Codice Civile art. 1878 - Mancanza di pagamento delle rate scadute.

Caterina Costabile

Mancanza di pagamento delle rate scadute.

[I]. In caso di mancato pagamento delle rate di rendita scadute, il creditore della rendita, anche se è lo stesso stipulante, non può domandare la risoluzione del contratto [1453 ss.], ma può far sequestrare [670 ss. c.p.c.] e vendere [501 ss. c.p.c.] i beni del suo debitore affinché col ricavato della vendita si faccia l'impiego di una somma sufficiente ad assicurare il pagamento della rendita.

Inquadramento

L'art. 1878, con riguardo sia alla rendita onerosa che gratuita, esclude il rimedio della risoluzione per l'inadempimento relativo alle rate scadute, attribuendo al creditore, invece, la facoltà di far sequestrare e vendere i beni del debitore affinché con il ricavato della vendita si faccia l'impiego di una somma sufficiente ad assicurare il pagamento della rendita (Gardella Tedeschi, 743).

È pacifico in dottrina (Torrente, in Comm. S.B. 1955, 145; Valsecchi, in Tr. C. M. 1961, 230) e giurisprudenza (Cass. II, n. 24014/2004; Cass. II, n. 1683/1982) la natura dispositiva della norma, che può dunque essere derogata dalle parti pattuendo una clausola risolutiva espressa.

Natura giuridica

La dottrina spiega tale previsione, oltre che sulla base di una consolidata tradizione, in relazione al carattere prevalentemente previdenziale ed assistenziale della rendita che in alcuni casi costituisce l'unica fonte di reddito per il vitaliziato (Valsecchi, in Tr. C. M. 1961, 229).

Si è all'uopo osservato che, nell'ipotesi di inadempimento relativo alle rate scadute, la sanzione generale della risoluzione è sostituita da una misura, in senso ampio, cautelare volta a presidiare il diritto del creditore alla percezione della rendita (Dattilo, 881).

Il ricavato della vendita resta comunque vincolato al reimpiego e non entra nel patrimonio del debitore: infatti, normalmente la somma ricavata viene versata ad un'impresa di assicurazioni che determinerà il capitale occorrente ai fini della rendita secondo le proprie tabelle statistiche (Lerner, 1028).

Anche la risoluzione di diritto a seguito della diffida ad adempiere (art. 1454) viene compresa nel divieto espresso dalla norma (Valsecchi, in Tr. C. M. 1961, 230).

Di contro si ritengono pacificamente applicabili alla rendita vitalizia gli istituti della risoluzione per clausola risolutiva espressa (art. 1456) e quella per termine essenziale (art. 1457) non essendo la disposizione di cui all'art. 1878 una norma generale d'ordine pubblico e, come tale sottratta alla disponibilità delle parti (Valsecchi, ult. cit.).

Vitalizio alimentare e contratto mantenimento

La giurisprudenza reputa la norma in parola non applicabile né al vitalizio alimentare né al contratto di mantenimento in quanto la stessa trova giustificazione nella non gravità della turbativa dell'equilibrio negoziale in presenza di inadempienza nel pagamento di dette rate di rendita, oltre che nella possibilità di un soddisfacimento coattivo del creditore e, pertanto, non è suscettibile di applicazione analogica al vitalizio alimentare, caratterizzato da prestazioni indispensabili per la sopravvivenza del creditore, in parte non fungibili e basate sullo «intuitus personae» (Cass. III, n. 6395/2004; Cass. S.U., n. 8432/1990).

Al fine di tutelare l'interesse del vitaliziato nel caso di inadempimento degli obblighi assistenziali, trovano pertanto applicazione le regole generali sulla risoluzione per inadempimento anziché la norma speciale di cui all'art. 1878 (Cass. II, n. 1503/1998).Il beneficiario delle prestazioni assistenziali di un contratto di vitalizio alimentare che agisca per la risoluzione contrattuale deve, dunque, soltanto provare la fonte negoziale del suo diritto, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre il vitaliziante convenuto è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento (Cass. II, n. 20150/2022; Cass. II, n. 1080/2020).

I giudici di legittimità hanno, in particolare, ritenuto che nel contratto di vitalizio assistenziale (cd. vitalizio improprio) si configura un inadempimento di non scarsa importanza, con conseguente risoluzione del contratto, qualora il vitaliziante che per lungo tempo abbia assolto l'obbligazione manchi di eseguirla anche solo per un breve periodo (Cass. II, n. 2940/2004).

La S.C. ha ritenuto la disposizione in esame non applicabile al negozio atipico mediante il quale le parti stabiliscono la cessione di quote di piena o nuda proprietà di un bene immobile verso un corrispettivo, in parte rappresentato dalla prestazione mensile di una somma di danaro, ed in parte dalla prestazione di "assistenza morale" per la durata della vita del beneficiario, trovando in tale ipotesi applicazione la disciplina generale della risoluzione per inadempimento di cui all'art. 1453 (Cass. VI, n. 13232/2017).

Bibliografia

Calò, Contratto di mantenimento e proprietà temporanea, in Foro it. 1989, I, 1, 1165; Dattilo, voce Rendita (dir. priv)., in Enc. dir., XXXIX, Milano, 1988; Gardella Tedeschi, Vitalizio, in Dig. civ., Torino, 1999; Lerner, voce Vitalizio, in Nss. D.I., Torino, XX, 1975.

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