Codice Civile art. 1379 - Divieto di alienazione.InquadramentoLa norma disciplina il divieto di alienazione di origine convenzionale, ossia che sia stato stabilito per accordo tra le parti, volto a limitare la libertà contrattuale nei rapporti con i terzi. A fronte del divieto di alienazione convenzionale sono contemplati nell'ordinamento divieti di alienazione legale, che perseguono fini che trascendono gli interessi delle parti e che possono avere efficacia reale. Tra i divieti legali si pone il divieto di cessione dei diritti reali di godimento di uso e abitazione, di cui all'art. 1024. Il divieto di alienazione stabilito dalle parti ha efficacia obbligatoria, sicché la sua violazione non determina l'invalidità dell'atto di alienazione al terzo e il divieto non è opponibile al terzo acquirente, indipendentemente dalla buona o mala fede di quest'ultimo. Il promissario non può ottenere quindi l'esecuzione in forma specifica, ma può invocare solo il risarcimento del danno conseguente alla trasgressione del patto. La disposizione è inderogabile. Pertanto, le parti non possono stabilire l'efficacia reale del patto, pena l'invalidità dello stesso (Mirabelli, in Comm. Utet 1984, 317; Funaioli, 403). Secondo un autore in dottrina, i divieti di alienazione espressi in regolamenti condominiali, come il divieto di vendita di frazioni distaccate dei singoli appartamenti, hanno efficacia reale se trascritti unitamente al regolamento (Bocchini, Limitazioni convenzionali al potere di disposizione, Napoli, 1977, 118). Si ritiene altresì che sia opponibile ai terzi il divieto di alienazione di quote sociali stabilito dall'atto costitutivo di una società, che sia stato debitamente pubblicizzato (Funaioli, 403; Bianca, 275). La norma richiede espressamente due requisiti di validità del patto, a pena di nullità: la sua limitazione entro un conveniente arco temporale; la sua rispondenza ad un interesse apprezzabile di almeno una delle parti. Il divieto di cessione a terzi delle aree site in zona industriale destinata alla realizzazione di opifici, posto a carico dell'assegnatario, se non preventivamente autorizzato dal consorzio costituito per l'attuazione degli obiettivi di legge, non è riconducibile al divieto di alienazione previsto dall'art. 1379, ma è fondato sulla pubblica utilità delle opere di sviluppo della zona industriale, concorrendo alla realizzazione dell'assetto urbanistico dell'area; ne consegue che il divieto è opponibile anche agli acquirenti (Cass. n. 20885/2015). Al contempo non viola il principio di temporaneità del divieto convenzionale di alienare il vincolo di destinazione senza limiti di tempo imposto dalla legge, in quanto il contenuto negoziale è predeterminato dall'interesse pubblico perseguito dalla legge stessa (Cass. n. 12191/2015; Cass. n. 6377/1992). Anche la giurisprudenza afferma che la violazione del patto non pregiudica comunque la validità dell'atto di alienazione in favore di terzo, ma legittima esclusivamente una pretesa risarcitoria (Cass. n. 5958/1985). Il conveniente limite temporaleAffinché il divieto di alienazione di origine convenzionale sia valido, è innanzitutto necessario che sia contenuto entro convenienti limiti di tempo. Ove le parti non abbiano fissato un termine al divieto di alienazione ovvero quando il termine fissato sia eccessivo, il patto è nullo. Infatti non è possibile ricorrere al giudice per richiedere la fissazione del termine, atteso che le norme che attribuiscono al giudice il potere di sostituirsi alle parti nella fissazione di un termine hanno carattere eccezionale e non sono pertanto suscettibili di applicazione analogica (Mirabelli, in Comm. Utet 1984, 317). In senso contrario altra dottrina ritiene che nel caso di determinazione di un termine superiore al consentito sarebbe possibile adire il giudice per richiedere la riduzione (Barbero, Sistema del diritto privato italiano, I, Torino, 1962, 485). Secondo altro autore l'intervento giudiziale sarebbe consentito, ma il giudice non potrebbe accordare la riduzione richiesta qualora il dissenziente provi che la riduzione del termine determinerebbe lo snaturamento dello scopo pratico perseguito con il patto (Bocchini, cit., 67). Gli autori indicati sostengono che alla mancata apposizione del termine non può porre rimedio l'autorità giudiziaria. Altro autore effettua invece la seguente discriminazione: qualora la durata del vincolo ecceda la convenienza, il patto è affetto da nullità (e dovrebbe escludersi una riduzione giudiziale della durata fissata convenzionalmente), potendosi peraltro convertire in un patto di prelazione, purché il termine non risulti comunque eccessivo; nel caso in cui invece manchi un termine, può chiedersene la fissazione al giudice o l'accertamento dell'ormai trascorso limite di tempo secondo convenienza, in analogia con la norma di cui all'art. 1331, comma 2 (Roppo, 574). La rispondenza ad un apprezzabile interesseIn secondo luogo il patto che stabilisce il divieto di alienazione deve corrispondere ad interessi meritevoli di tutela. L'interesse apprezzabile può anche essere non patrimoniale, morale o affettivo, ovvero indiretto, nel senso che il patto giova ad altro soggetto che si trovi in una situazione che giustifichi l'interesse a tale beneficio (Mirabelli, in Comm. Utet 1984, 317; Funaioli, 403). L'interesse deve superare il sacrificio derivante dall'indisponibilità (relativa) del bene; la carenza di interesse determina nullità del patto (Bocchini, cit., 64). L'oggetto del divietoIl patto può riguardare il divieto di alienazione totale o parziale ovvero il divieto di alienazione traslativa o costitutiva, o quello di alienazione a titolo oneroso o a titolo gratuito. Esso può avere ad oggetto qualsiasi diritto o bene (Mirabelli, in Comm. Utet 1984, 317; Funaioli, 403). Secondo un autore la norma non si applica al vincolo di destinazione imposto al proprietario, poiché il divieto in commento avrebbe ad oggetto la sola alienazione della proprietà (Bocchini, cit., 44). Non è invece pacificamente ammissibile concordare un divieto di alienazione riferito alla trasmissione dei diritti a causa di morte. La norma si applica anche con riferimento al patto di vendita a prezzo imposto (clausola del ricarico minimo o del minimo prezzo di rivendita), non riconducibile ai limiti contrattuali della concorrenza, o al divieto di alienazione a commercianti non autorizzati (Cass. n. 5024/1994; Cass. n. 4266/1974; Cass. n. 1941/1973) o ancora al vincolo di destinazione imposto al proprietario, in quanto esso comporta comunque limitazioni altrettanto incisive del diritto di proprietà o addirittura la sostanziale sterilizzazione sine die dei poteri dispositivi sul bene (Cass. n. 15240/2017; Cass. n. 12769/1999; Cass. n. 3082/1990). La S.C. sancisce altresì la nullità per contrasto con la clausola dell'ordine pubblico del divieto di alienazione del suo patrimonio stabilito dal testatore (Cass. n. 3969/1979). La distinzione dal patto di prelazioneIl divieto di alienazione si differenzia dal patto di prelazione, poiché in tale ultima ipotesi non ricorre un divieto di alienare, bensì vi è piena libertà di alienazione sull' an mentre vi è un impegno assunto in ordine al beneficiario del trasferimento, che vanta un diritto di preferenza a parità di condizioni. Il soggetto tenuto al rispetto del patto di prelazione non può alienare a terzi non in termini assoluti, ma solo se il prelazionario si avvalga della preferenza accordatagli. La prelazione può essere legale o convenzionale. Secondo una parte della dottrina la prelazione convenzionale consiste in un vincolo di alienazione particolarmente caratterizzato, con l'effetto che è applicabile la norma in commento e non l'art. 1566 (Bianca, 277; contra Catricalà, Funzioni e tecniche della prelazione convenzionale, in Riv. dir. civ. 1978, II, 546). La prelazione legale in tema di retratto successorio, di prelazione agraria e di prelazione urbana ha efficacia reale. Anche la giurisprudenza distingue il patto di prelazione dal divieto di alienazione (Cass. n. 18726/2018). Al riguardo il patto di prelazione per il caso di vendita, stipulato senza limiti di tempo, non ricade nel divieto di rapporti obbligatori che tolgono senza limitazioni cronologiche al proprietario la facoltà di disporre dei suoi beni, in quanto tale patto non comporta l'annullamento dell'indicata facoltà, restando sempre il proprietario perfettamente libero di disporre o meno dei suoi beni ed alle condizioni che preferisce, bensì soltanto un limite relativo alla libera scelta della persona del compratore, la quale nella normalità dei casi, a parità di condizioni per tutto il resto, è indifferente per il venditore. Tuttavia, ai sensi dell'art. 1183, deve ritenersi ammissibile un intervento del giudice che, su istanza di una delle parti, stabilisca un termine finale ritenuto congruo per l'esercizio del diritto di prelazione (Cass. n. 15709/2013). BibliografiaAlcaro, Promessa del fatto del terzo, in Enc. dir., Milano, 1988; Bavetta, La caparra, Milano, 1963; Bianca, Diritto civile, III, Il contratto, Milano, 1997; Bigliazzi Geri-Breccia-Busnelli-Natoli, Diritto civile, 1.2, Fatti e atti giuridici, Torino 1990; Cariota Ferrara, Il negozio giuridico nel diritto privato italiano, Napoli, 1949; Cataudella, I contratti. Parte generale, Torino, 2014; Cherubini, La promessa del patto del terzo, Milano, 1992; D'Avanzo, voce Caparra, in Nss. 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