Codice Civile art. 1366 - Interpretazione di buona fede.

Cesare Trapuzzano

Interpretazione di buona fede.

[I]. Il contratto deve essere interpretato secondo buona fede [1337, 1375].

Inquadramento

La buona fede rilevante ai fini dell'interpretazione del contratto è la buona fede oggettiva, ossia che rispecchia il canone di correttezza, lealtà e chiarezza (Bianca, 393). A fronte della tesi che inserisce la norma sull'interpretazione del contratto secondo buona fede nella categoria delle norme che contemplano criteri di interpretazione soggettiva, poiché diretta a determinare la comune intenzione delle parti (Casella, 202), si pone altro orientamento secondo cui si tratta di norma intermedia, ossia che non può essere collocata né tra le regole di interpretazione soggettiva né tra le regole di interpretazione oggettiva (Grassetti, 906). In base ad altra ricostruzione la norma detterebbe un criterio meramente sussidiario di interpretazione oggettiva, che presuppone l'incertezza circa la comune intenzione delle parti (Messineo, 951; Carresi, in Tr. C. M. 1987, 538). È prevalente l'indirizzo che riconosce alla clausola di buona fede oggettiva la portata di regola di interpretazione della comune intenzione delle parti, poiché il ricorso alla buona fede in chiave ermeneutica permette la valorizzazione del significato del contratto sul quale le parti, in relazione alle circostanze del caso concreto, potevano e dovevano fare ragionevole affidamento (Bianca, 395; Mirabelli, in Comm. Utet 1984, 272; Mosco, 68). Diverse opinioni sussistono anche sul valore programmatico o precettivo del criterio di interpretazione secondo buona fede. In ragione di un primo assunto la previsione avrebbe un valore non meramente teorico ma comunque non più che programmatico, poiché essa detterebbe un principio cui il legislatore vuole che sia uniformata l'applicazione delle norme sull'interpretazione oggettiva (Oppo, 105); si tratterebbe dunque di una qualità dei criteri di interpretazione oggettiva, che devono essere letti appunto secondo buona fede. In questa prospettiva il ruolo della buona fede sarebbe alquanto marginale. Altra opinione, volta a rivalutare tale ruolo e oggi prevalente, sostiene che la norma sulla buona fede costituisce norma finale, con la quale deve sempre e comunque concludersi l'interpretazione (Bigliazzi Geri, Note in tema di interpretazione secondo buona fede, Pisa, 1970, 71). La buona fede è in conseguenza intesa come criterio di valutazione complessiva (e finale) del negozio, che comporta un accertamento dei limiti di rilevanza della fattispecie, capace di realizzare un effettivo contemperamento degli interessi contrapposti (Bigliazzi Geri, cit., 100). Così la buona fede consente una ponderazione equilibrata del contenuto contrattuale nel senso più ragionevole per entrambi i contraenti mentre le norme di ermeneutica oggettiva consentono aggiustamenti del regolamento contrattuale in chiave puramente normativa (Costanza, 25). In ragione di altro assunto, comunque riconducibile ad una valenza precettiva e non programmatica della norma, il principio in esame ha una funzione di controllo del testo contrattuale, in considerazione delle esigenze che l'operazione economica è destinata a soddisfare (Bessone, Adempimento e rischio contrattuale, Milano, 1969, 197).

Secondo la S.C. nel sistema giuridico attuale l'attività interpretativa secondo buona fede dei contratti è legalmente guidata, nel senso che essa risulta conforme a diritto non già quando ricostruisce con precisione la volontà delle parti, ma quando si adegui alle regole legali, le quali in generale non sono norme integrative, dispositive o suppletive del contenuto del contratto, ma piuttosto costituiscono lo strumento di ricostruzione della comune volontà delle parti al momento della stipulazione del contratto e perciò della sostanza dell'accordo (Cass. n. 8619/2006). Anche in giurisprudenza si riscontrano contrasti sulla natura del criterio di interpretazione secondo buona fede. Una prima posizione evidenzia che l'interpretazione del contratto secondo buona fede costituisce un mezzo ermeneutico sussidiario che presuppone la persistenza di un dubbio sul reale significato delle dichiarazioni contrattuali delle parti, sicché non è consentito farvi ricorso quando il giudice del merito, attraverso l'esame degli elementi di prova raccolti, abbia già accertato l'effettiva volontà delle parti (Cass. n. 8411/2003; Cass. n. 3392/2001; Cass. n. 12165/1992; Cass. n. 303/1988; Cass. n. 5657/1986; Cass. n. 5663/1984; Cass. n. 1988/1983). Altro arresto sostiene che la buona fede impone di analizzare le espressioni usate dalle parti contraenti stabilendo quale sia il significato obiettivo sul quale le stesse, in relazione alle circostanze concrete, potevano e dovevano fare ragionevole affidamento, ricercandone la comune intenzione (Cass. n. 22343/2014; Cass. n. 9532/2000). In forza di altro pronunciamento la buona fede interpretativa rappresenta il punto di sutura tra la ricerca della reale volontà delle parti, costituente il primo momento del processo interpretativo, in base alla comune intenzione ed al senso letterale delle parole, ed il persistere di un dubbio sul preciso contenuto della volontà contrattuale, in base ad un criterio obiettivo, fondato su di un canone di reciproca lealtà nella condotta tra le parti, ed inteso alla tutela dell'affidamento che ciascuna parte deve porre nel significato della dichiarazione dell'altra (Cass. n. 6819/2001).

Gli effetti dell'interpretazione secondo buona fede

Nell'interpretazione del contratto la buona fede rileva come obbligo di lealtà che impone di non suscitare e non speculare su falsi affidamenti e di non contestare ragionevoli affidamenti comunque ingenerati nell'altra parte. In termini negativi la buona fede vieta in particolare interpretazioni cavillose, in contrasto con la causa del contratto o con lo spirito dell'intesa ovvero basate su espressioni letterali inserite o aggiunte per un errore materiale al testo concordato, ma non rispondenti all'intesa raggiunta (Bianca, 395).

La buona fede in chiave ermeneutica si specifica nel significato di lealtà e si concreta nel non suscitare falsi affidamenti e nel non contestare ragionevoli affidamenti ingenerati nella controparte (Cass. n. 6675/2018). Essa esclude  significati unilaterali o contrastanti con l'affidamento dell'uomo medio (Cass. n. 5782/2014; Cass. n. 5239/2004). Essa rileva sia sul piano dell'individuazione degli obblighi contrattuali sia su quello del bilanciamento dei contrapposti interessi delle parti (Cass. n. 20106/2009).

Il campo applicativo

La clausola di buona fede in sede interpretativa si applica anche ai negozi unilaterali recettizi (Grassetti, 906). È invece escluso che si applichi al testamento, atto che non è volto a fondare l'altrui affidamento (Santoro Passarelli, 234; Grassetti, 906).

Secondo la giurisprudenza, il criterio della buona fede nell'interpretazione dei contratti è applicabile anche agli atti prenegoziali (Cass. n. 5239/2004; Cass. n. 6819/2001; Cass. n. 5939/1978) e ai contratti di cui sia parte la P.A. (Cass. n. 1308/1983, in Giust. civ. 1983, 8, I, 2379, con nota di Costanza). Si ritiene che il principio trovi applicazione anche al testamento (Cass. n. 1770/1955).

Bibliografia

Bianca, Diritto civile, III, Il contratto, Milano, 1997; Casella, Il contratto e l'interpretazione, Milano, 1961; Cataudella, I contratti. Parte generale, Torino, 2014; Costanza, Profili dell'interpretazione del contratto secondo buona fede, Milano, 1989; Galgano, Diritto civile e commerciale, II, 1, Padova, 1993; Grassetti, Interpretazione dei negozi giuridici inter vivos e mortis causa, in Nss. D.I. Torino, 1965; Messineo, Contratto, in Enc. dir., Milano, 1961; Mosco, Principi sull'interpretazione dei negozi giuridici, Napoli 1952; Oppo, Profili dell'interpretazione oggettiva del negozio giuridico, Bologna, 1943; Rizzo, Interpretazione del contratto e relatività delle sue regole, Napoli, 1985; Santoro Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, rist. 1985; Scognamiglio C., Interpretazione del contratto e interessi dei contraenti, Padova, 1992.

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