Codice Civile art. 1358 - Comportamento delle parti nello stato di pendenza.

Cesare Trapuzzano

Comportamento delle parti nello stato di pendenza.

[I]. Colui che si è obbligato o che ha alienato un diritto sotto condizione sospensiva, ovvero lo ha acquistato sotto condizione risolutiva, deve, in pendenza della condizione, comportarsi secondo buona fede per conservare integre le ragioni dell'altra parte [1175, 1375].

Inquadramento

La previsione in ordine all'obbligo di comportarsi secondo buona fede oggettiva nella fase di pendenza della condizione costituisce una specificazione dell'obbligo più generale relativo all'esecuzione delle obbligazioni, di modo che la sua violazione dà luogo a responsabilità contrattuale e legittima sia l'azione di risoluzione del contratto sia quella di risarcimento del danno (Bianca, 526).

La giurisprudenza estende la rilevanza della clausola di buona fede nella fase di pendenza della condizione anche alla P.A. Pertanto la P.A. dovrà comportarsi secondo buona fede con riguardo alla subordinazione del compenso dovuto ai professionisti nominati all'avverarsi della condizione del conseguimento di un finanziamento da parte di enti terzi; sicché in pendenza di condizione è tenuta a richiedere il finanziamento per il quale è stata apposta la clausola sfavorevole alla controparte, al fine di non frustrare le possibilità di avveramento della condizione, non potendo più avere alcun rilievo le questioni relative alla attualità ovvero alla persistenza di un interesse pubblico alla redazione del progetto, già valutato al momento della stipula del negozio privatistico (Cass. n. 7405/2014; Cass. n. 13469/2010; Cass. S.U., n. 18450/2005). In specie costituisce comportamento contrario a buona fede l'affidamento dell'incarico progettuale, nelle more dell'elaborazione del progetto da parte del professionista originariamente incaricato, ad altro soggetto privato (Cass. n. 12/2014).

I soggetti interessati dalla prescrizione di buona fede

L'obbligo di buona fede grava su tutte le parti, ivi compresa la parte interessata alla verificazione dell'evento dedotto in condizione. Pertanto, anche detta parte non può influenzare positivamente l'accadimento della condizione (Mirabelli, in Comm. Utet 1984, 245). In senso contrario altra tesi ritiene che il dovere di comportarsi secondo buona fede sia collegato al potere di compiere atti conservativi, riconosciuto all'acquirente sotto condizione sospensiva e all'alienante sotto condizione risolutiva (Rescigno, 797; Sacco-De Nova, in Tr. Res. 1999, 153).

La parte che si è obbligata o ha alienato un bene sotto la condizione sospensiva del rilascio delle autorizzazioni amministrative necessarie alle finalità economiche dell'altra parte deve compiere, secondo buona fede, tutte le attività che da essa dipendono per l'avveramento della condizione, senza impedire che la P.A. provveda sul rilascio delle autorizzazioni, potendo l'altra parte, in caso contrario, chiedere la risoluzione del contratto e il risarcimento dei danni, da accertare con il criterio della regolarità causale, ove risulti, in base alla situazione esistente nel momento in cui si è verificato l'inadempimento, che la condizione avrebbe potuto avverarsi mediante il legittimo rilascio delle autorizzazioni (Cass. n. 18464/2020; Cass. n. 3207/2014; Cass. n. 6676/1992).

La clausola di buona fede nella fase di pendenza

La buona fede importa l'obbligo di astenersi da quanto possa pregiudicare gli interessi dell'altro contraente e di compiere quanto sia necessario, se del caso, affinché l'evento condizionale si verifichi (Mirabelli, in Comm. Utet,  1984, 246). Tale obbligo non impone alle parti un comportamento positivo finalizzato all'avveramento della condizione (Bianca, 525; in senso contrario Maiorca, 313). Un contenuto positivo si reputa che debba avere l'obbligo di buona fede nell'ambito della condizione legale (Sacco-De Nova, in Tr. Res.,  1999, 158). I contegni esigibili in base a buona fede devono essere circoscritti entro i limiti di un apprezzabile sacrificio (Bianca, 526). Ma secondo altra ricostruzione essi si estendono anche al compimento di riparazioni ordinarie o straordinarie e possono anche giustificare l'esecuzione per consegna o rilascio ovvero per obblighi di fare per porre rimedio alle conseguenze della violazione di detta clausola (Pelosi, 380).

L'obbligo di buona fede può richiedere sia comportamenti attivi che di astensione (Cass. n. 1379/1980; Cass. n. 2889/1972; Cass. n. 926/1969). In specie la parte deve astenersi dal compiere atti pregiudizievoli degli interessi dell'altro contraente, sia con riferimento all'oggetto della prestazione, sia con riferimento all'avveramento della condizione (Cass. n. 9568/2002). L'obbligo si estende a qualsiasi negozio condizionato, sia esso ad efficacia reale o ad efficacia obbligatoria, e a qualsiasi tipo di condizione, sospensiva o risolutiva (Cass. n. 698/1962), anche quando si tratti di condizione mista, relativamente al segmento non casuale (Cass. n. 29641/2020; Cass. n. 14198/2004). In senso contrario altro arresto ha sostenuto che l'omissione di un'attività, in tanto può ritenersi contraria a buona fede e costituire fonte di responsabilità, in quanto l'attività omessa costituisca oggetto di un obbligo giuridico; sicché la sussistenza di un siffatto obbligo deve escludersi per l'attività di attuazione dell'elemento potestativo in una condizione mista (Cass. n. 6423/2003). Gli obblighi di correttezza e buona fede hanno la funzione di salvaguardare l'interesse della controparte alla prestazione dovuta e all'utilità che la stessa assicura, imponendo una serie di comportamenti di contenuto atipico, che assumono la consistenza di standard  integrativi di tali principi generali e sono individuabili mediante un giudizio applicativo di norme elastiche e soggetto al controllo di legittimità al pari di ogni altro giudizio fondato su norme di legge (Cass. n. 14198/2004). Tuttavia ciò non può implicare per la parte il sacrificio dei suoi diritti e interessi, in particolare imponendo l'accettazione del mutamento dell'equilibrio economico delle prestazioni stabilito in contratto (Cass. n. 1887/2018). La sottrazione agli impegni assunti nella fase di pendenza della condizione costituisce contegno violativo della clausola di buona fede (Cass. n. 2335/1971).

I rimedi esperibili

La violazione della clausola di buona fede determina una responsabilità contrattuale. Il contraente che lamenta la violazione, ad opera della controparte, di tale principio può agire per la risoluzione del contratto senza attendere il verificarsi della condizione. Sicché è possibile ricorrere al rimedio della risoluzione per il solo fatto che sia violato l'obbligo di comportarsi secondo buona fede (Carresi, in Tr. C. M.,  1987, 613; Maiorca, 314). La sentenza che pronuncia la risoluzione del contratto deve ritenersi sottoposta alla medesima condizione sia per quanto concerne l'effetto risolutorio proprio e gli eventuali obblighi di restituzione sia per quanto riguarda la condanna al pagamento delle spese di giudizio e al risarcimento dei danni. In conseguenza, ove si tratti di condizione sospensiva, questi effetti sorgeranno solo con l'avveramento della condizione mentre, per effetto del mancato avveramento, non sorgerà alcuna conseguenza negativa, salva l'eventuale ripetizione delle spese processuali a carico dell'inadempiente; ove si tratti di condizione risolutiva, l'avveramento della condizione produrrebbe comunque effetti diversi da quelli propri della risoluzione per inadempimento (Maiorca,  314). Ma in senso contrario altri autori ritengono che la proponibilità dell'azione di risoluzione postula la definitiva integrazione della condizione, ossia il suo avveramento o il suo mancato avveramento definitivo all'esito del contegno violativo della clausola di buona fede (Rescigno, 764; Natoli, Della condizione, in Comm. D'A.F.,  1989, 458). Nello stesso senso altro autore afferma che l'azione risarcitoria può essere esperita solo quando la condizione si sia avverata ed il bene o il diritto risultino definitivamente acquisiti all'altra parte (Bianca, 526). Inoltre può essere richiesto il risarcimento dei danni e, ove ne ricorrano i presupposti, possono essere invocate le adeguate misure cautelari (Bianca, 526).

Qualora durante la pendenza della condizione sospensiva una delle parti venga meno agli obblighi assunti col contratto, l'altra parte ha diritto di chiederne la risoluzione, senza attendere il verificarsi o meno della condizione (Cass. n. 3229/1975; Cass. n. 2335/1971). In tal caso il momento dell'inadempimento – utile ai fini della determinazione del danno risarcibile e della sua decorrenza – va individuato in quello (ultimo) in cui risulta che la parte non si sia attivata per consentire il verificarsi della condicio facti (Cass. n. 21427/2022).

Bibliografia

Barbero, Condizione, in Nss. D.I., Torino, 1957; Bianca, Diritto civile, III, Il contratto, Milano, 1997; Bigliazzi Geri-Breccia-Busnelli-Natoli, Diritto civile, 1.2, Fatti e atti giuridici, Torino, 1990; Cataudella, I contratti. Parte generale, Torino, 2014; Falzea, voce Condizione (diritto civile), in Enc. giur., Roma, 1988; Galgano, Diritto civile e commerciale, II, 1, Padova, 1993; Maiorca, voce Condizione, in Dig. civ. 1988;Messineo, Il contratto in genere, Milano, 1968; Osti, voce Contratto, in Nss. D.I., Torino, 1959; Pelosi, La proprietà risolubile nella teoria del negozio condizionato, Milano, 1975; Rescigno, voce Condizione, in Enc. dir., Milano, 1961; Santoro Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, rist. 1985; Tatarano, «Incertezza», autonomia privata e modello condizionale, Napoli, 1976.

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