Codice Civile art. 1754 - Mediatore.

Caterina Costabile

Mediatore.

[I]. È mediatore colui che mette in relazione due o più parti [1321] per la conclusione di un affare, senza essere legato ad alcuna di esse da rapporti di collaborazione, di dipendenza o di rappresentanza (1).

(1) V. artt. 2 1 e 8 l. 3 febbraio 1989, n. 39.

Inquadramento

Il codice fornisce la nozione non della mediazione ma del mediatore ed è questa un'eccezione rispetto ai vari contratti tipici. La spiegazione risiede nel fatto che il legislatore non ha inteso qualificare come contrattuale la fattispecie lasciando così aperto il problema: la natura contrattuale o non contrattuale della mediazione è, difatti, assai discussa sia in dottrina che in giurisprudenza.

La l. n. 39/1989 (recante «modifiche ed integrazioni alla l. n. 253/1958, concernente la disciplina della professione di mediatore») ha profondamente inciso in materia in quanto, attraverso l'istituzione di un ruolo degli agenti di affari in mediazione e l'elevazione dell'effettiva iscrizione allo stesso a requisito essenziale ed inderogabile sia per l'esercizio dell'attività (ancorché esercitata in modo occasionale e discontinuo) che per il sorgere del diritto alla provvigione, ha trasformato la mediazione da attività libera ad attività riservata e non delegabile (Luminoso, in Tr. C. M., 2006, 4) oltre ad aver inciso sui presupposti applicativi della disciplina codicistica (Guidotti, 2004, 928).

Costituisce principio pacifico in giurisprudenza che, fini della configurabilità del rapporto di mediazione, non è necessaria l'esistenza di un preventivo conferimento di incarico per la ricerca di un acquirente o di un venditore, ma è sufficiente che la parte abbia accettato l'attività del mediatore avvantaggiandosene (Cass. II, n. 11656/2018; Cass. II, n. 25851/2014).

Natura giuridica

La giurisprudenza tradizionale (Cass. III, n. 18514/2009) sembra orientata - con parte della dottrina (Marini, in Comm. S., 1992, 28; Stolfi, in Comm. S. B., 1970, 22) - ad affermare la natura contrattuale della mediazione. Il rapporto di mediazione sorgerebbe, pertanto, sempre dall'incontro della volontà del mediatore con quella degli intermediari, indipendentemente da un accordo espresso o tacito delle parti essendo sufficiente un comportamento concludente delle stesse (Cass. II, n. 1626/1983).

Altri autori (Cataudella, 1) ed alcune pronunce di legittimità (Cass. III, n. 11384/1991) si sono, invece, schierati per la tesi della natura non contrattuale della fattispecie ritenendo che l'attività di «messa in relazione» delle parti ai fini della conclusione di un affare andrebbe qualificata come attività giuridica in senso stretto fonte di obbligazione delle parti ex art. 1173.

Un orientamento minoritario ha inoltre sostenuto che l'istituto della mediazione - nell'ipotesi in cui le parti profittino consapevolmente dei risultati dell'attività posta in essere dal mediatore senza preventivo incarico - possa essere riportato alla categoria dei rapporti contrattuali di fatto in quanto la legge ricollega alla fattispecie concreta gli stessi effetti contrattuali che deriverebbero da un valido accordo del mediatore con ciascuna delle parti (Giordano, 214; Cass. III, n. 25851/2014).

Negli ultimi anni sembra aver riscosso un discreto successo una tesi intermedia, che vede, accanto ad una mediazione contrattuale che scaturisce da un incarico, una mediazione “non contrattuale” che nasce dal mero contatto diretto del mediatore con le parti (Cass. II, n. 12961/2014).

La cd. mediazione atipica ed il problema del rapporto con il mandato

La giurisprudenza di legittimità che aderisce alla tesi intermedia evidenzia che, oltre alla mediazione c.d. ordinaria o tipica di cui all'art. 1754, consistente in un attività giuridica in senso stretto, è configurabile una mediazione negoziale c.d. «atipica», fondata su un contratto a prestazioni corrispettive, con riguardo anche ad una soltanto delle parti interessate (c.d. «mediazione unilaterale»), la quale ricorre nel caso in cui una parte, volendo concludere un affare, incarica altri di svolgere un'attività intesa alla ricerca di una persona interessata alla conclusione del medesimo affare a determinate, prestabilite condizioni (Cass. III, n. 24333/2008).

Va, peraltro, chiarito che la distinzione in questione incide sul solo profilo della sola fonte (e della fase genetica) del rapporto mediatorio ma non sulla disciplina di esso, in quanto in ogni caso i compiti e gli obblighi (compresi quelli informativi) gravanti sul mediatore non subiscono modifica alcuna, così come in ogni caso l'obbligo di corrispondere la provvigione graverà non solo sul soggetto che ha conferito l'incarico ma anche sull'altro soggetto che ha accettato l'affare, alla sola condizione che abbia percepito ed accettato l'intervento del mediatore (Cass. III, n. 8374/2009).

Tale impostazione è stata fatta propria anche dalle Sezioni Unite che hanno evidenziato che la mediazione atipica ricorre nel caso in cui una parte, volendo concludere un singolo affare, incarichi altri di svolgere un'attività intesa alla ricerca di una persona interessata alla conclusione del medesimo affare a determinate, prestabilite condizioni (Cass. S.U., n. 19161/2017).

In dottrina è stato evidenziato che l'attività del mediatore può essere svolta anche sulla base di un contratto di mandato (Rolfi, 87; Sesti, 2289).

Accanto, infatti, all'ipotesi delineata dall'art. 1754, i disposti di cui agli artt. 1756 e 1761, supportano l'eventuale configurazione di un vero e proprio rapporto di mandato ex art. 1703.

Ne deriva, come spesso avviene nella prassi (e come è facile rinvenire nei contratti standard di mediazione immobiliare, ove appunto si indica, nella maggior parte dei casi, un mandato o un incarico a vendere o ad acquistare beni immobili), che il mediatore in molti casi agisca non sulla base di un comportamento di mera messa in contatto tra due o più soggetti per la conclusione di un affare (attività giuridica in senso stretto che prescinde da un sottostante titolo giuridico) ma proprio perché «incaricato» da una o più parti ai fini della conclusione dell'affare (generalmente in ordine all'acquisto o alla vendita di un immobile): in tal caso risulta evidente che l'attività del mediatore-mandatario è conseguenziale all'adempimento di un obbligo di tipo contrattuale.

Tale diversa, duplice qualificazione giuridica dell'attività del mediatore si rinviene, al di là di detta prassi e da un punto di vista formale, non solo, nell'ambito della disciplina codicistica della mediazione, all'art. 1756 (diritto al rimborso delle spese nei confronti della persona per «incarico» della quale sono state eseguite, anche se l'affare non è concluso) e all'art. 1761 (incarico al mediatore da una delle parti di rappresentarla negli atti relativi all'esecuzione del contratto concluso con il suo intervento), ma anche nella l. n. 39/1989 istitutiva del ruolo professionale degli agenti di affari in mediazione; in quest'ultima, in particolare, rilevano l'art. 2, comma 2 (che prevede la distinzione del ruolo dei mediatori in tre sezioni, una delle quali relativa agli agenti muniti di mandato), l'art. 2, comma 4 (che stabilisce che l'iscrizione a ruolo va richiesta, tra l'altro, da coloro che svolgono l'attività di mediazione “su mandato a titolo oneroso"), l'art. 5, comma 4 (che prevede l'obbligo di deposito, presso la Commissione che provvede alle iscrizioni nel ruolo, dei moduli o formulari di cui il mediatore si avvale per l'esercizio della propria attività).

Del resto, come già detto, è la stessa giurisprudenza della Corte a prospettare la possibilità che tra mediatore ed una delle parti intercorra un rapporto di tipo contrattuale (Cass. II, n. 12961/2014), salvo poi a verificare la compatibilità di questo con la mediazione con senso tipico.

Il requisito della professionalità

La l. n. 39/1989 ha trasformato la mediazione da attività libera ad attività riservata e non delegabile (Luminoso, in Tr. C. M., 2006, 4).

Attività riservata perché appannaggio dei soli iscritti all'albo e non delegabile per il carattere strettamente personale e per il grado di professionalità richiesto nell'operazione da porre in atto nei confronti e per conto delle parti.

La verifica del requisito della professionalità del mediatore costituisce, difatti, la ragione sostanziale connessa all'obbligo di iscrizione introdotto dall'art. 6 l. n. 39/1989.

L'iscrizione è una garanzia di preparazione del mediatore e di assoggettamento a specifiche regole di condotta professionale, e costituisce una forma di tutela dei soggetti che vengono ad avvalersi dell'attività mediatoria (Rolfi, 97).

Conseguenze della mancata iscrizione all'albo

La giurisprudenza ha chiarito che dalla mancata iscrizione non deriva, però, la nullità del contratto di mediazione, perché la violazione di una norma imperativa, ancorché sanzionata penalmente, non dà luogo necessariamente alla nullità del contratto, dato che l'art. 1418, con l'inciso «salvo che la legge disponga diversamente», impone all'interprete di accertare, se anche in caso di inosservanza del precetto, il legislatore abbia previsto la validità del contratto, predisponendo un meccanismo idoneo a realizzare gli effetti voluti dalla norma. Il contratto di mediazione, pertanto, in assenza di iscrizione all'albo, non è viziato da nullità, comportando quella violazione solo la non insorgenza del diritto alla provvigione e l'applicazione della sanzione amministrativa ovvero, in caso di recidiva, l'applicazione della pena prevista per l'esercizio abusivo della professione (Cass. III, n. 5473/2011).

I giudici di legittimità hanno precisato che ove l'iscrizione all'albo dei mediatori professionali sia intervenuta dopo l'inizio dell'attività, il mediatore ha diritto al compenso solo dal momento dell'iscrizione e, pertanto, è tenuto a restituire l'acconto percepito quando ancora non possedeva la qualifica, non potendo la sopravvenienza della stessa nel corso del rapporto, né l'unitarietà del compenso spettante al mediatore, legittimare "ex post" un pagamento non consentito dalla legge al momento della sua effettuazione (Cass. II, 1735/2016).

L'imparzialità

Secondo l'impostazione tradizionale recepita dalla giurisprudenza la figura del mediatore è caratterizzata dalla necessaria imparzialità, intesa come «assenza di ogni vincolo di mandato, di prestazione d'opera, di preposizione institoria e di qualsiasi altro rapporto che renda riferibile al dominus l'attività dell'intermediario» (Cass. II, n. 4429/2009).

Da tale presupposto alcune pronunce di legittimità hanno fatto discendere l'affermazione per cui non sarebbe configurabile mediazione nel caso di incarico unilaterale, dovendosi in tal caso inquadrare la fattispecie nell'ambito del mandato (Cass. III, n. 16382/2009).

La S.C. ha, peraltro, chiarito che il requisito dell'imparzialità non può ritenersi escluso per il solo fatto dell'esistenza di un rapporto di parentela fra il mediatore ed una delle parti messa in relazione per la conclusione dell'affare (Cass. II, n. 5845/1997).

Una parte della dottrina critica tale ricostruzione evidenziando che l'imparzialità costituisce un modello di comportamento che deve seguire il mediatore nell'esercizio della sua attività e, quindi, riflette un connotato che non può essere inquadrato tra gli elementi costitutivi della fattispecie (Guidotti, 2005, 184; Rolfi, 87)

La messa in relazione delle parti

Il rapporto di mediazione si fonda sull'espletamento di una precisa prestazione realizzata dal mediatore, consistente nel rendere possibile con il suo intervento l'avvicinamento delle parti interessate alla conclusione dell'affare.

La dottrina ritiene che l'espressione “mettere in relazione” debba essere interpretata estensivamente fino a ricomprendere qualsiasi attività che presenti una efficienza causale, sia pure insieme ad altri fattori, rispetto alla conclusione dell'affare tra due o più parti (Minasi, 45).

Anche la giurisprudenza adotta una interpretazione estensiva della locuzione facendo applicazione del principio della efficienza causale (Cass. III, n. 12527/2010) ed evidenziando che per attività di mediazione deve intendersi, non solo il materiale contatto tra il mediatore e l'acquirente, ma anche tutta l'attività che precede e segue la visita dell'immobile (reperimento dell'altro cliente, ricezione dell'incarico, assunzione di informazioni, organizzazione della struttura di intermediazione) e che, tramite il complesso di attività, pone fruttuosamente in contatto l'aspirante acquirente con il venditore (Cass. II, n. 11443/2022; Cass. VI, n. 1915/2015).

Il procacciatore di affari.

Il mediatore si distingue dal procacciatore di affari per il rapporto di collaborazione che caratterizza il procacciatore di affari ed invece è assente, secondo l'espresso dettato normativo, nella mediazione (Cass. II, n. 26370/2016).

Il procacciatore di affari, anche senza carattere di stabilità, agisce difatti nell'esclusivo interesse del preponente, solitamente imprenditore, raccogliendo proposte di contratto ovvero ordinazioni presso terzi e trasmettendogliele (Cass. II, n. 18489/2020Cass. III, n. 12694/2010).

Negli anni passati era sorto in giurisprudenza un contrasto in ordine alla applicabilità ai procacciatori di affari (o rientranti nella categoria dei mediatori atipici) della disciplina di cui alla l. n. 39/1989 e di quella ricavabile dal d.lgs. n. 59/2010 (c.d. decreto Bersani-bis), contrasto risolto dalle Sezioni Unite (Cass. S.U., n. 19161/2017).

Le S.U. hanno invero evidenziato che l'art. 2, comma 4,  l. n. 39/1989 stabilisce che l'iscrizione al ruolo deve essere richiesta anche se l'attività viene esercitata in modo occasionale o discontinuo da coloro che svolgono, su mandato a titolo oneroso, attività per la conclusione di affari relativi ad immobili o ad aziende. E poiché nella nozione di mandato a titolo oneroso deve ritenersi rientri anche l'incarico conferito ad un soggetto o ad un'impresa finalizzato alla ricerca di altri soggetti interessati alla conclusione di un determinato affare, anche i procacciatori di affari, che su incarico di una parte svolgano l'attività di intermediazione per la conclusione di un affare concernente beni immobili o aziende, devono essere iscritti nel ruolo di cui alla l. n. 39/1989, con la conseguenza che la mancata iscrizione esclude il diritto alla provvigione. I giudici di legittimità hanno, inoltre, rimarcato che l'attività occasionale svolta dal mediatore tipico o atipico che si riferisca alla intermediazione in affari concernenti beni mobili non richiede l'iscrizione di cui alla l. n. 89/1989, art. 2, (e ora al d.lgs. n. 59/2010, art. 73).

I Giudici di legittimità ritengono, inoltre, configurabile il diritto alla provvigione del mediatore per l'attività di mediazione prestata in favore di una delle parti contraenti quando egli sia stato contemporaneamente procacciatore d'affari dell'altro contraente (Cass. II, n. 12651/2020).

Differenze con altre figure giuridiche.

La differenza tra la mediazione e l'agenzia, consiste nel fatto che l'incarico di mediazione riguarda un singolo affare, mentre l'incarico di agenzia riguarda un numero indefinito di prestazioni della stessa specie da svolgere in una determinata zona, derivando dalla stabilità dell'incarico nell'ambito di tale zona l'esclusiva a vantaggio dell'agente e l'obbligo del preponente di corrispondere le provvigioni anche per gli affari da lui conclusi direttamente, mentre il compenso del mediatore spetta solo quando l'affare è concluso per effetto del suo intervento (Cass. III, n. 9547/2009).

Inoltre, mentre il mediatore agisce in posizione di terzietà rispetto alle parti che mette in contatto, l'agente di commercio svolge una collaborazione abituale e professionale (Cass. III, n. 13636/2004).

La S.C. ha, peraltro, ritenuto che non costituisce mediazione tipica né atipica l'attività di mera assistenza e consulenza finalizzata alla preparazione ed alla presentazione di una domanda rivolta alla concessione di finanziamenti pubblici, dovendo invece essere qualificata come prestazione d'opera professionale (Cass. III, n. 24118/2013).

L'attività del mandatario è caratterizzata dal compimento di atti giuridici, diversamente da quella del mediatore che consiste in una cooperazione materiale (Azzolina, in Tr. Vas., 1955, 179).

Inoltre, il mediatore si connota per la sua posizione di imparzialità nei confronti delle parti rispetto al mandatario che, assume, nei confronti del mandante, l'obbligo del compimento degli atti giuridici necessari per l'espletamento dell'incarico e matura il diritto al compenso indipendentemente dal risultato raggiunto (Cass. III, n. 7251/2005).

Bibliografia

Carraro, La mediazione, Padova, 1960; Cataudella, Mediazione, in Enc. giur., XIX, Roma, 1990; Giordano, Struttura essenziale della mediazione, in Riv. dir. comm. 1957, I, 214; Guidotti, Ancora in tema di mediazione, in Giur. comm. 2005, 2, 176; Guidotti, La mediazione, in Contr. impr. 2004, 927; Minasi, Mediazione, in Enc. dir., XXVI, Milano, 1976; Rolfi, Il mediatore ed il diritto alla provvigione, in Giur. mer. 2011, 1, 85; Sesti, Responsabilità aquiliana del mediatore-mandatario nei confronti del soggetto promissario acquirente del bene, in Resp. civ. e prev. 2009, 11, 2286.

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