Codice Civile art. 1815 - Interessi.Interessi. [I]. Salvo diversa volontà delle parti, il mutuatario deve corrispondere gli interessi al mutuante. Per la determinazione degli interessi si osservano le disposizioni dell'articolo 1284. [II]. Se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi [1419 2; 185 trans.] (1) (2). (1) Comma così sostituito dall'art. 4 l. 7 marzo 1996, n. 108. Il testo recitava: «Se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e gli interessi sono dovuti solo nella misura legale». (2) Ai sensi dell'art. 1 d.l. 29 dicembre 2000, n. 394, conv., con modif., in l. 28 febbraio 2001, n. 24, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento. InquadramentoSe non ne è espressamente convenuta la gratuità, sorge per il mutuatario, in relazione alla naturale onerosità del contratto, l'obbligazione di versare un corrispettivo al mutuante, corrispettivo che sarà normalmente costituito — anche nel mutuo non pecuniario — dagli interessi in forza della disposizione in esame. Quanto poi al saggio degli interessi, il legislatore lascia libere le parti di determinarlo nella misura che credono, salvo un duplice limite: 1) che il patto di interessi superiori alla misura legale venga stipulato per iscritto (art. 1284 comma 3); 2) che non sia comunque pattuito un interesse usurario (art. 1815 comma 2). Clausole di determinazione degli interessi ultralegaliLa pattuizione di interessi superiori alla misura legale deve essere fatta per iscritto sotto pena di nullità, altrimenti restano dovuti solo nella misura legale (art. 1284, comma 3). Non si reputa, peraltro, necessario che la misura degli interessi sia espressamente indicata attraverso il saggio percentuale (Fragali, in Comm. S. B., 1966, 362), essendo possibile che essa sia rinvenibile mediante una determinazione per relationem laddove il criterio indicato sia certo ed obiettivo (Cass. III, n. 3252/1984). Ovviamente detto principio può trovare applicazione, in relazione ai contratti di mutuo stipulati da istituti bancari, solo con riferimento a quelli stipulati prima dell'entrata in vigore della l. n. 154/1992 (Cass. III, n. 25205/2014). Anatocismo nel mutuoLa giurisprudenza aveva ritenuto che, in riferimento al calcolo degli interessi nel contratto di mutuo bancario, dovevano ritenersi applicabili le limitazioni previste dall'art. 1283, non esistendo un uso bancario contrario a quanto disposto dalla norma predetta. Di conseguenza, era stata ritenuta integrante un fenomeno anatocistico, vietato dall'art. 1283,la convenzione, contestuale alla stipulazione del mutuo, in forza della quale sulle rate scadute decorrono gli interessi sull'intera somma (Cass. III, n. 2593/2003). Principi questi ribaditi in tema di mutuo agrario di miglioramento disciplinato dalla l. n. 1760/1928 (poi abrogata dall'art. 24 d.l. n. 112/2008) (Cass. III, n. 2072/2013). Tuttavia, il legislatore è intervenuto in argomento con la delibera Cicr del 9 febbraio 2000 che, per i contratti di finanziamento a rimborso rateale stipulati successivamente alla sua entrata in vigore, ha previsto la possibilità di pattuire che, in caso di inadempimento del debitore, l'importo complessivamente dovuto alla scadenza di ogni rata produca interessi sino al pagamento, restando invece vietata la capitalizzazione periodica degli stessi (art. 3). La giurisprudenza di merito ha costantemente evidenziato che non è concettualmente configurabile il fenomeno anatocistico con riferimento a mutuo bancario con ammortamento cd. alla francese, difettando — in sede genetica del negozio — il presupposto stesso dell'anatocismo, vale a dire la presenza di un interesse giuridicamente definibile come scaduto sul quale operare il calcolo dell'interesse composto ex art. 1283 ( Trib. Roma, XVII, 18 gennaio 2021, n. 868; Trib. Ivrea, 26 settembre 2020, n. 723; Corte Appello Torino, 17 settembre 2020, n. 905; App. Napoli, 19 febbraio 2020, n. 772) La disciplina dell'usuraNel regime anteriore alla l. n. 108/1996 il negozio di mutuo venia considerato dalla giurisprudenza illecito per pattuizione di interessi a tasso elevato solo nel caso di sussistenza degli estremi del delitto di usura ai sensi dell'art. 644 c.p. (nella previgente formulazione). In particolare, lo stato di bisogno preso in considerazione dalla disposizione penale poteva essere indifferentemente determinato da cause incolpevoli oppure da vizi, prodigalità o altre cause inescusabili, in quanto la norma perseguiva la finalità di colpire l'usurario quale persona socialmente nociva. Pertanto, lo stato di bisogno nel reato di usura si riteneva sussistente tutte le volte in cui la persona offesa non era in grado di ottenere altrove e a condizioni migliori la prestazione di denaro o altra cosa occorrente anche ai fini della sua attività d'impresa e doveva, invece, sottostare alle esose condizioni imposte per il prestito (Cass. III, n. 19698/2008). A seguito della riformulazione del reato di usura operata dalla l. n. 108/1996, è stato soppresso l'elemento dell'approfittamento dello stato di bisogno ed è stato previsto che è la legge a stabilire “il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurai” (art. 644, comma 3, c.p.) con determinazione del tasso massimo delegata al Ministero del tesoro (cd. “tasso-soglia”). Quando non risulta superato il cosiddetto tasso soglia, la nullità ex art. 1815, comma 2, della clausola di previsione degli interessi, richiede invece la prova del loro carattere usurario ai sensi dell'art. 644, comma 3, secondo periodo, c.p., ossia la dimostrazione della sproporzione degli interessi convenuti, nonché della condizione di difficoltà economica di colui che promette gli interessi. La prova di entrambi i presupposti grava su colui che afferma la natura usuraria degli interessi, senza che, accertato lo stato di difficoltà economica, la sproporzione possa ritenersi in re ipsa, dovendo comunque dimostrarsi il vantaggio unilaterale conseguito dalla banca (Cass. III, n. 19282/2014). La disciplina relativa ai tassi di interesse sui mutui introdotta dalla l n. 108/1996 — e quindi anche quella dettata dall'art. 1 d.l. n. 394/2000, conv. in l. n. 24/2001, di interpretazione autentica della precedente — non si ritiene applicabile ai rapporti completamente esauriti prima della sua entrata in vigore. All'uopo non rileva in senso contrario la pendenza di una controversia sulle obbligazioni derivanti dal contratto e rimaste inadempiute, posto che le stesse non implicano che il rapporto contrattuale sia ancora in atto, ma solo che la sua conclusione ha lasciato in capo alle parti, o ad una di esse, delle ragioni di credito (Cass. I, n. 15497/2005). Le Sezioni Unite, intervenendo sul tema dell'usurarietà sopravvenuta, hanno sancito che allorché il tasso degli interessi concordato tra mutuante e mutuatario superi, nel corso dello svolgimento del rapporto, la soglia dell'usura come determinata in base alle disposizioni della l. n. 108/1996, non si verifica la nullità o l'inefficacia della clausola contrattuale di determinazione del tasso degli interessi stipulata anteriormente all'entrata in vigore della predetta legge, o della clausola stipulata successivamente per un tasso non eccedente tale soglia quale risultante al momento della stipula. Le S.U. hanno altresì ritenuto che la pretesa del mutuante di riscuotere gli interessi secondo il tasso validamente concordato non può essere qualificata, per il solo fatto del sopraggiunto superamento di tale soglia, contraria al dovere di buona fede nell'esecuzione del contratto in quanto la violazione del canone di buona fede non è riscontrabile nell'esercizio in sé considerato dei diritti scaturenti dal contratto, bensì nelle particolari modalità di tale esercizio in concreto, che siano appunto scorrette in relazione alle circostanze del caso (Cass. S.U., n. 24675/2017). La nullità delle clausole che prevedono un tasso di interesse usurario è rilevabile anche d'ufficio, non integrando gli estremi di una eccezione in senso stretto, bensì di una mera difesa (Cass. III, n. 2072/2014; Cass. I, n. 350/2013). Secondo l'impostazione tradizionale della giurisprudenza, i decreti ministeriali previsti dalla l. n. 108/1996 non hanno natura di atti normativi bensì amministrativi, con la conseguenza che gli stessi si sottraggono all'operatività del principio «iura novit curia» e, non essendo il giudice tenuto a conoscerli od acquisirli, è rimesso alla parte che ne ha interesse l'onere di produrli in giudizio (Cass. III, n. 8742/2001). Invece, secondo la giurisprudenza più recente, il principio iura novit curia fonda il potere-dovere del giudice di acquisire i decreti ministeriali di rilevazione dei tassi soglia antiusura a prescindere dall'attività delle parti, atteso che tali atti realizzano una etero-integrazione delle leggi penali e civili che disciplinano in via generale la materia (Cass. III, n. 8853/2020). Gli interessi moratori Le Sezioni Unite (Cass. S.U., n. 19597/2020), sono intervenute per dirimere gli annosi contrasti giurisprudenziale in tema di usura ed interessi moratori articolando i seguenti principi di diritto: 1) La disciplina antiusura si applica agli interessi moratori, intendendo essa sanzionare la pattuizione di interessi eccessivi convenuti al momento della stipula del contratto quale corrispettivo per la concessione del denaro, ma anche la promessa di qualsiasi somma usuraria sia dovuta in relazione al contratto concluso; 2) La mancata indicazione dell'interesse di mora nell'ambito del T.e.g.m. non preclude l'applicazione dei decreti ministeriali, i quali contengano comunque la rilevazione del tasso medio praticato dagli operatori professionali, statisticamente rilevato in modo del pari oggettivo ed unitario, essendo questo idoneo a palesare che una clausola sugli interessi moratori sia usuraria, perché “fuori mercato”, donde la formula: “T.e.g.m., più la maggiorazione media degli interessi moratori, il tutto moltiplicato per il coefficiente in aumento, più i punti percentuali aggiuntivi, previsti quale ulteriore tolleranza dal predetto decreto” ” (in tal senso v. anche Cass. III, n. 9229/2022) ”; 3) Ove i decreti ministeriali non rechino neppure l'indicazione della maggiorazione media dei moratori, resta il termine di confronto del T.E.G.M., così come rilevato, con la maggiorazione ivi prevista; 4) Si applica l'art. 1815, comma 2, onde non sono dovuti gli interessi moratori pattuiti, ma vige l'art. 1224, comma 1, con la conseguente debenza degli interessi nella misura dei corrispettivi lecitamente convenuti (in tal senso v. anche Cass. III, n. 16526/2024; Cass. III, n. 21973/2022); 5) Anche in corso di rapporto sussiste l'interesse ad agire del finanziato per la declaratoria di usurarietà degli interessi pattuiti, tenuto conto del tasso-soglia del momento dell'accordo; una volta verificatosi l'inadempimento ed il presupposto per l'applicazione degli interessi di mora, la valutazione dell'usurarietà attiene all'interesse in concreto applicato dopo l'inadempimento; 6) Nei contratti conclusi con un consumatore concorre la tutela prevista dagli artt. 33, comma 2, lett. f) e 36, comma 1, del codice del consumo di cui al d.lgs. n. 206 del 2005, già artt. 1469-bis e 1469-quinquies c.c.; 7) L'onere probatorio nelle controversie sulla debenza e sulla misura degli interessi moratori, ai sensi dell'art. 1697, si atteggia nel senso che, da un lato, il debitore, il quale intenda provare l'entità usuraria degli stessi, ha l'onere di dedurre il tipo contrattuale, la clausola negoziale, il tasso moratorio in concreto applicato, l'eventuale qualità di consumatore, la misura del T.e.g.m. nel periodo considerato, con gli altri elementi contenuti nel decreto ministeriale di riferimento; dall'altro lato, è onere della controparte allegare e provare i fatti modificativi o estintivi dell'altrui diritto. Quanto agli effetti concreti, tenuto conto che il contratto di mutuo, nel cui genus va ricondotto ogni finanziamento, è un contratto di durata, agli effetti dell'art. 1458, in considerazione del carattere non istantaneo, ma prolungato della durata del prestito, e dell'utilità per il mutuatario consistente nel godimento del danaro assicuratogli dal mutuante per il tempo convenuto, caduta la clausola sugli interessi moratori, le rate scadute al momento della caducazione del prestito restano dovute nella loro integralità, comprensive degli interessi corrispettivi in esse già conglobati, oltre agli interessi moratori sull'intero nella misura dei corrispettivi pattuiti; tale effetto, peraltro, richiede che in sé il tasso degli interessi corrispettivi sia lecito. Per quanto attiene le rate a scadere, sorge l'obbligo d'immediata restituzione dell'intero capitale ricevuto, sul quale saranno dovuti gli interessi corrispettivi, ma attualizzati al momento della risoluzione: infatti, fino al momento in cui il contratto ha avuto effetto, il debitore ha beneficiato della rateizzazione, della quale deve sostenere il costo, pur ricalcolato attualizzandolo, rispetto all'originario piano di ammortamento non più eseguito; da tale momento e sino al pagamento, vale l'art. 1224, comma 1. La S.C. aveva peraltro più volte chiarito che nei rapporti bancari, ai fini della determinazione del tasso soglia, gli interessi corrispettivi e quelli moratori contrattualmente previsti non si possono fra loro cumulare in quanto vengono percepiti ricorrendo presupposti diversi ed antitetici, giacchè i primi costituiscono la controprestazione del mutuante e i secondi hanno natura di clausola penale, in quanto costituiscono una determinazione convenzionale preventiva del danno da inadempimento(Cass. VI, n. 31615/2021; Cass. III, n. 26286/2019). E' stato altresì chiarito che la parte mutuataria non ha interesse ad agire per la declaratoria di usurarietà degli interessi moratori, allorché manchino i presupposti della mora per avere l'obbligato adempiuto al pagamento di tutti i ratei, di modo che possa escludersi che possano trovare applicazione detti interessi (Cass. VI, n. 1818/2021). Ai fini della valutazione dell'eventuale natura usuraria di un contratto di mutuo, devono essere conteggiate anche le spese di assicurazione sostenute dal debitore per ottenere il credito, in conformità con quanto previsto dall'art. 644, comma 4 c.p., essendo, all'uopo, sufficiente che le stesse risultino collegate alla concessione del credito (Cass. II, n. 29501/2023). BibliografiaDalmartello, Appunti in tema di contratti reali, contratti restitutori e contratti sinallagmatici, in Riv. dir. civ., 1955; Galasso, Mutuo e Deposito irregolare, Milano, 1968; Gardella Tedeschi, Il Mutuo (contratto di), in Dig. civ., Torino, 1994; Giampiccolo, voce Mutuo, Enc. dir., XXVII, Milano, 1977; Grassani, Mutuo, in Noviss. Dig. it., X, Torino 1964; Mazzamuto, Mutuo di scopo, in Enc. Giur., XX, Roma, 1990. |