Codice Civile art. 2086 - Gestione dell'impresa 1 .Gestione dell'impresa1. [I]. L'imprenditore è il capo dell'impresa e da lui dipendono gerarchicamente i suoi collaboratori [2094 ss.]. [II]. L'imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell'impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell'impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l'adozione e l'attuazione di uno degli strumenti previsti dall'ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale.2 [1] Rubrica così sostituita dall'art. 375, comma 1, d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14. Tale modifica, ai sensi dell'art. 389, comma 2, d.lgs. n. 14, cit., entra in vigore il trentesimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del presente decreto. Il testo della rubrica era il seguente: «Direzione e gerarchia nella impresa». [2] Comma aggiunto dall'art. 375, comma 2, d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14. Tale modifica, ai sensi dell'art. 389, comma 2, d.lgs. n. 14, cit., entra in vigore il trentesimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del presente decreto (16 marzo 2019). InquadramentoLa versione originaria della norma, intitolata «Direzione e gerarchia nella impresa» e limitata a qualificare 'imprenditore come capo dell'impresa e a configurare in termini di gerarchia il suo rapporto con i collaboratori, risentiva chiaramente della concezione dell'impresa propria dell'ordinamento corporativo. Il d.lgs. n. 14/2019 (c.d. Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza) ha, in primo luogo, sostituito la rubrica dell’articolo che ora recita «Gestione dell’impresa» con una evidente accentuazione della prospettiva aziendalistica. Inoltre ha introdotto un comma 2 che prevede l’obbligo per l’imprenditore che operi in forma societaria o collettiva di adottare direttive e procedure per garantire che la gestione dell’impresa si esprima ad un livello operativo adeguato e strutturalmente idoneo a recepire tempestivamente segnali di crisi o di perdita della continuità aziendale affinché possano essere adottati e attuati gli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento del momento di crisi. Ne risulta modificato il profilo dell’imprenditore, da semplice capo dell’impresa a motore di un sistema talmente efficiente da rilevare da sé eventuali problemi. In questa prospettiva la norma potrà divenire fonte di ulteriori obblighi di garanzia in capo all’imprenditore con conseguenti responsabilità in caso di mancata adozione del modello di efficienza prefigurato dalla nuova disposizione, come, ad esempio, l’illegittimità di provvedimenti adottati nei confronti dei lavoratori che si sarebbero potuti evitare ove fossero stati predisposti adeguati sistemi di allarme (IANNIRUBERTO, 678). La novella del 2019 ha fatto salvo il primo comma della norma, che quindi continua a costituire (a volte in unione con l'art. 2104) il fondamento ultimo dei più significativi poteri dell'imprenditore, quali quello direttivo, quello di controllo, quello di predisporre norme interne di organizzazione, quello disciplinare. Esso va comunque letto alla luce (oltre che dell'art. 41 Cost. e dei limiti all'iniziativa economica privata da esso previsti, i quali escludono che il potere di iniziativa dell'imprenditore possa esprimersi in termini di pura discrezionalità o addirittura di arbitrio: Corte cost. n. 103/1989) della l. n. 300/1970 (c.d. Statuto del lavoratori) che, con l'introduzione di una più intensa tutela dei valori di libertà e dignità dei lavoratori, ha sicuramente attenuato la sua portata precettiva e la struttura autoritaria dell'impresa da essa espressa. Il potere di organizzazioneLa giurisprudenza afferma che l'articolo in esame attribuisce all'imprenditore il potere di organizzare, in posizione di supremazia gerarchica, l'attività dei collaboratori (Cass. n. 6996/1982). Con la precisazione, tuttavia, che la materia concernente lo stato giuridico ed il trattamento economico dei lavoratori deve considerarsi estranea alla nozione di organizzazione, in senso tecnico e disciplinare, del lavoro, e deve perciò ritenersi sottratta al detto potere regolamentare dell'imprenditore (Cass. n. 1304/1985; Cass. n. 3386/1971). Ulteriore limitazione enunciata dalla giurisprudenza è quella secondo cui la facoltà del datore di lavoro di predisporre anche unilateralmente — sulla base del potere di organizzazione che gli compete — norme interne di regolamentazione attinenti all'organizzazione tecnica e disciplinare del lavoro nell'impresa, con efficacia vincolante per i prestatori di lavoro, non è privo di limiti e, affinché non sconfini nell'arbitrio e non perda ogni collegamento con l'interesse all'ordinato svolgersi dell'attività lavorativa, occorre, a norma di principi desumibili principalmente dall'art. 1175, che il suo esercizio sia effettivamente funzionale alle esigenze tecniche, organizzative e produttive dell'azienda; si deve invece escludere che il datore di lavoro possa impartire prescrizioni che, imponendo limitazioni alle libertà del prestatore d'opera, risultino prive di fondamento logico o del tutto avulse dalle ragioni attinenti all'organizzazione, alla disciplina e all'attività produttiva e quindi non trovano legittimazione nei poteri datoriali quei provvedimenti che arrechino danno o siano di ingiustificato disagio per i lavoratori, senza realizzare alcun apprezzabile interesse dell'impresa (Cass. n. 1892/2000). A fronte dell'illegittimo esercizio del potere in esame da parte dell'imprenditore, il lavoratore può chiedere giudizialmente la riconduzione delle proprie prestazioni nell'ambito di quelle contrattualmente dovute, ma non può rifiutarsi aprioristicamente, senza avallo giudiziario, di eseguire la prestazione richiestagli, potendo egli invocare l'art. 1460 solo in caso di totale inadempimento del datore di lavoro, a meno che l'inadempimento di quest'ultimo sia tanto grave da incidere in maniera irrimediabile sulle esigenze vitali del lavoratore medesimo (Cass. n. 12696/2012, Cass. n. 29832/2008 ) Il regolamento di impresa Secondo la giurisprudenza, l'imprenditore, nell'emanare disposizioni relative alla disciplina e all'esecuzione tecnica del lavoro nonché ai comportamenti dei dipendenti, non è soggetto al rispetto di vincoli di forma (Cass. n. 16317/2010). Il livello più alto della regolamentazione generale ed astratta espressione del potere organizzativo dell'imprenditore è il c.d. regolamento aziendale. Con esso l'imprenditore rivolge al personale disposizioni, in ordine alla organizzazione degli uffici o servizi e alla distribuzione delle mansioni al loro interno; alle procedure da osservare nell'espletamento dei compiti assegnati, con riguardo anche ai rapporti con il pubblico; alla fissazione degli orari di inizio e cessazione dell'attività di lavoro, nonché agli intervalli per la ricreazione; alle modalità di ingresso e permanenza nei luoghi di lavoro; talora alla indicazione delle trasgressioni in cui il lavoratore può incorrere e delle relative sanzioni. Circa la natura giuridica del regolamento aziendale, una dottrina risalente lo configurava come contratto collettivo aziendale (Mancini, 1130); secondo altri (Hernandez, 169; Carullo, 350), il regolamento è un atto normativo in senso materiale, cioè atto regolamentare contenente clausole c.d. proprie (applicabili a tutti i lavoratori inseriti nell'organizzazione aziendale, indipendentemente da una loro esplicita adesione, costituendo l'esercizio — operato con criteri di generalità ed astrattezza — di poteri che competono istituzionalmente all'imprenditore per l'organizzazione della propria impresa: potere direttivo, disciplinare, ecc.) e improprie (rappresentando proposte che possono essere — o meno — accettate dal lavoratore). Per altri ancora, il regolamento è parte del contratto di lavoro perché costituisce un insieme di norme che, seppure predisposte unilateralmente dall'imprenditore, diventano obbligatorie per il prestatore di lavoro perché questi, concludendo il contratto di lavoro, fa ad esse, esplicitamente o implicitamente, adesione (Santoro Passarelli, 135). È stata infine espressa l'opinione secondo cui il regolamento aziendale è un atto unilaterale, perché concerne esigenze ed interessi del datore di lavoro che può disporne discrezionalmente, nei limiti segnati dalle situazioni giuridiche soggettive attribuite ai lavoratori dalla legge, dalla contrattazione collettiva e dagli stessi accordi intervenuti tra le parti (Scognamiglio, 63). La giurisprudenza, con specifico riferimento ai regolamenti del personale degli enti pubblici economici, afferma che essi, seppure assumono la forma di atti unilaterali, hanno natura contrattuale in quanto all'atto unilaterale è sottesa la contrattazione collettiva, con la conseguenza che legittimamente essi possono essere modificati ad opera di successivi accordi aziendali, anche peggiorativi rispetto ad essi (Cass. n. 16032/2004; Cass. n. 8931/2004; Cass. n. 5825/2000) e che per la loro interpretazione occorre fare applicazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale (Cass. n. 3468/2002). Quanto all'efficacia delle disposizioni contenute nel regolamento la dottrina afferma che esse valgono solamente se non contrastanti con le fonti sovraordinate (legislative e sindacali), nonché con le esplicite pattuizioni del contratto individuale, salvo deroghe in melius per il lavoratore (Galli, 3) e che modificazioni del regolamento da parte del datore di lavoro non incidono su diritti già acquisiti dai lavoratori (Scognamiglio, 63). Sempre nell'esercizio del proprio potere organizzativo, l'imprenditore è legittimato ad emanare disposizioni mediante ordini di servizio o circolari, e ciò sia ad integrazione del regolamento, sia in mancanza di esso. Il potere direttivoNell'esercizio del potere direttivo, espressamente previsto dall'art. 2104, comma 2, l'imprenditore specifica l'oggetto dell'obbligazione di lavorare e stabilisce i termini ed i modi in cui questa obbligazione deve essere adempiuta. Ad esso corrisponde una soggezione del lavoratore che è qualità intrinseca del comportamento dovuto dallo stesso e ne costituisce elemento necessario di caratterizzazione. In proposito, v. amplius sub art. 2104. Il potere di controlloNell'art. 2086 (unitamente all'art. 2104) è individuato il fondamento giuridico del potere dell'imprenditore di controllare direttamente o mediante la propria organizzazione gerarchica l'adempimento delle prestazioni lavorative e quindi di accertare mancanze specifiche dei dipendenti già commesse od in corso di esecuzione. In giurisprudenza si afferma che tale potere non è venuto meno a seguito delle norme poste dagli artt. 2 e 3 l. n. 300/1970 a tutela della libertà e della dignità dei lavoratori, le quali delimitano la sfera di intervento di persone preposte dal datore di lavoro a difesa dei suoi interessi, con specifiche attribuzioni nell'ambito dell'azienda (rispettivamente con poteri di polizia giudiziaria a tutela del patrimonio aziendale e di controllo della prestazione lavorativa) e che il controllo può avvenire anche occultamente e a distanza di tempo dall'inizio del rapporto lavorativo senza che vi ostino né il principio di buona fede né il divieto di cui all'art. 4 l. n. 300/1970, ben potendo il datore di lavoro decidere autonomamente come e quando compiere il controllo ed essendo il prestatore d'opera tenuto ad operare diligentemente per tutto il corso del rapporto di lavoro (Cass. n. 21888/2020; Cass. n. 16196/2009; Cass. n. 8388/2002). Il potere disciplinareAnche il potere dell'imprenditore di infliggere ai propri dipendenti sanzioni disciplinari (art. 2106) è espressione, secondo la giurisprudenza, del più ampio potere di direzione dell'impresa attribuitogli dall'art. in commento (Cass. n. 5753/1995). In proposito, si rinvia al commento dell'art. 2106. Il potere di determinare la collocazione temporale dell'attività lavorativaAd avviso della giurisprudenza (Cass. n. 4507/1993; Cass. n. 587/1987), i poteri organizzativi riconosciuti all'imprenditore dagli artt. 2086, 2094 e 2104, attribuiscono allo stesso il potere di modificare, per esigenze dell'impresa e nel rispetto dei patti contrattuali, le modalità di esecuzione della prestazione lavorativa dei dipendenti anche per quanto concerne la distribuzione del lavoro nell'arco della giornata e della settimana (non anche quello di modificare l'orario di lavoro sì che — a parità di retribuzione — risultino incrementate le ore della prestazione di lavoro). V. anche sub art. 2107. Il potere di determinare il periodo ferialeAnche l'esatta determinazione del periodo feriale, presupponendo una valutazione comparativa di diverse esigenze, è ritenuta dalla giurisprudenza quale estrinsecazione del generale potere organizzativo e direttivo dell'impresa e, quindi, attribuita all'imprenditore, riconoscendosi al lavoratore soltanto la mera facoltà di indicare il periodo entro il quale intende fruire del riposo annuale (Cass. n. 18166/2013; Cass. n. 9816/2008; Cass. n. 7951/2001). V., amplius, sub art. 2109. BibliografiaAlbi, Art. 2087: tutela delle condizioni di lavoro, Milano, 2008; Bigiavi, L'imprenditore occulto, Padova, 1954; Bigiavi, La professionalità dell'imprenditore, Padova, 1948; Bigiavi, La «piccola impresa», Milano, 1947; Bona, Responsabilità civile da mobbing, in Dig. civ., Agg. II, t. II, Torino, 2003, 1107; Bonelli-Roli, Privatizzazioni, in Enc. dir., Agg. 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