Codice Civile art. 1434 - Violenza.

Cesare Trapuzzano

Violenza.

[I]. La violenza è causa di annullamento del contratto, anche se esercitata da un terzo [122, 265, 482, 526, 624; 610 c.p.].

Inquadramento

La norma fa riferimento alla violenza morale quale vizio del consenso. Si intende evocare la vis compulsiva o vis animo illata, quale forma di coazione psicologica che menoma la libertà di determinazione, senza escluderla in radice. Essa si sostanzia nella sovrapposizione arbitraria e ingiusta della volontà di un soggetto sull'altrui autonomia negoziale (Carresi, in Tr. C. M., 1987, 474; Scognamiglio, Note in tema di violenza morale, in Riv. dir. comm., 1953, II, 386). Infatti la violenza morale o minaccia vizia la volontà, ma non la esclude, secondo il brocardo latino etiam si liberum esset noluissem, tamen coactus volui, diversamente dalla violenza fisica o vis absoluta o vis corpori illata, che si traduce nel costringimento materiale al compimento dell'atto, causandone la nullità (Criscuoli, Violenza fisica e violenza morale, in Riv. dir. civ., 1970, I, 137; Trabucchi, voce Violenza, in Nss. D.I., 1975, 942) o secondo altri la giuridica inesistenza (Mirabelli, in Comm. Utet, 1984, 433; Bianca, 619; Carresi, in Tr. C. M., 1987, 475). Accanto a questa distinzione è stata proposta la discriminazione tra violenza assoluta, che realizza una coercizione totale, e violenza relativa, che si limita ad alterare il consenso (Criscuoli, cit., 127); solo la seconda forma di violenza costituisce un vizio nella formazione del consenso (Sacco-De Nova, in Tr. Res., 1988, 167). In realtà si è osservato che anche la sola minaccia può condurre il minacciato alternativamente a volere gli effetti dell'atto, sebbene tale volontà sia viziata, ovvero a volere soltanto il comportamento dichiarativo, riservandosi mentalmente di non volere gli effetti della dichiarazione, e in quest'ultimo caso la dichiarazione sarà radicalmente inefficace (Santoro Passarelli, 166). Sicché dovrà essere valutato in concreto se la violenza psichica posta in essere abbia reciso a monte l'aspetto volitivo o ne abbia alterato la formazione.

Secondo la S.C. l'apprezzamento del giudice di merito sull'esistenza e sull'efficacia della minaccia a coartare la volontà di una persona si risolve in un giudizio di fatto, incensurabile in Cassazione se correttamente motivato (Cass. n. 647/1987; Cass. S.U., n. 1402/1972). La domanda di annullamento del contratto per violenza morale non può essere riqualificata dal giudice come domanda di annullamento per dolo, egli incorrendo altrimenti in ultrapetizione per mutamento del fatto costitutivo (Cass. n. 11371/2014).

I requisiti della violenza

La violenza che assume in questa sede rilievo è quella determinata da un atto umano, che si estrinseca in un momento anteriore alla conclusione del negozio come minaccia attuale di un male futuro. Sicché deve persistere al momento della prestazione del consenso. Essa può esplicarsi secondo una fenomenologia variabile e quindi anche in modo non esplicito, indeterminato e indiretto. Anche una minaccia avanzata senza intenzione di portarla ad attuazione, quando vi sia coscienza di avere determinato con ciò l'agire altrui, può bastare per integrare la violenza rilevante. La dichiarazione viziata da minaccia è efficace, fatta salva l'annullabilità, quando sul piano sociale sia idonea a creare un serio affidamento. Ove anche questa idoneità manchi la dichiarazione del minacciato è inefficace e al limite inesistente (Sacco-De Nova, in Tr. Res., 1988, 171). Secondo un orientamento un contratto dovuto, come un contratto definitivo, non sarebbe impugnabile neanche a seguito di violenza, poiché quest'ultima a priori non può incidere sull'effetto in ragione di un pregresso obbligo alla stipulazione del contratto (Carresi, in Tr. C. M., 1987, 474). La violenza rilevante esige l'esistenza di un nesso diretto di causalità tra il male che si minaccia e l'atto di autonomia che si pone in essere al fine di evitarlo (Bigliazzi Geri-Breccia-Busnelli-Natoli, 674). Annullabile sarà anche il diverso negozio che la vittima abbia offerto di stipulare a fronte del negozio verso cui in origine era diretta la minaccia (Trabucchi, cit., 945; contra Scognamiglio, 386; con qualche perplessità Bianca, 621). Infatti anche in questo caso ricorre un nesso causale diretto tra la minaccia operata e il negozio in concreto stipulato. La minaccia deve essere intenzionale. Inoltre deve essere connotata da mala fede specifica, ossia dall'intenzione di utilizzare la violenza come mezzo di costrizione della volontà negoziale (Trabucchi, cit., 945; Bigliazzi Geri-Breccia-Busnelli-Natoli, 674; contra Scognamiglio, cit., 386; Bianca, 621). La responsabilità che consegue all'integrazione della violenza è di natura precontrattuale (Bianca, 177) e, qualora provenga da un terzo, questi risponderà in solido con la parte che eventualmente ne fosse a conoscenza.

Secondo la giurisprudenza deve ricorrere un nesso di causalità tra la violenza e il consenso prestato affinché il contratto possa essere annullato (Cass. n. 2176/1963). I requisiti previsti dall'art. 1435 possono variamente atteggiarsi, a seconda che la coazione si eserciti in modo esplicito, manifesto e diretto o viceversa mediante un comportamento intimidatorio, oggettivamente ingiusto, anche ad opera di un terzo; è in ogni caso sempre necessario che la minaccia sia stata specificamente diretta al fine di estorcere la dichiarazione negoziale della quale si deduce l'annullabilità e risulti di tale natura da incidere, con efficacia causale concreta, sulla libertà di autodeterminazione dell'autore di essa (Cass. n. 19974/2017 ; Cass. n. 3388/2007; Cass. n. 16179/2004; Cass. n. 999/2003; Cass. n. 1612/1972; Cass. n. 14/1971). Anche la violenza di cui sia rimasta vittima il soggetto passivo di un'estorsione può dar luogo ad annullamento (Cass. n. 2355/1960; contra Cass. n. 230/1958, secondo cui la violenza della vittima di estorsione ha contenuto, estensione e limiti diversi da quella necessaria e sufficiente per viziare il consenso). La coazione psicologica deve sussistere al momento della conclusione del contratto (Cass. n. 3553/1969).

Il metus ab intrinseco

Affinché la violenza morale assuma rilevanza ai fini dell'annullabilità del contratto il timore deve provenire dall'esterno (metus ab extrinseco), ossia dal contraente o dal terzo che usino violenza o minaccia. Viceversa non ha efficacia invalidante il metus ab intrinseco, che consiste nella paura ispirata da uno stato di fatto oggettivo, anche frutto dell'opera dell'uomo, e da intrusioni dall'esterno nella coscienza e nella psiche del soggetto, ma non da eventi realizzati al fine di ottenere la dichiarazione (Carresi, in Tr. C. M., 1987, 476). Tale fattispecie può al più integrare gli estremi per avvalersi del rimedio della rescissione del contratto concluso in stato di pericolo. La minaccia proveniente dall'incapace di intendere e di volere è stata assimilata al metus ab intrinseco (Carresi, in Tr. C. M., 1987, 476). In senso contrario altro autore ha evidenziato che per l'applicabilità delle disposizioni sulla violenza sarebbe sufficiente nell'autore della minaccia quel tanto di coscienza per cui il suo atto possa essere qualificato come atto dell'uomo, senza che sia necessaria la piena capacità di intendere e di volere, come è richiesta per la responsabilità civile (Trabucchi, cit., 945). Una particolare figura di metus ab intrinseco è regolata in tema di matrimonio dall'art. 122.

La S.C. reputa che il contratto non può essere annullato ex art. 1434 ove la determinazione della parte sia stata generata da timori meramente interni ovvero da personali valutazioni di convenienza, senza cioè che l'oggettività del pregiudizio risalti quale idonea a condizionare un libero processo determinativo delle proprie scelte (Cass. n. 7394/2008; Cass. n. 8430/2000). Non costituisce violenza la mera rappresentazione interna di un pericolo, ancorché collegata a determinate circostanze oggettivamente esistenti (Cass. n. 235/2007; Cass. n. 13644/2004; Cass. n. 480/1968; Cass. n. 697/1963). Il metus ab intrinseco — che ricorre anche quando la rappresentazione interna di un pericolo di danno non derivi da un processo psicologico puramente interno, ma sia connesso a circostanze esterne che possono incidere sulla libertà di autodeterminazione (non tutelabile in assoluto), vuoi dipendente da fatti oggettivi, vuoi dipendente da fatti umani — non è di per sé riconducibile al timore prodotto da violenza altrui (Cass. n. 647/1987; Cass. S.U., n. 1280/1961).

La violenza del terzo

La violenza è causa di annullamento anche quando, anziché provenire dalla controparte, provenga da un terzo, senza che sia necessario che la controparte ne sia a conoscenza, o comunque sia in grado di conoscere l'esistenza dell'altrui minaccia e la sua influenza sul contratto (Bigliazzi Geri-Breccia-Busnelli-Natoli, 679). Pertanto la riconoscibilità non è un requisito della violenza come vizio del consenso. Il che induce a ritenere che la regolamentazione della violenza sia del tutto singolare a fronte della generale e prioritaria esigenza di proteggere l'affidamento incolpevole altrui cui è orientata l'intera disciplina dei vizi del consenso. La spiegazione di tale singolarità deve essere ricondotta all'intenzione del legislatore di reagire con particolare severità al contegno illecito di chi addirittura ricorre alle minacce per estorcere il consenso, provengano esse dalla parte o da un terzo; a fronte di tale finalità lo stesso legislatore non ha esitato a sacrificare il pur legittimo affidamento della controparte (Bigliazzi Geri-Breccia-Busnelli-Natoli, 679).

La violenza incidentale

Normalmente i vizi del volere rilevano esclusivamente quando abbiano avuto un'influenza determinante sulla prestazione del consenso alla stipulazione del contratto. Quando invece abbiano inciso solo sulle condizioni contrattuali, ma non sull'an del consenso, nel senso che, qualora il vizio non vi fosse stato, comunque la parte avrebbe concluso il contratto, sebbene a condizioni diverse, il vizio avrà rilevanza, non già sulla validità del contratto, bensì sul piano meramente risarcitorio. Il che può essere desunto dall'espressa disciplina dell'errore e del dolo, ipotesi in cui il legislatore esclude espressamente che, in difetto di un vizio determinante, il contratto possa essere annullato. Tale requisito non è invece prescritto espressamente per la violenza. Se si applicassero i principi generali relativi alla rilevanza dei vizi del consenso, si dovrebbe escludere che la violenza incidentale importi l'annullabilità del contratto (Bigliazzi Geri-Breccia-Busnelli-Natoli, 679). Nondimeno un filone della dottrina ritiene che, affinché la violenza morale proveniente dalla controparte o da un terzo sia rilevante per richiedere l'annullamento del contratto, non sia necessario che essa sia determinante del consenso, come è invece espressamente richiesto per l'errore e per il dolo. Anche la violenza incidentale, ossia che abbia indotto chi l'ha subita a contrarre a condizioni diverse da quelle che egli avrebbe liberamente accettato, determina l'invalidità relativa del contratto (Bianca, 177). E ciò perché la disciplina sulla violenza ha un suo autonomo rilievo, com'è desumibile anche dalla rilevanza della minaccia proveniente dal terzo, essendo ad essa sottesa, per il modo in cui si realizza tale vizio, una volontà sfavorevole del legislatore alla conservazione del negozio viziato da violenza, il che giustifica l'equiparazione del trattamento giuridico della minaccia che incida esclusivamente sul concreto contenuto dell'autoregolamento negoziale — metus incidens — a quello riservato alla minaccia che provochi un vizio determinante del consenso — metus causam dans — (Carresi, in Tr. C. M., 1987, 476; Bigliazzi Geri-Breccia-Busnelli-Natoli, 680; Mengoni, Metus causam dans e metus incidens, in Riv. dir. comm., 1952, I, 20; Santoro Passarelli, 167; Lucarelli, Lesione d'interesse e annullamento del contratto, Milano, 1964, 128). In senso contrario alcuni autori hanno ritenuto di estendere l'applicazione degli artt. 1439 e 1440 alla violenza, sicché la violenza sarà causa di annullamento del contratto solo quando sia causam dans e non quando sussista un mero metus incidens (Trabucchi, 946; Franzoni, Il contratto in generale, in Tr. Bes., Torino, 2002, 308). Tuttavia l'operazione non è condivisile sia per la chiara lettera della legge sia per il carattere singolare della previsione dell'art. 1440 (Mirabelli, in Comm. Utet, 1984, 433). Secondo altro autore il problema si risolve alla luce di una diversa impostazione: la violenza sia essa determinante sia essa incidente è pur sempre legata da un nesso causale alla conclusione di quel contratto, sicché in ogni caso importa la sua annullabilità (Sacco-De Nova, in Tr. Res., 1988, 175).

La S.C. si esprime nel senso che, perché si abbia violenza invalidante, occorre che essa sia stata specificamente diretta al fine di estorcere il consenso per il negozio del quale si deduce l'annullabilità e che la stessa abbia avuto efficienza causale concreta nel determinismo del soggetto passivo, che in assenza della minaccia non avrebbe concluso il negozio (Cass. n. 20305/2015; Cass. n. 235/2007; Cass. n. 633/1965). Di segno contrario è la giurisprudenza di merito, secondo cui non può effettuarsi una distinzione tra violenza determinante e violenza incidentale, essendo preclusa l'applicazione analogica dell'art. 1440 (App. Milano 20 luglio 1951; Trib. Milano 8 agosto 1950).

Bibliografia

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