Codice Civile art. 1472 - Vendita di cose future.Vendita di cose future. [I]. Nella vendita che ha per oggetto una cosa futura [1348], l'acquisto della proprietà si verifica non appena la cosa viene ad esistenza. Se oggetto della vendita sono gli alberi o i frutti di un fondo, la proprietà si acquista quando gli alberi sono tagliati o i frutti sono separati [820 2]. [II]. Qualora le parti non abbiano voluto concludere un contratto aleatorio [1448 4, 1469], la vendita è nulla, se la cosa non viene ad esistenza. InquadramentoLa vendita di cosa futura (altrimenti detta emptio rei speratae), quale contratto tipico, è disciplinata dall'art. 1472. Tale previsione rappresenta una specificazione di quanto previsto nell'art. 1348. La figura codicistica di vendita di cosa futura, ha per oggetto un bene attualmente inesistente come autonomo oggetto di diritti di godimento (secondo la definizione del Bianca, in Tr. Vas., 1993, 372). Non si tratta, però, sempre e soltanto di inesistenza materiale del bene, sebbene anche di inesistenza giuridica. La vendita di cose future comprende, più precisamente: 1) le cose non ancora esistenti in natura; 2) le cose esistenti in natura che non sono di proprietà di alcuno e che sono suscettibili di occupazione; 3) i prodotti d'opera ancora non formati nella loro individualità economica; 4) i prodotti naturali non ancora staccati dalla cosa madre e insuscettibili di proprietà separata (Bianca, in Tr. Vas., 1993, 373). Quanto alla forma si è affermato che nei contratti aventi ad oggetto il trasferimento della proprietà di immobili futuri, la forma scritta è necessaria solo per la stipulazione del contratto ad effetti obbligatori e non anche per l'individuazione del bene, la cui proprietà è trasferita non appena lo stesso viene ad esistenza (Cass. n. 9994/2016, nella specie, la S.C. ha confermato la decisione impugnata, che, con riguardo ad un contratto di permuta di cosa futura, aveva trasferito agli acquirenti, che ne erano risultati assegnatari "di fatto", beni diversi da quelli scelti nel progetto originario, sebbene con caratteristiche ad essi analoghe). Vendita di cosa futura e contratto condizionatoLa vendita di cosa futura (o meglio di diritto futuro) deve tenersi distinta dalla vendita di diritto condizionato. Tale fattispecie si riferisce ad un diritto già esistente e perfettamente commerciabile ma appartenente, attualmente, ad un soggetto diverso da quello che ne vuole disporre. Il diritto futuro, derivante da fattispecie incompleta, dev'essere tenuto distinto rispetto al diritto condizionato. Il diritto condizionato è un'autonoma posizione di vantaggio di cui può attualmente disporsi come di un diritto presente. Il trasferimento di tale diritto realizza la vicenda assunta ad oggetto della vendita: e relega il verificarsi o il mancato verificarsi della condizione ad un evento che concerne ormai la sfera giuridica del nuovo titolare (Bianca, in Tr. Vas., 1993, 375). Non costituisce vendita di cosa futura l'alienazione di diritti inesigibili e nemmeno la vendita di diritti futuri dedotti in contratto come attuali. Infatti in tal caso non i è in presenza di una vendita di cosa futura ma ad una vendita il cui oggetto è attualmente indisponibile o inesistente. A tal proposito, in dottrina, per taluno il contratto sarebbe affetto da nullità in quanto avente oggetto impossibile o comunque temporaneamente inefficace fino alla venuta ad esistenza del bene qualora il contratto fosse sottoposto a termine o a condizione (Rubino, in Tr. C. M., XXIII, 1971, 225). Per altri la fattispecie costituirebbe un valido vincolo contrattuale ed il venditore sarebbe obbligato all'attribuzione del bene, restando in capo all'acquirente la tutela per l'inadempimento, ed eventualmente il risarcimento dei danni analogamente a ciò che spetta, nella vendita di cosa altrui, al compratore di buona fede (Luminoso; Perlingeri, 76), tanto che si potrebbe parlare di nullità solamente nel caso in cui l'oggetto fosse perito o insuscettibile di venire ad esistenza e come tale, quindi, impossibile in radice. L'alienazione è originariamente impossibile, infatti, quando il bene alienato è in suscettibile di esistenza o di identificazione, mentre nella vendita di cosa futura la venuta ad esistenza del bene rientra tra gli accadimenti normalmente possibili. Natura giuridica della vendita di cosa futuraLa natura giuridica della vendita di cosa futura è ancora oggi oggetto di discussione sia in dottrina che in giurisprudenza. L'aspetto maggiormente problematico riguarda la configurabilità di un valido negozio nel quale, attualmente, manchi un elemento essenziale, l'oggetto appunto. In dottrina, le opinioni proposte sono sostanzialmente tre. Secondo un primo orientamento la vendita di cosa futura sarebbe un negozio a consenso anticipato. Si tratterebbe di un negozio in itinere perfetto e completo per quanto riguarda il consenso ma carente dell'oggetto, appunto, futuro. Si tratterebbe, in definitiva, di un fenomeno in cui viene invertito cronologicamente il normale iter di formazione del contratto. Si ha cioè un caso di negozio a consenso anticipato, il quale a sua volta è una delle ipotesi di inversione dell'ordine cronologico di formazione degli atti giuridici in genere e dei negozi giuridici in particolare (Rubino, in Tr. C. M., XXIII, 1971, 178). Conseguenza di tale impostazione è che la mancanza della cosa, in quanto futura, non farebbe neppure sorgere l'obbligazione di pagamento del prezzo, salvo patto contrario, in quanto ai sensi dell'art. 1498, comma 2, l'obbligo del pagamento del prezzo sorge alla consegna del bene. Inoltre la definitiva mancanza della cosa produrrebbe la nullità del contratto ma in tal caso si dovrebbe parlare di nullità in senso improprio in quanto non originaria, poiché il contratto avrebbe prodotto già degli effetti, appunto il consenso anticipato. Pertanto, nel caso di vendita di frutti futuri, qualora il compratore non abbia provveduto alla raccolta di cui aveva assunto l'obbligo, non essendo il contratto ancora perfezionato, il suo inadempimento determina una obbligazione di risarcimento e, in quanto tale, debito di valore (Cass. n. 2048/1956). Allo stesso modo: la vendita di cosa separata è una vera e propria vendita di cosa futura, come tale a carattere meramente obbligatorio e a consenso anticipato, che si perfeziona e produce i suoi effetti definitivi solo quando sia nato il diritto e sia venuta ad esistenza la cosa venduta, mentre nell'emptio spei, contratto aleatorio (la quale non può essere presunta per la sua eccezionalità, ma deve risultare da un'espressa volizione delle parti o da clausole stabilite ed accettate), il compratore, ai sensi dell'art. 1472, comma 2, s'impegna incondizionatamente a pagare un prezzo determinato al venditore anche se la cosa o il diritto ceduto non vengano mai ad esistenza (Cass. n. 3090/1962). Inoltre, si è ribadito che (Cass. n. 26988/2013) è viziato da nullità il preliminare di vendita avente ad oggetto alcuni degli appartamenti da realizzare sul lotto di terreno già di proprietà del promissario acquirente e la cui individuazione sia rimessa a quest'ultimo, dovendosi considerare indeterminabile l'oggetto del contratto, nel quale l'individuazione del bene non sia desumibile dagli elementi contenuti nel relativo atto scritto ma sia rimessa ad una successiva scelta di uno dei contraenti, restando irrilevante, a tal fine, l'eventuale adempimento della controprestazione (Cass. n. 9232/1992, che conferma come non possano avere rilievo i dati di interpretazione che non facciano riferimento al testo scritto dell'accordo, quali quelli desumibili dal comportamento successivo dei contraenti in fase di esecuzione dello stesso, come nel caso in cui le parti non abbiano indicato specificamente il bene che esse si sono obbligate, rispettivamente, a vendere e a comprare, ma si siano limitate ad indicarne le caratteristiche ed il prezzo, riservandosi di effettuare la scelta in concreto successivamente e con altra scrittura; Cass. n. 537/2018). La vendita di cosa futura come negozio ad efficacia sospesa Una differente opinione della dottrina, configura la vendita di cosa futura come contratto ad efficacia sospesa fino alla venuta ad esistenza del bene. L'evento che sospende l'efficacia di tale contratto è inquadrato, per lo più, come condizione sospensiva volontaria, da alcuni, mentre da altri è inquadrata come condicio juris (Perlingeri, 152). La convenzione negoziale con cui un soggetto riceva da un altro il godimento di un bene, con patto di futura vendita in proprio favore, essendo finalizzata, per comune proposito delle parti, al trasferimento della proprietà o di un diritto reale, determina, quale anticipazione dell'effetto giuridico finale perseguito, il passaggio immediato del possesso del bene medesimo, la cui consegna costituisce, pertanto, atto idoneo ai fini del relativo acquisto per usucapione (Cass. n. 41027/2022). La vendita di cosa futura come negozio obbligatorio Una terza opinione, che sembra essere quella che ha riscosso e riscuote maggiori consensi sia in dottrina che in giurisprudenza, è quella che inquadra il fenomeno come vendita obbligatoria. Dal contratto non nasce un obbligo di trasferire ma il trasferimento della proprietà si verificherà automaticamente alla venuta ad esistenza della cosa. Nell'ambito di tale teoria, poi, si afferma, da parte di alcuni, la necessità che il venditore si attivi al fine di far venire ad esistenza la cosa non essendo sufficiente una mera astensione dal porre in essere comportamenti contrari alla venuta ad esistenza della stessa. La tesi secondo la quale la vendita di cosa futura sarebbe un contratto in via di formazione muove da un assunto che non può essere condiviso: quello cioè che la mancanza del bene equivarrebbe a mancanza dell'oggetto, come mancanza di un requisito essenziale del contratto. In realtà l'oggetto è l'insieme di risultati programmati e come tale esso integra l'accordo senza che occorra la presenza attuale del bene sul quale devono cadere gli effetti previsti. La tesi della incompletezza delle vendita di cosa futura urta poi contro un elementare significato del negozio: quello cioè dell'immediata operatività del vincolo contrattuale per quanto attiene all'impegno traslativo dell'alienante. Non può dirsi che il venditore è in mera attesa di un evento futuro e incerto né può spiegarsi la sua posizione in termini di non ingerenza o di buona fede. Il venditore è piuttosto obbligato al risultato traslativo e all'attività strumentale positiva necessaria per realizzarlo (Bianca, in Tr. Vas., 1993, 379). La giurisprudenza non sembra prendere posizioni nette riguardo tale aspetto, anche se si evince che l'obbligo di far venire ad esistenza il bene non possa che formare oggetto di autonomo patto e non possa certo derivare dalla sola futurità del bene: l'obbligo del venditore di cosa futura (appartamento da costruire) di provvedere alla costruzione ancorché collegato, con rapporto di causa ad effetto, con quello fondamentale del venditore di procurare l'acquisto della cosa e di consegnarla, deve ritenersi in sé insuscettibile di coercibilità, essendo inammissibile l'esecuzione specifica della prestazione di dare una cosa inesistente in natura. In caso di inadempimento dell'obbligo di costruire l'appartamento, lo strumento di riequilibrio della prestazione mancata non può non consistere nel risarcimento dei danni, i quali debbono comprendere anche il lucro che il compratore avrebbe realizzato dal contratto (Cass. n. 2464/1972). Pertanto, la vendita di cosa futura non consiste in un contratto a formazione progressiva, non ancora completo di tutti i suoi elementi, cui effetti siano destinati a prodursi in un momento successivo a quello in cui la cosa venga ad esistenza, bensì costituisce un negozio perfetto ab origine, con contenuto ed effetti obbligatori, di cui il principale per il venditore è quello di osservare un comportamento necessario perché la cosa venga ad esistenza (Cass. n. 20998/2009). In tal senso si è espressa anche una parte della dottrina (Lipari, 845). In tema di vendita immobiliare in favore di una persona giuridica, la SC ha statuito che caso di promessa del fatto del fatto o dell'obbligazione del terzo, il promittente che si renda colpevolmente inadempiente all'obbligazione di facere, consistente nell'adoperarsi affinché il terzo si impegni o tenga il comportamento promesso, è tenuto al risarcimento del danno cagionato al promissario, sempre che ne risulti provata l'esistenza (Cass. n. 19873/2023). La disciplina della vendita di cosa futura: la venuta ad esistenza della cosaOccorre stabilire il momento in cui la cosa futura viene ad esistenza. Infatti tale momento coincide con il realizzarsi dell'effetto traslativo a meno che vi sia un patto contrario e salvo che si tratti di alberi o frutti di un fondo: in tale ultimo caso la proprietà si acquista quando gli alberi sono tagliati o i frutti sono separati non essendo sufficiente la semplice venuta ad esistenza di tali beni (art. 1472, comma 1). Ciò viene ben chiarito anche dalla giurisprudenza, la quale si concentra sul momento in cui il bene venga ad esistenza, basandosi, anche sulla volontà delle parti in merito alla conformazione dell'oggetto del contratto: la vendita di alberi da tagliare (o di frutti del fondo da raccogliere) non può mai avere effetto reale immediato, perché un prodotto naturale, fino a quando non sia staccato dalla cosa madre, è insuscettibile di proprietà separata e pertanto, come testualmente dispone l'art. 1472, per il quale la proprietà si acquista quando gli alberi siano tagliati o i frutti separati, ha natura meramente obbligatoria (Cass. n. 2827/1987). Quanto alla venuta ad esistenza della cosa la giurisprudenza si esprime in modo costante e chiaro. Dalle pronunce si evince infatti che questa si ha quando la stessa si sia prodotta nella sua completezza, restando irrilevante soltanto la mancanza di rifiniture o di qualche accessorio non indispensabile alla sua utilizzazione (Cass. n. 2126/1997). In tal senso è chiara la giurisprudenza, la quale si sofferma circa la determinazione del momento in cui possa dirsi venuta ad esistenza la cosa futura: con riferimento alla vendita di cosa futura, ha appunto affermato che l'acquisto della proprietà si verifica non appena la cosa viene ad esistenza, e a tal fine va individuato il momento in cui si perfeziona il processo produttivo della cosa nelle sue componenti essenziali, essendo irrilevante che essa manchi di alcune rifiniture o di qualche accessorio non indispensabile per la sua realizzazione (Cass. n. 1219/1983). Si è così stabilito che in caso di bene immobile, la costruzione deve intendersi ultimata, e l'immobile venuto ad esistenza, quando siano state eseguite le opere murarie e non al momento in cui siano state eseguite anche le opere di rifinitura: infatti l'attività di edificazione in senso proprio si esaurisce appunto nelle opere murarie (Cass. n. 8118/1991). Sotto altro aspetto, il contratto con il quale il proprietario di un'area fabbricabile trasferisce questa ad un costruttore in cambio di parti dell'edificio che l'acquirente si impegna a realizzare sull'area medesima deve qualificarsi come permuta di cosa presente con cosa futura e produce l'effetto del trasferimento immediato della proprietà dell'area e della costituzione dell'obbligazione dell'acquirente di tenere il comportamento necessario affinché la cosa da consegnare venga ad esistenza; evento, questo, sufficiente da solo a determinare l'acquisto della proprietà al permutante dell'area, senza necessità di altre dichiarazioni di volontà (Cass. n. 2508/1980). Vendita di bene futuro e trascrivibilità del contratto preliminareLa l. n. 30/1997 (di conversione del d.l. n. 669/1996) ha previsto la trascrivibilità dei preliminari aventi ad oggetto beni futuri ed in specie l'art. 2645-bis, ha previsto, nel caso di preliminare di vendita di edifici da costruire, che si intenda venuto ad esistenza «l'edificio nel quale sia stato eseguito il rustico, comprensivo delle mura perimetrali delle singole unità, e sia stata completata la copertura». Il legislatore ha, quindi, mostrato la propria sensibilità al problema rilevando la necessità di una certezza in ordine alla venuta ad esistenza di una cosa futura, momento dal quale il diritto viene effettivamente trasmesso dal venditore al compratore. La previsione normativa, in tema di preliminare ha però sostanzialmente anticipato la venuta ad esistenza del bene in un momento anteriore all'effettivo completamento dell'opera, laddove la giurisprudenza si è sempre espressa per una completezza sostanziale del bene futuro. La ragione di ciò consiste probabilmente nella volontà di avvantaggiare il compratore e tutelarlo nell'effettivo acquisto del bene futuro; in tal modo, però, lo stesso viene esposto anticipatamente al rischio del perimento del bene. Inoltre considerare venuto ad esistenza il bene in una fase prematura all'effettivo completamento dell'opera, crea, in mancanza di pattuizioni diverse, l'obbligo di pagare il prezzo ai sensi dell'art. 1498 il quale afferma che, salvo patto contrario, il prezzo è dovuto al momento della consegna, consegna resa possibile dalla affermata venuta ad esistenza del bene. Conseguenze della mancata venuta ad esistenza della cosa futuraIl dato normativo è quello fornito dall'art. 1472 u.c. Si legge che la vendita di cosa futura è nulla se la cosa non viene ad esistenza (e le parti non abbiano voluto concludere un contratto aleatorio). Il concetto di nullità potrebbe ben attagliarsi alla concezione che inquadra la vendita di cosa futura nello schema di contratto a consenso anticipato. Tuttavia anche secondo tale concezione non si potrebbe parlare propriamente di nullità in quanto non si tratterebbe di vizio originario esistente alla conclusione del contratto, come richiede il concetto di nullità, ma di un vizio sopravvenuto tale da incidere su di un contratto che ha già prodotto degli effetti.
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