Codice Civile art. 1443 - Ripetizione contro il contraente incapace.InquadramentoLa norma in esame detta una presunzione, comune alle norme di cui agli artt. 1190,1769,1950 e 2039, secondo cui l'accipiens non è in grado, per il suo stato, di trarre profitto dalla prestazione ricevuta nella stessa misura in cui lo è un soggetto psichicamente maturo e capace di agire (Moscati, Indebito, in Enc. dir., 1971, 96). Sicché, a seguito dell'annullamento del contratto per incapacità di uno dei contraenti, quest'ultimo sarà tenuto a restituire la prestazione nel frattempo eseguita solo nei limiti in cui abbia tratto effettivo vantaggio dal suo adempimento. La disposizione si estende sia alle ipotesi di incapacità legale sia alle ipotesi di incapacità naturale (Tommasini, 4; Fedele, 270). Secondo una prima opinione la norma costituirebbe un'inutile duplicazione dell'art. 2039 (Betti, Teoria generale delle obbligazioni, III, Milano, 1954, 125; Fedele, 271; Mirabelli, in Comm. Utet, 1984, 568; Sacco-De Nova, in Tr. Res., 1988, 493). In base ad altro orientamento la disposizione varrebbe a rafforzare la tutela già predisposta dall'art. 2039, il quale limita l'obbligo dell'incapace di restituire il pagamento indebito, anche in mala fede, al vantaggio che egli ne abbia ricevuto. Pertanto nella norma in commento l'incapacità dell'accipiens inciderebbe diversamente (Rescigno, voce Ripetizione dell'indebito, in Nss. D.I., 1968, 1236), facendo venir meno la stessa causa solvendi, cioè rendendo in primis l'atto invalido e determinando in secondi, l'attenuazione dell'obbligo, laddove nella fattispecie descritta dall'art. 2039 l'incapacità rileverebbe solo nella fase attuativa del rapporto, limitandosi a comportare l'attenuazione dell'obbligo dell'incapace (Moscati, cit., 96). Ne consegue che la norma troverebbe applicazione quando ricorre l'incapacità al momento dell' acceptio, non rilevando invece il fatto che l' accipiens acquisti o riacquisti la capacità nel momento in cui riceve la prestazione. In senso critico altro autore osserva che il ricevimento della prestazione da parte del contraente divenuto capace può integrare, almeno secondo una certa prospettiva, la convalida del contratto (Bianca, 633). La tesi che nega autonomia alla norma, e la riporta nell'alveo dell'art. 2039, ritiene che la previsione sia riconducibile al divieto di arricchimento ingiustificato. Ove si aderisca alla tesi dell'autonomo rilievo della norma, a fronte della previsione dell'art. 2039, il suo fondamento dovrebbe essere ravvisato, non già nel divieto di arricchimento senza causa, bensì nei principi generali in materia di adempimento, atteso che, essendo l'accipiens solo eventualmente in grado di rivolgere la prestazione a proprio vantaggio ed il solvens non meritevole di tutela (perché non si è accertato della capacità del contraente), il pagamento ha svolto la sua funzione satisfattoria (e liberatoria del solvens debitore) solo per la parte che sia andata a vantaggio dell' accipiens (Moscati, cit., 97). Una parte della giurisprudenza riconduce tanto l'art. 1443 quanto l'art. 2039 alla categoria dell'arricchimento ingiustificato (Cass. n. 2104/1961). Ma la tesi dell'autonoma rilevanza può essere desunta implicitamente dal tenore di altra pronuncia (Cass. n. 3913/1975). La norma è applicabile anche nel caso di annullamento del contratto stipulato dal rappresentante legale dell'incapace che fosse sprovvisto della necessaria autorizzazione (Cass. n. 681/1968). Il rimedio regolato dalla norma in commento è l'unico esperibile, mentre non può farsi valere verso l'incapace una concorrente responsabilità extracontrattuale all'esito dell'annullamento del contratto (Cass. n. 16937/2006). Il vantaggio conseguito dall' accipiensAnche la nozione di vantaggio risente dell'impostazione recepita in ordine al significato della norma. Ove si aderisca alla tesi che la ratio della previsione deve essere ricondotta al divieto di arricchimento senza causa, il vantaggio è inteso solo come l'incremento patrimoniale effettivamente esistente nel momento in cui è esercitata l'azione di annullamento (Mirabelli, in Comm. Utet, 1984, 569; Carresi, L'annullabilità del contratto, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1969, 1437). Ove invece si riconduca la previsione ai principi generali dell'adempimento, tale significato acquista un proprio peculiare contenuto. Al riguardo si evidenzia che il codice richiama il concetto di vantaggio solo per le prestazioni ricevute dall'incapace, laddove il concetto di arricchimento è di uso generale. Si tratta pertanto di nozioni diverse. L'arricchimento consiste in un plusvalore, pari all'incremento patrimoniale e/o al risparmio di spesa, elemento quest'ultimo di chiara matrice soggettiva, che può essersi determinato o meno nel patrimonio dell'accipiens al momento della domanda di restituzione; il vantaggio è piuttosto una consumazione, una trasformazione economico-fisica od economico-giuridica che si sia verificata nella sfera dell'accipiens e che prescinde da ogni considerazione in termini soggettivi, riportandosi più che altro ai criteri di amministrazione (Moscati, cit., 98). In forza di quest'ultima ricostruzione il vantaggio si sostanzia nel risultato favorevole consolidato tra il momento della ricezione e quello della domanda di restituzione, nel senso dell'utilizzazione o comunque di una possibilità di utilizzazione oggettiva della res; ove il vantaggio consista in un risparmio di spesa, quest'ultimo dovrà essere valutato secondo criteri di tipo economico, riferibili ad un parametro medio di oculata e avveduta amministrazione (Rescigno, cit., 1237; Breccia, La ripetizione dell'indebito, Milano, 1974, 478; Bianca, 634). L'onere di provare l'eventuale vantaggio ricevuto dall'incapace, nonché la sua misura, ricade sul solvens (Messineo, 481). Per l'applicazione della norma non occorre accertare, ai fini della restituzione della prestazione eseguita, che il contraente fosse o no incapace al momento in cui la riceveva, ma è sufficiente che il contratto, in relazione al quale essa è stata effettuata, sia stato annullato per incapacità del contraente. In tal caso infatti la legge presume che, come egli ha mal disposto del suo patrimonio, così pure possa aver dissipato la prestazione ricevuta e pertanto il rischio di tale situazione ricade sull'altro contraente che in mala fede abbia contrattato con l'incapace e può vedersi rifiutata la restituzione della sua prestazione ove non provi che di essa l'incapace abbia tratto vantaggio (Cass. n. 3913/1975). Secondo altro arresto l'esonero dalla ripetizione prescinde dalla buona o malafede dell'altro contraente e dipende esclusivamente dalla circostanza oggettiva dell'annullamento in conseguenza dell'incapacità (Cass. n. 16888/2017). 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