Codice Civile art. 1373 - Recesso unilaterale.Recesso unilaterale. [I]. Se a una delle parti è attribuita la facoltà di recedere dal contratto, tale facoltà può essere esercitata finché il contratto non abbia avuto un principio di esecuzione [1671, 2227, 2237]. [II]. Nei contratti a esecuzione continuata o periodica, tale facoltà può essere esercitata anche successivamente, ma il recesso non ha effetto per le prestazioni già eseguite o in corso di esecuzione [1671, 2227]. [III]. Qualora sia stata stipulata la prestazione di un corrispettivo per il recesso, questo ha effetto quando la prestazione è eseguita [1386]. [IV]. È salvo in ogni caso il patto contrario. InquadramentoLa norma regola la figura del recesso di natura convenzionale, che si identifica con la facoltà pattiziamente riconosciuta a favore di una o ciascuna parte di influire negativamente, con decisione unilaterale, sul rapporto contrattuale. Il recesso non è ammissibile nei rapporti sottratti all'autonomia privata. A fronte della pluralità di funzioni che il recesso in generale può rivestire nel nostro ordinamento, il quale può rispettivamente svolgere la funzione di determinare il termine finale nei contratti di durata che ne siano privi, di costituire un mezzo di impugnazione del contratto o di concedere una possibilità di pentirsi della regola contrattuale (ius poenitendi) precedentemente posta (Gabrielli, 2), la figura regolata dall'art. 1373 persegue lo scopo corrispondente alla terza funzione indicata. La facoltà di recesso consiste in un diritto potestativo riconosciuto alla parte (Gabrielli, 9); in senso contrario altra dottrina qualifica il recesso come facoltà immanente al rapporto (Sangiorgi, 168). Secondo un filone della dottrina, le parti possono stabilire la facoltà di recesso anche in assenza di giusta causa, ossia ad nutum, salvo il limite della valutazione del suo esercizio secondo il canone della buona fede (Bianca, 704). In base ad altro indirizzo, in carenza di giusta causa la facoltà di recesso non spetta e l'atto di recesso eventualmente esercitato è nullo per mancanza dell'elemento causale essenziale (Mirabelli, in Comm. Utet 1984, 300; contra Sangiorgi, 1). Le parti possono far dipendere il recesso da un dato adempimento oppure possono stabilire un termine di scadenza per il suo esercizio (Gabrielli, 102) ovvero possono prevedere che sia esercitabile all'esito del manifestarsi di un determinato evento (Di Majo, 116). Si nega che il recesso possa essere subordinato ad una condizione sospensiva o risolutiva, salvo che non si tratti di condicio iuris (Carresi, in Tr. C. M. 1987, 847); in senso contrario altri autori sostengono che il recesso sia compatibile con l'apposizione di una condizione, sia essa sospensiva o risolutiva (De Nova, in Tr. Res., 1982, 549; Sangiorgi, 7); secondo un autore sarebbe ammissibile la sola condizione sospensiva (Gabrielli, 125). È invece pacificamente ammessa l'apposizione di un termine. Dal recesso convenzionale si distingue il recesso legale, il quale non si fonda su una specifica pattuizione delle parti volta a riconoscere la corrispondente facoltà, bensì su specifiche previsioni di legge che ammettono tale diritto nell'ambito della disciplina dei contratti tipici ovvero riposa sui principi generali dell'ordinamento a fronte dell'esistenza di contratti a tempo indeterminato in senso tecnico. Alle ipotesi di recesso legale si applica, in quanto compatibile, la disciplina prevista per il recesso convenzionale (Gabrielli, 88). Viceversa la disciplina speciale prevista per le singole ipotesi di recesso legale non si applica al recesso convenzionale. La contemplazione nel contratto della facoltà di recesso, in quanto derogatoria del principio generale secondo cui il contratto ha forza di legge tra le parti, pur non richiedendo l'uso di formule sacramentali, esige che la sua redazione avvenga in termini alquanto precisi e inequivoci (Cass. n. 5368/2018; Cass. n. 8776/1987). Il recesso quale facoltà accordata dai contraenti prescinde dalla ricorrenza di una situazione di inadempimento nonché dalla valutazione della sua importanza e gravità, fatta salva una diversa volontà delle parti (Cass. n. 10400/2008; Cass. n. 17294/2006). Qualora i contraenti abbiano attribuito ad uno di essi la facoltà di recedere dal contratto ad una determinata scadenza, l'esercizio di questa facoltà non può essere subordinato dal giudice alla ricorrenza di presupposti non previsti dalle parti ed in particolare alla sussistenza di una giusta causa, perché ciò esulerebbe dai limiti dell'interpretazione della volontà contrattuale, per trascendere in un'integrazione di tale volontà non consentita dagli artt. 1373 e 1374 (Cass. n. 1888/1974). La giurisprudenza ammette che l'efficacia del patto con cui viene attribuita ad una delle parti la facoltà di recesso possa essere subordinata ad un avvenimento futuro ed incerto (Cass. n. 2873/1979). La clausola “salvo approvazione della casa”, ove si tratti di contratto concluso dal rappresentante, comporta l'attribuzione di una facoltà di recesso in favore del rappresentato (Cass. n. 4293/1980). Il contratto di associazione in partecipazione per un periodo di tempo determinato non è un contratto basato sull'elemento della fiducia e pertanto non è consentito il recesso unilaterale anticipato (Cass. n. 13649/2013); ove invece manchi la previsione di un termine di durata il recesso è consentito (Cass. n. 4473/1993; Cass. n. 3568/1978). Un'ipotesi di recesso legale è anche quella contemplata dall'art. 1385, in esito alla pattuizione di una caparra confirmatoria, poiché il recesso che può essere esercitato in questa fattispecie consegue ad un fatto illegittimo, ossia all'inadempimento della controparte; ne consegue che a tale fattispecie di recesso legale non si applica la disciplina del recesso convenzionale, in specie con riferimento alla previsione che preclude il recesso ove il contratto abbia avuto un principio di esecuzione (Cass. n. 7762/2013; Cass. n.12860/1993; Cass. n. 1915/1980; Cass. n. 1098/1962). Al recesso convenzionale non sono applicabili le norme speciali dettate per il recesso legale nei vari tipi contrattuali (Cass. n. 2417/1971). Il limite temporale all'esercizio del recessoIl recesso può essere esercitato solo fino a quando il contratto non abbia avuto un principio di esecuzione, ossia fino quando non sia iniziata l'esecuzione del rapporto giuridico che da esso deriva. Segnatamente si ha principio di esecuzione del rapporto quando l'effetto reale si è in tutto o in parte realizzato o quando la prestazione obbligatoria è stata in tutto o in parte adempiuta. La valutazione del principio di esecuzione ha come termine di riferimento il periodo successivo alla conclusione del contratto, sicché la facoltà di recesso non è preclusa dall'esecuzione di prestazioni, come caparre e acconti, avvenuta anteriormente o contestualmente alla stipulazione (Carresi, in Tr. C. M. 1987, 846; Gabrielli, 99; De Nova, in Tr. Res., 1982, 548). Per converso l'adempimento degli obblighi prodromici rende inattuabile il recesso. Qualora l'atto di inizio di esecuzione sia compiuto da persona incapace di agire o la cui volontà sia viziata, il diritto di recesso non si estingue (Carresi, in Tr. C. M. 1987, 846). Le parti possono prevedere l'esercizio del diritto di recesso anche quando si sia avuto un principio di esecuzione del contratto. Un autore afferma che, ove le parti abbiano pattuito che il recesso possa essere esercitato anche dopo che il contratto abbia avuto un inizio di esecuzione, deve essere previsto un termine finale per l'esercizio del recesso; in mancanza di espressa pattuizione si ritiene applicabile l'art. 1331, comma 2, sicché la parte interessata può chiederne la fissazione al giudice (Gabrielli, 101). Viceversa, ove sia stabilito un termine finale per l'esercizio, senza che sia stata espressamente prevista la deroga al limite del principio di esecuzione, tale ultimo limite sarà comunque applicabile (Bianca, 701). Secondo la S.C. il principio di esecuzione ha una connotazione volontaristica, nel senso che questo, per poter precludere il recesso, o deve essere stato posto in essere dallo stesso recedente o, se posto in essere da altro contraente, non deve aver trovato opposizione e rifiuto da parte del primo; per l'effetto, con riferimento ad un contratto preliminare, si ritiene che il recesso possa essere esercitato in via di eccezione o di domanda riconvenzionale anche dopo che la controparte abbia chiesto in via giudiziale l'esecuzione in forma specifica (Cass. n. 10300/1994; contra Cass. n. 6482/1980). Il valido esercizio della facoltà di recesso presuppone la previsione di un termine preciso o almeno sicuramente determinabile (Cass. n. 7579/1983). Secondo alcuni arresti giurisprudenziali il versamento della caparra confirmatoria costituisce principio di esecuzione del contratto, in ragione della sua duplice funzione di liquidazione convenzionale e forfettaria del danno nel caso di inadempimento e di acconto sul dovuto nel caso di adempimento, con la conseguenza che all'esito l'esercizio del recesso è precluso (Cass. n. 1101/1988; Cass. n. 727/1980). Il pagamento di un acconto, anche mediante la consegna di cambiali con scadenza successiva alla conclusione del contratto, o la consegna del bene costituiscono fatti rappresentativi dell'inizio di esecuzione quando avvengano dopo la sua stipulazione (Cass. n. 21198/2022; Cass. n. 6582/1984; Cass. n. 2625/1984); ove invece siano contestuali alla conclusione del contratto non integrano principio di esecuzione e non inibiscono l'esercizio del recesso, perché altrimenti le parti verrebbero a pattuire e al contempo ad escludere la possibilità del recesso (Cass. n. 5641/1982; Cass. n. 2615/1982; Cass. n. 6318/1980; Cass. n. 5196/1978). In senso contrario, altro arresto ritiene che anche se il pagamento dell'acconto o la consegna della cosa siano anteriori alla stipulazione del contratto possono costituire principio di esecuzione in relazione alla funzione socio-giuridica del singolo negozio in concreto (Cass. n. 6507/1979). Il limite temporale nei contratti di durata Con riguardo ai contratti ad esecuzione continuata o periodica la facoltà di recesso può essere esercitata anche dopo che il contratto abbia avuto un principio di esecuzione; tuttavia il recesso non produce effetto in ordine alle prestazioni già eseguite. Se il contratto non ha una durata minima o se il termine minimo di durata è superato con rinnovo per eguale periodo, ciascuna delle parti è libera di recedere benché non sia espressamente contemplato il recesso, salvo il rispetto della clausola di buona fede (Galgano, in Comm. S.B. 1993, 63; Bianca, 705; Mirabelli, in Comm. Utet 1984, 297; Sangiorgi, 183; contra Gabrielli, 61); segnatamente il rispetto della buona fede esige che il recesso sia esercitato in modo da salvaguardare l'interesse dell'altra parte, sempre che ciò non comporti per il recedente un apprezzabile sacrificio; così ove la parte che lo subisce abbia difficoltà a costituire un nuovo rapporto sostitutivo, la clausola di buona fede impone che il recesso sia comunicato con un congruo preavviso (Bianca, 705). La giurisprudenza aderisce a due soluzioni diverse in ordine all'ammissibilità dell'esercizio della facoltà di recesso nei contratti a durata indeterminata, ove tale facoltà non sia espressamente prevista dalla legge o dalle parti: in base ad un primo indirizzo, qualora un contratto venga stipulato senza l'indicazione di una scadenza, la relativa mancanza non implica che gli effetti perdurino nel tempo senza limiti, atteso che — in sintonia col principio di buona fede nell'esecuzione del contratto ed in coerenza con la naturale temporaneità dell'obbligazione — deve essere riconosciuta alle parti la possibilità di farne cessare l'efficacia, previa disdetta, anche in difetto di previsione legale, non essendo a ciò di ostacolo il disposto dell'art. 1373 che, regolando il recesso unilaterale nei contratti di durata quando tale facoltà è stata prevista dalle parti, nulla dispone per il caso di mancata previsione pattizia al riguardo (Cass. n. 18508/2005; Cass. n. 14827/2002; Cass. n. 6427/1998; Cass. n. 1694/1997; Cass. n. 8360/1996; Cass. n. 4507/1993; Cass. n. 4473/1993); in base ad altro orientamento nei rapporti di durata indeterminata il recesso può essere esercitato solo in quanto previsto in via convenzionale, non costituendo una facoltà spettante ex lege (Cass. n. 7579/1983; Cass. n. 2817/1976). L'esercizio del recessoL'atto di esercizio della facoltà di recesso costituisce negozio unilaterale recettizio con effetti estintivi di un precedente rapporto contrattuale (Galgano, in Comm. S.B. 1993, 58; Mirabelli, in Comm. Utet 1984, 301), al quale si applica la disciplina del contratto ai sensi dell'art. 1324 (Sangiorgi, 7; Gabrielli, 121), ivi compresa la regolamentazione delle dichiarazioni recettizie (Galgano, in Comm. S.B. 1993, 59; Bianca, 701; De Nova, in Tr. Res., 1982, 547). Una volta che l'atto di recesso sia comunicato alla controparte, o sia venuto a conoscenza dell'ultima parte nei contratti plurilaterali, esso diventa impegnativo sia per l'emittente che per la controparte nonché irrevocabile, anche se l'efficacia sia differita ad un momento ulteriore (Mirabelli, in Comm. Utet 1984, 303). Quando la legittimazione all'esercizio del recesso sia attribuita a più soggetti di un medesimo rapporto giuridico, tale legittimazione sarà congiuntiva o disgiuntiva a seconda che influisca o meno sulla permanenza del rapporto nei confronti degli altri, sicché ove non determini il venir meno del rapporto il recesso può essere esercitato anche dal singolo. Il recesso può essere esercitato dal rappresentante, essendo il relativo potere implicito nella procura generale o in quella speciale relativa al rapporto interessato. Il recesso si esercita mediante disdetta, che soggiace ai medesimi vincoli di forma prescritti per il contratto a cui si riferisce (Galgano, in Comm. S.B. 1993, 58). Secondo alcuni il vincolo di forma opera per relationem quando per il contratto che si intende sciogliere mediante recesso sia richiesta la forma ad substantiam (Bianca, 705; Sangiorgi, 7); secondo altri l'estensione del vincolo formale riguarda anche i contratti la cui forma sia richiesta ad probationem (Galgano, in Comm. S.B. 1993, 58). Ove non sia richiesto alcun vincolo formale della disdetta, il recesso può essere validamente comunicato in via verbale e può essere desunto per facta concludentia. La legge o le parti possono stabilire un termine minimo di preavviso per l'esercizio del recesso, il quale costituisce un termine iniziale (Sangiorgi, 7). Anche in mancanza di espressa previsione legale o convenzionale il rispetto del canone di buona fede può esigere che il recesso sia comunicato con un congruo preavviso (Bianca, 704). Ove il termine di preavviso non sia osservato, ne consegue l'inefficacia dell'esercizio del recesso (Bianca, 704; Mirabelli, in Comm. Utet 1984, 301); secondo altra impostazione le conseguenze dipendono dai termini della configurazione pattizia dell'obbligo di preavviso (Gabrielli, 33). Le pronunce di legittimità segnano una distinzione tra recesso e disdetta: il primo atterrebbe ai rapporti senza termine finale ed avrebbe efficacia ex nunc; la seconda riguarderebbe i rapporti di durata con termine finale, ma tacitamente rinnovabili, e produrrebbe effetti dalla scadenza del termine (Cass. n. 6354/1981). La S.C. ritiene che il recesso sottostà alle medesime garanzie di forma previste per il contratto alla cui risoluzione è preordinato (Cass. n. 14730/2000; Cass. n. 1609/1994; Cass. n. 5454/1990; Cass. n. 5059/1986; Cass. n. 267/1976). Nel caso di forma prescritta ad probationem il recesso non richiede la forma scritta (Cass. n. 7122/2013). In mancanza di specifiche prescrizioni formali la comunicazione del recesso non richiede il rispetto di particolari formalità, essendo sufficiente che sia conosciuto nella sua essenzialità dalla controparte (Cass. n. 2741/1983). Ove la disdetta possa essere esercitata verbalmente o per fatti concludenti, essa non può essere desunta dal comportamento che riveli la semplice volontà di non adempiere le obbligazioni derivanti dal contratto (Cass. n. 5340/1980). L'esistenza del diritto deve essere dimostrata a cura della parte che ne rivendica l'esercizio (Cass. 987/1990). Ove sia previsto il diritto di recesso in favore dei promissari acquirenti in un preliminare di vendita, il recesso esercitato da uno di essi, lasciando fermo il rapporto, non preclude all'altro di agire per l'esecuzione in forma specifica accollandosi il pagamento dell'intero prezzo (Cass. n. 5776/2014). L'obbligo del preavviso ha la funzione di tutelare il contraente receduto, al quale viene concesso, attraverso la dilazione degli effetti della volontà espressa dal recedente, il tempo sufficiente a regolare i suoi interessi; la sua violazione peraltro non comporta una danno in re ipsa, da risarcire a prescindere da qualunque effettivo pregiudizio (Cass. n. 227/2013). Gli effetti del recessoIn conseguenza dell'esercizio del recesso, una volta trascorso il termine di preavviso legalmente o convenzionalmente fissato, si produce l'effetto di scioglimento automatico ex nunc del vincolo contrattuale. Non è ammesso l'esercizio di un recesso parziale, ossia che determini la caducazione solo di una parte del rapporto derivante dal contratto. Nel caso di contratti plurilaterali il recesso di una delle parti non determina lo scioglimento dell'intero rapporto, ma comporta solo l'uscita dal contratto della parte che ha esercitato il recesso, salvo che la partecipazione del recedente debba considerarsi essenziale (Galgano, in Comm. S.B. 1993, 62; Sangiorgi, 1; Carresi, in Tr. C. M. 1987, 844). Il recesso produrrà effetti retroattivi ove le parti abbiano convenzionalmente stabilito l'efficacia ex tunc del recesso (Gabrielli, 91; contra Mirabelli, in Comm. Utet 1984, 297). Anche nei contratti di durata il recesso può operare retroattivamente, ove le parti abbiano disposto in tal senso (De Nova, in Tr. Res., 1982, 548). Il recesso prevale sui diritti dei terzi quando la clausola attributiva della corrispondente facoltà sia stata resa opponibile ai terzi, conformemente al regime di opponibilità valevole per il contratto a cui il recesso si riferisce (Bianca, 701). È esclusa l'opponibilità ai terzi della facoltà di recesso retroattiva (Gabrielli, 96). Nel caso di contratti collegati non può essere esercitato il recesso con riguardo ad uno solo dei contratti, quando, in conseguenza di tale esercizio, venga meno l'equilibrio dell'intero regolamento negoziale (Cass. n. 638/1976). Sebbene il recesso sia atto irrevocabile dal momento in cui il destinatario ne abbia avuto notizia, ciò non esclude che le parti, nel rispetto dell'autonomia contrattuale, possano far venire meno gli effetti della fattispecie estintiva, ponendo in essere una concorde manifestazione di volontà (Cass. n. 1454/2019). La multa penitenzialeLe parti possono legittimamente subordinare l'esercizio della facoltà di recesso alla prestazione di un corrispettivo, sicché l'esercizio del recesso sarà a titolo oneroso (Carresi, in Tr. C. M. 1987, 848). La disposizione si riferisce all'ipotesi in cui tale corresponsione sia solo promessa nel contratto in cui si riconosce la facoltà di recesso. In tal caso si tratterà di multa penitenziale. Qualora il corrispettivo sia versato sin dal momento della stipula del contratto che riconosce il recesso, ricorre l'istituto della caparra penitenziale, regolato dall'art. 1386. Solo all'esito della dazione di tale corrispettivo il recesso produrrà effetti. Nondimeno la manifestazione della volontà di recedere anteriormente al versamento del corrispettivo, pur non producendo lo scioglimento, è comunque efficace nel senso che essa determina un obbligo di prestare tale corrispettivo, il quale potrebbe essere legittimamente richiesto dalla parte nei cui confronti la facoltà di recesso è stata manifestata (Gabrielli, 102). Ove il corrispettivo del recesso sia stato pattuito a fronte della possibilità di recedere anche dopo che il contratto abbia avuto un principio di esecuzione, si ritiene che condizione per l'efficacia del recesso non sia solo il versamento del corrispettivo ma anche la restituzione delle prestazioni già eseguite (Gabrielli, 103). L'istituto della multa penitenziale (multa poenitentialis) assolve — non diversamente dalla caparra penitenziale, nella quale il versamento avviene anticipatamente — alla sola finalità di indennizzare la controparte nell'ipotesi di esercizio del diritto di recesso da parte dell'altro contraente; ne consegue che in tali casi, poiché non è richiesta alcuna indagine sull'addebitabilità del recesso, diversamente da quanto avviene in tema di caparra confirmatoria o di risoluzione per inadempimento, il giudice deve limitarsi a prendere atto dell'avvenuto esercizio di tale diritto potestativo da parte del recedente e condannarlo al pagamento del corrispettivo richiesto dalla controparte (Cass. n. 6558/2010). Da ultimo, in senso opposto, si è rilevato che deve escludersi il diritto alla percezione della multa se il contraente onerato provi che il suo recesso è giustificato, in relazione alla formulata exceptio inadimpleti contractus, dall'inadempimento dell'altra parte (Cass. n. 4838/2018). Non si tratta di clausola vessatoria (Cass. n. 18550/2021; Cass. n. 6558/2010). La prestazione del corrispettivo pattuito integra un debito di valuta (Cass. n. 5368/2018; n. 17340/2003). L'entità della multa penitenziale non può essere ridotta dal giudice (Cass. n. 1274/1948).Non si tratta di clausola vessatoria (Cass. n. 6558/2010). La prestazione del corrispettivo pattuito integra un debito di valuta (Cass. n. 17340/2003). L'entità della multa penitenziale non può essere ridotta dal giudice (Cass. n. 1274/1948). Il patto contrarioLa disposizione che regola il recesso unilaterale esercitabile in via convenzionale non è inderogabile. Infatti la norma fa espressamente salvo il patto contrario, attribuendo natura dispositiva alla relativa regolamentazione. Pertanto, ove le parti stabiliscano condizioni o effetti del recesso difformi dalla disciplina normativa, prevale in ogni caso la volontà delle parti. Così le parti possono derogare alla previsione legislativa dell'efficacia ex nunc del recesso, stabilendo l'efficacia retroattiva. Possono ancora stabilire che il recesso sia esercitabile anche dopo che il contratto sia stato in tutto o in parte eseguito (Bianca, 702; De Nova, in Tr. Res., 1982, 548). Nondimeno si esclude che le parti possano pattuire l'esercizio del recesso nei contratti ad efficacia reale, dove è invece possibile prevedere la clausola risolutiva potestativa (Mirabelli, in Comm. Utet 1984, 297; Carresi, in Tr. C. M. 1987, 847). In base ad altro indirizzo le parti possono validamente contemplare l'esercizio del recesso anche per i contratti ad efficacia reale (Bianca, 702; Gabrielli, 94; De Nova, in Tr. Res., 1982, 548). Anche la S.C. non è univoca in ordine all'ammissibilità di un patto di recesso accessorio ai contratti ad efficacia reale: alcuni arresti si sono espressi in termini positivi, ritenendo che la deroga convenzionale può riguardare anche tale aspetto (Cass. n. 812/1992); altri arresti hanno escluso la configurabilità di un patto di recesso per i contratti ad efficacia reale, dovendo a tali fini prevedersi una clausola risolutiva potestativa (Cass. n. 3017/1973). Il patto contrario può concernere la legittimazione all'esercizio dello ius poenitendi anche dopo che il contratto abbia avuto un inizio di esecuzione (Cass. n. 1513/1990). Il rapporto tra risoluzione e recessoLa domanda di risoluzione per inadempimento è compatibile con la domanda volta ad ottenere la declaratoria dello scioglimento dal contratto per il legittimo esercizio della facoltà di recesso (Gabrielli, 37). Le due domande si fondano su presupposti diversi: la prima postula un inadempimento imputabile alla parte; la seconda esige l'esercizio di una facoltà legittima, in quanto previamente contemplata nel contratto. Analoga conclusione vale con riferimento alla compatibilità tra azioni di annullamento o risoluzione per eccessiva onerosità ed azione di accertamento della risoluzione del contratto per effetto dell'esercizio del recesso (Gabrielli, 37). Per la compatibilità si pronunciano alcuni arresti in ragione della diversità dei presupposti delle due azioni, sebbene prevalga la domanda di risoluzione per inadempimento, nonostante la natura costitutiva della corrispondente pronuncia, per la priorità dell'operatività dei relativi effetti, avendo efficacia retroattiva sino al momento dell'inadempimento (Cass. n. 16110/2009; Cass. n. 13079/2004; Cass. n. 2070/1993; Cass. n. 6983/1982; Cass. n. 6482/1980); per l'incompatibilità propendono altri arresti (Cass. n. 2759/1984; Cass. n. 1550/1951). L'esercizio di due reciproche domande volte ad accertare il legittimo esercizio del recesso a cura di ciascuna delle parti determina la risoluzione del contratto (Cass. n. 16317/2011). Il recesso e la clausola condizionale risolutivaLa distinzione tra recesso e clausola condizionale risolutiva è basata dalla dottrina sul ruolo rivestito dalla volontà del contraente: nel primo caso l'esercizio dipende da una scelta della parte; nel secondo dall'avveramento di un evento futuro e incerto (Carresi, in Tr. C. M. 1987, 847; Mirabelli, in Comm. Utet 1984, 297). Ma la differenza è sminuita quando si tratti di condizione risolutiva meramente potestativa, che dipende anch'essa dall'espressione della volontà della parte, tanto da ritenere che tale ipotesi di condizione integra in realtà una forma di recesso (Bianca, 738; De Nova, in Tr. Res., 1982, 548). La clausola contrattuale di cessazione immediata del contratto può essere qualificata come recesso senza preavviso o come clausola condizionale risolutiva, in ragione della diversa rilevanza della struttura e del modus operandi dei due istituti: il primo è ancorato ad una facoltà delle parti di sciogliere unilateralmente il contratto; il secondo è relazionato ad un avvenimento futuro e incerto (Cass. n. 26365/2014). Sul piano effettuale il recesso ha efficacia ex nunc, la condizione risolutiva produce effetti ex tunc (Cass. n. 3626/1989, in Giust. civ. 1990, 7, I, 1850, con nota di Costanza; Cass. n. 2504/1974). BibliografiaAlcaro, Promessa del fatto del terzo, in Enc. dir., Milano, 1988; Bavetta, La caparra, Milano, 1963; Bianca, Diritto civile, III, Il contratto, Milano, 1997; Bigliazzi Geri-Breccia-Busnelli-Natoli, Diritto civile, 1.2, Fatti e atti giuridici, Torino 1990; Cariota Ferrara, Il negozio giuridico nel diritto privato italiano, Napoli, 1949; Cataudella, I contratti. 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