Codice Civile art. 1353 - Contratto condizionale.InquadramentoLa condizione è al contempo indicativa dell'evento futuro e incerto al quale le parti subordinano il prodursi (condizione sospensiva) o la cessazione degli effetti (condizione risolutiva) di un contratto o di un singolo patto contenuto in quest'ultimo (Rescigno, 762) e della clausola che fa dipendere l'efficacia o la risoluzione del contratto dal verificarsi di un evento futuro e incerto (Bianca, 509). Il fenomeno condizionale incide sull'efficacia del contratto o di un singolo patto mentre è già fermo e irrevocabile il vincolo contrattuale (Mirabelli, in Comm. Utet, 1984, 226). Può verificarsi che la condizione sospensiva operi congiuntamente a quella risolutiva in un medesimo accordo (Falzea, 4). La condizione, unitamente al termine e al modus o onere, costituisce elemento accidentale del contratto, in contrapposizione agli elementi essenziali, in quanto è estraneo alla sua struttura tipica; nondimeno, una volta che essa sia inserita nel concreto schema contrattuale, diventa essenziale (Rescigno, 766). Diversamente dalla condizione, il termine si concreta in una data o in un evento futuro ma certo (certus an et quando o certus an et incertus quando) ed ha efficacia ex nunc (Rescigno, 763; Bianca, 512). Qualora il contratto sia sottoposto a condizione sospensiva, il debitore può ripetere quanto abbia pagato prima del verificarsi della condizione; ove invece sia sottoposto a termine, può ripetere solo ciò di cui il creditore si è arricchito per effetto del pagamento anticipato (Rescigno, 764). Il modus può essere apposto soltanto agli atti a titolo gratuito, rispetto ai quali, introducendo un precetto minore, non ne sospende l'efficacia; sicché la condizione sospensiva sospende l'efficacia ma non vincola i contraenti mentre l'onere non sospende l'efficacia ma vincola i contraenti (Rescigno, 764). Nel modo la risoluzione del contratto si presenta eventuale poiché deve essere prevista o desunta dal titolo e rientra comunque nello schema della risoluzione per inadempimento; ove sia pattuita una condizione risolutiva, invece la risoluzione consegue obbiettivamente al verificarsi dell'evento futuro e incerto, senza che assuma rilievo alcuna valutazione di responsabilità per inadempimento (Bianca, 514). La condizione è lo strumento attraverso il quale possono essere elevati a giuridica rilevanza i motivi soggettivi sia relativi al negozio condizionale che ad un negozio collegato al primo (Cass. n. 9840/1999; Cass. n. 1333/1993). È escluso che il contratto si perfezioni nell'ipotesi in cui l'accettazione introduca una condizione non contenuta nella proposta contrattuale poiché la conformità delle dichiarazioni di proposta e accettazione deve sussistere anche in ordine alle clausole accessorie (Cass. n. 5261/1981). È consentito alle parti di dedurre come condizione sospensiva un mutamento della legislazione o di norme operanti erga omnes, salva restando l'inefficacia del contratto in conseguenza del mancato verificarsi di tale mutamento (Cass. n. 74/1986). La vendita sottoposta a condizione sospensiva è assimilabile alla vendita di cosa futura o alla vendita di cosa altrui, fattispecie nelle quali l'effetto traslativo, sebbene cronologicamente posteriore (ed eventuale) alla conclusione del contratto, si realizza immediatamente, senza necessità di un'ulteriore attività giuridica integrativa dell'effetto traslativo ad opera delle parti (Cass. n. 4364/2003). Sicché l'apposizione di una condizione sospensiva ad un contratto ad effetti reali ne determina la trasformazione in contratto ad effetti obbligatori (Cass. n. 573/1983). La differenza tra termine e condizione sta nella certezza o meno del verificarsi dell'evento previsto nel contratto e spetta al giudice del merito stabilire quale carattere le parti abbiano attribuito all'evento (Cass. n. 4124/2001; Cass. n. 5575/1983; Cass. n. 1970/1977; Cass. n. 2018/1971; Cass. n. 2005/1965; Cass. n. 1499/1965; Cass. n. 2335/1962). Il modus costituisce un elemento accessorio degli atti di liberalità, in quanto con esso si mira, da parte del disponente, ad attuare un fine che si aggiunge a quello principale dell'atto a titolo gratuito, operando come ulteriore movente di quest'ultimo, senza però condizionarne l'attuazione. Di qui la netta distinzione dalla condizione, perché, mentre gli effetti della donazione sottoposta a condizione sospensiva non si verificano se non quando l'evento dedotto si sia avverato, l'efficacia della donazione modale ha sempre luogo, a prescindere dall'adempimento o meno del modus (Cass. n. 2237/1985; Cass. n. 1602/1973). Il modus può essere inserito anche in un negozio di liberalità atipico (Cass. n. 11096/2004). L'obbligo morale apposto ad una donazione costituisce modus e non una condizione risolutiva; esso non diviene inefficace in caso di inadempimento, ma il donatario è obbligato al trasferimento del bene ad altri per dare esecuzione alle finalità stabilite dal donante (Cass. n. 5122/1999). Le ipotesi di condizione deducibili nel contrattoLa norma introduttiva della disciplina della condizione individua la prima fondamentale discriminazione tra condizione sospensiva e risolutiva. Ove all'esito dell'interpretazione negoziale residui il dubbio sulla natura della condizione contemplata in contratto, alla condizione deve essere attribuita natura sospensiva e non anche, facendo applicazione del principio di conservazione, natura risolutiva (Rescigno, 793); secondo altra ricostruzione invece nel linguaggio comune l'espressione “a condizione” è piuttosto indicativa di una riserva sospensiva, alla quale viene subordinata la proposizione linguistica principale (Bianca, 514). Inoltre la condizione può essere positiva, quando l'evento sia costituito da una modificazione dello stato di fatto attuale al momento della conclusione del contratto, o negativa, quando l'evento consista nel permanere immutato dello stesso (Carresi, in Tr. C. M., 1987, 259); potestativa, quando sia rapportabile ad un fatto imputabile ad una delle parti o immediatamente connesso alla scelta di una di esse, o casuale, quando sia riconducibile al caso o ad un fatto di terzi, o mista, quando dipenda in parte dal caso e in parte da uno dei soggetti del rapporto contrattuale (Bigliazzi Geri-Breccia-Busnelli-Natoli, 763; Rescigno, 794); ove il terzo non sia estraneo al rapporto, ma si presenti come terzo qualificato su cui incide il negozio, come nell'ipotesi di contratto a favore di terzo, la condizione non è casuale, ma potestativa (Maiorca, 308); a sua volta la condizione potestativa può essere potestativa semplice, quando sia riconducibile ad un fatto obiettivo di una delle parti (condicio fondata su un factum a voluntate pendens), o meramente potestativa, quando dipenda dalla mera volontà di una di esse (condicio si volam); la condizione può essere ancora cumulativa, quando l'efficacia del contratto dipenda da più avvenimenti futuri e incerti, o alternativa, quando i diversi avvenimenti dedotti in condizione siano tra essi alternativi (Carresi, in Tr. C. M., 1987, 263; Rescigno, 786); in ultimo può essere bilaterale, quando sia prevista nell'interesse di entrambe le parti, o unilaterale, quando sia prevista nell'interesse esclusivo di una delle parti. Ma una parte della dottrina ha rilevato che la categoria della condizione unilaterale non avrebbe autonomia giuridica; e ciò perché per un verso non sempre la regola che subordina un effetto giuridico ad un dato di fatto nell'interesse di una parte dà facoltà alla parte stessa di invocare o non invocare a suo piacimento l'evento, quando questo è avvenuto; mentre per altro verso l'interesse di una parte affinché, verificatosi un fatto, ne nasca una certa conseguenza può avere due diversi gradi di tutela: può succedere che la conseguenza operi solo se invocata dall'interessato; ma può anche accadere che la conseguenza operi in modo automatico (Sacco-De Nova, in Tr. Res., 1999, 148). Altro autore per converso ritiene che l'autonomia giuridica della categoria della condizione unilaterale sarebbe suffragata dal richiamo a tale fattispecie in alcuni dei contratti tipicamente condizionati, come la vendita a prova (Maiorca, 280). Per qualificare una condizione quale sospensiva o risolutiva occorre avere riguardo, piuttosto che alle determinazioni delle parti, alla disciplina che le stesse abbiano dato dello stato di pendenza. L'accertamento costituisce un'indagine di merito, censurabile in sede di legittimità solo per vizi attinenti alla motivazione (Cass. n. 10921/2000). Il contratto è aleatorio qualora, già al momento della sua conclusione, l'alea sia, per legge o per volontà delle parti, elemento essenziale del sinallagma; pertanto l'aleatorietà non può derivare dall'apposizione di una condizione sospensiva, che incide sull'efficacia e non sulla struttura contrattuale (Cass. n. 5050/2013). La condizione può ritenersi apposta nell'interesse di una sola parte soltanto in presenza di un'espressa previsione contrattuale ovvero quando vi siano una serie di elementi che nel loro complesso inducano a ritenere che si tratti di condizione alla quale l'altra parte non abbia alcun interesse, non potendo desumersi l'unilateralità dal semplice fatto che una sola delle parti può essere interessata al verificarsi o meno dell'evento dedotto in condizione (Cass. n. 19146/2004). I negozi condizionaliLa condizione può essere apposta a qualsiasi atto giuridico o mero atto, salvo quelli per i quali la legge esclude espressamente l'apposizione della condizione. In tali casi la clausola condizionale è nulla o rende nullo l'intero negozio. Siffatte figure sono qualificate come actus legitimi: rientrano nei casi di nullità della clausola che non si estende all'intero contratto (vitiatur sed non vitiat) i negozi familiari non patrimoniali, il riconoscimento del figlio naturale, l'emissione, girata e accettazione della cambiale o dell'assegno, la girata dei titoli di credito in generale; sono invece inclusi nell'ambito dei negozi in cui l'apposizione della condizione determina la nullità dell'intero negozio (vitiatur et vitiat) l'accettazione dell'eredità, la rinuncia all'eredità (Bigliazzi Geri-Breccia-Busnelli-Natoli, 761). Con riferimento alla possibilità di apporre la condizione agli atti unilaterali occorre distinguere tra atti in senso stretto e negozi giuridici, poiché in linea di principio la condizione non può essere apposta ai primi ma può essere apposta ai secondi, salvo il limite rappresentato dalla tutela della certezza del destinatario circa il perdurare del rapporto, ove si tratti di negozio modificativo o estintivo del rapporto (Rescigno, 790), ovvero fatta salva la compatibilità della condizione con le specifiche caratteristiche dell'atto negoziale e gli interessi perseguiti (Maiorca, 325). Dubbia è l'ammissibilità dell'apposizione della condizione per i negozi unilaterali recettizi, come la remissione del debito. Al contrario ricorrono nell'ordinamento contratti tipicamente condizionati, ossia in cui la condizione costituisce elemento connotante del tipo negoziale (Rescigno, 784): in questa categoria ricadono la vendita con patto di riscatto, la vendita a prova, la vendita con riserva di proprietà. Non si ha per converso condizione nella struttura tipica dei negozi di garanzia, dell'obbligazione assunta dall'assicuratore, della promessa al pubblico, del contratto di scommessa (Rescigno, 784), della vendita con riserva di gradimento. Dubbi sulla natura di negozi tipicamente condizionati si registrano con riguardo al contratto di lavoro in prova e al contratto di edizione (Rescigno, 785). Secondo la S.C. l'elencazione dei negozi ai quali non è consentito apporre condizioni ha natura tassativa e pertanto al di là delle ipotesi espressamente previste dalla legge ogni negozio, indipendentemente dal suo contenuto, può essere sottoposto a condizione (Cass. n. 2412/1982; Cass. n. 3307/1981). Le modalità di inserimento della clausola condizionaleLa clausola condizionale è normalmente espressa. Nondimeno essa può risultare anche da fatti concludenti, qualora la legge non richieda che la clausola condizionale sia stabilita in modo espresso (Rescigno, 769) ovvero esiga determinate forme di pubblicità per l'introduzione della clausola condizionale (Maiorca, 326). Tuttavia deve soddisfare gli stessi requisiti di forma eventualmente prescritti dalla legge per il contratto al quale accede e deve essere apposta contestualmente alla stipulazione del contratto risolvendosi in caso contrario in una rinnovazione del negozio (Maiorca, 326; Rescigno, 691). Secondo la giurisprudenza la condizione deve risultare da atto scritto qualora inerisca ad un contratto per il quale la legge richiede la forma scritta (Cass. n. 1219/1993). Diversamente può risultare per pattuizione espressa ovvero per fatti concludenti (Cass. n. 2921/1995). Affinché possa aversi condizione implicita o tacita è necessario che l'effettiva volontà di subordinare l'efficacia di un negozio al verificarsi di un determinato evento sia univocamente riconoscibile attraverso l'esame e l'interpretazione del contenuto sostanziale del negozio (Cass. n. 1803/1970). L'avvenimento futuro e incertoL'evento dedotto in condizione deve essere futuro e incerto. Tali requisiti devono ricorrere all'epoca della stipulazione del contratto. Sotto il primo profilo deve trattarsi di eventi successivi, non ancora realizzati al momento della conclusione del contratto. Non costituiscono condizione gli eventi, seppure incerti, ma presenti o passati rispetto al momento della conclusione del contratto, ossia le condiciones in praesens vel in praeteritum relatae o collatae (Rescigno, 787). Allo stesso modo non è integrata la condizione quando gli eventi dedotti, seppure futuri, non siano incerti al momento della conclusione del contratto. Secondo alcuni l'incertezza deve essere oggettiva (Barbero, 1099); secondo altra tesi è sufficiente che l'incertezza sia meramente soggettiva (Tatarano, 20); in base ad ulteriore orientamento l'incertezza ricade nell'area della possibilità dell'evento (Maiorca, 285). Ove le parti appongano la condizione successivamente alla conclusione del contratto realizzano una rinnovazione del medesimo, come tale soggetta alle medesime prescrizioni di forma (Rescigno, 791; Barbero, 1102). Gli avvenimenti deducibili L'evento dedotto in condizione non deve identificarsi con uno degli elementi costitutivi del contratto (Carresi, in Tr. C. M., 1987, 259; Bianca, 516). Dubbio è se una prestazione contrattuale possa essere dedotta in condizione; in tal caso si realizzerebbe una condizione di adempimento. Secondo la tesi negativa una siffatta condizione contrasterebbe con il requisito dell'oggettiva incertezza dell'evento dedotto in condizione; al riguardo si sostiene che la condizione può essere solo elemento accidentale del negozio, estraneo alla sua struttura tipica, con la conseguenza che la subordinazione o la cessazione degli effetti del contratto in ragione dell'adempimento integrerebbe piuttosto gli estremi di una clausola risolutiva espressa. In forza della tesi favorevole invece non sussisterebbe alcuna incompatibilità fra condizione ed esecuzione di una prestazione essenziale, sicché l'esecuzione di una prestazione può costituire non solo l'oggetto di un obbligo convenzionalmente assunto da una parte nei confronti dell'altra, ma anche l'evento condizionante dell'efficacia di una pattuizione, dovendo risultare rigorosamente provata una specifica volontà in tal senso delle parti stipulanti; la deduzione, quale evento condizionante, di una prestazione contrattuale avrebbe lo scopo di rafforzare l'interesse perseguito. Anche la S.C. è oscillante in ordine al riconoscimento dell'ammissibilità di una condizione di adempimento. Secondo la tesi negativa la condizione è un evento futuro ed incerto, cui è subordinata dalla volontà delle parti l'efficacia iniziale o finale del contratto, e non può mai consistere nell'esecuzione della prestazione da parte del contraente che deve adempiere per primo, diversi essendo il concetto e la funzione della condizione e dell'adempimento contrattuale (Cass. n. 3154/1972; Cass. n. 8/1970). In base alla tesi affermativa, se è vero che la condizione va distinta dalla prestazione e che, ad esempio in una vendita, il pagamento del prezzo, costituendo la prestazione assunta nella principale obbligazione del compratore, non può in genere essere intesa come condizione cui sia subordinata l'efficacia del contratto, ciò significa che detta prestazione non può avere di per sé valore di condizione. Ciò non toglie che prestazione e condizione non siano elementi fra loro inconciliabili, e che si rientri nel concetto tecnico di condizione nell'ipotesi in cui, secondo l'ordine naturale delle cose, un determinato evento, ancorché costituisca il risultato del comportamento contrattuale previsto (non meramente potestativo) di una delle parti, oltre che futuro, sia obiettivamente incerto. Non può escludersi pertanto che il concreto adempimento di una delle parti venga ex professo dedotto come condizione e che l'esecuzione di una prestazione costituisca non solo l'oggetto di un obbligo convenzionalmente assunto da una parte nei confronti dell'altra, ma anche l'evento condizionante l'efficacia di una pattuizione (Cass. n. 35524/2021; Cass. n. 8051/1990; Cass. n. 4159/1977; Cass. n. 3229/1975). Nell'ambito dell'autonomia privata le parti possono prevedere l'adempimento o l'inadempimento di una di esse quale evento condizionante l'efficacia del contratto in senso sospensivo o risolutivo, sicché non configura un'illegittima condizione meramente potestativa la pattuizione che fa dipendere dal comportamento —adempiente o meno — della parte l'effetto risolutivo del negozio, e ciò non solo per l'efficacia (risolutiva e non sospensiva) del verificarsi dell'evento, ma anche perché, in base a tale clausola, l'efficacia della condizione risolutiva così convenzionalmente stabilita, la cui operatività è rimessa a una valutazione ponderata degli interessi della stessa parte, non è subordinata a una scelta arbitraria della medesima; d'altra parte la condizione risolutiva, in quanto prescinde dalla colpa dell'inadempimento, è compatibile con la previsione di una penale, giacché le parti possono stabilire che la condizione sia posta nell'esclusivo interesse di uno soltanto dei contraenti, occorrendo al riguardo un'espressa clausola o quanto meno una serie di elementi idonei ad indurre il convincimento che l'altra parte non abbia alcun interesse (Cass. n. 24299/2006; Cass. n. 17859/2003). Nondimeno la condizione deve considerarsi non avverata nel momento in cui la mora del soggetto obbligato abbia assunto il carattere di un inadempimento di non scarsa importanza, che renda non più possibile l'adempimento dell'obbligazione contro la volontà del creditore (Cass. n. 22951/2015; Cass. n. 11195/1994). La rispondenza all'interesse delle partiLa previsione della clausola condizionale deve rispondere ad un interesse delle parti meritevole di tutela giuridica (Maiorca, 279; Carresi, in Tr. C. M., 1987, 264; Mirabelli, in Comm. Utet, 1984, 233; Rescigno, 766). Ove la previsione della condizione non risponda all'interesse delle parti o di una di esse, che sia meritevole di tutela giuridica, la clausola o l'intero contratto saranno nulli (Maiorca, 279). Qualora la previsione della condizione risponda all'interesse di una sola delle parti, la condizione è definita unilaterale (Bianca, 530; Carresi, in Tr. C. M., 1987, 264). La condizione può rispondere anche ad interessi diversi e ulteriori rispetto a quelli riconducibili alla causa, in modo da adattare gli effetti del contratto alle concrete esigenze (Cass. S.U. n. 7481/1993). La condizione si reputa apposta nell'interesse di entrambe le parti, salva espressa previsione contrattuale che la dichiari operante nell'interesse di una sola parte (Cass. n. 11858/1992) ovvero quando ricorra un insieme di elementi idonei ad indurre il convincimento che si tratti di una condizione alla quale l'altra parte non ha interesse (Cass. n. 5975/1992). La rinunciaLe parti possono rinunciare alla condizione sia prima che questa si avveri sia successivamente. La rinuncia alla condizione non soggiace al vincolo di forma richiesto per il contratto cui essa accede e può essere espressa o tacita (Cass. n. 14938/2008; Cass. n. 5757/1989; Cass. n. 3851/1989). In senso contrario un arresto ritiene, con riferimento alla condizione unilaterale, che la dichiarazione di non volersi avvalere della clausola condizionale equivale all'esercizio di un'opzione o di un diritto potestativo, soggetto alla stessa forma prescritta per il contratto in cui la condizione è apposta (Cass. n. 11816/1992). Ove la rinuncia sia tacita, deve risultare da un comportamento concludente dell'interessato inequivoco e incompatibile con la volontà di avvalersi della condizione, mentre l'esistenza di un dubbio sul punto esclude che si tratti di rinuncia (Cass. n. 3025/1982). Nel caso di condizione apposta nell'interesse di una sola parte l'abdicazione può essere anteriore o successiva all'avveramento o al mancato avveramento, senza che la controparte possa opporre ostacoli (Cass. n. 27320/2017; Cass. n. 5692/2012; Cass. n. 17059/2011; Cass. n. 11001/1993). L'adempimento spontaneo delle obbligazioni contrattuali, prima della verificazione della condizione sospensiva pattuita, priva la condizione medesima dell'efficacia sua propria e, estinguendo le obbligazioni adempiute, esaurisce la forza vincolante del contratto (Cass. n. 9948/2010; Cass. n. 10148/1991). La rinuncia si realizza anche quando la parte, anziché eccepire il mancato avveramento della condizione, eserciti l'azione per ottenere l'esecuzione del contratto (Cass. n. 5621/1989). Nel caso in cui una condizione sia costituita da un evento incerto sia nell'an che nel quando le parti possono concordare un limite temporale riguardo al suo verificarsi, per non lasciare indefinitamente nell'incertezza l'efficacia del contratto, e sono abilitate a porre tale limite nell'interesse esclusivo di una di esse (Cass. n. 419/2006; Cass. n. 19146/2004). La rinuncia a far valere l'eccezione di inefficacia del contratto per l'avverarsi di una condizione risolutiva è rilevabile d'ufficio, purché risulti ex actis (Cass. n. 23667/2016). La condizione legaleAlla condizione in senso proprio o di fatto si contrappone la condizione legale o impropria, che si riferisce all'ipotesi in cui la subordinazione dell'efficacia del contratto all'avveramento futuro e incerto non dipenda dalla volontà delle parti, ma da una previsione di legge, ovvero costituisca un requisito essenziale o un presupposto logico, senza il quale il contratto non esiste. In base ad un primo orientamento la condizione legale in realtà non è una condizione in senso proprio (Carresi, in Tr. C. M., 1987, 261; Maiorca, 333; Messineo, 193; Sacco-De Nova, in Tr. Res., 1999, 293). Si tende pertanto ad escludere che la disciplina sulla condizione volontaria, ed in particolare gli artt. 1359 e 1360, trovi applicazione alla condicio iuris (Bianca, 534; Rescigno, 768). Ma secondo altra dottrina la condizione volontaria e quella legale rientrerebbero in un unico genus (Falzea, 126). La questione della retroattività della condizione legale non ha una soluzione univoca, ma dipende dall'interpretazione della norma di legge che la impone, tenuto conto dei vari interessi dei soggetti coinvolti. La condicio iuris trova fonte nell'ordinamento giuridico sicché esula dall'autonomia negoziale, nel senso che il suo mancato definitivo avveramento rende irrimediabilmente inefficace il contratto, indipendentemente dalla volontà delle parti; nondimeno le parti possono assumere l'evento consistente nella condicio iuris, che è un requisito necessario di efficacia del negozio, alla stessa stregua di una condicio facti, assoggettando la prima a regolamentazione pattizia, pur non potendola superare o eliminare in forza di successivi accordi o per loro inerzia (Cass. n. 2863/2006). La clausola con cui, in una convenzione tra un ente pubblico territoriale ed un professionista al quale il primo abbia affidato la progettazione di un'opera pubblica, il pagamento del compenso per la prestazione resa è condizionato alla concessione di un finanziamento per la realizzazione di detta opera deve qualificarsi come condizione legale del contratto, il cui mancato avveramento preclude l'azionabilità del credito, atteso che, in tema di contratti stipulati dai comuni, è principio inderogabile quello della necessità dell'impegno di spesa (Cass. n. 17465/2013). La S.C. ritiene applicabile alla condizione legale l'art. 1358 nonché il rimedio della risoluzione per inadempimento (Cass. n. 2875/1992). La presupposizioneRicorre l'istituto della presupposizione (o base negoziale oggettiva) quando le parti, concludendo un contratto, abbiano dato come certa, e ciò a differenza della condizione, senza perciò prevederla espressamente, l'esistenza di una data situazione di fatto, presente, passata o futura, o di diritto, del tutto indipendente dalla loro volontà ed esterna al contratto, sebbene desumibile dal suo contesto (Rescigno, 787). Essa non deve essere confusa con la condizione tacita (Rescigno, 788). Superate le tesi che riconducevano tale fattispecie alla causa o alla condizione o alla prestazione dovuta o che ne ipotizzavano la rilevanza facendo riferimento al vizio di rappresentazione e quindi alla disciplina dell'errore, la mancata verificazione dell'evento presupposto dal contratto è assimilata ad una sopravvenienza, con la conseguenza che il rimedio esperibile è quello della risoluzione per eccessiva onerosità. Affinché sia configurabile la fattispecie della presupposizione (o condizione inespressa), è necessario che dal contenuto del contratto si evinca l'esistenza obiettiva e certa di una situazione di fatto o di diritto, comune ad entrambe le parti, considerata, ma non espressamente enunciata dalle parti in sede di stipulazione del medesimo, quale presupposto imprescindibile della volontà negoziale, il cui successivo verificarsi o venire meno dipenda da circostanze non imputabili alle parti stesse ( Cass. n. 40279/2021; Cass. n. 17615/2020 ;Cass. S.U., n. 9909/2018; Cass. n. 5112/2018; Cass. n. 20620/2016; il relativo accertamento, esaurendosi sul piano propriamente interpretativo del contratto, costituisce una valutazione di fatto, riservata come tale al giudice del merito ed incensurabile in sede di legittimità se immune da vizi logici o giuridici (Cass. n. 20245/2009; Cass. n. 5390/2006; Cass. n. 19144/2004; Cass. n. 1952/2003; Cass. n. 14629/2001). Quando l'assetto che le parti hanno dato ai loro rispettivi interessi si trovi a poggiare su una base diversa da quella in forza della quale era stata convenuta l'operazione negoziale, le parti possono chiedere la risoluzione del contratto stesso ai sensi dell'art. 1467 (Cass. n. 6631/2006). Ai fini della presupposizione occorre che l'evento sia stato assunto come certo nella rappresentazione delle parti, così differenziandosi la presupposizione dalla condizione; rileva quindi la certezza soggettiva dell'evento presupposto, non richiedendosi la certezza oggettiva dell'evento medesimo, né l'imprevedibilità della sopravvenuta circostanza impeditiva (Cass. n. 15025/2013). La presupposizione rileva, oltre che nei contratti, anche nei negozi unilaterali recettizi (Cass. n. 2632/1961). La supposizioneLa clausola che fa dipendere l'effetto negoziale da un evento presente o passato, per quanto incerto o ignorato dalle parti, è qualificata come supposizione. Rispetto ad essa non può esservi avveramento, bensì accertamento (verifica) a posteriori della sussistenza o meno dell'evento dedotto (Maiorca, 267; Rescigno, 786). Anche la giurisprudenza distingue la condizione dalla clausola con la quale le parti subordinino l'efficacia del contratto ad un avvenimento presente o passato, in quanto ignorino o non siano certe della sua esistenza, pur integrando siffatta clausola valida espressione dell'autonomia negoziale, che non abbisogna di specifica approvazione per iscritto (Cass. n. 187/1991); per l'effetto, trattandosi di condizioni improprie, tali clausole non sono soggette alla disciplina della condizione (Cass. n. 3783/1974). La distinzione dalla clausola risolutiva espressa e dal recessoCon la condizione di adempimento si subordina l'efficacia del contratto all'esecuzione di una prestazione; viceversa con la clausola risolutiva espressa si attribuisce alla parte non inadempiente il potere di risolvere in via stragiudiziale il contratto efficace e di chiedere il risarcimento del danno in presenza di un dato inadempimento. La condizione risolutiva postula che le parti subordinino la risoluzione del contratto, o di un singolo patto, ad un evento, futuro ed incerto, il cui verificarsi priva di effetti il negozio ab origine, laddove invece con la clausola risolutiva espressa le stesse prevedono lo scioglimento del contratto qualora una determinata obbligazione non venga adempiuta affatto o lo sia secondo modalità diverse da quelle prestabilite, sicché la risoluzione opera di diritto ove il contraente non inadempiente dichiari di volersene avvalere, senza necessità di provare la gravità dell'inadempimento della controparte (Cass. n. 24532/2018; Cass. n. 20854/2014). Anche altri arresti fondano la distinzione tra i due istituti sulla circostanza che la sopravvenuta inefficacia si determini in conseguenza dell'avverarsi di un evento estraneo alla volontà dei contraenti (sebbene specificamente dedotto pattiziamente) nonché dello spirare del termine, pure ritenuto nel loro interesse comune, o piuttosto quale sanzione dell'inadempimento della parte (Cass. n. 22310/2013; Cass. n. 17181/2008). Si ha condizione risolutiva, il cui verificarsi comporta lo scioglimento di diritto del rapporto ed i cui effetti retroagiscono al tempo di conclusione del contratto, salvo che sia stata stabilita una diversa decorrenza, allorquando le parti abbiano ancorato la risoluzione ad un evento futuro, incerto ed indipendente dalla loro volontà, mentre è da ravvisare il diritto di recesso quando ad una delle parti è attribuita la facoltà di sciogliere unilateralmente il contratto in base ad una libera dichiarazione di volontà (Cass. n. 3626/1989, in Giust. civ., 1990, 7, I, 1850, con nota di Costanza; Cass. n. 2504/1974). Il regime assertivo e probatorioLa prova del condizionamento del contratto ad un evento futuro e incerto è a carico della parte che asserisce l'esistenza della condizione. Viceversa la prova dell'avveramento o del mancato avveramento grava sull'acquirente, ove si tratti di condizione sospensiva, o sull'alienante o sul debitore, ove si tratti di condizione risolutiva (Barbero, 1109). La prova dell'impossibilità, illiceità o mera natura potestativa della condizione grava su colui che invoca la nullità del negozio o, nel caso in cui sia nullo il solo patto condizionale, su colui che invoca la validità e la produzione di effetti del negozio (Barbero, 1108). È ammesso qualsiasi mezzo di prova. Il mancato avveramento della condizione sospensiva concreta non un'eccezione in senso proprio, ma una semplice difesa volta a contestare la sussistenza dei fatti costitutivi della domanda, che deve essere esaminata e verificata dal giudice anche d'ufficio, indipendentemente dalle argomentazioni e richieste della parte (Cass. n. 15375/2010; Cass. n. 2214/2002). L'eccezione di risoluzione del contratto per avveramento della condizione, corrispondendo all'esercizio di un diritto potestativo, è un'eccezione in senso stretto, che il giudice non può rilevare d'ufficio, né la parte sollevare per la prima volta in appello (Cass. n. 17463/2021; Cass. n. 17474/2014). Il regime fiscaleIn tema d'imposta di registro, nel caso di contratto traslativo o costitutivo di diritti reali sottoposto a condizione sospensiva, la determinazione della base imponibile va ancorata, ai sensi dell'art. 43, comma 1, lett. a), d.P.R. n. 131/1986, al momento in cui si verifica il fatto generatore degli effetti cioè l'evento dedotto in condizione o la concorde rinuncia delle parti alla condizione originariamente pattuita, e non alla data della stipula del contratto, a cui tali effetti retroagiscono, che rileva invece ai fini dell'individuazione della disciplina applicabile in virtù del precedente art. 27, d.P.R. n. 131/1986 (Cass. n. 24514/2015; Cass. n. 7877/2012). Per converso in caso di condizione risolutiva la determinazione della base imponibile, per la quale rileva il valore del bene, è ancorata al tempo della stipulazione, data in cui si producono i relativi effetti traslativi (Cass. n. 7878/2012; Cass. n. 4657/1999). La pubblicitàAi sensi dell'art. 2655, ove la condizione sia relativa ad un atto trascritto, l'avveramento della condizione risolutiva o il mancato avveramento della condizione sospensiva devono essere annotati nei registri immobiliari. Non sono invece soggetti ad annotazione l'avveramento della condizione sospensiva e il mancato avveramento della condizione risolutiva; in tali ultime ipotesi si ricorre alla cancellazione dell'indicazione della condizione nell'atto trascritto, ai sensi dell'art. 2668, comma 3. BibliografiaBarbero, Condizione, in Nss. D.I., Torino, 1957; Bianca, Diritto civile, III, Il contratto, Milano, 1997; Bigliazzi Geri-Breccia-Busnelli-Natoli, Diritto civile, 1.2, Fatti e atti giuridici, Torino, 1990; Cataudella, I contratti. Parte generale, Torino, 2014; Falzea, voce Condizione (diritto civile), in Enc. giur., Roma, 1988; Galgano, Diritto civile e commerciale, II, 1, Padova, 1993; Maiorca, voce Condizione, in Dig. civ.,- 1988;Messineo, Il contratto in genere, Milano, 1968; Osti, voce Contratto, in Nss. D.I., Torino, 1959; Pelosi, La proprietà risolubile nella teoria del negozio condizionato, Milano, 1975; Rescigno, voce Condizione, in Enc. dir., Milano, 1961; Santoro Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, rist. 1985; Tatarano, «Incertezza», autonomia privata e modello condizionale, Napoli, 1976. |