/1984). La regola della differente decorrenza degli effetti della notificazione per il notificante e per il destinatario, sancita dalla giurisprudenza costituzionale, si applica solo agli atti processuali, non a quelli sostanziali, nonché agli effetti sostanziali degli atti processuali (Cass. S.U. n. 24822/2015). Gli atti sostanziali pertanto producono i loro effetti sempre e comunque dal momento in cui pervengono all'indirizzo del destinatario, a nulla rilevando il momento in cui siano stati dal mittente consegnati all'ufficiale giudiziario o all'ufficio postale (Cass. n. 9303/2012). I mezzi di trasmissioneLa riconduzione della presunzione di conoscenza delle dichiarazioni recettizie alla circostanza che esse siano giunte all'indirizzo del destinatario non implica alcuna delimitazione del mezzo di trasmissione della dichiarazione, salvo che non sia la legge ad esigere per determinati atti una certa forma di comunicazione (Mirabelli, in Comm. Utet, 1984, 100). Sicché il mezzo di trasmissione non soggiace ad alcun vincolo formale o ad alcuna elencazione tipica, piuttosto è valutabile in ragione dello scopo che deve raggiungere: ossia essere congruo affinché pervenga all'indirizzo del destinatario. Qualora l'accettazione sia comunicata da un nuncius, non è necessaria la materiale trasmissione della stessa al proponente, in quanto comunque l'atto è giunto a conoscenza del destinatario (Cass. n. 25923/2014). Una volta dimostrato l'avvenuto corretto inoltro del documento a mezzo telefax al numero corrispondente a quello del destinatario, è logico presumere il conseguente ricevimento, nonché la piena conoscenza di esso da parte del destinatario, restando pertanto a carico del medesimo l'onere di dedurre e dimostrare l'esistenza di elementi idonei a confutare l'avvenuta ricezione (Cass. n. 349/2013). La produzione in giudizio di un telegramma, anche in mancanza dell'avviso di ricevimento, costituisce prova certa della spedizione, attestata dall'ufficio postale attraverso la relativa ricevuta, dalla quale consegue la presunzione dell'arrivo dell'atto al destinatario e della sua conoscenza, comunque superabile mediante prova contraria, non dando luogo detta produzione ad una presunzione iuris et de iure di avvenuto ricevimento dell'atto (Cass. n. 13488/2011). Nell'ipotesi di inoltro della dichiarazione per lettera raccomandata, la spedizione è certamente provata dalla relativa ricevuta e i particolari doveri di consegna a carico del servizio postale ne fanno presumere l'arrivo al debitore, pur in assenza della ricevuta di ritorno (Cass. n. 7181/1996). Qualora ci si avvalga del servizio postale, non è richiesto che la consegna del plico debba aver luogo secondo le norme dettate dal regolamento postale per le raccomandate o per altre particolari specie di corrispondenza (Cass. n. 8073/2002), poiché il legislatore non ha posto a base della presunzione di conoscenza condizioni più o meno rigorose, in base al fatto che la comunicazione avvenga per mezzo di raccomandata o sia stata trasmessa con lettera semplice, ovvero recapitata a mano (Cass. n. 715/1988). L'indirizzo del destinatarioPer indirizzo del destinatario si intende il luogo più idoneo per la ricezione (Giampiccolo, 274) o quello eventualmente concordato a tal fine dalle parti (Sacco, in Tr. Vas., 1975, 74). Qualora vi sia un mutamento di indirizzo sarà questione di fatto quella inerente alla determinazione della sussistenza di un onere del destinatario di comunicare il nuovo indirizzo, anche in ragione del principio di buona fede. Ove vi sia un'elezione di domicilio, il dichiarante vi si deve attenere solo a due condizioni: 1) esso deve avere carattere esclusivo; 2) il dichiarante deve avere accettato tale elezione o, comunque, dall'uniformarsi ad essa non deve derivare un apprezzabile aggravio del normale onere di notificazione (Giampiccolo, 272). L'indirizzo a cui allude la norma coincide con il luogo deputato alla ricezione, ossia con il luogo che o per collegamento ordinario, come la dimora o il domicilio, o per normale frequentazione, come il posto di esplicazione dell'attività lavorativa, o per preventiva indicazione, rientra nella sua sfera di controllo e dominio (Cass. n. 27412/2021; Cass. n. 19524/2019 ; Cass. n. 17014/2007; Cass. n. 773/2003; Cass. n. 18272/2002; Cass. n. 11757/1999; Cass. n. 10564/1998). Qualora si tratti di atto diretto ad un ente collettivo, tale indirizzo si identifica con la sede dell'ente (Cass. n. 6471/1987). La spedizione di un atto al corretto indirizzo del destinatario non basta da sola per presumere che il destinatario l'abbia conosciuto. A tal fine è invece necessario che il plico sia effettivamente pervenuto a destinazione, in quanto il principio di presunzione di conoscenza opera per il solo fatto oggettivo dell'arrivo della dichiarazione nel luogo di destinazione, ma non quando l'agente postale, ancorché errando, l'abbia rispedito al mittente, dichiarando essere il destinatario sconosciuto (Cass. n. 9303/2012). Nel rapporto di lavoro subordinato è configurabile, in linea di massima (giacché non esiste un obbligo o un onere generale ed incondizionato di ricevere comunicazioni scritte da chicchessia e in qualunque situazione), l'obbligo del lavoratore di ricevere sul posto di lavoro e durante l'orario lavorativo comunicazioni, anche formali, da parte del datore o di suoi delegati, atteso lo stretto vincolo contrattuale che lega le parti, sicché il rifiuto del dipendente di ricevere un atto unilaterale recettizio non impedisce il perfezionarsi della comunicazione, in quanto giunta ritualmente a quello che in quel momento era l'indirizzo del destinatario stesso (Cass. n. 22717/2015). La dimostrazione che l'atto è giunto a destinazioneLa presunzione di conoscibilità di un atto giuridico recettizio richiede la prova, anche presuntiva, ma avente i requisiti di cui all'art. 2729 (gravità, univocità e concordanza), che esso sia giunto all'indirizzo del destinatario, sicché in caso di contestazione la prova della spedizione non è in sé sufficiente a fondare la presunzione di conoscenza (Cass. n. 12822/2016), salvo il caso in cui, per le modalità di trasmissione dell'atto (raccomandata, anche senza avviso di ricevimento o telegramma), e per i particolari doveri di consegna dell'agente postale, si possa presumere l'arrivo nel luogo di destinazione (Cass. n. 20924/2005). Ove la raccomandata non sia stata consegnata per assenza del destinatario, il momento di perfezionamento coincide con il rilascio dell'avviso di giacenza del plico presso l'ufficio postale (Cass. n. 29237/2017; Cass. n. 22311/2016). Laddove l'invio dell'atto sia avvenuto per posta semplice, la presunzione non opera, in quanto sarebbe eccessivamente gravoso per il destinatario l'onere della prova della impossibilità incolpevole di averne avuto cognizione (Cass. n. 24703/2017; Cass. n. 20167/2014). La produzione in giudizio di copia della lettera unitamente all'avviso di ricevimento ex adverso della relativa raccomandata implica una presunzione di corrispondenza di contenuto tra la copia prodotta e la missiva ricevuta dalla controparte, salva la prova, a carico del destinatario, di avere ricevuto una missiva di contenuto diverso o un plico privo di contenuto (Cass. n. 22687/2017; Cass. n. 10630/2015; Cass. n. 23920/2013; Cass. n. 15762/2013). In mancanza dell'avviso di ricevimento, qualora il destinatario contesti il fatto stesso della ricezione di alcunché, sorge in capo al mittente l'onere della prova di detto ricevimento (Cass. n. 6725/2018). L'incapacità del destinatarioL'incapacità legale di agire determina in via consequenziale, non solo l'incapacità di ricevere le prestazioni, ma anche l'incapacità di ricevere dichiarazioni (Mirabelli, in Comm. Utet, 1984, 86; Rescigno, cit., 240). In senso contrario altro autore ritiene che la sopravvenuta incapacità legale del destinatario dell'atto non assume rilievo (Scognamiglio, in Comm. S.B., 1992, 185). Invece, non ha rilevanza l'incapacità naturale del destinatario, a fronte di una dichiarazione recettizia, seppure nei limiti della tutela dell'affidamento, ossia della non riconoscibilità per l'altra parte dello stato di incapacità (Mirabelli, in Comm. Utet, 1984, 102). Pertanto la dichiarazione indirizzata ad un soggetto di cui il dichiarante ignorava lo stato di incapacità naturale produrrà effetti, salvo che il destinatario non provi di averla non percepita senza sua colpa per tale suo stato di incapacità (Mirabelli, in Comm. Utet, 1984, 98). Ove si richiedesse nel destinatario la capacità di intendere e di volere, si determinerebbe una menomazione dell'interesse che il dichiarante fa valere attraverso la dichiarazione (Giampiccolo, 210). Altra opinione afferma che la dichiarazione deve essere indirizzata ad un destinatario idoneo, con l'onere di adoperare gli accorgimenti adeguati secondo le circostanze, in considerazione dello stato di incapacità naturale del destinatario (Scognamiglio, in Comm. S.B., 1992, 185). La dichiarazione è efficace anche qualora il destinatario sia stato indotto a riceverla con violenza o frode (Mirabelli, in Comm. Utet, 1984, 98). Ai fini della semplice presa di conoscenza dell'atto recettizio non è richiesta una capacità più ampia di quella richiesta per gli atti di ordinaria amministrazione e ciò almeno nel caso in cui l'atto sia diretto a realizzare un effetto rispetto al quale il destinatario di esso non abbia da compiere alcuna attività o, se contro l'atto sia consentita reazione, questa sia sempre possibile in quanto dalla recezione del negozio unilaterale non decorrano termini di decadenza al fine di esercitare diritti per cui occorre la capacità piena (Cass. n. 2540/1964). Per la produzione degli effetti dell'atto recettizio indirizzato all'incapace naturale si è espressa anche la S.C. atteso che la disciplina di tali atti è informata al principio dell'affidamento e che l'art. 428 prevede l'annullabilità soltanto degli atti unilaterali posti in essere dallo stesso incapace naturale (Cass. n. 12658/2018; Cass. n. 3612/1985; Cass. n. 5563/1982). L'impossibilità della conoscenzaSul destinatario di un atto recettizio ricade l'onere di dare la prova della ricorrenza di un evento eccezionale ed estraneo alla sua volontà, come la forzata lontananza in un luogo non conosciuto o non raggiungibile, che ha reso impossibile la conoscenza dell'atto pervenuto al suo indirizzo. La colpa del destinatario dell'atto recettizio in ordine all'impossibilità di avere notizia dell'atto giunto al suo indirizzo si riferisce ad un comportamento privo dei connotati di diligenza, tenuto conto delle normali esigenze del traffico, in base alle circostanze del caso concreto (Ravazzoni, 323). Sicché il destinatario, in ordine alla presa di conoscenza, deve impiegare la diligenza ordinaria, da valutarsi in concreto, il che non implica un suo atteggiamento di collaborazione, ma solo la buona disposizione a percepire, riflettendo sul percepito. In quest'ambito dovrà essere vagliata l'eventuale integrazione di un'ipotesi di colpa (Scognamiglio, in Comm. S.B., 1992, 184). La presunzione di cui alla previsione concerne anche l'esatta conoscenza, con la conseguenza che sarà onere del destinatario dimostrare che l'eventuale percezione erronea non gli è imputabile (Mirabelli, in Comm. Utet, 1984, 102). Anche il dichiarante è abilitato a far valere l'inefficacia della propria dichiarazione, dimostrando che il destinatario non l'ha conosciuta per sua colpa (Sacco, in Tr. Vas., 1975, 74). In senso contrario, si osserva che, poiché l'art. 1335 abilita il destinatario a provare la mancanza di colpa, non sono ammesse deroghe all'efficacia della ricezione. Infine, secondo altra tesi, non è rilevante l'effettiva conoscenza dell'atto da parte del destinatario, bensì l'assolvimento dell'onere consistente nel far pervenire la dichiarazione all'indirizzo del destinatario (Bianca, 222). Spetta al destinatario l'onere di dimostrare di essersi trovato senza sua colpa nell'impossibilità di acquisire la conoscenza dell'atto (Cass. n. 17204/2016; Cass. n. 17417/2007; Cass. n. 20784/2006). BibliografiaAsquini, Integrazione del contratto con clausole d'uso, Bologna, 1953; Benatti, La responsabilità precontrattuale, Milano, 1963; Benedetti, Dal contratto al negozio unilaterale, Milano, 1969; Bianca, Diritto civile, III, Il contratto, Milano, 1997; Bigliazzi Geri-Breccia-Busnelli-Natoli, Diritto civile, 1.2, Fatti e atti giuridici, Torino, 1990; Carrara, La formazione del contratto, Milano, 1915; Carraro, voce Dichiarazione recettizia, in Nss. 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