Codice Civile art. 2041 - Azione generale di arricchimento.Azione generale di arricchimento. [I]. Chi, senza una giusta causa, si è arricchito a danno di un'altra persona è tenuto, nei limiti dell'arricchimento, a indennizzare quest'ultima della correlativa diminuzione patrimoniale [31 3, 534 2, 1153, 1180, 1185 2, 1443, 1769, 2037 3, 2038 3]. [II]. Qualora l'arricchimento abbia per oggetto una cosa determinata, colui che l'ha ricevuta è tenuto a restituirla in natura, se sussiste al tempo della domanda. InquadramentoLa norma regola in termini generali l'azione di arricchimento stabilendo che chiunque si sia arricchito senza causa a spese e danno di un altro è tenuto, nei limiti dell'arricchimento, ad indennizzare quest'ultimo della correlativa diminuzione patrimoniale. Qualora l'arricchimento abbia per oggetto una cosa determinata, l'accipiens è tenuto a restituirla all'impoverito se questa sussiste al tempo della domanda, altrimenti è tenuto al pagamento dell'indennizzo. L'art. 2041 ha recepito nel nostro codice civile l'azione romanistica di origine pretorile e l'opinione giurisprudenziale e dottrinale formatasi sotto il codice del 1865, nonché in altri ordinamenti europei di matrice comune al diritto italiano. Gli spostamenti patrimoniali devono, di regola, rispondere ad una giustificazione obiettiva in termini di meritevolezza: pertanto, il legislatore ha dettato una norma di chiusura dell'ordinamento volta ad evitare che, al di fuori di vicende giustificate e pur nell'ambito dei fatti leciti, i patrimoni di due soggetti possano modificarsi l'uno a discapito dell'altro. Presupposti dell'arricchimento: l'arricchimento dell' accipiensL'arricchimento costituisce elemento costitutivo della fattispecie, ponendosi quale presupposto genetico dell'obbligazione. Secondo la comune nozione, l'arricchimento è il valore economico dell'incremento patrimoniale cagionato a favore di un soggetto da uno spostamento di valori e, precisamente, l'arricchimento consiste nella differenza tra la consistenza del patrimonio quale è in seguito al fatto produttivo dell'arricchimento e quella che avrebbe avuto se tale fatto non si fosse verificato. Si ritiene, pertanto, che l'arricchimento possa consistere (Moscati, 449; Trimarchi, 2): in un incremento patrimoniale vero e proprio; in un risparmio di spesa; in una perdita evitata. In giurisprudenza è comune l'affermazione che l'arricchimento possa consistere anche in un risparmio di spesa, purché si tratti sempre di risparmio ingiustificato, nel senso che la spesa risparmiata dall'arricchito debba essere da altri sostenuta senza ragione giuridica (Cass. I, n. 20226/2013). L'arricchimento deve essere effettivo (Cass. II, n. 17860/2003) e deve, pertanto, essere accertato sulla base di un riferimento all'incremento dei valori economici che si è prodotto nel patrimonio dell'arricchito complessivamente considerato. Lo squilibrio che legittima l'applicazione dell'art. 2041 deve avere carattere patrimoniale e, quindi, resta escluso qualsiasi vantaggio avente natura esclusivamente morale (Trabucchi, 70). Il danno dell'impoverito All'arricchimento deve corrispondere il danno (o impoverimento) di un altro soggetto che, tradizionalmente, così come l'arricchimento, deve essere inteso esclusivamente in senso economico e cioè come diminuzione patrimoniale (Schlesinger, 1007). Dalla nozione di danno inteso come «perdita di uno o più elementi del patrimonio» una parte della dottrina ha tratto la conseguenza della non indennizzabilità del mancato guadagno che ci si attendeva in cambio dell'attività svolta (Trabucchi, 71), assumendo che il ristoro integrale del danno sarebbe previsto dalla legge solo in caso di fatto illecito ex art. 2043. Questa esclusione del mancato guadagno dal calcolo dell'indennità prevista dall'art. 2041, comma 1, è stata considerata il frutto della trasposizione meccanica della distinzione tra perdita «indennizzabile» e danno «risarcibile» (Schlesinger, 1007). La correlazione tra arricchimento e danno: l'unicità del fatto generatore Dalla lettura dell'art. 2041, comma 1, emerge con chiarezza l'esigenza di una correlazione tra arricchimento e danno (Trabucchi, 72; Trimarchi, 79). Si ritiene, pertanto, che l'arricchimento ed il danno debbano poter essere ricondotti ad un medesimo fatto causativo (Schlesinger, 1007). La giurisprudenza ha più volte rimarcato che costituisce presupposto per l'esercizio dell'azione di ingiustificato arricchimento l'unicità del fatto causativo dell'impoverimento, sussistente quando la prestazione resa dall'impoverito sia andata a vantaggio dell'arricchito (Cass. III, n. 18878/2015; Cass. S.U., n. 24772/2008). La mancanza di giustificazione dell'arricchimento L'ultimo presupposto dell'istituto in esame è la mancanza di giusta causa dello spostamento patrimoniale. La giurisprudenza ha sempre evitato di fornire una nozione generale di mancanza di giusta causa, limitandosi ad affermare che si ha ingiustificato arricchimento se il vantaggio di una parte consegue a una prestazione effettuata dall'altra parte in assenza di un titolo giuridico valido ed efficace (Cass. I, n. 18099/2009). Ciò in quanto la giusta causa non deve essere ricercata quale nozione ma quale strumento di concreta soluzione degli interessi meritevoli di tutela attraverso l'azione di arricchimento. Pertanto, quando la locupletazione di un soggetto a danno dell'altro sia la conseguenza di un contratto o comunque di un altro rapporto non può dirsi che la causa manchi o sia ingiusta, almeno fino a quando il contratto o il diverso rapporto conservino rispetto alle parti e ai loro aventi causa la propria efficacia obbligatoria(Cass. VI, n. 12405/2020). Il diritto all'indennizzo non può essere riconosciuto se il depauperamento è giustificato da una ragione giuridica, come quando sia avvenuto per una spesa fatta dall'istante nel proprio esclusivo interesse, sia pure con indiretta utilità altrui (Cass. III, n. 6827/2021). La S.C. ha ritenuto possibile configurare l'ingiustizia dell'arricchimento da parte di un convivente more uxorio nei confronti dell'altro in presenza di prestazioni a vantaggio del primo esulanti dal mero adempimento delle obbligazioni nascenti dal rapporto di convivenza — il cui contenuto va parametrato sulle condizioni sociali e patrimoniali dei componenti della famiglia di fatto — e travalicanti i limiti di proporzionalità e di adeguatezza (Cass. III, n. 18632/2015). Si è di contro ritenuto che, in tema di appalto di opere pubbliche, qualora il prezzo sia stato convenuto «a corpo», l'appaltatore non è legittimato ad esercitare l'azione di ingiustificato arricchimento per l'eventuale maggior quantità di opera eseguita, dovendosi escludere che la locupletazione del committente sia priva di giusta causa in quanto insita nella natura del contratto (Cass. I, n. 24165/2014). Arricchimento indirettoSi parla di arricchimento indiretto quando il soggetto che si è arricchito è diverso da quello con il quale chi compie la prestazione ha un rapporto diretto. La giurisprudenza ritiene che nell'ipotesi di arricchimento indiretto l'azioneex art. 2041 è esperibile soltanto contro il terzo che abbia conseguito l'indebita locupletazione nei confronti dell'istante in forza di rapporto meramente di fatto (e perciò gratuito) con il soggetto obbligato verso il depauperato, resosi insolvente nei riguardi di quest'ultimo (Cass. II, n. 10663/2015). Recentemente è stata ritenuta esperibile l'azione di ingiustificato arricchimento nel caso di arricchimento indiretto nei soli casi in cui lo stesso sia stato realizzato dalla P.A., in conseguenza della prestazione resa dall'impoverito ad un ente pubblico, ovvero sia stato conseguito dal terzo a titolo gratuito (Cass. III, n. 29672/2021). In siffatta ipotesi chi agisce ha l'onere di provare che il vantaggio patrimoniale di cui si è arricchito il terzo -beneficiario è stato conseguito "a titolo gratuito" od in via di "di mero fatto" (Cass. VI, n. 28745/2017). La predetta azione è invece ritenuta inammissibile ove la prestazione sia stata conseguita dal terzo in virtù di un atto a titolo oneroso: laddove infatti il soggetto che si arricchisce è un terzo, diverso da quello nei cui confronti la parte che adempie la prestazione ha un rapporto contrattuale diretto − di modo che l'arricchimento del primo costituisca un mero effetto riflesso della prestazione dell'adempiente verso il contraente diretto − non sussistono i presupposti di fatto per l'esercizio dell'azione di cui all'art. 2041 verso il beneficiario dell'adempimento, potendo il soggetto impoverito esperire le azioni a tutela dei suoi diritti solamente nei confronti del soggetto destinatario della prestazione contrattuale (Cass. S.U., n. 24772/2008). La quantificazione dell'arricchimentoL'art. 2041 menziona espressamente sia il contenimento dell'obbligo indennitario nei limiti dell'arricchimento sia la correlativa diminuzione patrimoniale dell'impoverito: l'indennizzo dovuto all'arricchito non deve, quindi, essere determinato con esclusivo riferimento all'entità economica dell'arricchimento, giacché questo si considera indebito soltanto nella misura in cui ad esso corrisponda una effettiva diminuzione patrimoniale dell'impoverito. In dottrina è discusso se la nozione di perdita patrimoniale debba intendersi equivalente a quella di danno ex art. 1223 o indichi un concetto più limitato non comprensivo del lucro cessante che l'impoverito avrebbe potuto ottenere attraverso la sua attività ovvero ritraendo utilità dall'utilizzo dei suoi beni effettuato dall'arricchito (Trabucchi, 71; Schlesinger, ult. cit.). Anche in giurisprudenza si erano manifestati entrambi gli orientamenti essendosi alcune pronunce di legittimità espresse a favore della inclusione nella nozione di perdita patrimoniale del lucro cessante (Cass. I, n. 4192/1995) ed altre per la sua esclusione (Cass. III, n. 18785/2005). Il contrasto è stato poi composto dalle S.U. che hanno statuito che l'art. 2041 va interpretato nel senso di escludere dal calcolo dell'indennità richiesta per la «diminuzione patrimoniale» subita dall'esecutore di una prestazione, in virtù di un contratto invalido, quanto lo stesso avrebbe percepito a titolo di lucro cessante se il rapporto negoziale fosse stato valido ed efficace (Cass. S.U.,n. 23385/2008). Ciò nondimeno deve evidenziarsi che in alcune recenti pronunce la S.C. ha ritenuto di dover considerare anche il lucro cessante ai fini della determinazione della indennità (Cass. I, n. 24319/2020; Cass. I, n. 14670/2019). L'indennizzo ex art. 2041, in quanto credito di valore, va liquidato alla stregua dei valori monetari corrispondenti al momento della relativa pronuncia ed il giudice deve tenere conto della svalutazione monetaria sopravvenuta fino alla decisione, anche di ufficio, a prescindere dalla prova della sussistenza di uno specifico pregiudizio dell'interessato dipendente dal mancato tempestivo conseguimento dell'indennizzo medesimo (Cass. I, n. 28930/2022) . La restituzione della cosa in naturaIl capoverso dell'art. 2041 precisa che qualora l'arricchimento abbia per oggetto una cosa determinata, colui che l'ha ricevuta è tenuto a restituirla in natura se sussiste al tempo della domanda. In ogni caso avrà, però, diritto al rimborso delle spese e dei miglioramenti ai sensi degli artt. 1149 e 1150. Può però anche darsi che il bene sia stato nel frattempo alienato: in questi casi in applicazione dei principi sulla surrogazione reale subentrerà l'obbligo di devolvere il corrispettivo (artt. 535 e 2038). La giurisprudenza ha chiarito che qualora la restituzione della cosa stessa non esaurisca l'arricchimento e la correlativa diminuzione patrimoniale è dovuto l'indennizzo per la parte residua (Cass. III, n. 7194/2000). Arricchimento e pubblica amministrazioneSono molto numerosi nella prassi i casi in cui, per mancata osservanza delle procedure o per difetto di forma scritta, tra un soggetto privato e la pubblica amministrazione si stipulano e si eseguono, talvolta anche in via anticipata, rapporti non contenuti in contratti validamente conclusi. La giurisprudenza formatasi in tale ambito è la più copiosa in tema di arricchimento, il quale resta l'unico strumento per il ristoro del depauperamento subito dal privato. La giurisdizione sulle azioni di indebito arricchimento spetta al giudice ordinario, trattandosi di istituto civilistico che dà luogo a situazioni di diritto soggettivo perfetto anche quando parte sia una p.a., salvo il limite interno del divieto di annullamento e di modificazione degli atti amministrativi (Cass. S.U., n. 23284/2010). La S.C. ritiene che il riconoscimento dell'utilità da parte dell'arricchito non costituisce requisito dell'azione di indebito arricchimento, sicché il depauperato che agisce ex art. 2041 nei confronti della pubblica amministrazione ha solo l'onere di provare il fatto oggettivo dell'arricchimento, senza che l'ente pubblico possa opporre il mancato riconoscimento dello stesso, esso potendo, invece, eccepire e provare che l'arricchimento non fu voluto o non fu consapevole, e che si trattò, quindi, di “arricchimento imposto” (Cass. lav., n. 22908/2022; Cass. III, n. 11209/2019; Cass. S.U., n. 10798/2015). Sussiste un contrasto in giurisprudenza in ordine alla possibilità che l'indennizzo per ingiustificato arricchimento dovuto al professionista che abbia svolto la propria attività a favore della pubblica amministrazione, ma in difetto di un contratto scritto, possa o meno essere determinato in base alla tariffa professionale che il professionista avrebbe potuto ottenere se avesse svolto la sua opera a favore d'un privato, o in base all'onorario che la p.a. avrebbe dovuto pagare, se la prestazione ricevuta avesse formato oggetto d'un contratto valido (in senso negativo Cass. II, n. 13967/2019; Cass. III, n. 9317/2019; in senso positivo Cass. I, n. 24319/2020; Cass. I, n. 14329/2019). BibliografiaMoscati, Arricchimento (azione di), in Dig. civ., Torino, 1987; Schlesinger, voce Arricchimento (azione di), in Nss. D.I., Torino 1958; Trabucchi, Arricchimento (azione di), in Enc. dir., III, Milano, 1958; Trimarchi, L'arricchimento senza causa, Milano, 1962. |