Codice Civile art. 1438 - Minaccia di far valere un diritto.

Cesare Trapuzzano

Minaccia di far valere un diritto.

[I]. La minaccia di far valere un diritto può essere causa di annullamento del contratto solo quando è diretta a conseguire vantaggi ingiusti [610, 612 c.p.].

Inquadramento

La minaccia dell'esercizio di un diritto in linea di principio costituisce una facoltà riconosciuta dall'ordinamento e dunque legittima. Essa costituisce causa di annullamento del contratto solo quando il suo autore se ne serva per conseguire non già il risultato ottenibile con l'esercizio del diritto, ma vantaggi ingiusti. Così una minaccia che si consacri nella richiesta della concessione di un pegno, pena l'azione in giudizio per realizzare il credito, non persegue un vantaggio ingiusto; diversamente la minaccia di licenziamento per riduzione del personale qualora non sia ceduto il brevetto integra un vantaggio ingiusto (Galgano, in Tr. C. M., 1988, 292). Occorre chiedersi quale criterio discriminante adottare per stabilire se la minaccia di esercizio del diritto sia legittima ovvero sia ingiusta. In proposito un primo orientamento distingue la minaccia di far valere facoltà o diritti, che l'ordinamento pone a disposizione del soggetto proprio per la tutela della posizione giuridica che si vuole conseguire con la dichiarazione, dalla minaccia di impiegare mezzi in sé leciti, e anzi garantiti dall'ordinamento, ma la cui utilizzazione appare ingiusta se collegata con lo scopo che si intende realizzare mediante la dichiarazione; solo in questo secondo caso si ha violenza (Santoro Passarelli, 167). In base ad altra opinione l'ingiustizia della minaccia con cui si fa valere l'esercizio di un diritto si riscontra quando vi sia una radicale sproporzione o divergenza tra l'utilità ricevuta e il diritto esercitato (Trabucchi, voce Violenza, in Nss. D.I., 1975, 945) ovvero una semplice esorbitanza (Mirabelli, in Comm. Utet, 1984, 436). In sintesi affinché la minaccia di far valere un diritto non determini un vantaggio ingiusto, con la conseguente annullabilità del negozio concluso per effetto di tale esercizio, devono ricorrere le seguenti condizioni: per un verso il negozio concluso deve essere in uno stretto nesso funzionale con il diritto che si vuole esercitare; per altro verso l'esercizio di tale diritto deve servire a conseguire un risultato in sé lecito o comunque non iniquo (Bigliazzi Geri-Breccia-Busnelli-Natoli, 677). In questa prospettiva la minaccia di far valere un diritto per conseguire un vantaggio ingiusto realizza una fattispecie di abuso del diritto, in cui, pur nel rispetto dei limiti formali dell'ordinamento, nella sostanza si persegue uno scopo con esso confliggente (Giordano, La minaccia di far valere un diritto come causa di annullamento del contratto per violenza, in Giur. compl. Cass. civ., 1944, 509). Sulla stessa linea si colloca altro indirizzo, in forza del quale, ove la minaccia dell'esercizio del diritto tragga origine da un rapporto contrattuale, l'elemento discriminante ai fini della qualificazione dell'ingiustizia del vantaggio deve essere basato sul controllo dell'osservanza delle clausole generali di correttezza e buona fede, poiché l'esercizio del diritto deve essere orientato dal rispetto dei doveri di solidarietà (Bruno, La minaccia di far valere un diritto ed il recesso del lavoratore, in Nuova giur. civ. comm., 1997, I, 219).Qualora il diritto che si minaccia di esercitare in realtà non esista, si ricade nella fattispecie della minaccia di un danno ingiusto (Bianca, 622).

La S.C. rileva che la minaccia di far valere un diritto assume i caratteri della violenza morale, invalidante del consenso prestato per la stipulazione del contratto, soltanto se è diretta a conseguire un vantaggio ingiusto, situazione che si verifica quando il fine ultimo perseguito consista nella realizzazione di un risultato che, oltre ad essere abnorme e diverso da quello conseguibile attraverso l'esercizio del diritto medesimo, sia iniquo ed esorbiti dall'oggetto di quest'ultimo, e non quando il vantaggio perseguito sia solo quello del soddisfacimento del diritto nei modi previsti dall'ordinamento (Cass. n. 20305/2015; Cass. n. 17523/2011; Cass. n. 28260/2005; Cass. n. 8290/1993; Cass. n. 7044/1988; Cass. n. 4798/1988; Cass. n. 3350/1985; Cass. n. 6191/1984). Incombe su chi domanda l'annullamento l'onere di provare che la minaccia fu intesa al conseguimento di vantaggi ingiusti (Cass. n. 1972/1975). La minaccia di licenziamento per giusta causa, volta ad ottenere la stipulazione di un negozio, anche unilaterale, come le dimissioni, nei confronti del lavoratore, è ingiusta quando non esistano i presupposti per disporre il licenziamento (Cass. n. 509/1999).

Le modalità di esercizio del diritto che integrano violenza

Si tratta di una forma di violenza assai diffusa ed insidiosa (Sacco-De Nova, in Tr. Res., 1988, 355; Del Prato, La minaccia di far valere un diritto, Padova, 1990, 4). Una prima opinione osserva che la disposizione fa riferimento soltanto alle ipotesi in cui il minacciante sia titolare di un preesistente potere giuridico legittimamente e direttamente incidente sulla sfera giuridica del minacciato; ne consegue che resta esclusa dall'ambito di applicabilità della norma la minaccia di esercitare delle mere facoltà (D'Amico, voce Violenza, in Enc. dir., 1993, 871). Inoltre la minaccia di far valere un diritto, volta ad ottenere un vantaggio indebito, diversamente dalle altre ipotesi di violenza morale, non può mai comportare la conclusione di un negozio vantaggioso per il minacciato, risolvendosi l'uso distorto del diritto in un'oggettiva alterazione delle prestazioni a scapito del destinatario della minaccia (Bruno, cit., 217). Il diritto che si minaccia di far valere può essere collegato direttamente con il negozio che attraverso la minaccia si intende raggiungere, nel senso che il perfezionamento di tale negozio soddisfa l'interesse sostanziale sotteso al diritto che costituisce oggetto della minaccia, oppure la minaccia di disporre del diritto può essere funzionale ad ottenere la stipulazione di un negozio che procuri utilità diverse da quelle che costituiscono il fondamento del diritto minacciato, nel senso che le utilità derivanti dal negozio il cui consenso è stato ottenuto esercitando la minaccia di negoziazione del diritto non realizzano tale diritto, ma perseguono altri vantaggi; in questa ultima evenienza, riconducibile appunto alla minaccia di disposizione del diritto per il raggiungimento di utilità diverse dalla soddisfazione del diritto medesimo, il contratto è sempre annullabile (Del Prato, cit., 19; D'Amico, cit., 872). Pertanto tale forma di violenza può giustificare l'annullamento del contratto solo se il diritto il cui esercizio è minacciato non venga dismesso o altrimenti realizzato, di modo che detto esercizio resti comunque libero e legittimo (Del Prato, cit., 16). Ma la minaccia ben può risolversi anche nella proposta del minacciante di disporre del proprio diritto, dismettendolo dalla propria sfera giuridica ad es. perché con la condotta del coartato il diritto si estingue, ovvero obbligandosi a non esercitarlo (Del Prato, cit., 16). La rinunzia al diritto o l'impegno a non esercitarlo penetra nell'assetto di interessi realizzato dalle parti con l'autoregolamento negoziale (Sacco-De Nova, in Tr. Res., 1988, 356), che può anche essere nullo. La minaccia in questione, risolvendosi nella proposta di plasmare convenzionalmente l'esercizio del diritto, prospetta alla controparte la possibilità di indirizzare in direzione corrispondente la propria autonomia negoziale. In questa ipotesi la violenza può essere anche a fin di bene (Trabucchi, cit., 945) e il criterio di determinazione della giustizia del rapporto assume carattere oggettivo, articolandosi sui parametri della buona fede e della correttezza. La tutela del minacciato si contempera con quella del minacciante, il quale si avvale di uno strumento in sé lecito; infatti l'ingiustizia del vantaggio va ricostruita sulla base del complessivo assetto di interessi realizzato.

Secondo la giurisprudenza, con specifico riferimento ai rapporti di lavoro subordinato e di agenzia, è ingiusta la rinunzia o la transazione ottenuta dal datore di lavoro o dal preponente in cambio del sacrificio di diritti già acquisiti dal prestatore di lavoro (Cass. n. 5684/2003).

La minaccia di denuncia penale

La minaccia di una denunzia o querela penale non è male ingiusto qualora sia fatta al fine di ottenere la stipulazione di un negozio risarcitorio del danno subito con il reato. Viceversa la denuncia minacciata diviene un mezzo ingiusto qualora sia rivolta a perseguire un vantaggio non corrispondente allo scopo per il quale il diritto di denuncia è riconosciuto al privato (Bianca, 622; Trabucchi, cit., 949). Nella prospettiva della rivendicazione del risarcimento del danno morale spettante in conseguenza della commissione di un reato si può ritenere tale minaccia non ingiusta se esercitata per indurre il reo ad una donazione in favore di un ente di beneficienza, in surroga della pretesa risarcitoria esercitabile a proprio favore e per un valore ad essa omogeneo. Controverso è il punto se la minaccia in questione sia da considerare ingiusta quando il risarcimento sia ottenuto a titolo di donazione da terzi legati da vincoli di parentela o amicizia con il minacciante. Un autore allo scopo di verificare se la minaccia di una denuncia o querela penale sia o meno diretta al perseguimento di un beneficio ingiusto, valorizza la sproporzione tra le prestazioni, ossia tra la denunzia minacciata e il vantaggio che si intende ottenere, ovvero la natura esorbitante del vantaggio (Messineo, La dottrina generale del contratto, Milano, 1952, 95). In ogni caso, quand'anche la minaccia di denuncia sia diretta al perseguimento di un vantaggio connesso o conferente rispetto al male minacciato, al destinatario della minaccia deve essere lasciato un conveniente termine di riflessione per decidere, essendo anche l'aspetto temporale, ai fini della ponderazione della scelta, un elemento rilevante per ritenere integrata la giustizia del vantaggio.

Bibliografia

Arena, voce Incapacità (dir. priv.), in Enc. dir., Milano, 1970; Barcellona, voce Errore (dir. priv.), in Enc. dir., Milano, 1966; Bianca, Diritto civile, III, Il contratto, Milano, 1997; Bigliazzi Geri-Breccia-Busnelli-Natoli, Diritto civile, 1.1. e 1.2, Fatti e atti giuridici, Torino, 1990; Fedele, L'invalidità del negozio giuridico di diritto privato, Torino, 1983; Funaioli, voce Dolo (dir. civ.), in Enc. dir., Milano, 1964; Gentili, voce Dolo (dir. civ.), in Enc. giur., Roma, 1988; Giacobbe, voce Convalida, in Enc. dir., Milano, 1962; Messineo, voce Annullabilità e annullamento (dir. priv.), in Enc. dir., Milano, 1958; Piazza, voce Convalida del negozio giuridico, in Enc. giur., Roma, 1988; Pietrobon, voce Errore (dir. civ.), in Enc. giur., Roma, 1988; Prosperetti, Contributo alla teoria dell'annullabilità del negozio giuridico, Milano, 1983; Rescigno, voce Capacità di agire, in Nss. D.I., Torino, 1958; Santoro Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, rist. 1989; Stanzione, voce Capacità (dir. priv.), in Enc. giur., Roma, 1988; Tamponi, L'atto non autorizzato nell'amministrazione dei patrimoni altrui, Milano, 1992; Tommasini, voce Annullabilità e annullamento (dir. priv.), in Enc. giur., Roma, 1988; Trabucchi, voce Dolo (dir. civ.), in Nss. D.I., Torino, 1960.

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