Codice Civile art. 2048 - Responsabilità dei genitori, dei tutori, dei precettori e dei maestri d'arte.

Francesco Agnino

Responsabilità dei genitori, dei tutori, dei precettori e dei maestri d'arte.

[I]. Il padre e la madre, o il tutore, sono responsabili del danno [2056 ss.; 190 c.p.] cagionato dal fatto illecito dei figli minori non emancipati [316 ss.] o delle persone soggette alla tutela [343 ss., 414 ss.], che abitano con essi. La stessa disposizione si applica all'affiliante (1).

[II]. I precettori e coloro che insegnano un mestiere o un'arte sono responsabili del danno [2056 ss.] cagionato dal fatto illecito dei loro allievi e apprendisti [2130 ss.] nel tempo in cui sono sotto la loro vigilanza.

[III]. Le persone indicate dai commi precedenti sono liberate dalla responsabilità soltanto se provano di non aver potuto impedire il fatto.

(1) V. art. 77 l. 4 maggio 1983, n. 184.

Inquadramento

L'art. 2048 opera oggi in una realtà profondamente mutata rispetto a quella in cui la disposizione codicistica fu elaborata. Nel codice del 1942, nella sua versione originaria, il rapporto tra i genitori e la prole era caratterizzato da una posizione di soggezione dei figli rispetto al pater. In altri termini, la legislazione rifletteva una concezione gerarchica ed autoritaria della famiglia e la prole aveva l'obbligo di «onorare e rispettare» il padre e la madre. Pertanto, l'illecito commesso dal minore poteva essere considerato come un'inosservanza, da parte dei genitori, dei doveri di educazione e di vigilanza. Dopo l'entrata in vigore della Costituzione e della riforma del diritto di famiglia, è necessario interpretare più “elasticamente” l'art. 2048.

La natura giuridica

Per determinare la natura giuridica della responsabilità dei genitori prevista dall'art. 2048, è utile — secondo quanto si accennava — mettere in evidenza come tale responsabilità si distingua da quella tipizzata dall'art. 2047.

L'art. 2047 si applica, quindi, quando l'autore del danno non sia imputabile ai sensi dell'art. 2046; in tal caso, peraltro, il figlio minorenne incapace “non risponde delle conseguenze del fatto dannoso”, salva la sua responsabilità sussidiaria nei limiti di una mera indennità (art. 2047, comma 2), mentre del fatto illecito risponderanno in via esclusiva i genitori.

Le due fattispecie sono tra loro alternative (Cass., III, n. 2606/1997, a mente della quale la responsabilità del genitore, per il danno cagionato da fatto illecito del figlio minore, trova fondamento, a seconda che il minore sia o meno capace di intendere e di volere al momento del fatto, rispettivamente nell'art. 2048, in relazione ad una presunzione iuris tantum di difetto di educazione ovvero nell'art. 2047, in relazione ad una presunzione iuris tantum di difetto di sorveglianza e vigilanza. Le indicate ipotesi di responsabilità presunta pertanto sono alternative — e non concorrenti — tra loro, in dipendenza dell'accertamento, in concreto, della esistenza di quella capacità).

La differenza evidenziata comporta anche che solo nel caso disciplinato dall'art. 2048 sia possibile ipotizzare una rivalsa del genitore, in via di regresso, sul figlio autore materiale dell'illecito, titolare di un autonomo patrimonio (Trib. Roma 28 maggio 1987; Trib. Bolzano 18 gennaio 2001).

Tale ipotesi è giustificata dal fatto che la citata responsabilità concorrente appare di natura solidale, ai sensi dell'art. 2055, comma 1, c.c., e non sembra che vi siano ostacoli in ordine alla valutazione del grado della colpa rispettiva dei corresponsabili.

Si percepisce allora immediatamente come l'indicata differenza di disciplina alimenti il dibattito circa la natura giuridica della responsabilità genitoriale.

Parte della dottrina ha optato per la tesi della natura oggettiva della responsabilità, affermando il fondamento della responsabilità dei genitori che prescinda dalla colpa (Rodota', 153) tende a ricercare I genitori sarebbero responsabili in forza del loro status (Monateri, in Tr. Sac., 971; Pardolesi, 221 e ss), ovvero di una «relazione qualificata» che li lega ai figli (Bessone, 1011). Pertanto, si è individuata nell'art. 2048 c.c. più che una presunzione di colpa, la fonte di una serie di autentici doveri legali di garanzia verso i terzi esposti al rischio di un illecito del minore.

Altri autori hanno rilevato che i sostenitori della teoria sulla responsabilità oggettiva dei genitori non adducono alcuna giustificazione o opinione, a parte qualche generico richiamo all'esigenza di tutela del danneggiato o al ruolo protettivo dei genitori e alla solidarietà familiare (Bianca, 697).

Non si spiega il motivo in base al quale il genitore dovrebbe essere il legale garante dei figli per fatti non ricollegabili alla violazione dei doveri di vigilanza ed educazione.

Pertanto, è da ritenere che la fattispecie di cui all'art. 2048 rientri nel sistema generale della responsabilità per colpa. In particolare, è possibile considerarla o come un'ipotesi di responsabilità per fatto altrui (ma a titolo di colpa personale), in quanto attiene ai danni provocati da persona diversa dal responsabile; oppure si tratta una responsabilità diretta per fatto proprio: sussiste, infatti, una colpa fondata sul dovere di rispondere del proprio comportamento. In entrambi i casi, opererebbe una duplice presunzione di colpa (in educando e/o in vigilando) che avrebbe per effetto un'inversione dell'onere della prova a favore del danneggiato, in deroga ai comuni principi vigenti in tema di illecito aquiliano; tale presunzione potrebbe essere vinta con la prova, a carico dei genitori stessi, di «non aver potuto impedire il fatto», come dispone il comma 3 della norma in esame.

La giurisprudenza prevalente ritiene che la responsabilità in esame abbia natura di responsabilità diretta per fatto proprio colpevole.

La Corte di Cassazione, infatti, ha avuto modo di affermare che la responsabilità dei genitori a norma dell'art. 2048 c.c. (unitamente agli altri soggetti nella stessa disposizione normativa indicati) configura una forma di responsabilità diretta, per fatto proprio, cioè per non avere, con idoneo comportamento, impedito il fatto dannoso, ed è fondata sulla loro colpa, peraltro presunta (Cass. n. 20322/2005).

Per la Suprema Corte la norma di cui all'art. 2048 configura un'ipotesi di responsabilità diretta dei genitori per il fatto illecito commesso dai figli minori (e non già indiretta, od oggettiva, per fatto altrui), poiché, ai fini della sua concreta applicazione, non è sufficiente la semplice commissione del detto illecito, ma è altresì necessaria una condotta (commissiva o, di regola, soltanto omissiva), direttamente ascrivibile ai medesimi, che si caratterizzi per la violazione dei precetti di cui all'art. 147, e rispetto alla quale, in seno alla struttura dualistica dell'illecito, lo stesso fatto del minore, nella sua globalità, rappresenta il correlato evento giuridicamente rilevante. Di tale responsabilità, configurabile soltanto a titolo di colpa (poiché, in caso di condotta dolosa, le conseguenze, penali e civili, risulterebbero diversamente disciplinate, ex art. 111 e 185 c.p.), può legittimamente predicarsi la sussistenza, diversamente da quanto previsto, in via generale, dall'art. 2043, solo in presenza di una forma di colpa cd. specifica, non essendo, all'uopo, sufficiente una colpa soltanto generica, attesa anche la previsione di una praesumptio iuris tantum della sua esistenza, così che il genitore potrà dirsi liberato soltanto attraverso la positiva dimostrazione di una rigorosa osservanza dei precetti di cui al menzionato art. 147 (Cass. n. 9815/1997; Cass. n. 4945/1997; Cass. n. 5957/2000).

La condotta

Secondo l'art. 2048, il padre e la madre sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito del figlio minore che abita con essi.

L'accertata natura giuridica della responsabilità genitoriale quale conseguenza di un fatto proprio colpevole implica che la condotta civilmente rilevante dei genitori si configuri prevalentemente come condotta omissiva, vale a dire come mancata realizzazione della condotta doverosa.

I genitori, infatti, il più delle volte, rispondono per avere omesso la condotta attesa che, ove realizzata, o realizzata compiutamente, avrebbe impedito il fatto illecito del grande minore.

Tale condotta doverosa è quella prevista dall'art. 147 — ribadita dall'art. 155 in tema di separazione personale fra i coniugi — che impone ad entrambi i genitori l'obbligo non solo di mantenere, ma anche di istruire e educare i figli, esercitando quindi su di loro la necessaria vigilanza (Cass. n. 9815/1997, ove i giudici di legittimità hanno avuto modo di affermare che ai fini della sussistenza della responsabilità dei genitori non è sufficiente la semplice commissione del fatto illecito, ma è altresì necessaria una condotta (commissiva o, di regola, soltanto omissiva) direttamente ascrivibile ai medesimi, che si caratterizzi per la violazione dei precetti di cui all'art. 147).

Presupposto della responsabilità dei genitori è che il grande minore sia con loro convivente.

Non basta quindi la condotta, omissiva o commissiva, tenuta dal genitore, ma occorre che tale condotta riguardi un figlio minore coabitante.

La cosa è facilmente comprensibile, ove si rifletta che la convivenza è necessaria per assolvere i doveri di sorveglianza ed educazione (Cass. n. 2195/1979).

Occorre, però, definire i confini, a volte non troppo chiari di questo presupposto.

È importante notare come la giurisprudenza abbia avuto modo di sottolineare che la coabitazione non venga meno per un'assenza temporanea del minore per contingenti ragioni di svago o di studio (Cass. n. 1895/1978), ma solo a seguito dell'abbandono definitivo della casa familiare, dovuto a ragioni non imputabili ai genitori (Cass. n. 3491/1978).

Il fatto illecito

La formula normativa adottata dall'art. 2048 prevede la responsabilità genitoriale per il danno cagionato dal fatto illecito dei figli.

Ne deriva come prima, ovvia, conseguenza che dall'ambito di applicazione della norma rimangano esclusi i danni derivanti da inadempimento contrattuale del grande minore, salva, ovviamente, la responsabilità ex art. 1228 per il fatto doloso o colposo del figlio incaricato dell'adempimento, ricorrendone i presupposti (Cass. n. 6756/2001).

È poi interessante notare come il riferimento al fatto illecito autorizzi il richiamo alla disciplina codicistica dell'illecito medesimo e quindi anche alle norme che prevedono presunzioni di responsabilità a carico dell'autore del fatto ingiusto.

E la giurisprudenza, infatti, ha avuto modo di affermare che anche la responsabilità del minore rispetto al fatto illecito da lui commesso, fonte della concorrente responsabilità genitoriale, possa essere presunta (Cass. S.U., n. 9346/2002).

Terza e più interessante riflessione è quella volta ad accertare se il menzionato riferimento testuale al fatto illecito comporti l'esclusione della responsabilità del genitore per i danni che il minore arrechi a se stesso, giacché invece gli obblighi di educazione e di cura sembrano imposti essenzialmente nei confronti ed a tutela dei figli minorenni.

La problematica assume evidente interesse per le implicazioni che ha in punto di onere della prova, giacché si tratta di stabilire se nelle fattispecie di autodanneggiamento del minore operi la presunzione prevista dall'art. 2048.

La questione, venuta in rilievo soprattutto nell'ambito dello studio della responsabilità degli insegnanti, è stata oggetto di dibattito e di soluzioni giurisprudenziali contrastanti.

Da una parte, infatti, con interpretazione restrittiva, si è valorizzata l'interpretazione letterale della norma, che fa espresso riferimento al danno cagionato dal fatto illecito del minorenne, giungendo alla conclusione che l'art. 2048 presupponga un fatto antigiuridico lesivo di un terzo, al quale, proprio in quanto tale, sarebbe possibile opporre la prova liberatoria prevista dall'ultimo comma della norma citata.

Dall'altra parte, c'è stato chi ha privilegiato un'interpretazione estensiva, sottolineando — lo si è già accennato — che l'obbligo di tutela sia normativamente previsto proprio a tutela dei minorenni.

Il contrasto, tuttavia, è stato superato dalla decisione delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione che, sposando l'interpretazione restrittiva, hanno affermato il principio di diritto secondo il quale non è invocabile la presunzione di responsabilità posta dall'art. 2048, comma 2, c.c. nei confronti dei precettori, al fine di ottenere il risarcimento dei danni che l'allievo abbia provocato a se stesso (Cass. S.U., n. 9346/2002).

Necessario corollario di tali decisioni è che nel caso di autodanneggiamento, la responsabilità dei genitori andrà valutata ai sensi dell'art. 2043, con la conseguenza che l'onere della prova del danno subito e del nesso di causalità incomberà sul danneggiato minorenne.

Per concludere sulla condotta illecita dei figli, può essere interessante rilevare come la giurisprudenza abbia affermato la responsabilità genitoriale anche rispetto all'illecito amministrativo commesso dal minorenne (Cass. n. 572/1999, nel caso di illecito amministrativo commesso da persona non imputabile perché minore di diciotto anni, del quale è chiamato a rispondere chi è tenuto alla sorveglianza dell'incapace, la prova liberatoria di non avere potuto impedire il fatto — richiesta dall'art. 2, capoverso, della l. n. 689/1981 — compete non soltanto a coloro che sono tenuti alla sorveglianza degli incapaci, ma anche ai genitori dei minori ed agli altri soggetti indicati nell'art. 2048).

L'onere della prova e la prova liberatoria

Per la Corte di Cassazione in base alla previsione contenuta nell'art. 2048 in tema di responsabilità dei genitori per danno cagionato dal fatto illecito del figlio minore, sul danneggiato incombe solo l'onere di provare che il fatto illecito sia stato commesso dal minore ed il danno subito, mentre i genitori, per sottrarsi alla presunzione di responsabilità a loro carico, devono provare di non avere potuto impedire il fatto, intendendosi tale onere probatorio come onere di fornire la positiva dimostrazione dell'osservanza dei precetti imposti dall'art. 147 relativo ai doveri verso i figli, tra i quali quello di educare la prole (Cass. n. 15149/2004).

L'orientamento è stato successivamente ribadito, in relazione all'interpretazione della disciplina prevista nell'art. 2048, è necessario che i genitori, al fine di fornire una sufficiente prova liberatoria per superare la presunzione di colpa dalla suddetta norma desumibile, offrano non la prova legislativamente predeterminata di non avere potuto impedire il fatto (atteso che si tratta di prova negativa), ma quella positiva di avere impartito al figlio una buona educazione e di avere esercitato su di lui una vigilanza adeguata, i tutto in conformità alle condizioni sociali, familiari, all'età, al carattere e all'indole del minore (Cass. n. 20332/2005).

Vale solo la pena di mettere in evidenza come il riferimento esplicito alla “positiva dimostrazione dell'osservanza dei precetti imposti dall'art. 147 c.c.” renda palese che i Supremi Giudici abbiano sposato la tesi del caso fortuito come assenza di colpa; i genitori, infatti, pur avendo osservato i precetti dell'art. 147 ed essendo quindi immuni da colpa (specifica), hanno ugualmente cagionato il danno, ma non ne risponderanno per mancanza dell'elemento soggettivo della condotta.

Viene dunque in rilievo la questione della prova liberatoria.

Su di essa la giurisprudenza ha elaborato una linea molto rigorosa (Cass. n. 1148/2005).

È stato affermato anche il principio che in tema di responsabilità del genitore ex art. 2048 l'inefficacia dell'educazione da questi impartita al figlio minore è legittimamente desumibile (anche) dalla specifica condotta causativa del danno (nella specie, consistente nella guida spericolata, in guisa di esibizione, di un ciclomotore non abilitato al trasporto di due persone) (Cass. n. 2518/2002).

È stato deciso anche che l'inadeguatezza dell'educazione impartita e della vigilanza esercitata su un minore... può essere ritenuta, in mancanza di prova contraria, dalle modalità dello stesso fatto illecito, che ben possono rivelare il grado di maturità e di educazione del minore, conseguenti al mancato adempimento dei doveri incombenti sui genitori, ai sensi dell'art. 147 (Cass. n. 10357/2000; Cass. n. 20332/2005).

Peraltro, i genitori devono fornire la positiva dimostrazione dell'osservanza dei precetti imposti dall'art. 147 (Cass. n. 15419/2004).

Si è precisato che l'art. 2048 c.c. introduce una presunzione di responsabilità di culpa in vigilando a carico dell'insegnante cui gli alunni sono affidati durante l'orario scolastico, fatta salva la prova liberatoria di aver adottato tutte le misure disciplinari idonee ad evitare l'insorgenza di una situazione di pericolo (Trib. L'Aquila, 7 giugno 2023, n. 410, nel caso di specie il tribunale, sulla base del suesposto principio, ha ravvisato la responsabilità dell'istituto scolastico per i danni cagionati all'alunno vittima di bullismo, in quanto lo era stata fornita la prova di non aver potuto evitare il fatto ed anzi era emerso che i professori erano a conoscenza della situazione, tanto che in più occasioni i bulli erano stati richiamati e ammoniti).

Danni provocati durante l'orario scolastico

La responsabilità della scuola per le lesioni riportate da un alunno minore all'interno dell'istituto, in conseguenza della condotta colposa del personale scolastico, ricorre anche nel caso in cui il fatto sia avvenuto al di fuori dell'orario delle lezioni, in quanto il dovere di organizzare la vigilanza degli alunni mediante l'adozione, da parte del personale addetto al controllo degli studenti, delle opportune cautele preventive, sussiste sin dal loro ingresso nella scuola e per tutto il tempo in cui gli stessi si trovino legittimamente nell'ambito dei locali scolastici (Cass. n. 21255/2022, in applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza impugnata, che aveva escluso la responsabilità della scuola per l'infortunio occorso, giocando a pallacanestro durante il cambio dell'ora al termine della lezione di educazione fisica, ad un alunno esonerato dal parteciparvi, omettendo di verificare la presenza dell'insegnante o di altro rappresentante della struttura scolastica, in grado di far rispettare - anche durante l'intervallo tra un'ora e l'altra - il divieto conseguente al suddetto esonero).

In particolare, l'insegnante (rectius: il Ministero) si libera dalla presunzione di responsabilità in quanto provi di essere stato impossibilitato ad impedire il compimento dell'atto illecito causativo di danno per la sua repentinità e imprevedibilità, che non ha consentito un tempestivo ed efficace intervento. Il contenuto del dovere di vigilanza non è assoluto, bensì relativo all'età e al normale grado di maturazione degli alunni; la vigilanza, perciò, deve raggiungere il massimo grado di continuità e attenzione nelle prime classi elementari (Cass. n. 894/1977, con riferimento ad un pugno inferto da un minore frequentante la prima classe elementare ad un compagno di classe).

È onere della scuola dimostrare in concreto, benché anche solo per presunzioni, che le lesioni sono state conseguenza di una sequenza causale ad essa non imputabile (Cass. n. 5067/2010; Cass. n. 2559/2011; Cass. n. 9352/2011), se non anche (come si esprime Cass. n. 9542/2009) quella di avere adottato, in via preventiva, le misure organizzative e disciplinari idonee ad evitare prevedibili situazioni di pericolo favorevoli all'insorgere della serie causale sfociante nella produzione del danno.

Ad ogni modo, in tema di responsabilità civile dei maestri e dei precettori per fatto illecito dell'allievo, il raggiungimento della maggiore età (o di un'età ad essa prossima) da parte di quest'ultimo, seppure di per sé inidoneo a rendere inapplicabile la responsabilità ex art. 2048, comma 2, incide sul contenuto della prova liberatoria a carico dell'insegnante, nel senso che l'età maggiorenne deve ritenersi ordinariamente sufficiente ad integrare il caso fortuito, per essere stato l'evento posto in essere da persona che non necessita - quantomeno per attività materiali non specificamente correlate ad un insegnamento tecnico - di vigilanza alcuna poiché munita di completa capacità di discernimento tale da far presumere la non prevedibilità della condotta dannosa posta in essere, salva prova contraria da fornirsi da parte del soggetto danneggiato (Cass n. 2334/2018).

La S.C. ha precisato che qualificata la responsabilità dell'amministrazione scolastica come responsabilità contrattuale, grava su parte attrice l'onere di provare la fonte del suo credito e il danno, nonché quello di allegare l'inadempimento o l'inesatto adempimento dell'obbligazione di vigilanza gravante sulla convenuta, mentre spetta a quest'ultima la prova, da offrirsi anche in via presuntiva, dell'esatto adempimento di tale obbligazione o della causa imprevedibile e inevitabile dell'impossibilità dell'esatta esecuzione della prestazione che ne forma oggetto (Cass. n. 15190/2023, nella specie, relativa alla richiesta di risarcimento per i danni occorsi ad un'alunna che, tornando dal bagno verso l'aula, era caduta dalle scale, riportando la frattura della tibia, la Corte ha confermato la decisione dei giudici del merito che avevano ritenuto assolto l'onere gravante sull'amministrazione convenuta di dimostrare il regolare adempimento dell'obbligo di sorveglianza degli alunni in quanto le condizioni oggettive dello stato dei luoghi e le condizioni subiettive dell'allieva ne rendevano inesigibile una sorveglianza continua nel tratto che separava l'aula di lezione dai bagni).

Danni autoprodotti

In tema di danno cagionato dall'alunno a se stesso, la responsabilità dell'istituto scolastico e dell'insegnante non ha natura extracontrattuale bensì contrattuale, atteso, quanto all'istituto scolastico, che l'accoglimento della domanda di iscrizione, con la conseguente ammissione dell'allievo alla scuola, determina l'instaurazione di un vincolo negoziale dal quale sorge a carico dell'istituto l'obbligazione di vigilare sulla sicurezza e l'incolumità dell'allievo nel tempo in cui questi fruisce della prestazione scolastica in tutte le sue espressioni, anche al fine di evitare che l'allievo procuri danno a se stesso; e che, quanto al precettore dipendente dell'istituto scolastico, tra insegnante e allievo si instaura, per contatto sociale, un rapporto giuridico nell'ambito del quale l'insegnante assume, nel quadro del complessivo obbligo di istruire ed educare, anche uno specifico obbligo di protezione e vigilanza, onde evitare che l'allievo si procuri da solo un danno alla persona. Ne deriva che, nelle controversie instaurate per il risarcimento del danno da cd. autolesione nei confronti dell'istituto scolastico è applicabile il regime probatorio desumibile dall'art. 1218 c.c., sicché, mentre l'attore deve provare che il danno si è verificato nel corso dello svolgimento del rapporto, sull'altra parte incombe l'onere di dimostrare che l'evento dannoso è stato determinato da causa non imputabile nè alla scuola, nè all'insegnante (Cass. n. 36723/2022, nella specie, il minore frequentante la scuola materna, richiamato dall'insegnante per recarsi in bagno, sfuggì al suo controllo e subì un incidente riportando un taglio sul mento, causato dal violento impatto con un oggetto dalla forma tagliente ed affilata; la Corte territoriale aveva accertato che l'insegnante non si era avvicinata per prendere la mano del minore, né si era attivata prontamente per fermare la sua corsa, a fronte di un comportamento del bambino altamente prevedibile in considerazione della sua età e delle sue condizioni psico-fisiche).

In tale situazione quindi, in tema di prova dell'inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l'adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento (Cass. n. 15677/2009).

È principio consolidato che in caso di danno cagionato dall'alunno a se stesso, la responsabilità dell'istituto scolastico e dell'insegnante ha natura contrattuale e da ciò deriva l'applicazione del regime probatorio imposto dall'art. 1218 (fattispecie relativa alla caduta di un alunno, a causa del pavimento bagnato, nello spogliatoio di una scuola (Cass., n. 3695/2016).

In particolare, la presunzione di responsabilità posta dall'art. 2048, comma 2, c.c. a carico dei precettori trova applicazione limitatamente al danno cagionato ad un terzo dal fatto illecito dell'allievo; essa pertanto non è invocabile al fine di ottenere il risarcimento del danno che l'allievo abbia, con la sua condotta, procurato a se stesso (Cass. n. 19110/2020).

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